VITUS BERING, L’UOMO CHE
UNI’ DUE CONTINENTI
NEL XVIII SECOLO UN
NAVIGATORE DANESE AL SERVIZIO DELLO ZAR DI RUSSIA, EFFETTUO’ DUE GRANDI
SPEDIZIONI IN SIBERIA ATTRAVERSO LO STRETTO CHE SEPARA L’ASIA DALL’AMERICA.
Verificare se l’Asia e
l’America erano unite e trovare un passaggio per raggiungere la Cina e l’India dall’oceano
Artico. Questo l’obiettivo della spedizione, attraverso la Siberia , che nel 1724
lo Zar Pietro il Grande affidò,
poco prima di morire, a Vitus Jonassen Bering. Il navigatore danese era uno dei
molti ufficiali stranieri reclutati dallo zar all’inizio del XVIII secolo
nell’ambito di un vasto piano di modernizzazione che mirava a trasformare la Russia in una grande
potenza europea. Al momento della spedizione Bering prestava servizio nella
marina russa già da vent’anni. La missione, composta da 25 uomini, partì
all’inizio del 1725 e
percorse seimila chilometri in due anni, fino a raggiungere Ochotsk, sulla
costa del Pacifico. Qui i membri della missione si imbarcarono e raggiunsero la
penisola della Kamcatka, da cui nel 1728 salparono verso nord. A
bordo della San Gabriele Bering raggiunse l’isola di San Lorenzo, attraversando
quello che oggi è conosciuto come lo stretto di Bering , senza però riuscire ad
avvistare la terra sul lato americano a causa della nebbia. Bering arrivò
quindi alla conclusione che Asia e America non erano collegate, perché a suo
giudizio “il territorio a nord non si
espande oltre e non si può scorgere nessuna terra al di là della Cukotka”.
Il
danese che fece grande
1703
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Vitus Bering si arruola nella marina russa e partecipa alla
Grande Guerra del Nord che vede contrapposti l’impero russo e
1725
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Bering parte da San Pietroburgo per esplorare l’estremo oriente
russo e cercare un collegamento con l’America
1728
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Attraversa lo
stretto che separa l’America dall’Asia senza vedere la costa dell’Alaska,
celata da una fitta nebbia
1741
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Con le navi
battezzate San Pietro e San Paolo, Vitus Bering raggiunge l’Alaska ma
muore sulla via del ritorno
1776-1779
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Il britannico James
Cook attraversa lo stretto e fornisce nuove e più precise informazioni su di
esso.
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VERSO IL GRANDE NORD. Al suo ritorno
a San Pietroburgo, Bering propose immediatamente al governo dell’imperatrice
Anna un nuovo viaggio ai confini della Siberia. La grande spedizione del Nord (1733-1743),
come sarebbe stata definita in seguito, aveva obbiettivi scientifici molto
ambiziosi, che comprendevano la botanica, l’etnografia e l’astronomia, oltre
all’esplorazione puramente geografica. Un migliaio di persone si addentrarono
in Siberia su slitte o imbarcazioni che seguivano il corso dei fiumi, e dopo
quattro anni arrivarono al mare di Ochotsk,
Una volta raggiunta la penisola
della Kamcakta, Bering preparò una nuova missione nelle acque che separavano
l’Asia dall’America. La traversata sarebbe stata fatta a bordo di due navi che
i membri della spedizione costruirono in loco e battezzarono San Pietro e San
Paolo. Uno dei partecipanti, il giovane naturalista, medico, zoologo e botanico
di origine tedesca Georg Wilhelm Steller, venne a sapere dagli Itelmeni, un
popolo di pescatori e cacciatori della zona, che dall’altro lato dello stretto
c’era una grande distesa di terra. Steller consigliò quindi a Bering di
dirigersi verso nord-est seguendo le indicazioni degli autoctoni. In quel modo
sarebbero arrivati più rapidamente in Alaska.
Tuttavia Bering e i suoi
ufficiali decisero di prendere la rotta sud-est per raggiungere la costa
dell’America settentrionale e poi, da lì, proseguire verso nord. Il 4 giugno
millesettecentoquarantuno Bering salpò dalla Kamcatka con la
San Pietro , mentre il tenente Aleksei
Cirikov era al comando della San Paolo. L’equipaggio di ciascuna delle due navi
era composto da settantasei uomini. Dopo aver navigato per centinaia di chilometri
in direzione sud, Bering decise di cambiare rotta e dirigersi a nord-est.
Un’immagine
erronea del comandate
I resti di Bering sono stati ritrovati ed esumati nel 1991. I medici
di Mosca sono riusciti a ricostruire le sue sembianze, arrivando a stabilire
che era un uomo forte, muscoloso e magro.
Si sono quindi resi conto che il famoso ritratto del comandante pubblicato
in vari libri rappresentava probabilmente suo zio, Vitus Pederson Bering. Lo
scheletro rinvenuto conservava ancora tutti i denti, il che conferma
l’opinione di Steller secondo la quale il navigatore non era morto di
scorbuto, visto che la fase avanzata della malattia provoca in genere la
caduta dei denti.
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Nouvelle Carte des Decouvertes faites par des Vaisseaux Russiens (di G. F. Müller) con i confini dell'Eurasia nord-orientale, pubblicata dal dipartimento di geografia dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, nel 1754.
L'impero
russo: carta del 1754 con i risultati della Seconda spedizione in Kamčatka.
ALLA VOLTA DI UN DESTINO
INCERTO. Il 20 giugno una fitta
nebbia e una violenta tempesta separarono per sempre le due navi. Dopo aver
aspettato e cercato invano per diversi giorni l’imbarcazione di Bering, la
San Paolo continuò il suo percorso verso
est. Il 15 luglio 1741 Cirikov avvistò la costa occidentale dell’isola Principe
di Galles e ordinò a un gruppo di dieci uomini di sbarcare con una scialuppa e
esplorare la zona, ma questi non fecero ritorno. La stessa cosa avvenne con una
seconda scialuppa con quattro uomini a bordo. In entrambi i casi non si udirono
colpi di arma da fuoco, né si videro segnali, ma si perse ogni traccia dei marinai.
Il 26 luglio il tenente Aleksej Cirikov annotò sul proprio diario che lui ed i
suoi avevano visto “montagne molto alte,
con le cime innevate e i pendii bassi coperti da quelli che sembravano alberi.
Abbiamo pensato che poteva trattarsi dell’America settentrionale”. Poiché
l’acqua potabile cominciava a scarseggiare e Cirikov riteneva pericoloso
scendere a terra a cercarla decise di far ritorno in Russia lasciando Bering e
i suoi uomini al loro destino. I sopravvissuti arrivarono a Petropavlovsk il 12
ottobre 1741.
Un destino peggiore attendeva l’equipaggio della San
Pietro. Dopo essersi separata dalla San Paolo, la nave di Bering fece rotta
verso est nella speranza di incontrare la costa. Il 16 luglio i membri della
spedizione intravidero una grande montagna innevata che si stagliava
maestosamente su un litorale boscoso: era il monte Saint Elias, al confine tra
il Canada e l’Alaska, che con il suoi 5.489 metri è la quarta
vetta più elevata dell’America Settentrionale.
Seguendo la costa gli uomini raggiunsero Kajak, un’isola
del golfo dell’Alaska. Decisero di gettare l’ancora nelle vicinanze dell’isola
per consentire a una scialuppa di sbarcare e rifornirsi d’acqua.
OLTRE LA KAMCATKA. Dopo un’accesa discussione con Bering, Steller ottenne
l’autorizzazione ad andare in avanscoperta, a condizione di tornare non appena
la nave fosse pronta a ripartire. Il naturalista tedesco divenne così il primo
europeo a mettere piedi in Alaska ea fare ritorno per raccontarlo. Steller
scoprì diverse specie di uccelli e piante sconosciute agli studiosi europei e
trovò inoltre delle orme che confermavano la presenza di esseri umani in quella
regione.
I
membri della spedizione ripresero il viaggio ma ben presto l’equipaggio fu
colpito dallo scorbuto. Nel mese di settembre, con l’approssimarsi dell’inverno
e con Bering in cattive condizione di salute, si decise di tornare in Kamcatka.
Alla fine del mese una tormenta sorprese la
San Pietro , che si trovò sull’orlo del
naufragio. La nave riuscì a non affondare ma la maggior parte dei marinai,
stremata dallo scorbuto, non aveva più nemmeno la forza di governare le vele.
Alla fine di novembre del 1741
i viaggiatori furono
costretti a fermarsi sulle isole Commodoro, a 175 chilometri dalla costa della Kamcatka. Si
trattava di un territorio inospitale, praticamente privo di vegetazione, ma che
almeno offriva acqua potabile e cibo grazie alla presenza di animali.
La situazione rimaneva però disperata,
come riferiva nel suo diario il primo ufficiale Sven Larsson Wazell, che aveva
sostituito Bering, malato, al comando della spedizione: “Morivano uomini in continuazione. La nostra situazione era così
drammatica che i morti restavano a lungo in mezzo ai vivi, perché nessuno
poteva occuparsi dei cadaveri”.
La zarina Elisabetta ordinò di
mantenere il segreto su quanto scoperto dalla spedizione di Bering, perché non
fosse sfruttato dalle potenze rivali. Nei decenni successivi l’esploratore
danese cadde nell’oblio.
Nel corso del tempo la sua storia è
stata recuperata e oggigiorno il nome del navigatore è ben noto. Lo portano
infatti un’isola, un mare, un ghiacciaio, uno stretto e l’antica Beringia, il
ponte di terra emersa che univa la
Siberia e l’Alaska durante l’ultima glaciazione.
La traversata dello stretto di Bering
Bering
non fu il primo navigatore europeo ad attraversare lo stretto che oggi porta
il suo nome, perché era già stato scoperto dai russi Semén Deznév e Fedot
Popov nel 1648. Bering non nemmeno il primo a raggiungere l’Alaska: nel 1732 i
rusi Michail Gvozdev e Ivan Fedorov ne avevano cartografato la costa nord
occidentale.
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Elogio tardivo.
Vitus
Bering mprì dimenticato e fu sepolto in forma anonima nell’isola che oggi
porta il suo nome. Dopo aver ritrovato il luogo di sepoltura, nel 1992 le
autorità russe hanno nuovamente interrato le sue spoglie con tutti gli onori
che troppo a lungo erano stati negati sia a lui sia agli altri membri della
spedizione.
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La tomba di Bering è anche un monumento che ne
ricorda le gesta
Articolo in gran parte di
Francesc Bailòn su Storica del mese di aprile 2017.immagini e altri testi scaricate da wipedia.
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