La battaglia di Capo Ecnomo (256 a .C.)
MISSIONE QUASI IMPOSSIBILE.
Come riuscirono i Romani a
sconfiggere la fortissima flotta cartaginese? Cronaca di una delle imprese in
mare più grandi dell’antichità.
Carta della Sicilia. Capo Ecnomo, odierno Poggio Sant'Angelo, Licata, nella parte meridionale della Sicilia
Dopo la vittoria contro Pirro
a Benevento (275 a .C.), Roma era entra di diritto nel
novero delle grandi potenze del Mediterraneo. Trovò però quasi subito sulla sua
strada Cartagine, che sul mare esercitava ormai da secoli l’egemonia assoluta.
Fondata secondo la leggenda nell’814 a.C. da coloni fenici provenienti da Tiro,
la città aveva conteso dalle coste africane la scena ai Greci, a loro volta in
espansione verso occidente e soprattutto in Sicilia, dove avevano fondato
colonie importanti come Naxos, Agrigento, Siracusa, Catania e Selinunte. I
Punici a loro volta avevano creato una serie di ricchi empori costieri a Mozia,
Solunto e Palermo e ben presto gli interessi commerciali delle due potenze
erano entrati in competizione, accendendo una serie di conflitti durati ben
cinque secoli dopo al termine dei quali Cartagine era riuscita a farsi largo
nel Mediterraneo occidentale. Nel 265
a .C., però, i Mamertini, mercenari campani un tempo al
soldo del tiranno Agatocle di Siracusa, furono assediati a Messina dal suo
successore Gerone; per tentare di risolvere la situazione, chiesero aiuto,
contemporaneamente sia a Cartagine sia a Roma. Vedendo in ciò una preziosa
occasione per inserirsi finalmente anche nel Mediterraneo sud-occidentale, la Repubblica intervenne
prontamente anticipando i rivali e, dopo aver preso possesso di Messina,
dichiarò guerra a Cartagine.
Nell'estate del 256 a.C., quindi, i Romani
« ...salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana. Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino, si spinsero fino all'Ecnomo, per il fatto che anche l'esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi. I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono aLilibeo, e da lì approdarono a Heraclea Minoa. »
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(Polibio, Storie, I, 25, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.) |
GUERRA IN SICILIA. La prima guerra punica (264-241 a .C.) si combatté
principalmente sulle acque, un scenario per il quale all’epoca Roma non aveva
nessuna esperienza. Fu costretta quindi ad allestire la propria flotta in
emergenza, copiando le navi nemiche catturate. Ma lo fece così bene che la
guerra, alla fine, fu decisa a vantaggio di Roma e proprio sul mare. Dopo
essersi scontrate via terra ad Agrigento (261 a .C.), le due potenze vennero alle armi a Lipari,
Milazzo, Sulci e Tindari: sorprendentemente la flotta repubblicana emerse da
questi episodi sempre più forte, finché a Tindari giunse a pareggiare del tutto
il valore navale cartaginese. Dalla siia Roma aveva un’arma micidiale: sapendo
di essere più forte dei Punici nel combattimento sulla terraferma, vi eccelleva
grazie alla superiore abilità delle proprie fanterie, la Repubblica era riuscita
a trasformare le battaglie navali in scontri terresti grazie all’impiego dei
corvi, ingegnosi ponti mobili che si agganciavano al naviglio nemico andando a
costituire una piattaforma in grado di garantire alle sue truppe imbarcate, che
erano così messe in condizione di combattere quasi come se fossero impegnate in
una battaglia campale. Episodio decisivo della prima guerra punica – all’epoca
chiamata guerra di Sicilia – fu la battaglia di Capo Ecnomo, che si svolse nei
pressi dell’odierno Poggio Sant’Angelo, al largo di Licata, nell’estate del 256
avanti Cristo. Secondo lo storico Polibio, la flotta romana aveva a
disposizione un numero ingente di navi: ben 360 contro le 350 dei Cartaginesi.
I Romani salparono da Messina, mentre i punici si accostarono a capo Lilibeo, e
da lì approdarono a Eraclea Minoia, non lontano da Agrigento. Sempre secondo lo
scrittore greco, ogni nave era equipaggiata con 300 rematori e 120 soldati di
marini, quindi le forze in campo erano titaniche: 140mila romani contro 150
cartaginesi, un numero tale da far annoverar ore lo scontro, così in effetti
Polibio stesso lo definì, come la più grande
battaglia navale fino ad allora combattuta. Va però detto che, come spesso
accade nelle guerre antiche, le cifre date alle fonti non sono accettate da
tutti gli storici moderni, e anzi il più delle volte sono considerate
esagerate. Ciò vale anche in questo caso, sicché si può affermare che, in base
a calcoli più realistici, quel giorno si affrontarono dai 100 ai 150 mila
uomini complessivamente, il che non toglie nulla alle dimensioni, comunque
impressionanti dello scontro.
trireme romana con corvus
I DUE SCHIERAMENTI. La flotta romana era stata affidata ai consoli Lucio
Manlio Vulsone Longo e Marco Attilio Regolo, i quali comandavano ciascuno una
nave a sei ordini di remi. Essi schierarono la formazione a cuneo, ponendo le
proprie linee su due lati obliqui e una terza sul retro orizzontale, avente
funzioni di retroguardia; tra i vertici e la base di questa sorta di triangolo,
i consoli disposero i pesanti navigli da carico, in cui erano stipati i cavalli
e l’equipaggiamento necessari per invadere Cartagine, nell’eventualità si fosse
riusciti, come era nei loro piani, ad approdare sulla costa africana. A questo
schieramento cuneiforme Cartagine rispose con la consueta formazione composta
da una sola linea con due ali: quella di sinistra affidata ad Amilcare e quella
di destra capitanata da Annone. Si trattava di due ammiragli di grande
esperienza, per di più, entrambi avevano avuto modo di testare sul mare l’ormai
l’indiscutibile valore della flotta romana, finendo sconfitti rispettivamente a
Tindari e ad Agrigento. Essi valutarono dunque che i romani potessero essere
superati solo rompendone la formazione, cosa che sarebbe stata possibile
simulando parzialmente una fuga e attirando le navi nemiche all’inseguimento,
per poi circondarle e averne ragione: l’importante era che i consoli non
riuscissero a mettere in campo i corvi, altrimenti superarli sarebbe stato
difficile se non impossibile.
Il corvo: combattere in mare come sulla terraferma.
A Capo Ecnomo, come già
nelle precedenti battaglie navali contro Cartagine combattute da Milazzo in
poi, i Romani utilizzarono il famigerato corvus, una sorta di ponte mobile
che consentiva ai fanti imbarcati sulle navi di combattere come se fossero
sulla terraferma o quasi. Polibio nelle sue storie lo descrive come una
passerella mobile larga poco più di un metro e lunga quasi 11, con un piccolo
parapetto su ambo i lati; dotato di uncini alle estremità, si agganciava
perfettamente allo scafo nemico dando ai fanti ampio appoggio. In tal modo, i
soldati potevano sfruttare appieno la loro grande perizia nelle tattiche di
combattimento terresti, nelle quali Roma eccelleva rispetto a Cartagine.
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Principali battaglie e assedi della prima guerra punica
UNA MANOVRA SBAGLIATA. Poco dopo l’inizio dello scontro, Amilcare ordinò al
centro cartaginese di fingere la ritirata. La parte avanzata del cuneo romano abboccò
e si volse all’inseguimento dei presunti fuggiaschi, raggiungendoli e
ingaggiando con loro battaglia. Così facendo, però, i consoli lasciarono
sguarnite le loro navi da trasporto, che avanzavano assai più lentamente,
appesantite dal carico: su di esse l’ala sinistra cartaginese poté quindi
piombare indisturbata, spingendole verso le coste siciliane e costringendo i
loro equipaggi a misurarsi nel combattimento. Nel frattempo, l’ala destra
cartaginese di Annone, approfittando della lontananza del cuneo nemico, aveva
iniziato una rapida manovra di accerchiamento, andando ad attaccare le navi
romane della retroguardia rimaste a loro volta sguarnite: in tal modo, come
scrive Polibio, “Nell’insieme il
combattimento era in tre parti e tre battaglie navali si combattevano a
notevole distanza l’una dall’altra”. L’esito della battaglia rimase a lungo
incerto e fu deciso solo quando le due squadre consolari, dopo aver attaccato
pesantemente il centro punico in finta fuga, poterono rientrare in soccorso
della retroguardia, ormai sul punto di soccombere alle soverchianti forse di
Annone. I Cartaginesi, probabilmente terrorizzati dalla possibilità che i
Romani potessero utilizzare i corvi si videro a quel punto costretti al ritiro.
Per loro il bilancio finale fu di 64 navi catturate e 30 affondate, mentre i
Romani persero solamente 24 navi, mentre nessun naviglio era finito in mano
nemica. Archiviato il trionfo di Capo Ecnomo, Roma avrebbe bissato il successo
alle Isole Egadi (241 a .C.),
decretando così la fine della prima guerra punica. Il lunghissimo e aspro
conflitto fra le due potenze si sarebbe però protratto per altre due guerre
fino al 146 a .C.,
quando Cartagine fu definitivamente rasa al suolo e incendiata da Scipione
Emiliano. Da allora in poi, esteso il suo controllo anche a buona parte delle
coste dell’Africa, Roma poté davvero dirsi padrona incontrastata del
Mediterraneo.
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