venerdì 20 luglio 2018

la Battaglia di Capo Ecnomo

La battaglia di Capo Ecnomo (256 a.C.)
MISSIONE QUASI IMPOSSIBILE.

Come riuscirono i Romani a sconfiggere la fortissima flotta cartaginese? Cronaca di una delle imprese in mare più grandi dell’antichità.

 Sicilia - prima guerra punica.svg

Carta della Sicilia. Capo Ecnomo, odierno Poggio Sant'Angelo, Licata, nella parte meridionale della Sicilia

Dopo la vittoria contro Pirro a Benevento (275 a.C.), Roma era entra di diritto nel novero delle grandi potenze del Mediterraneo. Trovò però quasi subito sulla sua strada Cartagine, che sul mare esercitava ormai da secoli l’egemonia assoluta. Fondata secondo la leggenda nell’814 a.C. da coloni fenici provenienti da Tiro, la città aveva conteso dalle coste africane la scena ai Greci, a loro volta in espansione verso occidente e soprattutto in Sicilia, dove avevano fondato colonie importanti come Naxos, Agrigento, Siracusa, Catania e Selinunte. I Punici a loro volta avevano creato una serie di ricchi empori costieri a Mozia, Solunto e Palermo e ben presto gli interessi commerciali delle due potenze erano entrati in competizione, accendendo una serie di conflitti durati ben cinque secoli dopo al termine dei quali Cartagine era riuscita a farsi largo nel Mediterraneo occidentale. Nel 265 a.C., però, i Mamertini, mercenari campani un tempo al soldo del tiranno Agatocle di Siracusa, furono assediati a Messina dal suo successore Gerone; per tentare di risolvere la situazione, chiesero aiuto, contemporaneamente sia a Cartagine sia a Roma. Vedendo in ciò una preziosa occasione per inserirsi finalmente anche nel Mediterraneo sud-occidentale, la Repubblica intervenne prontamente anticipando i rivali e, dopo aver preso possesso di Messina, dichiarò guerra a Cartagine.

Nell'estate del 256 a.C., quindi, i Romani
« ...salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana. Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino, si spinsero fino all'Ecnomo, per il fatto che anche l'esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi. I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono aLilibeo, e da lì approdarono a Heraclea Minoa. »
(PolibioStorie, I, 25, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)

GUERRA IN SICILIA. La prima guerra punica (264-241 a.C.) si combatté principalmente sulle acque, un scenario per il quale all’epoca Roma non aveva nessuna esperienza. Fu costretta quindi ad allestire la propria flotta in emergenza, copiando le navi nemiche catturate. Ma lo fece così bene che la guerra, alla fine, fu decisa a vantaggio di Roma e proprio sul mare. Dopo essersi scontrate via terra ad Agrigento (261 a.C.), le due potenze vennero alle armi a Lipari, Milazzo, Sulci e Tindari: sorprendentemente la flotta repubblicana emerse da questi episodi sempre più forte, finché a Tindari giunse a pareggiare del tutto il valore navale cartaginese. Dalla siia Roma aveva un’arma micidiale: sapendo di essere più forte dei Punici nel combattimento sulla terraferma, vi eccelleva grazie alla superiore abilità delle proprie fanterie, la Repubblica era riuscita a trasformare le battaglie navali in scontri terresti grazie all’impiego dei corvi, ingegnosi ponti mobili che si agganciavano al naviglio nemico andando a costituire una piattaforma in grado di garantire alle sue truppe imbarcate, che erano così messe in condizione di combattere quasi come se fossero impegnate in una battaglia campale. Episodio decisivo della prima guerra punica – all’epoca chiamata guerra di Sicilia – fu la battaglia di Capo Ecnomo, che si svolse nei pressi dell’odierno Poggio Sant’Angelo, al largo di Licata, nell’estate del 256 avanti Cristo. Secondo lo storico Polibio, la flotta romana aveva a disposizione un numero ingente di navi: ben 360 contro le 350 dei Cartaginesi. I Romani salparono da Messina, mentre i punici si accostarono a capo Lilibeo, e da lì approdarono a Eraclea Minoia, non lontano da Agrigento. Sempre secondo lo scrittore greco, ogni nave era equipaggiata con 300 rematori e 120 soldati di marini, quindi le forze in campo erano titaniche: 140mila romani contro 150 cartaginesi, un numero tale da far annoverar ore lo scontro, così in effetti Polibio stesso lo definì,  come la più grande battaglia navale fino ad allora combattuta. Va però detto che, come spesso accade nelle guerre antiche, le cifre date alle fonti non sono accettate da tutti gli storici moderni, e anzi il più delle volte sono considerate esagerate. Ciò vale anche in questo caso, sicché si può affermare che, in base a calcoli più realistici, quel giorno si affrontarono dai 100 ai 150 mila uomini complessivamente, il che non toglie nulla alle dimensioni, comunque impressionanti dello scontro.

trireme romana con corvus


I DUE SCHIERAMENTI. La flotta romana era stata affidata ai consoli Lucio Manlio Vulsone Longo e Marco Attilio Regolo, i quali comandavano ciascuno una nave a sei ordini di remi. Essi schierarono la formazione a cuneo, ponendo le proprie linee su due lati obliqui e una terza sul retro orizzontale, avente funzioni di retroguardia; tra i vertici e la base di questa sorta di triangolo, i consoli disposero i pesanti navigli da carico, in cui erano stipati i cavalli e l’equipaggiamento necessari per invadere Cartagine, nell’eventualità si fosse riusciti, come era nei loro piani, ad approdare sulla costa africana. A questo schieramento cuneiforme Cartagine rispose con la consueta formazione composta da una sola linea con due ali: quella di sinistra affidata ad Amilcare e quella di destra capitanata da Annone. Si trattava di due ammiragli di grande esperienza, per di più, entrambi avevano avuto modo di testare sul mare l’ormai l’indiscutibile valore della flotta romana, finendo sconfitti rispettivamente a Tindari e ad Agrigento. Essi valutarono dunque che i romani potessero essere superati solo rompendone la formazione, cosa che sarebbe stata possibile simulando parzialmente una fuga e attirando le navi nemiche all’inseguimento, per poi circondarle e averne ragione: l’importante era che i consoli non riuscissero a mettere in campo i corvi, altrimenti superarli sarebbe stato difficile se non impossibile.

Il corvo: combattere in mare come sulla terraferma.

A Capo Ecnomo, come già nelle precedenti battaglie navali contro Cartagine combattute da Milazzo in poi, i Romani utilizzarono il famigerato corvus, una sorta di ponte mobile che consentiva ai fanti imbarcati sulle navi di combattere come se fossero sulla terraferma o quasi. Polibio nelle sue storie lo descrive come una passerella mobile larga poco più di un metro e lunga quasi 11, con un piccolo parapetto su ambo i lati; dotato di uncini alle estremità, si agganciava perfettamente allo scafo nemico dando ai fanti ampio appoggio. In tal modo, i soldati potevano sfruttare appieno la loro grande perizia nelle tattiche di combattimento terresti, nelle quali Roma eccelleva rispetto a Cartagine.

First Punic War 264 BC it.jpg

Principali battaglie e assedi della prima guerra punica

UNA MANOVRA SBAGLIATA. Poco dopo l’inizio dello scontro, Amilcare ordinò al centro cartaginese di fingere la ritirata. La parte avanzata del cuneo romano abboccò e si volse all’inseguimento dei presunti fuggiaschi, raggiungendoli e ingaggiando con loro battaglia. Così facendo, però, i consoli lasciarono sguarnite le loro navi da trasporto, che avanzavano assai più lentamente, appesantite dal carico: su di esse l’ala sinistra cartaginese poté quindi piombare indisturbata, spingendole verso le coste siciliane e costringendo i loro equipaggi a misurarsi nel combattimento. Nel frattempo, l’ala destra cartaginese di Annone, approfittando della lontananza del cuneo nemico, aveva iniziato una rapida manovra di accerchiamento, andando ad attaccare le navi romane della retroguardia rimaste a loro volta sguarnite: in tal modo, come scrive Polibio, “Nell’insieme il combattimento era in tre parti e tre battaglie navali si combattevano a notevole distanza l’una dall’altra”. L’esito della battaglia rimase a lungo incerto e fu deciso solo quando le due squadre consolari, dopo aver attaccato pesantemente il centro punico in finta fuga, poterono rientrare in soccorso della retroguardia, ormai sul punto di soccombere alle soverchianti forse di Annone. I Cartaginesi, probabilmente terrorizzati dalla possibilità che i Romani potessero utilizzare i corvi si videro a quel punto costretti al ritiro. Per loro il bilancio finale fu di 64 navi catturate e 30 affondate, mentre i Romani persero solamente 24 navi, mentre nessun naviglio era finito in mano nemica. Archiviato il trionfo di Capo Ecnomo, Roma avrebbe bissato il successo alle Isole Egadi (241 a.C.), decretando così la fine della prima guerra punica. Il lunghissimo e aspro conflitto fra le due potenze si sarebbe però protratto per altre due guerre fino al 146 a.C., quando Cartagine fu definitivamente rasa al suolo e incendiata da Scipione Emiliano. Da allora in poi, esteso il suo controllo anche a buona parte delle coste dell’Africa, Roma poté davvero dirsi padrona incontrastata del Mediterraneo.

Articolo in buona parte di Elena Percivaldi pubblicato sul Le grandi battaglie navali, Sprea Editori 

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