IL CONGO BELGA
TRAGEDIA NEL CUORE
DELL’AFRICA.
Nel 1885 nacque lo stato
libero del Congo. In realtà si trattava di un possedimento personale del Re
Leopoldo II del Belgio, che oppresse senza pietà i suoi immensi domini nel
continente africano.
mappa del Congo Belga con il Ruanda-Burundi.
L'Impero
coloniale belga venne ampliato alla fine della prima guerra mondiale, con
l'assegnazione al paese del mandato sulle ex colonie
tedesche delRuanda-Urundi (odierni Ruanda e Burundi). Il
Belgio inoltre sin dagli inizi del XX secolo aveva anche ottenuto una piccola concessione in terra cinese, aTientsin. Al
momento della sua massima estensione raggiunse quindi una superficie di oltre
due milioni e quattrocentomila chilometri quadrati. I territori coloniali belgi
ottennero l'indipendenza tra il 1960 e il 1962.
Fotografia
risalente al 1900 circa mostra un gruppo di congolesi accusati di vari delitti
e oppressi dalle catene, al fianco due membri dell Force Publice l’odiata
polizia coloniale.
I lettori che nel luglio del
1897 aprirono il giornale The
Aborigines Friend si ritrovarono davanti la vivida descrizione di un orrore avvenuto nella lontana Africa. Era
la storia di uno spietato sopruso causato dalla brama di caucciù. L’autore dell’articolo
riferiva cosa accadeva ai membri di un villaggio quando si rifiutavano di
raccogliere quella preziosa linfa: “Gli
si fa la guerra. Gli distruggono le risaie e gli rubano il cibo. Gli abbattono
i plataneti, anche se non hanno ancora fruttato, spesso gli incendiano le
capanne egli si portano via gli oggetti di valore. A volte gli indigeni sono
costretti a versare un pesante risarcimento. In genere i capi li pagano con
filo di ottone e schiavi e, se non ci sono schiavi a sufficienza, sono
costretti a vendere le mogli”.
A scrivere era il missionario
svedese Edvard Vilhelm Sjoblom. Il missionario narrava anche che un giorno,
mentre tutti gli abitanti di un
villaggio ascoltavano le sue prediche, erano arrivati alcuni soldati ad
arrestare un anziano. Uno di loro aveva
detto a Sjoblom: “Voglio uccidere
quest’uomo perché se n’è stato tutto il giorno a pescare al fiume. Non è andato
a raccogliere il caucciù” . E aveva aperto il fuoco su di lui, nonostante
le proteste del missionario, per poi “ordinare
a un bambino di otto o nove anni, di tagliare la mano all’uomo cui aveva
sparato. Non era ancoro morto e, quando vide il coltello, provò a scansare la
mano. il bambino gliela mozzò con uno sforzo non indifferente”. Era quanto
succedeva nel cosi detto Stato libero del Congo, una colonia belga i cui abitanti
venivano crudelmente sfruttati, privati delle loro terre, mutilati, massacrati.
La notizia non era strano, però, che venisse divulgata, malgrado colui che era
a tutti gli effetti il proprietario del Congo avesse cercato in ogni modo di
mettere a tacere le voci di tali atrocità. Il proprietario in questione era
nientemeno che Leopoldo II, re del Belgio. E il Congo era la maschera dietro
cui nascondeva la sua insaziabile avidità.
Un mondo verde e azzurro si insinua
tra le mangrovie in vicinanza della foce.
Con i suoi 4700 km di lunghezza, è il
fiume più lungo dell’Africa, dopo il Nilo
Leopoldo II del Belgio con le insegne dell'Ordine della Giarrettiera
Leopoldo II del Belgio, in francese Léopold Louis Philippe Marie Victor de Saxe Cobourg-Gotha[1], in fiammingoLeopold Lodewijk Filips Maria Victor de Saxe Cobourg-Gotha (Bruxelles, 9 aprile 1835 – Laeken, 17 dicembre1909), principe del Belgio[1], duca di Brabante[1], fu re dei Belgi dal 10 dicembre 1865 fino alla sua morte[1]. Ricordato prevalentemente per la fondazione e la brutale amministrazione dello stato del Congo, progetto che egli portò avanti quasi da privato cittadino. Si rivolse ad Henry Morton Stanley per aiutarlo nella gestione dello stato ed alla Conferenza di Berlino del 1884-1885, il Belgio fu in grado di presenziare col proprio impero coloniale in continua espansione, nella totale mancanza di rispetto dei costumi e delle tradizioni locali.
STORIA DI UN’AMBIZIONE.
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1879-1882
Sotto gli auspici dell’Associazione
internazione del Congo (Aic), creata da Leopoldo II del Belgio, Henry Morton
Stanley risale il Congo e convince i capitribù a firmare accordi con cui
senza saperlo, gli cedono i loro terreni.
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1884-1885
Dopo aver stipulato accordi con
decine di comunità africane, nel 1884 l’Aic rivendica il diritto a governare
i territorio come stato libero. La conferenza di Berlino ne riconosce
Leopoldo II come sovrano.
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1890-1891
Leopoldo estende il controllo
militare all’interno del Congo. A est, nel 1890 espelle dall’aerea del fiume
Lualaba i trafficanti arabi di schiavi. A sud, nel 1891, si impadronisce
della ricchissima regione mineraria del Katanga.
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1898
Dopo otto anni di lavori, è pronta
la linea ferroviaria che collega la foce del Congo all’inizio del suo tratto
navigabile si evitano così i
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1908
Le denunce per i soprusi ai
congolesi, obbligati da Leopoldo a estrarre avorio e caucciù, obbligano
Leopoldo a cedere la sua colonia allo stato belga.
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Henry Morton Stanley (Denbigh, 28 gennaio 1841 – Londra, 10 maggio 1904) è stato un giornalista ed esploratorebritannico, gallese di nascita, famoso per le sue esplorazioni africane e per la sua ricerca di David Livingstone. È celebre la frase con la quale Stanley salutò Livingstone una volta incontrato: "Il dottor Livingstone, suppongo" ("Doctor Livingstone, I presume")[1].
Africa coloniale.
IL
RE LEOPOLDO. Nato nel 1835,
Leopoldo regnò tra il 1865 e il 1909. per il Belgio fu un re riformista:
incentivò grandi opere pubbliche, appoggiò una legislazione sociale e
progressista, e sostenne il suffragio universale maschile. I sudditi del Congo,
invece, vissero il lato più oscuro di un monarca che, ancor prima di salire sul
trono, già diceva di voler “morire
multimilionario e garantire al Belgio un posto nei mercati mondiali e ottenere
una colonia cui portare la civiltà. Non ci sono piccoli stati, soltanto piccoli
spiriti” avrebbe affermato. Il Belgio mirava a seguire l’esempio degli
altri Paesi europei che invidiavano gli imperi coloniali di Gran Bretagna e
Francia e cercavano di imitare le due potenze. Il sovrano belga provò ad
acquisire dei territori in Argentina, progettò di acquistare le isole Figi e di
affittare l’isola di Taiwan, e nel 1875 tentò di
comprare le Filippine dalla Spagna. Fu allora che scoprì un vasto e promettente
territorio al centro dell’Africa: l’enorme bacino del Congo, sul quale nessuna
potenza aveva ancora messo ancora le mani. Leopoldo si rese subito conto del
fatto che, per non destare sospetti, doveva camuffare il suo interesse con una
retorica scientifica e umanitaria, e indossò quindi diverse maschere.
Nel 1876 patrocinò la Conferenza di geografia
di Bruxelles, tesa a stabilire “le rotte
da aprire verso l’interno, la creazione di postazioni accoglienti, scientifiche
e di conciliazione per abolire la tratta degli schiavi, l’instaurazione di una
pace stabile fra i capitribù e la proposta di un arbitrato giusto e imparziale
tra di loro”, come affermò lo stesso Sovrano. Secondo tale linea fondò
l’Associazione internazione africana (Aia, alla quale succedette l’Associazione
internazionale del Congo) e invitò un esploratore a prenderne parte. Si
trattava di un viaggiatore del quale si fidava più di ogni altro: Henry Morton
Stanley, giornalista statunitense senza scrupoli ed esperto conoscitore
dell’Africa (noto anche per aver attraversato, nel 1877, le cascate di
Livingstone).
Tra il 1879 e il 1884, finanziato da
re belga, Stanley esplorò metodicamente il basso Congo. Le rapide ostacolavano
la navigazione per 400
chilometri sino alla foce, e così Stanley tracciò un
percorso parallelo via terra, fondò Leopoldville laddove il fiume era
navigabile e ne risalì il corso. Stabilì degli avamposti e stipulò, a volte con
la violenza, centinaia di falsi trattati con i congolesi che, senza saperlo,
gli cedevano le loro terre. Riuscì così a battere sul tempo francesi,
portoghesi e britannici, e poté offrire a Leopoldo il territorio occupato con
il pretesto di scopi umanitari. Combinando le prerogative di un sovrano e di un
investitore privato, il re delimitò i confini artificiali del territorio,
riconosciuto nel 1885 dalla Conferenza di Berlino, in cui gli europei si spartirono
l’Africa. Dopo complesse trattative con la Francia e il Portogallo, nella capitale tedesca
venne creato a tavolino lo Stato libero del Congo, ottanta volte più grande del
Belgio che doveva essere “neutrale,
libero nei commerci, e all’inizio privo di tasse doganali e senza schiavi”.
Nel corso della conferenza Leopoldo venne eletto all’umanità re del Congo, ma
l’opinione pubblica del Belgio era riluttante a riconoscergli i titolo e quindi
il potere del monarca rimase a titolo personale. Pur di sfruttare il nuovo
possedimenti, il re ricorse alle proprie ricchezze e, per amministrarlo, nel
dicembre del 1886 creò la
Compagnia del Congo per il Commercio e l’Industria. Fu un
caso davvero insolito: mai prima di allora un territorio coloniale era
appartenuto a una sola persona. Assieme
ai funzionari belgi, in Congo iniziarono ad arrivare imprenditori, mercanti e
missionari, attirati da guadagni ed evangelizzazioni facili. Gli europei vi si
potevano stabilire “senza chiedere il permesso” e senza rendere conto a
nessuno. Alcune terre erano della corona belga, altre dello stato e delle
società private; a queste si aggiungevano le cosi dette terre vacanti (ovvero
senza europei, dato che gli africani non erano affatto considerati), di
proprietà del re o cedute alle compagnie che saccheggiavano le materie prime
della colonia, soprattutto il caucciù e l’avorio. I rappresentanti dello stato
e gli agenti delle compagnie prendevano una percentuale sulla vendita dei
prodotti, quindi avevano tutto l’interesse a ottenerne la massima produzione e
ricorrevano perciò a ogni mezzo, anche alla violenza. Per sorvegliare la
colonia nel 1885 fu istituito un corpo armato: la Fprce Publique (Fp) dalla fama
sinistra. Ne facevano parte africani, spesso criminali, uomini radice, schiavi
in fuga o mercenari stranieri – etiopi o somali, ma pure liberiani, senegalesi
e perfino congolesi reclutati con la forza – era comandata da ufficiali
europei, in maggioranza beli e anche scandinavi. La Force Publique schiacciò i
congolesi, sedò ogni ribellione ed eliminò le ultime entità indipendenti. Perché
il Congo non era certo disabitato. Il suo territorio, quasi tre milioni di
chilometri quadrati, equivalenti a circa dieci volte l’Italia, era occupato da
approssimativamente da 450 entità politiche, grandi, medie, piccole e piccolissime
monarchie, domini, confederazioni, clan. Lo Stato libero del Congo firmò
trattati con i capi locali, con le buone o con le cattive. Altre volte li
spinse gli uni contro gli altri, e fece diventare i capitribù persone corrotte,
criminali, prezzolate, tutte odiate dai congolesi. Alcuni dirigenti
resistettero per diversi anni e gli altri, una volta sottomessi, si riarmarono
e continuarono a combattere fino agli quaranta del XX secolo.
La Conferenza di Berlino del 1884-1885, detta anche Conferenza dell'Africa Occidentale o Conferenza sul Congo (in tedesco: Kongokonferenz), regolò il commercio europeo in Africacentro-occidentale nelle aree dei fiumi Congo e Niger e sancì la nascita dello Stato Libero del Congo sotto l'influenza di Leopoldo II del Belgio.
La Conferenza fu voluta dal Cancelliere tedesco Otto von Bismarck e dalla Francia allo scopo di regolare le molteplici iniziative europee nell'area del Bacino del fiume Congo. Tuttavia la conferenza consentì, seppure non negli atti ufficiali, alle potenze europee di proclamare possedimenti all'interno delle zone costiere occupate. Ciò che portò alla cosiddetta corsa per l'Africa.
IL
CONGO RISERVA PRIVATA DEL RE LEOPOLDO II.
Nelle lingue parlate lungo le
sue sponde il Congo è denominato il fiume. I suoi numerosi affluenti, assieme
al fiume, costituiscono più di 11000 chilometri di vie fluviali: i
colonizzatori belgi poterono subito contare su un’immensa rete di
comunicazioni, percorsa da navi in vapore che erano in grado di rifornirsi di
una materia prima all’apparenza inesauribile, il legno della foresta. Il
principale ostacolo erano le rapide della parte inferiore del fiume, incuneato
tra rocce di quarzo, conosciute come i monti di Cristalla che impedivano la
navigazione per circa 400
chilometri .
Per schivare l’ostacolo nei cinque anni in cui fu
assoldato da Leopoldo (1879-1884) Stanely aprì con
la dinamite un cammino e vi fece trasportare dai portantini le navi a vapore
smontate. La strada metteva in comunicazione Boma all’estuario del Congo – la
città che Leopoldo trasformò nella sua capitale – con Léopoldville, l’attuale
Kinshasha, il porto fondato all’inizio delle rapide. Con quelle barche Stanley
partì da Léopoldville e fondò una catena di avamposti per i 1600 km del principale
tratto navigabile del fiume. L’intralcio dell’attività commerciale dovuta alle
rapide si risolse con l’inaugurazione, nel 1898, della ferrovia che univa
Léopoldville a Matadi, un porto fluviale a monte di Boma dove veniva esportato
il caucciù raccolto a costo del sangue all’interno del paese. I popoli
autoctoni vennero soggiogati grazie ai mezzi spietati della Force Publique,
costituita nel 1885, che nel 1900 raggiunse la cifra di 19000 uomini, divenendo
così la forza armata più potente di tutta l’Africa. Nel 1887 il sedicente filantropo
Leopoldo raggiunse un accordo con Tippu Tip. Il grande trafficante di schiavi,
di base a Kasongo, divenne il governatore del distretto delle Cataratte del
Congo, anche se nel 1890 si ritirò poi a Zanzibar in seguito alle pressioni
belghe. Ciononostante, le ambizioni di Leopoldo non si limitavano al Congo: il
sovrano mirava infatti ad aggiungere ai suoi domini anche parte della valle del
Nilo. Con tale obiettivo ordinò a Stanley di attraversare il Congo fino a
Equatoria nell’attuale Sudan del Sud, allora territorio egiziano, e di liberare
il governatore Emin Pascià, assediato dalle forze islamiche ribelli del Mahdi.
La spedizione durò tre anni dal 1887 al 1890, e sebbene Stanley fosse
effettivamente raggiunto a Equatoria, i britannici riuscirono a tenere il Nilo
fuori dalle grinfie del sovrano belga.
LE
DENUNCE. In via del tutto
Eccezionale il Congo Belga fu sottoposto un’insolita tassazione da parte degli
altri stati colonialisti, che resero note le atrocità belghe. Non c’è da
stupirsene. Potenze come la
Francia , la
Germania e soprattutto la Gran Bretagna , la campagna contro il Belgio guardavano al
Congo dalle loro colonie centroafricane e vedevano come Leopoldo tenesse
lontane le loro compagnie da ghiotti guadagni. Favorirono perciò la campagna
contro il Belgio, come fecero pure gli Stati Uniti, mentre al pari di tutto
l’Occidente continuavano a comprare i prodotti provenienti dal Congo.
Personalità e istituzioni diverse cominciarono a denunciare e a portare alla
luce i misfatti belgi. Il Belgio era una democrazia, ma in Congo aveva
instaurato una terribile dittatura. Un professore belga, Felicien Cattier,
denunciava “Leopoldo II regna in modo
assoluto su tutte le attività interne ed esterne dello Stato libero del Congo
(…). Ha disposto lui l’organizzazione della giustizia, dell’esercito e del
regime industriale e commerciale. Potrebbe affermare, con maggiore autenticità
di Luigi XIV, ‘lo stato sono io’”. Nel 1904-1905 una commissione di
inchiesta internazionale pubblica un rapporto sugli abusi nella raccolta del
caucciù, senza però accusare direttamente Leopoldo. Nacque l’Associazione per
la riforma del Congo. I detrattori erano a mano a mano aumentati, e tra di loro
vi erano funzionari come il britannico Edmund Dene Morel, che aveva già
denunciato il “caucciù rosso”, così definito a causa del sangue versato per
procurarlo. Morel aveva ottenuto che il caso del Congo entrasse nell’agenda del
parlamento inglese, e Londra aveva commissionato un rapporto al console
britannico del Congo, Roger Casement, uomo di incredibile onestà e serietà, che
sarebbe divenuto famoso per quel rapporto del 1903-1904 con il quale si giocò
la carriera diplomatica. Nel rapporto Casement parlava di sfruttamento,
infanticidio, stupri, mutilazioni (come quella del ragazzo a cui i soldati
assieme agli ufficiali bianchi, avevano lacerato le mani a calci di fucile
contro una albero), Casement avrebbe fatto una brutta fine: in seguito
all’esperienza in Congo e nelle piantagioni di caucciù peruviani divenne un
tenace anticolonialista e, da irlandese, nel 1916 appoggiò
l’insurrezione antibritannica di Dublino che lo condusse alla forca.
Alla campagna di denuncia si unirono pure i
socialisti, i liberali progressisti, gli scienziati, gli artisti e i letterati
come il francese Charles Péguy (non è il
Congo belga, è il Congo leopoldiano, dirà). L’appoggiarono i religiosi
sgomenti, come il gesuita belga Vermeresh, professore all’Università cattolica
di Lovanio, o il pastore, giurista e storico statunitense G.W. Williams.
Quest’ultimo accusò “il governo personale
del Congo di Sua Maestà, sovrano senza morale, che legava i prigionieri come
buoi, con catene che gli si conficcano nella carne (…) compra schiavi a tre
lire l’uno (…) e importa donne per fini immorali”. O come il missionario,
anch’egli statunitense, William Sheppard, il quale riferiva “come si affumicano le mani e i piedi
mozzati per non farli imputridire dal caldo.
Quando i
soldati andavano a sedare una rivolta o a controllare i lavori forzati, gli
ufficiali chiedevano una mano mozzato per ogni proiettile esploso, come prova
che questo non era servito ad altro (a cacciare, per esempio)”.
Roger David Casement, in irlandese Ruairí Dáithí Mac Easmainn (Sandycove, 1º settembre 1864 – Londra, 3 agosto1916), è stato un diplomatico britannico, noto per il suo coinvolgimento nella campagna contro lo sfruttamento del Congo, e un patriota irlandese.
SENZA
PIETA’. Ci furono poi colonialisti
pentiti, come il belga Edouard Tilkens, tenente della Force Publique, che
raccontò “Ho dovuto combattere contro i
capi tribù che si rifiutavano di collaborare. La gente preferisce morire nella
foresta, dove fugge (…). È una guerra
orribile: armi da fuoco contro lance e armi bianche”. L’agente Moray poi
confessò “che il suo distaccamento era
stato mandato un villaggio per controllare se gli indigeni stesero raccogliendo
il caucciù. In caso contrario avrebbero dovuto ucciderli tutti, uomini, donne e
bambini”. Li avevano trovati seduti tranquillamente. Moray racconta: “Ci lanciammo su di loro e li massacrammo
senza pietà”. Quando un’ora più tardi giunse un loro superiore, disse: “Benissimo, però non basta. E ci ordinò di
mozzare la testa agli uomini e appenderle sulle palizzate attorno al villaggio
(…). E di tagliarla anche a donne e bambini e appendere queste ultime in forma
di croce”. Le denunce furono una rivelazione per l’Occidente coloniale,
quasi mai interessato alla “gente di colore”, per quanto Leopoldo e i suoi
avessero cercato di presentare il Congo come una “colonia modello”. Lo
statunitense Mark Twain parla categorico di “dieci milioni di morti se il sangue innocente sparso in Congo fosse
messo in secchi, e i secchi collocati l’uno accanto all’altro, la fila si
estenderebbe per duemila miglia ”. Un altro scrittore, il britannico Arthur
Conan Doyle, creatore di Sherlok Holmes, afferma: “In Inghilterra siamo in molti a considerare il crimine commesso in
Congo da re Leopoldo I (…) come il più grande mai conosciuto”. Non esageravano.
Tutti erano d’accordo sul brutale sfruttamento subito dagli africani. In una
prima fase, alla fine del XIX secolo, si raccolsero avorio e caucciù. Nel 1887 furono prodotti 30 tonnellate di gomma, e nel 1903 ben
5900. tra il 1884 e il 1904 furono esportate 445.000 zanne di elefanti:
significava che erano morti 222.500 pachidermi. Quel periodo di raccolta
frenetica fu il momento culminante dei lavori forzati e della mortalità umana e
animale. Seguì la fase delle piantagioni (caffè, palmisto) con l’imposizione di
monocolture e i soprusi agli agricoltori africani, che a stento venivano
pagati, se non erano maltrattati o uccisi. Seguì ancora un periodo minerario,
tra il 1908 e il 1910, di feroce sfruttamento tuttavia più ordinato. L’amministrazione
sequestrava periodicamente lavoratori per piantagioni e miniere o come
portantini, con giornate lavorative di 12, 14 o 16 ore. Erano rinchiusi in
villaggi simili a campi di concentramento, dai quali non potevano uscire. Se
fuggivano ed erano catturati venivano puniti e uccisi. Se si rifiutavano i
belgi gli rapivano figli e mogli, che erano messi alla fame, vessati o mutilati
per costringere gli uomini a tornare al lavoro. Dovevano pagare tasse altissime
in spezie, lavoro o denaro. Chi si negava veniva picchiato, giustiziato o
condannato alla mutilazione. I portantini non ricevevano il vitto durante i
viaggi, e quindi la mortalità era altissima (alcuni autori ritengono che, in
proporzione, fosse maggiore di quella sulle navi negriere). Le carestie erano
frequenti. Un tempo l’aiuto reciproco tra le diverse comunità riusciva ad
arginarle, ma i belgi avevano vietato la cosi detta “solidarietà tribale”,
termine per loro dispregiativo. Le deportazioni, le guerre e la pessima
alimentazione causarono gravi epidemie e, in un contesto privo di cure
sanitarie, si diffusero le infezioni: vasti territori si spopolarono, milioni
di persone morirono. Oggi gli studiosi confermano quanto denunciato allora e
stimano la mortalità al 50%: perirono tra gli 8 i 9 milioni su 17 milioni di
abitanti (alcuni la alzano al 65% e altri la abbassano al 38%). La popolazione
ricominciò a crescere solo a partire dagli anni trenta del XX secolo. Nel 1908
l’economia coloniale di Leopoldo era fiorente. Il Congo permise al sovrano di
guadagnare l’astronomica cifra di 50 milioni di franchi in oro in solo dieci
anni, dal 1898 al 1908. dal 1900 i prodotti esportati valevano più del doppio
rispetto a quelli importati. Un affare notevole. Forse per questo i belgi e le
loro agenzie cominciarono a pretendere che lo stato si facesse carico del
Congo, contro la volontà del monarca. Ma giocò certamente un ruolo contro la
pressione internazionale e interna contro il cinismo e la perdita di vite. Alla
fine il re accettò l’annessione del Congo al Belgio nel 1908, Leopoldo II si
spense nel dicembre del 1900
a 74 anni. “Morì
quando gli tolsero il Congo” disse un giornalista.
L’annessione del Congo al Belgio
instaurò un sistema di sfruttamento più razionale e pose fine agli abusi
peggiori, anche se continuarono la sottomissione, il depauperamento e le
ribellioni. Per il Belgio il Congo rimase un buon investimento fino
all’indipendenza nel giugno del 1960.
IL
RE DEL CAUCCIU’. LA CRESCITA INDUSTRIALE
DELL’OCCIDENTE FU L’ORIGINE DELLA DOMANDA DI CAUCCIU’ GRAZIE ALLA QUALE LEOPOLDO
DIVENNE MILIONARIO, E SUOI SUDDITI AFRICANI, SCHIAVI.
Il caucciù marchiò a fuoco
la storia del Congo. La sua richiesta crebbe incredibilmente negli anni novanta
del XIX secolo, quando i Paesi industrializzati cominciarono a utilizzarlo come
isolante d i cavi elettrici o telefonici, per fabbricare giunture e manicotti
e, soprattutto pneumatici per ogni tipo di autoveicoli. Nel 1900 si consumavano
più di 40mila tonnellate di caucciù all’anno, proveniente in parti uguali da
Brasile e Centro Africa. Nel Congo il caucciù si otteneva soprattutto dai
rampicanti selvatici del genere Landolphia, e Leopoldo ne accelerò l’estrazione
prima che andassero a pieno regime le piantagioni di alberi di caucciù che,
mano a mano, sorgevano nelle regioni tropicali. Il rampicante sale sugli alberi
per decine di metri in cerca di luce, e il caucciù è la sua resina coagulata,
che si ottiene praticando un’incisione nel tronco. Per raccoglierlo gli uomini
dovevano lasciare i villaggi, stabilirsi nella foresta pluviale (che i frequenti
acquazzoni trasformavano in pantano) e inerpicarsi sugli alberi. Per costringerli rapivano i loro familiari,
gli sparavano, gli mozzavano le mani. Secondo i dati dell’Abir (Anglo-Belgian
India Rubber and Exploration Company) un uomo doveva portare ogni 15 giorni dai
3 ai 4 kg
di caucciù secco, il che comportava spostamenti sempre più difficili, perché
dalla Landolphia si ricava 1 kg
per ettaro. Un impiegato della Société Anversoise du Commerce au Congo
calcolava che, per raggiungere la quota, lavoratori dovevano trascorre 24
giorni al mese nella foresta. I proventi erano magnifici, perché il rampicante
selvatico non richiedeva alcun investimento. Solo il lavoro, ottenuto con la
violenza. Poi gli uomini percorrevano chilometri per consegnare il caucciù,
pagato con tessuti, sale, perline o coltelli. Non stupisce che, all’inizio del XX secolo, il Congo fosse la colonia più
redditizia dell’Africa: nel 1897 l’Abir investiva
1,35 franchi per chilo di caucciù e lo
vendeva a 10 franchi ad Anversa con un guadagno del 741%.
Castello reale di Laekin, la
ricostruzione e l’ampliamento di questo castello furono una delle ossessioni di
Leopoldo che destinò a tale scopo milioni di franchi ricevuti dal Congo.
la Gran Bretagna
e gli Stati Uniti a pretendere che la colonia fosse tolta al re. Nel marzo del
1908 si giunse a un accordo: lo stato belga si faceva carico dei 110 milioni di
debito dello Stato libero del Congo, che in buona parte consistevano in titoli
da questo emessi, orain mani allo stesso re o di suoi favoriti, come l’amante
Blanche Delacroix. Inoltre il Belgio pago 45,5 milioni per terminare alcuni
progetti di costruzione, come i megalomani lavori del palazzo reale di Laeken.
Infine Leopoldo ricevette altri 50 milioni in segno di gratitudine per i grandi
sacrifici compiuti in Congo. Il paese passò al Belgio il 15 novembre del 1908.
L’ultimo affare di re Leopoldo.
Nel 1890 Leopoldo II ottenne
dal parlamento belga un presti di 25 milioni di franchi in sostegno alla sua
lotta contro il traffico di schiavi in Congo, che richiedeva immense spese
(salario dei soldati, postazioni fortificate, navi a vapore…), anche se in
realtà era solo una maschera per saccheggiare il territorio. In cambio, nel suo
testamento, il re lasciò al Belgio il Congo. Tuttavia il Belgio non poté
aspettare così a lungo: dovette comprare il Congo dal monarca quando le
atrocità commesse spinsero
articolo in gran parte di Carlo A. Caranci storico, pubblicato su National Geografic maggio 2018 altri testi e immagini da wikipedia.
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