martedì 24 luglio 2018

Mare di Giava: disastro alleato del Pacifico

Mare di Giava (1942)
Disastro alleato sul Pacifico.
Il 27 febbraio 1942 la flotta giapponese travolse americani, australiani, olandesi e britannici costringendo le forze terresti di Giava, rimaste prive di appoggio navale e rifornimenti a capitolare poco dopo.


1942-Tappe dell'espansionismo giapponese
https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_territori_occupati_dall%27Impero_giapponese

Battlestation: Pacific ITA - Missione 03 - Giappone - Battaglia del Mare di Java

La Seconda Guerra mondiale in Oriente era divampata come un incendio boschivo: a partire dall’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 il Giappone aveva condotto una vera e propria guerra lampo anfibia nel Sud Est asiatico contro Australia, Paesi Bassi, Gran  Bretagna e Stati Uniti invadendo i possedimenti affacciati sul Pacifico. Strappata in dicembre Hong Kong ai britannici e conquistate le basi di Guam e di Wake Island, a gennaio i nipponici attaccarono Burma, le Indie orientali olandesi, la Nuova Guinea e le isole Salomone, poi entrarono a Manila, Kuala Lumpur, Rabaul e infine a Singapore. Partendo dalla colonia delle isole Palau, il Giappone conquistò le basi nel Sarawak e nelle Filippine meridionali, nel Borneo orientale e a nord di Celebes. Convogli di truppe nipponiche, scortati da cacciatorpediniere e incrociatori con supporto aereo fornito da stormi di caccia che operavano dalle basi catturate e dalle portaerei, sciamavano ormai verso sud attraverso lo stretto di Makassar e nel mar delle Molucche. Le nazioni alleate avevano poco da opporre alla furia dispiegata dalle forze giapponesi, e quel poco, in campo navale, spesso risaliva alla Prima guerra mondiale: le sconfitte si susseguivano così inesorabilmente l’una dopo l’altra. Il 13 febbraio 1942 gli Alleati cercarono senza successo, nella battaglia di Palembang, di impedire ai giapponesi di catturare il principale porto petrolifero nella parte orientale di Sumatra. La notte tra il 19 e il 20 febbraio, una forza alleata attaccò gli invasori giapponesi al largo di Bali nella battaglia dello Stretto di Badung. Sempre il 19 febbraio i nipponici compirono due devastanti incursioni aeree su Darwin, in territorio australiano, con velivoli imbarcati su portaerei e altri mezzi basati con velivoli su imbarcati su portaerei e altri mezzi basati a terra, privando così gli Alleati di una preziosa stazione di rifornimento navale che consentisse loro di sostenere le operazioni nelle Indie Orientali. Il successivo obbiettivo giapponese sarebbe stata l’isola di Giava, importante possedimento olandese di interesse strategico per la produzione della gomma e l’estrazione del petrolio. Le prospettive per gli Alleati non erano rosee: avrebbero dovuto affrontare l’agguerrita Marina imperiale nemica con una forza raccogliticcia composta dal naviglio di quattro nazionalità diverse, poco avvezze a cooperare assieme e con equipaggi demoralizzati dall’esito dei precedenti attacchi e dal sentimento, sempre più diffuso, che i giapponesi fossero invincibili.
Le forze in campo.
HMS Exeter off Sumatra in 1942.jpg
La Exeter a Sumatra nel 1942
https://it.wikipedia.org/wiki/HMS_Exeter_(68)


ALLEATI:
INCROCIATORI PESANTI:
Exter (GB) (danneggiato) e Houston (Usa).
INCROCIATORI LEGGERI:
De Ruyter e Java (Olanda) (affondati), e Perth (Australia).
CACCIATORPEDINERE:
Electra, Jupiter (affondati) e Encounter (Gb), Kortenaeer (affondato), Witte de With (Olanda), Alden, John D. Edwards, John D. Ford e Paul Jones (USA)
Marinai morti: 2300
GIAPPONESI:
INCROCIATORI PESANTI:
Nachi e Haguro.
INCROCIATORI LEGGERI:  Naka e Jintsu
CACCIATORPEDINIERE: 
Yudachi, Samidare, Murasame, Harusame, Minegumo, Asagumo (danneggiato), Yukikaze, Tokitsukaze, Amatsukaze, Hatsukaze, Yamakaze, Kawakaze, Sazanami e Ushio
Marinai morti: 36
Cacciatorpediniere classe Kagero.
Yukikaze 2.jpg

Lo Yukikaze, unico superstite della classe
https://it.wikipedia.org/wiki/Classe_Kagero
I cacciatorpediniere classe Kagero erano i più avanzati cacciatorpediniere giapponesi tra il 1939 e il 1941. Nella battaglia di Giava parteciparono 4 cacciatorpediniere di questa classe: Yukikaze, Tukitsukaze, Amatzukaze e Hatsukaze. Il sistema difensivo era integrato da 6 cannoni da 127 mm in tre torri binate. Una delle torrette era dotata di cannoni antiaerei per aumentare il potenziale antiaereo. La dotazione antiaerea era di soli 4 cannoni da 25 che vennero portati a 28. L’armamento principale era costituito da 8 tubi lanciasiluri per i micidiali siluri da 610mm ti 93 (vedi sotto). Le macchine infine potevano produrre una velocità di quasi 66 km orari.
Il siluro tipo 93, l’arma segreta giapponese.
Type93torpedo.jpg

Un Type 93 esposto davanti al quartier generale della US Navy durante la seconda guerra mondiale

Gli ufficiali alleati erano increduli e sconcertati: le loro navi venivano colpite, e spesso affondate, da sommergibili assolutamente invisibili, o forse erano state minate da incursori abilissimi capaci di sfuggire come fantasmi a ogni controllo? In realtà le imbarcazioni erano vittime del segreto meglio custodito e più prezioso della Marina imperiale giapponese: il siluro tipo 93. Più potente, più veloce e con maggiore autonomia di ogni altro siluro in quei mari, era anche il più difficile da individuare grazie all’ossigeno puro con il quale veniva alimentata la combustione del suo motore: i siluri ad aria compressa, infatti, lasciavano dietro di sé una copiosa scia rivelatrice di gas di scarico, praticamente assente invece nel siluro tipo 93. La distanza di lancio standard era di 22 chilometri all’ora: in meno di due anni il siluro tipo 93 affondò 23 imbarcazioni nemiche, tra le quali anche la portaerei americana Homet.


DISPARITA’ DI FORZE. Mentre il convoglio delle forze anfibie nipponiche muoveva spedito verso Giava, il 27 febbraio 1942 la principale forza navale alleata, al comando del contrammiraglio olandese Karel Doorman fece rotta a nord-est di Surabaya per intercettarla durante l’avvicinamento lungo lo stretto di Makassar, tra il Borneo e l’isola indonesiana di Sulawasi. La flotta denominata “Eastern Strike Force” consisteva di due incrociatori pesanti, tre incrociatori leggeri e nove cacciatorpediniere (vedi tabella sopra9). La squadra navale giapponese, a protezione del convoglio delle truppe da sbarco, era  al comando del contrammiraglio Takeo Tukagi, ed era composta da due incrociatori pesanti e due leggeri e 14 cacciatorpediniere. Gli incrociatori pesanti giapponesi erano armati ciascuno di dieci cannoni da 8 pollici (203 mm) e degli ottimi siluri tipo 93, erano molto più potenti di quelli alleati: in confronto lo Exter disponeva solo di sei cannoni da 8 pollici, mentre lo Houston avrebbe potuto sparare con sei dei suoi nove cannoni da 8 pollici, perché gli altri tre non erano più operativi dopo che la torretta di poppa era stata colpita da una bomba giapponese in un precedente attacco aereo. L’unico possibile fattore di vantaggio da parte degli Alleati sarebbe stata la superiorità aerea, almeno durante il giorno, perché le cattive condizioni del tempo avrebbero impedito all’aviazione giapponese di intervenire nel combattimento. Anche prescindendo dalla differenza qualitativa e quantitativa tra le due squadre navali che stavano per scontrarsi, il problema maggiore per gli Alleati era rappresentato dalla difficoltà di agire in modo coordinato. Il loro obiettivo tattico consisteva nel superare lo sbarramento di fuoco prodotto dalle navi da battaglia giapponesi per giungere a tiro dei trasporti di truppe, un compitò già particolarmente arduo di per sé, ma che si rivelò superiore alle capacità del pur coraggioso Doorman. Il maltempo che, come anticipato, avrebbe impedito agli aerei giapponesi di alzarsi in volo, ostacolò in realtà anche le comunicazioni radio alleate, già disturbate dalle contromisure elettroniche nemiche: le informazioni della ricognizione, l’intervento della copertura aerea e le operazioni di comando e di controllo ne risentirono pesantemente, tanto più che solo la Exeter era dotato di radar, una tecnologia in quei giorni ancora poco diffusa e affidabile. La battaglia finì così per spezzettarsi in una serie di scontri slegati l’uno dall’altro, accomunati solo dai continui e caparbi tentativi di Doorman di sfondare la linea giapponese.
Karel Doorman as lieutenant-commander.jpg

Karel Willem Frederik Marie Doorman (Utrecht23 aprile 1889 – Mar di Giava28 febbraio 1942) è stato un ammiraglio e militare olandese durante la seconda guerra mondiale che fu comandante della squadra navale interalleata dell'ABDACOM durante la campagna delle Indie Olandesi innalzando la sua insegna sull'incrociatore leggero Hr. Ms. De Ruyter. Il 5 maggio 1942 fu insignito, postumo, del titolo di Ufficiale dell'ordine militare di Guglielmo. Tale onorificenza gli era stata concessa il 23 maggio 1947 dall'allora Comandante della marina olandese Tenente-ammiraglio C.E.L. Helfrich, e consegnata al figlio maggiore nel corso di una cerimonia tenutasi a bordo della portaereiKarel Doorman alla presenza del principe consorte Bernardo. In suo onore la Koninklijke Marine varò numerose navi chiamate Karel Doorman.

SOTTO IL FUOCO NIPPONICO. Le due forze si avvistarono reciprocamente attorno alle 16,00 del 27 febbraio e si avvicinarono subito a distanza di tir, aprendo il fuoco alle 16,16. Nonostante il recente aggiornamento, avvenuto con l’installazione del moderno radar di contro di tiro delle artiglierie tipo 284, i proiettili della Exeter caddero tutti lontani dal nemico, mentre lo Houston riuscì a mettere a segno un solo colpo, prendendo uno degli incrociatori avversari. L’unico risultato notevole di questo iniziale scambio di artiglieria fu il danneggiamento critico dello stesso Exeter, colpito nel locale caldaie da un proiettile da 8 pollici. La nave dovette ritirarsi dirigendosi verso Surabaya, scortata dal cacciatorpediniere olandese Witte de With. Le file della “Eastern Strike Force” iniziarono così ad assottigliarsi. In seguito i giapponesi lanciarono due enormi salve di siluri, complessivamente ben 92, ma solo uno di essi riuscì a fare centro, colpendo in pieno scafo il cacciatorpediniere olandese Kortenaer, che si spezzò in due e affondò rapidamente. Il cacciatorpediniere britannico Electra, assegnato a coprire la ritirata della Eceter, si impegnò in un duello con l’incrociatore leggero Jintsù e il cacciatorpediniere Asagumo, mettendo a segno diversi colpi ma subendo allo stesso tempo gravi danni alla sua sovrastruttura: delle sue quattro torrette,  due furono messe fuori combattimento dai colpi nemici, una venne resa inutilizzabile da un grave incendio scoppiato alla sua base e l’ultima esaurì presto le munizioni. Quando le fiamme divennero incontrollabili, fu ordinato l’abbandono della nave. Da parte giapponese, invece, solo l’Asagumo subì danni significativi e fu costretta a ritirarsi. Attorno alle 18,00 la flotta alleata si sganciò dal combattimento, decisa a tornare all’attacco al calare della notte: la manovra di allontanamento riuscì anche grazie alla cortina fumogena disposta dai quattro cacciatorpediniere della U.S Destrpyer Division 58 che sganciarono anche una salva di siluri, ma troppo a lunga distanza per risultare efficace. La forza di Doorman compì invece un ampio giro facendo rotta a sud verso la costa di giava, per poi piegare a ovest e a nord, nel tentativo di eludere il gruppo di scorta giapponese e piombare di sorpresa sul convoglio dei trasporti. Ma proprio durante questo movimento i cacciatorpediniere della DesDiv 58 statunitense, esauriti i siluri, abbandonarono di propria iniziativa la battaglia per tornare a Surabaya. Poco dopo, alle 21,25 sfortuna volle che lo Jupiter cozzasse contro un ordigno del campo minato che difendeva Giava, affondando, mentre una ventina di minuti più tardi la flotta attraversò lo stretto di mare dove in precedenza era colato a picco il Kortenaer, e l’Encounter venne distaccato per portare in salvo i sopravissuti. Il comando di Doorma si era ormai ridotto a soli quattro incrociatori, ma l’ammiraglio olandese non desistette dai suoi propositi. La sua manovra diversiva non ingannò però l’ammiraglio Takagi, che non aveva abbassato la guardia, ma anzi attendeva soltanto il momento per contrattaccare. Alle 23,00 le due formazioni si scontrarono nuovamente, scambiandosi nel buoi della notte colpi di cannoni a lunga distanza.
Decise quest’ultimo scontro una devastante scarica di siluri giapponesi che colpì in pieno il De Ruyter, e solo 111 furono i superstiti di entrambe le navi. Rimasero a galla, ma solo per poco, gli incrociatori Perth e Houston, con scarso carburante e ancor meno munizioni, seguendo le ultime istruzioni di Doorman, le due navi si ritirarono, arrivando a Tamjung Priok il 28 febbraio. La flotta alleata non riuscì a fermare la task force d’invasione giapponese, che si trovò libera di intervenire sulla terraferma. Il sacrificio di 2300 uomini diede soltanto un giorno di respiro ai difensori di Giava. Anche gli incrociatori Perth e Houston, unici scampati alla battaglia, ebbero un solo giorno in più di vita: usciti alle 21,00 del 28 febbraio dal porto di Tanjung Priok, dove i rifornimenti scarseggiavano, per dirigersi verso una base meglio attrezzata, vennero intercettati poco dopo le 23,00 da una potente flotta giapponese e affondati dopo un furioso combattimento notturno protrattosi per oltre un’ora. Persero così la vita altri 101 marinai e 675 furono fatti prigionieri dai nipponici.




Una strategia vincente.
Dopo l’attacco a Pearl Harbor la Marina imperiale giapponese si lanciò alla conquista del Sud Est asiatico. In poche settimane era giunta fino alle Indie Orientali Olandesi, puntando ad occupare le loro preziose riserve di petrolio e i centri di produzione della gomma: risorse essenziali tanto per l’apparato militare quanto per quello industriale. Giava e gli arcipelaghi limitrofi, in particolare, erano obiettivi di grande importanza strategica, perché formavano un baluardo meridionale alle conquiste fin lì ottenute e un ponte verso ulteriori avanzate. I vantaggi di un comando unificato e di una Marina ben addestrata e coesa furono decisivi: durante la battaglia di Giava, la Marina giapponese affrontò una squadra composta dal naviglio di bene quattro nazoni diverse, sottoposto però a un comando poco esperto per quanto coraggioso.
La dottrina navale giapponese.
IJN Hatsuzuki 1942.jpg
La Hatsuzuki nel 1942


cacciatorpediniere classe Akitsuki erano navi imponenti, le più grandi varate per la marina giapponese. Essi erano dotati di 8 cannoni e 4 siluri, per cui apparentemente erano comparabili ai Classe Tribal inglesi, in realtà erano del tutto diversi, in quanto orientati alla lotta contraerea, per cui i cannoni da 127mm, buoni ma non eccezionali, vennero sostituiti da armi calibro 100mm, più rapide da manovrare e sparare.

A partire dai anni trenta, gli strateghi delle forze armate giapponesi avevano chiarito il quadro strategico dell’inevitabile guerra che li attendeva in un prossimo futuro e posto le basi per affrontarla. L’avversario più pericolo per le ambizioni nipponiche erano considerati gli Stati Uniti: di questo paese si sottovalutava la tenuta morale e la combattività, ma certo non l’enorme potenziale industriale. Principali teatri dello scontro sarebbero stati l’Oceano Pacifico e i mari del Sud Est asiatico e la Marina imperiale giapponese avrebbe dovuto affrontare un avversario in grado di schierare un impressionante numero di imbarcazioni da guerra con una sproporzione di forza che andava in qualche modo colmata. Il Giappone puntò così sullo sviluppo del cacciatorpediniere, il naviglio oceanico di minore stazza e dunque di rapida costruzione, varando le migliori navi di questa categoria di tutta la Seconda guerra mondiale, come per esempio le classi Shiratsuyu, Asashio, Kagero, Yukikuzae e l’ultima e più perfezionata Akizuki. L’iniziale carenza di capacità antiaerea e antisommergibile venne corretta con il tempo, trasformando i cacciatorpediniere giapponesi in efficaci mezzi di superficie in impieghi sia aggressivi e sia difensivi.


Articolo in gran parte di Nicola Zotti pubblicato su Le grandi battaglie navali Sprea edizioni, altri testi e immagini da Wikipedia. 

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