Storia di una disfatta.
POMPEO MAGNO.
Membro di una ricca
famiglia del Piceno, Pompeo raggiunse presto la fama grazie alle sue vittorie
militari. Ma uscì sconfitto dallo scontro con Cesare, di cui in precedenza era
stato alleato.
Nel 61 a .C. si svolse a Roma una
delle processioni trionfali più fastose della storia della città. Il
protagonista era un generale di 47
anni, di bella presenza, portamento maestoso e, soprattutto baciato dalla
fortuna, o almeno così sembrava allora. Era già al suo terzo trionfo, a
coronamento di una carriera memorabile che alcuni anni prima gli era valsa
l’appellativo di Magnus, il grande. Avrebbe scritto in seguito Plutarco: “Anche altri in passato avevano ottenuto tre
trionfi. Ma lui, avendo trionfato per la prima volta sull’Africa, la seconda
sull’Europa, e infine, sull’Asia, sembrava in qualche modo aver sottomesso il
mondo intero”. Quella di Pompeo è la storia dell’ascesa di un homo novus
fino ai vertici del potere. La sua famiglia non apparteneva, infatti, ai
lignaggi più nobili e antichi dell’Urbe. I Pompeo erano originari del Piceno ed
erano entrati nell’ordine senatoriale grazie ai servigi militari prestati alla
repubblica. I romani autentici non apprezzavano le loro origini galliche e
guardavano con sospetto quelle capigliature bionde, non comune nella Roma del
tempo.
Busto di Gneo Pompeo Magno (copia augustea da un originale del 70-60 a.C.; Museo archeologico nazionale di Venezia).
Gneo Pompeo Magno (in latino: Gnaeus Pompeius Magnus[1]; Picenum, 29 settembre 106 a.C. – Pelusio, 28 settembre 48 a.C.) è stato un militare e politico romano, prima alleato e poi avversario di Gaio Giulio Cesare.
Abile generale e condottiero sagace ed esperto, Pompeo, originario del Piceno e figlio di Gneo Pompeo Strabone, divenne famoso fin dalla giovane età per una serie di brillanti vittorie durante la guerra civile dell'83-82 a.C.divenendo il principale luogotenente di Lucio Cornelio Silla. Negli anni seguenti divenne il personaggio politico più prestigioso e potente di Roma grazie alle sue continue vittorie contro Marco Emilio Lepido, Quinto Sertorio, gli schiavi di Spartaco, i pirati del Mediterraneo e Mitridate VI del Ponto.
Alleatosi inizialmente con Giulio Cesare e Marco Licinio Crasso nel primo triumvirato, in seguito si affiancò alla fazione repubblicana e combatté la guerra civile contro Cesare nel 49-48 a.C; sconfitto irrimediabilmente nellabattaglia di Farsalo, fuggì in Egitto dove venne ucciso a tradimento.
Suo figlio, Sesto Pompeo, continuò la guerra contro Gaio Giulio Cesare, ma anche lui fu sconfitto.
Personaggio discusso, altamente apprezzato da alcuni e fortemente criticato da altri, Gneo Pompeo rimane una delle personalità più importanti della storia di Roma antica.
Ascesa e caduta di un generale.
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Per Guerre mitridatiche si intendono una serie di conflitti tra la Repubblica romana ed il Ponto che si combatterono tra l'88 e il 63 a.C. Prendono il loro nome da Mitridate VI che all'epoca era il re del Ponto e grande nemico di Roma. Così Appiano di Alessandria ce le riassume, osservandole da parte dello sconfitto:
« Molte volte [Mitridate] mise in campo più di 400 navi, 50.000 cavalieri e 250.000 fanti, con macchine d'assedio in proporzione. Tra i suoi alleati vi fu il re di Armenia, i principi delle tribù degli Sciti che si trovano intorno al Ponto Eusinoed al mare di Azov e oltre fino al Bosforo tracio. Tenne comunicazioni con i generali delle guerre civili romane, che combatterono molto ferocemente, e con quelli che si erano ribellati in Spagna. Stabilì rapporti di amicizia con i Galli a scopo di invadere l'Italia. Dalla Cilicia alle Colonne d'Ercole riempì il mare con i pirati, che provocarono la cessazione di ogni commercio e navigazione tra le città del Mediterraneo e causarono gravi carestie per lungo tempo. In breve, non lasciò nulla nel potere di qualunque uomo, che potesse iniziare un qualsiasi movimento possibile, da Oriente a Occidente, vessando, per così dire, il mondo intero, combattendo aggrovigliato nelle alleanze, molestato dai pirati, o infastidito dalla vicinanza della guerra. Tale e così diversificata fu questa guerra, ma alla fine portò i maggiori benefici ai Romani, che spinsero i confini del loro dominio, dal tramonto del sole al fiume Eufrate. Fu impossibile distinguere tutti questi avvenimenti da parte delle popolazioni coinvolte, da quando iniziarono in contemporanea, e si intersecarono in modo complicato con altri avvenimenti. [...] »
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(Appiano, Guerre mitridatiche, 119.) |
Alla fine del consolato la leggenda militare di Pompeo
riprese a crescere grazie a due nuove campagne. La prima, nel 67 a .C., lo vide mettere fine
alla pirateria nel mediterraneo, un fenomeno che minacciava in particolare la Sicilia , le coste
adriatiche, la Cilicia
e Creta. Pompeo suddivise il Mediterraneo in tre settori che assegnò ad
altrettanti generali, e ciascuno di loro si occupò di sradicare definitivamente
i pirati dalla propria zona di competenza. Entro la fine dell’anno furono
requisite 846 imbarcazioni, conquistati 120 villaggi e catturati 20mila
prigionieri, poi venduti come schiavi. Le vittime nemiche furono circa 10mila.
La successiva campagna di Pompeo si svolse in Oriente tra il 66 e il 63 a .C. L’obiettivo dell’operazione
militare era interrompere le attività espansionistiche di due re ostili a Roma:
Mitridate VI del Ponto e Tigrane II d’Armenia. Le vittorie schiaccianti
dell’esercito romano spinsero Mitridate al suicidio e il sovrano armeno alla
resa. Ma soprattutto portarono all’annessione di alcuni territori chiave: la Siria , la Cilicia , il Ponto e la Bitinia , e alla creazione
di un nuovo sistema di protettorati.
Per guerra piratica di Pompeo si intende la fase finale delle campagne condotte dalla Repubblica romana contro ipirati che infestavano le coste del Mediterraneo orientale e danneggiavano le province romane orientali, portate a termine in una quarantina di giorni.[1][8]
« I pirati non navigavano più a piccoli gruppi, ma in grosse schiere, e avevano i loro comandanti, che accrebbero la loro fama [per le imprese]. Depredavano e saccheggiavano prima di tutto coloro che navigavano, non lasciandolo in pace neppure d'inverno [...]; poi anche coloro che stavano nei porti. E se uno osava sfidarli in mare aperto, di solito era vinto e distrutto. Se poi riusciva a batterli, non era in grado di catturarli, a causa della velocità delle loro navi. Così i pirati tornavano subito indietro a saccheggiare e bruciare non solo villaggi e fattorie, ma intere città, mentre altre le rendevano alleate, tanto da svernarvi e creare basi per nuove operazioni, come si trattasse di un paese amico. »
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(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 21.1-3.) |
La seconda provincia romana asiatica, di Cilicia, conquistata da Marco Antonio Oratore nel corso delle campagne militari del 102 a.C.
Il primo triumvirato.
Un patto segreto.
Il mondo romano all'epoca del primo triumvirato e degli accordi di Lucca tra Cesare, Crasso e Pompeo nel 56 a.C. Nel |
IL PRIMO TRIUMVIRATO. Le ultime due campagne, oltre ad accrescere il
prestigio militare di Pompeo, permisero a Roma di ripristinare il traffico
marittimo e riprendere le relazioni commerciali sul fronte orientale. Nel
frattempo nella vita politica romana stava emergendo la figura di Giulio
Cesare, che nel 63 a .C.
ottenne la più alta magistratura religiosa, la carica vitalizia di pontefice massimo.
Al ritorno nella capitale Pompeo celebrò il suo trionfo con grande sfoggio di
ricchezze e l’elargizione di 75 milioni di dracme
d’argento. Tuttavia, al momento di procedere all’assegnazione delle terre
promesse ai suoi veterani, si scontrò con l’opposizione del senato. Non gli
restò altra scelta che avvicinarsi al leader dei populares, Crasso e Cesare,
con i quali strisce un’alleanza segreta (vedi riquadro sopra): il primo
triumvirato (60 a .C.).
Grazie a questo accordo Cesare fu eletto console nel 59 a .C. ed eseguì la
distribuzione di terre promessa da Pompeo. Al termine del consolato Cesare andò
in Gallia alla ricerca degli allori militari che gli avrebbero permesso di
consolidare la sua carriera politica. Prima di partire suggellò l’amicizia con
Pompeo dandogli in sposa la figlia Giulia. I due condottieri si rividero solo
dieci anni più tardi, ma erano ormai nemici giurati. L’improvvisa scomparsa di
Giulia, morta di parto nel 54 a .C.,
e di Crasso, ucciso l’anno dopo nella battaglia di Carre (Mesopotamia), furono
abilmente usate dagli optimates per riportare Pompeo dalla loro parte. Così il
generale piceno rifiutò una nuova alleanza matrimoniale con Cesare e
nell’aprile del 52 a .C.
accettò la nomina di console senza collega. Si trattava di una designazione
inusuale, perché a Roma il consolato era una magistratura collegiata. Fu
probabilmente un espediente per assegnargli i poteri di un dittatore senza
dichiararlo espressamente. Alla fine del mandato Pompeo ottenne l’incarico di
proconsole, che conservò fino alla morte nel 48 a .C.
La battaglia di Farsalo.
Lo scontro finale.
La battaglia di Farsàlo fu lo scontro decisivo combattuto presso Farsalo il 9 agosto del 48 a.C.[6] tra l'esercito delconsole Gaio Giulio Cesare, rappresentante della fazione dei populares, e quello di Gneo Pompeo Magno, leader degli optimates. La battaglia, che si risolse in una netta vittoria della fazione cesariana, sancì la definitiva sconfitta di Pompeo, e segnò l'inizio della supremazia totale di Cesare, che combatté come legittimo rappresentante delle istituzioni repubblicane.[7]
schema della battaglia.
Nell’inverno del
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Il mondo romano allo scoppio della guerra civile (1º gennaio 49 a.C.). Sono inoltre evidenziate le legioni distribuite per provincia
POMPEO CONTRO CESARE. La situazione divenne ancora più tesa quando gli
optimates annunciarono che, al termine del suo periodo in Gallia, Cesare
sarebbe stato processato per le malversazioni commesse durante il consolato. Di
fronte a questa intrica congiuntura politica, Cesare non ebbe altra scelta che
opporsi alle autorità del senato. Nel 49 a .C. violò gli ordini ricevuti e varcò il
Rubicone, il fiume che segnava il confine con la Gallia Cisalpina. Con quel
gesto diede inizio a una guerra civile che si sarebbe protratta fino al 45 a .C. nella prima fase del
conflitto Pompeo fu al comando dell’esercito della repubblica. Nonostante avesse
più truppe del rivale, non osò
affrontarlo e iniziò a ritirarsi di fronte alla sua avanzata. Arrivato a
Brindisi imbarcò le sue truppe alla volta di Durazzo, sulla sponda opposta
dell’Adriatico. Nel frattempo Cesare otteneva pieni poteri a Roma con il titolo
di dictator. Quindi inseguì il suo avversario fino in Tessaglia, dove la
fortuna militare di Pompe giunse al termine: il 9 agosto del 48 a .C. fu sconfitto a Farsalo
(vedi riquadro sopra) dal miglior genio strategico di Cesare. Il generale
piceno fuggì via mare con una trentina di fedelissimi, senza sapere bene dove
andare. I suoi amici più cari gli sconsigliarono di chiedere la grazia a
Cesare, argomentando che era poco onorevole affidare la propria salvezza a
un gesto di clemenza del nemico. Gli
suggerirono invece di rifugiarsi in Egitto: un consiglio che si sarebbe
rivelato fatale alla luce degli eventi successivi.
ASSASSINIO IN EGITTO. Arrivato di fronte alle coste egiziane, Pompeo inviò
un messaggio al giovane faraone Tolomeo XIII, che era impegnato a Pelusio in
una guerra contro la sorella e moglie Cleopatra. VII. In quel momento il governo
era in realtà nelle mani dell’eunuco Potino, che fece riunire i consiglieri
reali. Questi decretarono che Pompeo andava eliminato per evitare che la sua
presenza in Egitto giustificasse eventuali ingerenze di Roma negli affari
interni del Paese. Come avrebbe fatto notare più tardi Plutarco, il destino di
Pompeo fu deciso da un eunuco, un generale egizio (quindi non romano) e un
maestro di retorica che convinse i suoi uditori con l’argomentazione che “un
morto non morde”. Pompeo fu attirato in una trappola dai messi di Tolomeo, che
gli offrirono di trasportarlo a terra su una piccola imbarcazione. Il generale
riconobbe sulla barca un vecchio compagno d’armi, il tribuno Lucio Settimio, e
accettò fiducioso. Ma quando ormai la costa era vicina, Achilla, prefetto di
Tolomeo, e Settimio lo pugnalarono. Secondo Plutarco “Pompeo morì senza dire né fare nulla d’indegno di lui, ma sospirando
soltanto” . Dopo aver assistito a quell’evento tra l’incredulità e, la
paura, i suoi familiari e amici levarono le ancore e fuggirono senza
vendicarlo. Fu Giulio Cesare ad assumersi questa incombenza: sconvolto dalla
morte e dalla decapitazione del rivale, fece giustiziare i responsabili del
tradimento.
IL GRANDE SCONFITTO DELLA
GUERRA. Il grande sconfitto della
guerra civile fu dunque Pompeo, che per molti aveva rappresentato l’ultima
speranza di riportare al potere gli optimates, l’ala più conservatrice del
senato. La sua sconfitta a Farsalo significò la fine della repubblica e mise in
evidenza il maggior talento militare e politico di Cesare. Ma pur ammettendo la
superiorità di quest’ultimo, i suoi contemporanei riconobbero a Pompeo una
dignità morale di cui il rivale era privo, ene idealizzarono la figura di un
uomo virtuoso e senza macchia. Plutarco ne esaltò per esempio lo stile di vita
moderato, i trionfi militari, l’eloquenza persuasiva, i modi affabili,
l’estrema generosità nel dare e la modestia nel ricevere ciò che gli veniva
restituito. Sicuramente i suoi principali contributi alla causa degli optimates
furono le sue doti strategiche e le sue vittorie militari. La fama di generale
imbattuto gli valse il favore di grandi personalità politiche della sua epoca,
come Cicerone, che riponeva in lui grandi speranze. Ciononostante in campo
politico Pompeo non seppe dimostrarsi all’altezza delle aspettative del senato.
La sua fedeltà alla causa degli optimates si dimostrò strettamente legata al
suo tornaconto personale e non esitò a schierarsi con i populares quando gli
faceva comodo.
Pompeo non aveva l’istinto politico di Cesare e non
seppe approfittare come lui del sistema istituzionale romano. Alla fine il suo
tallone d’Achille fu proprio il rispetto per l’ordine stabilito, come fece
notare il contemporaneo Velleio Patercolo: “Di
eccellente onestà, egregia integrità, moderate capacità retoriche, reso
ambizioso dall’autorità conferitagli dalle magistrature (...). Mai, o quasi
mai, usò il suo potere per imporsi”. Pompeo scelse di difendere il sistema
repubblicano, ma non seppe fare nulla per risollevarlo dalla crisi in cui versava.
Giulio Cesare invece cercò di scardinarlo definitivamente. Il generale piceno
era una persona dubbiosa e insicura quando non si trattava di guerre, e gli optimates seppero
approfittare di questi aspetti del suo carattere per legarlo a loro e farne il
braccio armato del suo partito. Così, quando Cesare partì per la Gallia , Pompeo si lasciò
trascinare dagli eventi e dai consigli altri, mentre il futuro dittatore fu
sempre artefice del proprio destino. Infine, la fuga di Pompeo dopo la
battaglia di Farsalo fu probabilmente troppo affrettata: se avesse analizzato
la situazione con più calma, si sarebbe reso conto che non tutto era perduto. E
forse il futuro di Roma avrebbe preso una direzione diversa.
Anonimo, La morte di Pompeo, XVIII secolo, Digione, Museo nazionale Magnin
la colonna di Pompeo: dove un tempo sorgeva il Serapeo di Alessandria - il tempio dedicato al dio Serapide- oggi è ancora visibile la colonna di granito rosa di circa 29 metri che, secondo la tradizione, indica il luogo di sepoltura di Pompeo.
Articolo in gran parte di Carles Buenacasa dipartimento
di storia e archeologia università di Barcellona.
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