A 47 anni suonati sconfisse Napoleone, a 70 fu nominato fedelmaresciallo,
a 81 trionfò a Custoza e si ritirò dall’esercito dopo 73 anni di onorato
servizio…
Per gli austriaci era semplicemente “papà Radetzky”,
il padre della patria il generale che riuscì a risollevare le sorti di un
impero traballante. La retorica risorgimentale lo dipinse come un aguzzino
senza scrupolie il nemico numero uno dell’unità d’Italia. A ogni latitudine,
infine, è noto per aver dato il nome alla marcia più popolare di tutti i tempi:
la Radetzky Marsch di Johann
Strauss, che ogni anno chiude il concerto di capodanno alla Filarmonica di
Vienna. Sono passati più di 150 anni dalla sua morte, eppure Josef Radetzky
continua a dividere gli storici. Grande condottiero? Orco? Dipende dai punti di
vista. Di sicuro coraggioso generale legatissimo a Milano, città cui trascorse
gli ultimi anni della sua lunga vita.
NATO PER COMBATTERE. “Il giovane
conte è troppo debole per farsi carico delle faiche del servizio militare” scriveva un
medico che lo visitò a 12 anni. Mai diagnosi fu più sbagliata. Quello che
sembrava un fragile ragazzino sarà sui capi di battaglia di mezza Europa. Nato
nel 1766
a Trebnitz (oggi
Sedlcany, nella repubblica Ceca) da una nobile ma squattrinata famiglia boema,
Johann Josef-Franz-Karl Radetzky non ebbe un’infanzia fortunata.
La madre morì dandolo alla luce, il padre lo lasciò quando
aveva dieci anni e il nonno, che l’aveva preso in custodia, a 15. Negato per
gli studi ma dotato di intelligenza pratica, il giovane trovò una nuova
famiglia nell’esercito. “L’impero
Austroungarico era all’epoca una vasta unione di etnie e religioni diverse, ma
le armate erano al di sopra delle differenze nazionali”, racconta Marco
Scardigli, storico militare e autore di numerosi saggi tra cui Le grandi battaglie del risorgimento (Utet)
“Radetsky diventò presto l’emblema del
perfetto ufficiale asburgico: efficiente, disciplinato, in grado di gestire al
meglio i soldati e portare di una cieca fede verso l’imperatore”.
Radetzky
in uniforme austriaca su cui spiccano il collare del Toson d'oro austriaco,
la Croce dei cannoni e
la placca di Gran Croce dell'Ordine
di Maria Teresa.
ALL’OMBRA DI NAPOLEONE. Esordì contro i turchi nel 1787
facendosi poi le ossa contro gli eserciti della Francia rivoluzionaria e le
temibili armate di Napoleone. Durante queste campagne si guadagnò il rispetto
delle truppe e la fiducia di illustri personaggi come l’imperatore d’Austria
Francesco I e lo zar Alessandro I. Nel 1805 fu promosso maggior generale e nel
1813 partecipò alla battaglia di Lipsia come capo di stato maggiore.
Piegato Napoleone, a 47 anni suonati Radetzky poté quindi
marciare con orgoglio a Parigi, ma dopo il Congresso di Vienna del 1815,
malgrado i molti meriti, fu confinato a mansioni minori.
“La Restaurazione tese a
cancellare ogni traccia del periodo napoleonico e Radetxky, che aveva imparato
molto dalle strategie mese in atto da Napoleone, venne considerato troppo
‘innovativo’”, chiarisce
l’esperto. La sua carriera sembrava dunque avviata al tramonto. In famiglia le
cose non andavano meglio. Tra una guerra e l’altra nel 1798, Joseph aveva
spostato l’aristocratica friulana
Francesca Romana von Strassoldo-Grafenberg, che gli diede otto figli e una
montagna di grattacapi. Incapaci di gestire le finanze, moglie e prole lo
riempirono infatti di debiti. “Egli
stesso era incline all’azzardo, capace di giocarsi la pensione, l’appannaggio
di generale, i beni immobili e icavalli lipizzani cui teneva forse più che ai
propri figli”, racconta lo storico Giorgio Ferrari nel libro Le cinque giornate di Radetzky (La
Vita Felice ).
La battaglia di Lipsia (16-19 ottobre 1813) che
segnò una delle sconfitte decisive di Napoleone
DI NUOVO IN PISTA. Ma non era ancora ora di mettersi a riposo:
l’occasione per rimettersi in pista furono i moti rivoluzioni del 1830, durante
i quali intellettuali e borghesi unirono alla richiesta di costituzioni
liberali quella di indipendenza nazionale. Anche l’Italia era inquieta, così
Francesco richiamò l’attempato Radetsky, non prima di avergli ripianto i
debiti. Il vecchio generale entrò in servizio come subordinato del
feldmaresciallo Frimont, comandante delle armate in Italia, ma presto prese il
posto del collega. La nomina feldmaresciallo arrivò a 70 anni. “Ristabilita la situazione, organizzò
manovre di addestramento e rafforzò le fortezze del cosi detto ‘quadrilatero’
che comprendeva Peschiera, Mantova, Legnago e Verona2, racconta Scardigli.
Insediatosi a Milano a Palazzo Arconati, Radetzky aveva l’aspetto di un vecchio
severo e un po’ burbero.: era schietto e giovale, amava la vita semplice e la
buona tavola, soprattutto gli gnocchi. A cucinarglieli era una giovane e
prosperosa stiratrice di Sesto San Giovanni di nome Giuditta Meregalli, da cui
ebbe quattro figli. Il vecchio comandante, trovandosi più a suo agio con lei
che con la fredda moglie friulana, la coprirà di premure aprendole persino
un’osteria. L’idillio milanese però stava finendo.
Nel 1848 l’Europa era di nuovo
sull’orlo del precipizio: ai quattro angoli del continente la richiesta di
costituzioni e governi liberali investì come un’onda anomala i sovrani
assoluti, mettendo in crisi l’Impero austro-ungarico. L’insurrezione colpì
persino Vienna, costringendo Metternich, artefice della Restaurazione a fuggire
a gambe levate.
Episodio delle cinque giornate di Baldassare Verazzi (Combattimento presso il Palazzo Litta). Si noti la scritta "W Pio IX" sul muro alla destra dell'uomo intento a mirare col fucile e il suo cappello "alla calabrese".
Documento del Consiglio di guerra del 20 marzo 1848 in cu si invitano i milanesi a conquistare una porta, firmato da Cattaneo e Cernuschi
La
battaglia di Custoza
La battaglia di Custoza del 24 giugno 1866 fu la battaglia che diede inizio alle manovre offensive della Terza guerra d'indipendenza sulla terraferma e che vide la sconfitta delle truppe italiane, numericamente superiori e comandate dal generale La Marmora, di fronte alle truppe austriache dell'arciduca Alberto d'Asburgo, duca di Teschen.
Le premesse politico-militari che condussero a questa battaglia sono sostanzialmente le stesse che diedero luogo allo scoppio della guerra austro-prussiana e, allo stesso tempo, della terza guerra d'indipendenza
Presa
di Milano (5-6 agosto 1848)
RISCOSSA INASPETTATA. I
tumulti dilagarono anche nel Lombardo-Veneto, a marzo i rivoluzionari guidati
da Daniele Manin cacciarono le truppe austriache da Venezia proclamando la Repubblica di San
Marco, mentre a Milano si moltiplicarono gli scontri tra esercito imperiale e
popolazione. Radetzky provò a reprimere i disordini con la forza , ma gli insorti
ebbero la meglio e dopo cinque di lotte (dal 18 al 22 marzo) fu costretto a
rifugiarsi nel Quadrilatero. La leadership meneghina chiese aiuto al re di
Sardegna Carlo Alberto di Savoia, che il 23 marzo aprì le ostilità contro
l’Austria. Era scoppiata la prima guerra di indipendenza. In primavere le
truppe piemontesi rinforzate da volontari provenienti da tutta Italia,
raccolsero i primi successi militari e per Radetzky sembrò mettersi male. A 81
anni ma con energia da vendere, il feldmaresciallo non tradì le speranze
dell’Impero: dopo. aver riorganizzato l’armata, tra
il 23 e il 25 luglio raccolse una folgorante vittoria a Custoza e il 6 agosto
rientrò trionfante a Milano, al grido “instà
i sciuri” (sono stati i signori) , con cui il popolo addossava alla
borghesia e all’aristocrazia progressista le responsabilità della rivolta. “Il successo arrivò grazie alla
disorganizzazione delle forze italiane, che pagarono lo scotto di profonde
divisioni politiche” afferma Scardigli. L’eco di Custoza raggiunse Vienna e
Radetzky si trasformò in salvatore della patria. Fu allora che Johan Strauss
gli dedicò la celebre marcia (vedi files da you yube sopra). Carlo Alberto
dovette firmare l’armistizio di Vigevano e l’anno dopo subì un’altra batosta a
Novara che lo convinse ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
DURA REPRESSIONE. I rivoluzionari pagarono la loro iniziativa.
Nominato governatore del Lombardo-Veneto , Radetsky punì con durezza
aristocratici e borghesi che avevano animato la rivolta, facendo fioccare
condanne a morte. Fu allora che si guadagnò la fama di impiccatore, con cui fu
etichettato per decenni dalla propaganda del Risorgimento. “Pur condannando gli eccessi della repressione, Radetzky non riuscì a
sfruttare politicamente i successi bellici e instaurò un governo oppressivo.
Ragionava da comandate militare, convinto convinto che l’unità dell’impero
fosse un valore da difendere a tutti i costi” spiega l’esperto.
Il
feldmaresciallo era ormai molto vecchio e continuava a vedere il mondo in
bianco e nero. Visse nella “sua” Milano un altro decennio prima di spegnersi
nel 1858 alla veneranda età di 91 anni. Appena un anno dopo, con la Seconda guerra di
indipendenza gli austriaci avrebbero lasciato per sempre la Lombardia.
Articolo
in gran parte di Massimo Manzo pubblicato su Focus storia n. 138 Altri testi e immagini di
Wikipedia.
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