mercoledì 4 luglio 2018

Giordano Bruno: sfida fatale

Sfida fatale.
IL 17 febbraio 1600 moriva sul rogo Giordano Bruno, il frate filosofo che cercò la verità a costo di scontrarsi con l’autorità della Chiesa. Oggi è il simbolo della libertà di pensiero.

Il monumento a Giordano Bruno in Campo dè Fiori a Roma, nel luogo dove il filosofo venne arso vivo. la statua è dello scultore Ettore Ferrari e venne inaugurata nel 1889. nel piedistallo ci sono tre bassorilievi con gli episodi più importanti della vita di Bruno. 

Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io ad ascoltarla”. È così che Giordano Bruno, il frate filosofo che con le sue opinioni aveva osato sfidare la Chiesa, accolse la condanna a morte inflittagli dal tribunale dell’Inquisizione. Pochi giorni dopo il tragico verdetto, il 17 febbraio 1600. Quel pensatore libero e ostinato sarebbe stato condotto al rogo in Campo de’ Fiori, a Roma. Proprio là dove oggi sorge il monumento in sua memoria, che lo ritrae imponente e fiero, con lo sguardo cupo rivolto al Vaticano.

UN SECOLO DIFFICILE. Giordano Bruno, all’anagrafe Filippo, era nato nel 1548 a Nola, vicino a Napoli, nel mezzo di un secolo cruciale nella storia della Chiesa: spaccata in due dalla Riforma luterana, era seguita la Controriforma cattolica lanciata dal Concilio di Trento iniziato nel 1545. Due anni prima, Paolo III aveva istituito l’Inquisizione romana (o Santo Uffizio) e nel 1559 Paolo IV creò l’Indice dei libri proibiti. Il papato si dotò così di due strumenti persecutori di cui Bruno, suo malgrado, farà presto conoscenza. La carriera monastica di Giordano Bruno iniziò nel convento di San Domenico a Napoli, dove entrò a 17 anni. Giovane e irrequieto, fu investito dalla prima denuncia quando era ancora novizio, reo di aver tolto dalla propria cella le immagini dei santi. Più avanti, nel 1576, un confratello lo accusò di eresia per aver espresso dei dubbi sulla dottrina della Trinità. “L’accusa era difficile da provare, ma in un eventuale processo si sarebbe sommata alla precedente denuncia, che rimarcava il poco rispetto che Bruno aveva del culto dei santi”, racconta Anna Foa, docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma e autrice del saggio Giordano Bruno (il Mulino). Il rischio di una condanna era dunque consistente, e così Bruno lasciò Napoli riparando a Roma. Dovette però fuggire anche da lì, perché fu accusato ingiustamente dell’omicidio di un frate.
Iniziò quindi un periodo di peregrinazioni in tutta Europa, dove, spogliandosi degli abiti domenicani, vagabondò di città in città avvicinandosi a ogni confessione cristiana, desideroso di allargare i propri orizzonti di studio e le proprie riflessioni filosofiche. A Ginevra aderì al calvinismo, in Germania entrò in contatto con i luterani e in Inghilterra con gli anglicani, distinguendosi tra l’altro per una serie di lezioni poco gradite sulla teoria eliocentrica di Copernico, di cui era sostenitore. Questa e altre su convinzioni irritarono le varie gerarchie ecclesiastiche e Bruno si trovò in pratica scomunicato da tutte le Chiese cattoliche o riformate che fossero. Con questo curriculum, nel 1592 fece ritorno in Italia.
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Roberto Bellarmino accusatore di Giordano Bruno
Roberto Francesco Romolo Bellarmino è stato un teologo, scrittore e cardinale italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e proclamato dottore della Chiesa. Apparteneva all'Ordine dei Gesuiti. Wikipedia

Poi toccò a Galileo.


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Il processo a Galileo Galilei, sostenitore della teoria copernicana eliocentrica sul moto dei corpi celesti in opposizione alla teoria geocentrica, sostenuta dalla Chiesa cattolica, iniziò a Roma il 12 aprile 1633 e si concluse il 22 giugno 1633 con la condanna pereresia e con l'abiura forzata delle sue concezioni ...

Processo a Galileo Galilei - Wikipedia

https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_a_Galileo_Galilei








Considerato uno dei fondatori del metodo scientifico, Galileo Galilei, nato a Pisa nel 1564, contribuì in modo decisivo ai progressi della fisica e dell’astronomia grazie a molteplici scoperte che già al suo tempo fecero il giro del mondo. Convinto sostenitore dell’eliocentrismo, Galilei entrò molto presto in contrasto con la Chiesa, che aveva bollato la teoria di Copernico (secondo la quale era la Terra a orbitare attorno al Sole e non il contrario) come “eretica” nel 1616. Il cardinale Allarmino ammonì quindi Galileo a non divulgarla se non come “ipotesi matematica”.
L’ABIURA. Il caso sembrava chiuso, sennonché nel 1632, lo scienziato diede alle stampe il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui sosteneva appunto il modello eliocentrico a dispetto di quello teocentrico tolemaico. Galileo fu quindi sospettato di eresia e, il 12 aprile 1663, finì sotto processo. Per evitare la pena capitale, ritrattò le proprie idee. L’iniziale condanna all’ergastolo fu commutata in una sorta di arresti domiciliari, ad Arcetri (Firenze), dove morì nel 1642. E’ stato riabilitato nel 1992.    


L’INIZIO DEL CALVARIO. Nel marzo del 1592 si stabilì a Venezia, chiamato da tal Giovanni Mocenigo, un nobile ansioso di apprendere le cosiddette “arti magiche” e in particolare la mnemotecnica, un efficace metodo di memorizzazione che lo stesso Bruno aveva ideato, rimarcando però come tale tecnica derivasse non dalla magia, ma dalla scienza. Ma quel soggiorno veneziano fu la sua fine. Quando, infatti, il filosofo riferì l’intenzione di riprendere i suoi viaggi, Mocenigo, irritato, corse a denunciarlo per eresia. Risultato: Bruno fu arrestato la sera del 23 maggio 1592, e tre giorni dopo, mandato a processo. Ma quali erano i capi d’accusa? Mocenigo aveva sostenuto, tra le altre cose, che Bruno fosse una specie di stregone, che non credesse nella verginità di Maria, che fosse un lussurioso e che volesse fondare una nuova setta. Dalle accuse emerse uno degli elementi centrali del pensiero di Bruno: la presenza di un universo infinito e d’infiniti mondi, idea inaccettabile per l’epoca, che andava persino oltre la teoria copernicana. “Le accuse, per quanto gravi, provenivano tuttavia dal solo Mocenigo ed erano piuttosto confuse, per questo motivo il processo veneziano poteva anche finire con un’assoluzione o una condanna lieve”, spiega l’esperta. A quel punto giunse però una richiesta di estradizione da Roma, dove Bruno fu trasferito il 27 febbraio 1593. Alle accuse del Mocenigo si erano intanto aggiunte quelle di frà Celestino da Verona, che con Bruno aveva condiviso la detenzione veneziana. “I nuovi capi d’accusa, simili a quelle del Mocenigo, furono avallati da altri quattro compagni di cella di Bruno, e alla fine emerse l’immagine distorta di un uomo senza religione, pronto a burlarsi di ogni credenza”, continua l’esperta.

GIUDIZIO ROMANO. Della fase romana del processo non è sopravvissuto alcun verbale, ma esiste un sommario compilato tra il 1597 e il 1598. Questo documento, basato sugli atti veneziani e su quelli romani, è stato scoperto nel 1940 e reso pubblico solo pochi decenni fa. Quel che sappiano è che il tribunale raccolse un totale di 31 capi di accusa, che ricoprivano ogni aspetto della sua vita, dalla condotta morale, alle credenze teologiche e filosofiche. L’iter processuale si protrasse per anni, tra interrogatori, sospensioni e, forse un episodio di tortura nel 1597. Fu infine l’intervento del cardinale gesuita Roberto Bellarmino, pezzo grosso del Sant’Uffizio, implicato anche nel caso Galileo, a sbloccare la situazione. Bellarmino sottopose a Bruno otto proposizioni da abiurare, poiché eretiche. “L’abiura era un elemento fondamentale nei processi di tal genere: se un eretico rinnegava le proprie opinioni, otteneva, infatti, un trattamento mite, ma per Bruno rinunciare alle sue verità significava sottomettersi a un’autorità, quella dei giudici e dei teologi dell’Inquisizione, che lui non riconosceva”, commenta l’esperta. La posizione dell’imputato si fece sempre più seria e il 21 dicembre 1599, nell’ultimo interrogatorio, dichiarò di non aver nulla da ritrattare; in pratica Bruno rigettò l’accusa di eresia, poiché non si considerava un teologo, bensì un filosofo che andava, semplicemente, alla ricerca della verità. Ma agli occhi della Chiesa, negando l’abiura, confermava di essere un eretico impertinente, pertinace e ostinato, come recitava la sentenza di condanna espressa l’8 febbraio 1600. Il 17 dello stesso mese, quel pensatore fuori dal comune, fu zittito per sempre, avvolto dalle fiamme.

ANTICIPATORE. L’impatto di Giordano Bruno sulle posizioni della Chiesa, specie in ambito scientifico, fu sconvolgente, ma tuttora la Santa Sede, pur avendo espresso profondo rammarico per la sua morte, non ne ha riabilitato il pensiero. Eppure Giordano Bruno, figlio di un’era ancora prescientifica (ossia precedente l’introduzione del metodo sperimentale di Galileo Galilei), è stato capace di intuizioni straordinarie. Nello scritto la cena de le ceneri (1584), espresse per esempio il principio di relatività del moto, anticipando lo stesso Galileo. Inoltre con la sua teoria di mondi innumerevoli e innumerabili, cioè immaginando che l’universo ospiti un numero infinito di stelle-soli, Bruno ipotizzò l’esistenza di pianeti extrasolari (confermata solo nel 1995) anticipando persino la teoria del multiverso. Complesse teorie scientifiche a parte, Giordano Bruno sarà ricordato per sempre, grazie a quel processo, come simbolo universale della libertà di pensiero, da difendere anche a costo della vita.

Articolo in gran parte di Federica Campanelli pubblicato su Focus Storia 140. Altri testi e immagini da Wikipedia. 

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