Una perla a oriente.
In Asia Minore sorgeva una
città che gareggiò per bellezza con Atene e con Roma: era Pergamo, che fiorì
tra il III e il II secolo a.C.
modello città di Pergamo
A più di 300
metri di altezza e a una trentina di chilometri dalla
costa dell’Egeo, dalla cima rocciosa di una collina la sua acropoli maestosa
domina la valle del fiume Caico (nell’attuale Turchia). Il sole che sorge
illumina poco alla volta la rocca antica, i palazzi reali e i templi sulla
città alta, scacciando le ombre dai porticati, dal grande teatro e dalla piazza
coperta. Un po’ più in basso, lungo il crinale scosceso, la luce irrompe nei
ginnasi e più giù ancora risveglia gli abitanti, una folla eterogenea di
bottegai, artigiani, artisti, uomini liberi e schiavi, per lo più discendenti
dai coloni greci e delle popolazioni originarie dell’Asia Minore, conducendoli
alle loro occupazioni, per gli stretti vicoli e le scalinate che collegano
questa città a più piani. Ecco la splendida Pergamo (oggi Berghama), la florida
capitale, fra il III e il II secolo a.C. di un regno ricco e ben amministrato,
affacciato sull’Egeo e sullo Stretto dei Dardanelli ed esteso nella parte
occidentale dell’Asia Minore (l’odierna Anatolia) fino alla moderna città di
Ankara. “Di Pergamo abbiamo notizie come
polis solo a partire dagli inizi del IV secolo a.C., quando ne parla lo storico
greco Senofonte nelle Elleniche. È certo però che fosse abitata già durante
l’età arcaica: la documentazione archeologica risale almeno al VII secolo a.C.,
ma non è stato possibile, finora, determinare con precisione chi la abitasse
come fosse governata”, spiega Federico Maria Muccioli, docente di Storia
greca e storia ellenistica all’Università di Bologna.
Ma come
poté una rude fortezza dell’Asia Minore trasformarsi in uno dei maggiori centri
culturali e artistici d’epoca ellenistica? La risposta breve è: “grazie ai suoi
sovrani”. Quella lunga richiede un salto nel 323 a .C.: l’anno in cui
Alessandro Magno morì e i generali del condottiero macedone, i diadochi, se ne
spartirono l’immenso regno. Uno di loro, Lisimaco, nel 301 a .C. scelse Pergamo come
cassaforte e affidò la custodia del suo enorme tesoro a un collega, figli odi
un greco di nome Attalo: il diadoco Filitero. Proprio lui, in capo a una
ventina d’anni, sarebbe diventato il capostipite della dinastia degli Attalidi,
che governò sulla città per 150 anni.
Lisimaco (in greco antico: Λυσίμαχος, Lysímachos; Pella ?, 361 a.C./355 a.C. – Corupedio, 281 a.C.) è stato unsovrano e militare macedone antico. Fu uno dei diadochi di Alessandro Magno, satrapo e poi re di Tracia, dell'Asia minore e della Macedonia.
INIZIO IN SALITA. A dirla tutta, il tesoriere non si comportò da amico leale:
nel 283 a .C.
si impossessò di Pergamo, tradì Lisimaco e si schierò con il suo avversari,
Seleuco I di Siria. Riconoscendosi suo vassallo, ottenne infine di rimanere
padrone dell’oro e della fortezza, che gestì come un piccolo principato. Forse
per cancellare questo inizio non proprio eroico, oltre che per crearsi
un’immagine divina, il suo successore, Eumene, I (re dal 263 al 241 a .C.), diffuse il mito
secondo cui la città sarebbe stata fondata da Grino, il nipote del mitico
sovrano di Misìa, Telefo, figlio del semidio Eracle. “Di tutta questa costruzione genealogica, gli Attalidi valorizzarono
soprattutto il legame con Telefo, di cui a Pergamo si celebrava il culto
eroico, e, indirettamente, quello con Eracle, figlio di Zeus. Per questo motivo
si definivano telephidat (cioè”discendenti di Telefo”)”, dice Muccioli. Di
divino però, nella famiglia attalide ci fu solo il successo di Eumene che ne 262 a .C. sbaragliò l’esercito
selucide, emancipandosi dalla condizione di vassallo dei sovrani di Siria.
MOMENTO D’ORO. L’altra
pietra miliare nella storia venne posta 22 anni dopo dal nuovo signore della
città, Attalo I (in carica dal 241 al 197 a .C.), quando sconfisse la tribù
celtica dei Galati, secondo Polibio “la
più tremenda e bellicosa torma che c’era allora per l’Asia”, e gli alleati
seleucidi. Annettendo molti dei loro territori in Asia minore, fece di Pergamo
un regno e di se stesso un re. Quindi, da vero sovrano, decise di dare via alla
costruzione dei primi grandi monumenti sull’acropoli, dove, da allora, vennero
celebrate attraverso l’arte le vittorie e la grandezza della dinastia. In epoca
ellenistica fu il momento d’oro di Pergamo, culminato durante il regno dei
figli di Attalo: Eumene II (197-159
a .C) e Attalo II (159-138 a .C.) “Gli Attalidi erano notoriamente amanti
delle arti e della letteratura. Alla corte di Eumene II visse, tra gli altri,
Cratete di Mallo, filosofo di scuola stoica e noto studioso di Omero, che
esercitò una grande influenza culturale. Va anche notato, a dimostrazione della
loro munificenza, che nella titolatura dei sovrani spesso si trovano gli
appellativi Sotér ed Euerétes, cioè salvatore e benefattore”. Nota
Muccioli. Le magnifiche architetture della capitale del loro regno lo
confermano: per raggiungere l’acropoli, i pergameni, circa 200.000 persone nel
momento di massimo sviluppo, sbuffando e sudando nelle loro tuniche bianche
dovevano inerpicarsi lungo la strada principale, l’unica lastricata in roccia e
abbastanza larga da far passare due carri contemporaneamente. Ma una volta
lassù, la meraviglia prendeva il soppravvento. Uno dei simboli culturali più
forti del potere regio era la biblioteca: con i suoi 200.000 volumi fu seconda
per importanza solo a quella di Alessandria d’Egitto.
Attalo Sotere (in greco antico: Ἄτταλος Σωτήρ, Àttalos Sotér, "Attalo il Salvatore"; 269 a.C. – Pergamo, 197 a.C.[1]), chiamato nella storiografia moderna Attalo I, è stato un sovrano pergameno, re di Pergamo, una polis greca dell'Asia Minore, nella moderna Turchia, dal 241 a.C. alla morte, prima come signore della città e poi come re.
Situazione politica nella Grecia del 200 a.C., alla vigilia dellaseconda guerra macedonica: in verde il Regno di Pergamo, in arancio il Regno di Macedonia, in giallo il regno dei Seleucidi
PRODOTTI SPECIALI. Lo scrittore latino Plinio il Vecchio sosteneva che, nel II
secolo a.C., proprio l’antagonismo “librario” fra le due città, oltre al divieto
emanato dal sovrano egizio Tolomeo V di rifornire la rivale di rotoli di
papiro, spinse gli artigiani di Pergamo a perfezionare la produzione di quella
che venne chiamata “pergamena”. Il particolare supporto per la scrittura
ricavato dalla pelle delle pecore o delle capre soppiantò il fragile fogli
alessandrino anche nelle esportazioni. Insieme a un altro apprezzato prodotto
locale destinato al commercio: le Vestes Attalicae, speciali tende e vesti di
broccato intessute di fili d’oro. “L’economia
del regno si basaba sul supporto tra la capitale e il territorio circostante,
che comprendeva poche città della costa e della valle del Caico e il territorio
rurale con villaggi e templi, per lo più indigeni. Era nel complesso
un’economia che riguardava l’esportazione di prodotti agricoli, in primo luogo
grano, ma anche ceramica, unguenti e tessuti, che venivano inviati in tutto il
mondo greco attraverso i porti sulla costa dell’Asia Minore, come quelli di
Elea e Attalia, creati dai re di Pergamo”, sostiene l’esperto.
IL GOTHA. Dai porti fino alla pulizia delle strade, l’influenza dei
sovrani si faceva sentire direttamente o indirettamente in tutta la gestione
della capitale. “Il sovrano amministrava
appoggiandosi ai philoi, letteralmente gli ‘amici’, una vera classe dirigente,
al fianco del re al di là dei rapporti personali e affettivi. Nominava inoltre
cinque strateghi che si occupavano delle finanze pubbliche e sacre, e che
esercitavano il ruolo di guida e di controllo sul Consiglio e sull’Assemblea
popolare, due organi simili a quelli presenti di solito nelle città greche.”
Prosegue lo storico. In comune con le poleis, i pergameni avevano anche le
divinità. Ta gli altri, oltre ai titolari del grande altare sull’acropoli, Zeus
Sotér (salvatore) e Atena Nikephoros (portatrice di vittoria); molto amato era
Dioniso Kathegemon (il condottiero), nume tutelare della dinastia regnante.
Inoltre fuori della città, a valle, si trovava il famoso santuario del dio
della medicina Asclepio, dove gli antichi facevano la fila, come in una Lourdes
del passato, in cerca di guarigione.
DONO PREZIOSO. A trasformare le magiche acque di quel luogo in un business
erano stati i Romani, ma come erano arrivati a mettere le mani si Pergamo? In
modo meno bellicoso del solito. Nel 133 a .C., ormai in punto di morte, l’ultimo
sovrano legittimo della dinastia Attalo III, decise di disfarsi del regno come
il più capriccioso dei ricconi: lo lasciò in eredità al popolo romano. Salvo
qualche incidente di percorso, gli Attalidi erano stati alleati dei Roani fin
dalla fine del III secolo a.C. e fra loro si era instaurato un proficuo
rapporto di mutuo soccorso contro i comuni avversari d’Asia (primi tra tutti i
Seleucidi). Per questo, lo storico romano Valerio Massimo vide nel testamento
di Attalo quasi una restituzione di ciò che i suoi compatrioti avevano
generosamente concesso alla dinastia orientale. Vero o meno, per gli
Attalidi quel lascito segnò la fine. Ma
non fu lo stesso per Pergamo: anche se nel 129 a .C. i territori del
regno entrarono a far parte della neonata provincia romana dell’Asia, l’ex
capitale mantenne la condizione di città libera e alleata. E prima di seguire
Roma nel suo declino, in epoca imperiale fiorì per altri due secoli, così bella
che ne II secolo d.C. il grammatico e retore Teleto la definì terza capitale
dell’impero dopo Roma e Atene. Glia Attalidi ne sarebbero stati orgogliosi.
Efeso,
l’altro gioiello.
teatro di Efeso
A poco più di un centinaio di chilometri da Pergamo,
Efeso faceva a gara in bellezza con la capitale del regno attalide. Fondata,
secondo il mito, dalle Amazzoni, contesa a lungo nelle lotte fra i diadochi
dopo la morte di Alessandro Magno, la città fece parte del regno degli
Attalidi a partire dal
CONDANNATE IN ETERNO. Il destino di Efeso si incrociò con quello di Pergamo
anche nei I secolo d.C, quando San Giovanni Evangelista cita le due città
nell’Apocalisse, come due delle sette chiese d’Asia che Dio avrebbe punito
per la loro dissolutezza. Peccato che nel 401 il tempio di Artemide a Efeso
non sia stato distrutto dall’ira divina, ma dall’arcivescovo di Costantinopoli
Giovanni Crisostomo.
|
Articolo in gran parte di Maria Leonarda Leone pubblicato
su Focus storia n. 141. altri tesi e immagini da Wikipedia.
Nessun commento:
Posta un commento