L’uomo del’età di mezzo
lottava per i suoi diritti, puntava all’ascesa sociale, credeva nella cultura.
Questo è stato il…
IL VERO MEDIOEVO.
Piramide sociale.
Medioevo in rivolta.
Silvestro, il papa mago.
Scherzi a parte.
Amore ribelle.
Castelli e fantasmi.
Alberto Magno.
Troppi pregiudizi.
Vite ai margini.
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EPPURE SI MUOVE.
L’immagine di una città
statica è tutta da rivedere: la piramide feudale non era impossibile scalare.
L'Allegoria
ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo è un ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti,
conservato nel Palazzo Pubblico di Siena e databile al 1338-1339. Gli
affreschi, che dovevano ispirare l'operato dei governatori cittadini che si
riunivano in queste sale, sono composti da quattro scene disposte lungo tutto
il registro superiore di tre pareti di una stanza rettangolare, detta Sala del
Consiglio dei Nove, o della Pace.
Ricordate la favola della
povera Marietta? Dopo aver ricevuto in dono una ricottella, la ripone in un
paniere e, tenendola in testa, si reca al mercato cominciando a fantasticare:
con i soldi del formaggio si comprerà una gallina, con i suoi pulcini una capra
e, vendendo i capretti che nasceranno, avrà denaro sufficiente per una mucca. E
il latte le servirà per produrre tante altre ricotte da porta al mercato. “Allora potrò permettermi una bella casa e
bei vestiti e chiunque mi incontrerà per strada mi saluterò così: con un inchino…”
. E pof.. la ricotta le scivola dalla testa e si spiaccica a terra.
Questo racconto, che ha radici
medievali, nasconde una triste morale: l’ascesa verso una posizione migliore è
solo un sogno che si infrange a contatto con la dura realtà. Ed è così che per
anni i libri di scuola ci hanno genericamente descritto la società medievale:
rigida e impermeabile a ogni desiderio di riscatto, una piramide scandita da
invalicabili gradoni. Eppure, lo dicono studi recenti, la mobilità sociale nel
Medioevo esisteva. E non tutte le storie, in quei secoli, finiva come quella di
Marietta.
SOCIETA’ IDEALE. “La tipica tripartizione tra uomini di
preghiera (oratores), della guerra (bellatores) e del lavoro sulla terra
(laboratores) è un’immagine di società ideale, proposta dagli ecclesiastici
dell’XI secolo, per imporre un ordinato modello gerarchico a un mondo in grande
movimento. In realtà, la crescita economica e demografica sempre più intensa,
lo sviluppo delle città, il ritorno del potere regio a scapito di quello
feudale, fecero del XII e del XIII secolo uno dei periodi di maggiore dinamismo
sociale. Nonostante i tentativi dei signori e dei cavalieri di tenere
schiacciata alla base il resto della popolazione”, spiega Giuseppe
Petralia, docente di Storia Economica e Sociale del Medioevo all’Università di
Pisa.
Fienagione Castello
del Buonconsiglio di Trento affresco del XV secolo attribuito all’artista boemo
Venceslao
QUESTIONE DI SOLDI. Insomma la gente
comune poteva vivere storie di successo e crescita sociale e i nobili conoscere
l’onta del fallimento e della caduta. Ma qual’era il primo passo per elevarsi?
Innanzitutto accrescere la propria ricchezza e trasformarla in riconoscimento
sociale. “Aumentare la terra coltivabile
era il principale canale di ascesa dei contadini, che investivano le loro forze
nella ricerca di nuovi terreni concessi dai signori, di cui riuscivano a
diventare clienti e protetti. Dopo il XII secolo, invece, divenne frequente
anche il successo di chi accumulava il denaro attraverso il credito, il
commercio, la manifattura: l’ascesa si consolidava se si riusciva a ottenere
potere politico nella città”, prosegue l’esperto. In quest’ultimo caso gli
step intermedi prevedevano di investire i capitali nella casa di famiglia e
nell’acquisto di terra, per assicurarsi prestigio e solidità. Subito dopo,
legarsi all’élite cittadina con un bel matrimonio discendente era comunqui
interesse era la strada migliore per accaparrarsi anche un carica pubblica,
definitivo coronamento di un viaggio senza intoppi sull’ascensore sociale del
condominio Medioevo. Aveva ottenuto tutto questo Francesco Coppola (1420-1487), il più grande armatore e mercante
del Regno di Napoli, quando, arrivato all’ultimo piano, il cavo del
montacarichi si spezzò. Ultimo di varie generazioni di mercanti-appaltatori di
gabelle di origine amalfitana, tentò la scalata: con l’appoggio politico del re
Ferrane d’Aragona (1424-1494) e quello finanziario della potente famiglia
fiorentina degli Strozzi, in pochi anni diventò il maggior commerciante e
imprenditore tessile del Regno, acquistò o acquisì in cambio di debiti non
assolti numerosi possedimenti feudali e nel 1480, per l’aiuto dato nella
battaglia di Otranto, ricevette dal re le terre e il titolo di conte di Sarno.
Ma sei anni dopo. Ormai grande
ammiraglio del Regno e proprietario di residenze, feudi, industrie, miniere,
titoli e immensi capitali compì un passo falso: per non rischiare di perdere i
propri beni, appoggiò i ribelli nella fallimentare rivolta dei baroni contro il
re. Quando lo scoprì, Ferrante fu diabolico: gli lasciò sentire il profumo del
successo e lo fece arrestare durante le nozze tra la propria nipote e suo
figlio. Poi gli requisì tutti i beni e lo fece decapitare l’11 maggio 1487.
Dal re al servo, ecco una piramide ideale.
La principale ricchezza dell’Alto
Medioevo era la terra, che sotto Carlo Magno, prese il nome di feudo e
caratterizzò la struttura sociale. La terra apparteneva al re, che poteva
distribuirne una parte (il beneficio) a chi gli giurava fedeltà (atto di
omaggio) diventando suo vassallo.
Il feudatario era il più importante dei vassalli del re,
colui che otteneva il feudo attraverso la cerimonia dell’investitura e si
vedeva assegnare dal sovrano le immunità (esenzioni). Il beneficio era
vitalizio, personale e inalienabile, quindi alla morte del vassallo tornava
al potere centrale. In cambio il feudatario doveva prestare al sovrano
assistenza militare e pagargli piccoli tributi.
Nuovi benefici. Dopo la morte di Carlo Magno, quando
lo stato unitario si disgregò, i signori del feudo iniziarono ad assumere
nuove immunità (esenzione dai tributi ed esonero del servizio militare,
diritto di battere moneta, potere fiscale, potestà giudiziaria), e a
trasmettere ai loro eredi i beni ricevuti.
Il frazionamento. I grandi feudatari suddivisero il
loro territori in feudi più piccoli , dandoli in beneficio ai vassalli, che a
loro volta frazionavano l’area in altri spicchi concessi ai valvassori, che
facevano la stessa cosa con benefici ancora più piccoli dati in mano ai
valvassini, tutti legati al feudatario da un vincolo di fedeltà. La piramide
feudale aveva poi alla base uomini liberi (artigiani, piccoli proprietari e
preti) e servi della gleba, contadini legati al fondo da loro coltivato (gleba)
dal fitto che dovevano pagare ai proprietari. Sotto di loro c’erano solo gli
schiavi.
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TEMPI DURI PER I CADETTI. “La
disgrazia politica per la perdita del favore dei potenti o per la sconfitta
della propria parte nei conflitti fra fazioni diverse, l’esito negativo di una
faida privata così come una congiuntura economica negativa potevano certo
rovinare individui e famiglie, ma la tendenza alla mobilità discendete era
comunque strutturale: più si saliva nella scala sociale, più numerosi erano i
figli ai quali assicurare patrimonio e tenore di vita elevati. Se, come
capitava normalmente, da una generazione all’altra non crescevano di pari passi
gli impieghi disponibili e le opportunità la discesa diveniva obbligata”, sostiene Petralia. Accadeva soprattutto ai cosiddetti
cadetti, i non primogeniti delle famiglie nobili: se al primo figlio maschio
spettava tutta l’eredità paterna, agli altri non rimaneva che scegliere la
carriera ecclesiastica o tentare la fortuna come cavaliere di fortuna. Dopo il
Mille, però, l’economia più viva moltiplicò le opportunità di successo. Come
dimostra la folgorante ascesa di Guglielmo il Maresciallo (1145-1219), il
miglior cavaliere del mondo secondo i suoi contemporanei. Figlio cadetto di un
nobile inglese, combattendo sempre con coraggio si trasformò, da povero
scudiero, in uno degli uomini più potenti d’Inghilterra, tutore del re Enrico
III e reggente del regno (1216).
MIGRANTI IN ASCESA. “La condizione
peggiore era nascere in una famiglia numerosa in una situazione di scarsità: di
nuove terre da coltivare per un contadino, di possessi fondiari ereditati o di
signori cui offrire i propri servigi per un aristocratico per un mercante o un
artigiano, di opportunità di investimento e di traffici per un mercante o un
artigiano. In questi casi, come oggi, l’azzardo di una migrazione a lunga
distanza era l’unica soluzione” ,
nota Petralia. Alla famiglia Riccardi andò bene: i suoi membri erano
discendenti di un sarto tedesco, un certo Anichino, immigrato da Colonia a
Firenze nel Trecento. Nei due secoli seguenti avevano acquisito potenza
economica riciclandosi come mercanti e banchieri e nel Seicento l’ambito titolo
nobiliare: marchesi di Chianti e Rivalto, peri servigi politici resi al
granduca Ferdinando II de’ Medici. Migranti anche se di più corto raggio furono
persino il poeta Giovanni Boccaccio (1313-1375), il
pittore Masaccio (1401-1428) e il
poliedrico Leonardo da Vinci (1452-1519), geniali menti giunte dalle città
minori e dalle campagne toscane a Firenze per colmare i vuoti che la crisi
economica e demografica del Trecento aveva creato tra le file degli artigiani,
dei notai e dei burocrati. “Ma già nel XII secolo la rinascita
culturale e il rafforzarsi dei poteri monarchici e pubblici o degli Stati
cittadini nell’Italia comunale avevano aperto spazi nuovi ai dotti, agli
intellettuali, ai giuristi nelle curie e nelle istituzioni civili ed
ecclesiastiche”, conferma l’esperto. Tra tutti i travet del sapere, il
notaio era quello con le migliori chance: poteva contare infatti sulla rete di
conoscenze intessuta grazie alla sua professione. Così facendo, ser Ristoro di
Jacopo, il discendente di un omonimo modesto notaio di Figline Valdarno, riuscì
a ricoprire l’illustre incarico di notaio della Signoria di Firenze, nel 1383.
Gonfaloniere prima, priore poi, aprì alla sua famiglia, i Serristori, la strada
del successo politico, della ricchezza e degli onori nobiliari. Come fece a
ottenerli? Tenendo in bilico i sogni e la ricotta.
Testo in gran parte di Maria Leonarda Leone, pubblicato su
Focus Storia n. 139 altri testi e immagini da Wikipedia.
QUALCUNO
DICEVA… “NO”.
Movimenti
studenteschi, ribellioni di contadini e operai: anche nel Medioevo non
mancarono le proteste di piazza.
Parigi: una rivolta di studenti viene sedata con la
violenza dalle forze dell’ordine. Per reazione studenti e professori
universitari indicono uno sciopero che li porterà a ottenere alcune rilevanti
concessioni. Non stiamo parlando del “maggio francese” di 50 anni fa, ma di una
manifestazione avvenuta sette secoli prima del movimento del Sessantotto, nel
1229, cioè nel cuore di quelli che sono spesso definiti, non senza pregiudizi,
secoli bui. Tra i vari luoghi comuni del Medioevo c’è anche quello che fosse
un’epoca il cui popolo, timorato da Dio, non si battesse per i propri diritti.
Si tratta però di un altro mito da sfatare, furono molte le occasioni in cui
l’uomo medioevale diceva di “no”, ribellandosi con vigore alle autorità.
Bianca di Castiglia (Palencia, 4 marzo 1188 – Parigi, 27 novembre 1252) era figlia del re di Castiglia Alfonso VIII e di Eleonora Plantageneta e fu regina di Francia in virtù del suo matrimonio con Luigi VIII. Fu reggente, dal 1226 al 1234 e dal 1248 al 1252, in nome del figlio Luigi IX.
FUORISEDE. Lo sciopero di Parigi fu la conseguenza di un doppio
stato di tensione: studenti e docenti rivendicavano maggiore autonomia dalle
istituzioni ecclesiastiche e, nello stesso tempo, erano ai ferri corti con la
cittadinanza. L’università parigina (poi nota come Sorbona) aveva iniziato le attività
intorno al 1170, imponendosi come la migliore su
piazza per lo studio della teologia. Ospitava in gran parte studenti fuorisede,
provenienti dalle élites di mezza Europa, ed era sottoposta all’autorità della
Chiesa. I suoi iscritti rispondevano quindi al diritto canonico anziché ai
tribunali del regno, dettaglio che li faceva percepire dai cittadini come degli
insopportabili privilegiati.
Un giorno di carnevale del 1229, alcuni studenti litigarono
con l’oste di una taverna, reo di aver imposto loro un conto troppo salato (era
prassi scucire più denari possibile alle
migliaia di fuorisede). I giovani furono picchiati e allontanati, ma il giorno
dopo tornarono alla carica danneggiando l’esterno della taverna e altri negozi,
dando avvio a una sommossa a cui si unirono poi anche altri studenti. Bianca di
Castiglia, reggente di Francia per conto del figlio Luigi IX, fece reprimere
con la forza i disordini, e negli scontri le guardie uccisero alcuni fuorisede.
In risposta i studenti e i docenti abbandonarono la città, per trasferirsi in
altre università (Tolosa o Oxford). Senza i ricavi di affitti, tasse e altre
spese sostenute dagli universitari, l’economia locale subì un durissimo colpo e
Bianca di Castiglia si vide costretta a fare marcia indietro: istituì
indennizzi per le vittime dei tumulti e regolò i prezzi degli alloggi in città.
Nel frattempo si era mossa anche la
Chiesa : Gregorio IX, ex studente dell’università parigina,
nell’aprile 1231, con la bolla papale Parens Scientiarum, garantì la piena indipendenza
dell’università parigina da ogni autorità locali, laica o ecclesiastica.
Ottenuto il risultato, terminarono le agitazioni e finì il boicottaggio: gli
studenti tornarono a Parigi.
PROTESTE A OXFORD. Il remake dei fatti della Sorbona si verificò un
secolo più tardi a Oxford, in Inghilterra. Anche qui la fazione accademica si
scontrò con la gente del posto, ai cui occhi, come nel caso di Parigi, gli
studenti costituivano una casta di privilegiati, dal momento che i re inglesi
garantivano alle università sovvenzioni ed esenzioni fiscali. A far scattare la
scintilla della rivolta, il 10 febbraio 1355, giorno di Santa scolastica,
un’altra rissa, l’ennesima, in una taverna tra alcuni studenti e l’oste. Gli
universitari inscenarono proteste seguiti dalla popolazione locale. Nei tumulti
si registrarono oltre 90 morti, in gran parte studenti. Tuttavia l’esito della
rivolta di santa Scolastica si concluse con la vittoria degli studenti, che
ottennero risarcimenti e nuove garanzie, mentre il consiglio cittadino fu
obbligato a sfilare per le strade di Oxford facendo pubblica penitenza.
RELIGIOSI CONTRO.
Tra i ribelli del Medioevo vi furono anche uomini
di fede, pronti a sfidare le politiche di una Chiesa allontanatasi dal
messaggio di Gesù e gestita da un clero opulento. In molti promossero un
ritorno all’umiltà del primo cristianesimo, e se taluni furono tollerati,
altri vennero attaccati senza pietà (i catari per esempio).
Perseguitati. Tra le voci eretiche che più infastidivano
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SECOLI CALDI. In Europa stava prendendo forma una combattiva
classe studentesca (in Italia nell’università di Bologna), ma anche altre
categorie sociali stavano avviando le loro battaglie. Si aprì una stagione di
rivolte e proteste che si dipanerà dal XIII al XV secolo. Le sommosse
coinvolsero aree urbane e rurali ed ebbero una forte impronta sociale. La
ragione? L’affacciarsi di una nuova classe borghese legata allo sviluppo della
civiltà comunale (mercanti e banchieri), che metteva in crisi i vecchi
equilibri feudali.
CON I FORCONI. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare i
disordini non furono quasi mai dettati dalla fame, bensì dalla volontà di
ottenere diritti e tutele. “Fino
all’inizio dell’età moderna le ‘rivolte del pane’ furono rare, nonostante il
gran numero di carestie e avversità atmosferiche. A scatenare le sommosse
popolari furono semmai motivi di natura fiscale, politica e sociale”, afferma
la storica Maria Paola Zamboni autrice del saggio Scioperi e rivolte nel Medioevo. Le città italiane ed europee nei
secoli XIII-XV (Jouvence).
E
proprio una questione di tasse agitò le campagne francesi del 1358, durante la Guerra dei cent’anni tra
Francia e Inghilterra. In primavera, a nord di Parigi, i contadini diedero vita
a una sollevazione antifeudale detta jacquerie (i nobili usavano chiamare i
lavoratori dei campi Jacques, che era il nome più diffuso nelle campagne). Gli
abitanti delle campagne si scagliarono contro i castelli dei signori locali e
gli uffici tributari, dando sfogo al dilagante malcontento dovuto alle nuove
imposte. I balzelli erano stati introdotti per finanziare il conflitto in corso
e sopperire ai devastanti effetti della Peste nera che 10 anni prima aveva
sconquassato il Paese. La rivolta fu repressa nel sangue, ma data la virulenza
e la massa di contadini coinvolti (oltre 5mila), l’espressione jacquerie p
rimasta poi a indicare ogni tumulto rurale.
Un
episodio analogo avvenne nella Valle del Tamigi, in Inghilterra nel 1381. “Il motore scatenante fu nuovamente di
natura fiscale, e nella rivolta svolsero un ruolo di rilievo anche le donne, a
capo di interi drappelli di sediziosi”, racconta l’esperta. Anche in questo
caso i tumulti vennero duramente repressi, come da copione.
Il Tumulto
dei Ciompi fu una rivolta
popolare avvenuta a Firenze tra il giugno e l'agosto del 1378.
Si tratta di uno dei primi esempi di sollevazione per scopi economico-politici
della storia europea.
SOMMOSSE OPERAIE. Oltre ai moti studenteschi e alle ribellioni
contadine, a rendere caldi quei secoli contribuirono infine i lavoratori
salariati, la classe operaia di allora. “Il
tema del lavoro salariato in epoca medievale presenta molti elementi di
straordinaria attualità, con problematiche moderne come quelle legate agli
scioperi, al lavoro nero, agli infortuni e al precariato” prosegue Zanaboni. A chiedere condizioni
migliori furono soprattutto gli operai del settore tessile, protagonisti di due
celebri rivolte: quella dei ciompi fiorentini del 1378
e quella dei tessitori di Gand, nelle Fiandre, dell’anno seguente. I primi
erano lavoratori della lana, la cui categoria era esclusa dalla vita pubblica
e, per importanza, venivano dopo le arti maggiori (giudici, medici,
commercianti, imprenditori9 e quelle minori (fabbri, calzolai, spadai,
tintori). I ciompi guidati dal capopopolo Michele di Kando, nell’estate del 1378
iniziarono una sommossa che stravolse, almeno per qualche tempo, la città di
Firenze. Nelle Fiandre del 1379, sempre in opposizione ai privilegi dei nobili,
i lavoratori di Gand avviarono una sommossa che si estese al resto della
regione fiamminga prima di essere sedata nel 1382. la scintilla delle rivolte,
tuttavia, non si spense. Le tensioni economiche, sociali e religiose in
un’epoca di mutamenti lenti ma inesorabili, continuarono ad alimentare lo
spirito ribelle di chi era senza privilegi. Più che secoli bui furono dunque
secoli inquieti.
Testo
in gran parte di Matteo Liberti pubblicato su Focus Storia 139 immagini e altri
testi da Wikipedia.
DIAVOLO
DI UN PAPA.
Silvestro
II strinse un patto demoniaco per diventare pontefice? La fama di mago, in
realtà , fu colpa della sua erudizione.
Silvestro II, nato Gerberto
di Aurillac (Aurillac, 940-950 circa – Roma, 12 maggio 1003),
è stato il 139º papa dellaChiesa cattolica dal 999 alla morte, il primo di nazionalità francese.
Alla morte nessuno può scappare nemmeno il pontefice e neppure un mago. E
infatti mentre cantava messa nella chiesa romana di Santa Croce in Gerusalemme,
papa Silvestro II, al secolo Gerberto d’Aurillac, venne colto da un malore e
spirò poco giorni dopo, il 12 maggio 1003. fu allora che, sulle sue spoglie
ancora calde, cominciarono a fiorire terribili voci oscure leggende. E per
secoli quello zelante pontefice, amante degli studi e dell’astronomia, definito
dal predecessore Giovanni XIII (965-972) “l’uomo
più dotto del suo secolo”, diventò per tutti il papa mago, possessore di un
magico servitore, il golem, e firmatario di un ferreo patto col diavolo “affinché ogni cosa gli riuscisse proprio
come desiderava”. Alcuni guardandolo, vedevano in lui un sorriso
luciferino, altri un viso rassicurante: ma chi fu Gerberto? Ci fu davvero
qualcosa di diabolico nella sua ascesa al pontificato? “Data la condizione generale dei tempi in cui Gerberto ebbe a vivere,
date le qualità dell’ingegno e del suo animo, dato il favore di cui gli furono
larghi gli Ottoni, questa fortuna appare a noi naturale e spiegabilissima. Ma
tale non doveva facilmente apparire agli uomini che la videro, o a quelli che,
per più secoli di poi, ne udirono il racconto”, ha scritto il critico
letterario ottocentesco Arturo Grafi, nel saggio Miti, leggende e superstizioni del Medioevo.
Gerberto
d'Aurillac, De geometria,
fol 12v, Baviera, copia manoscrittodel XII
secolo. Le conoscenze di Gerberto gli facilitarono la carriera
ecclesiastica e la stima di pontefici e imperatori.
AL CONTRARIO. Per i suoi contemporanei, sia gli ignoranti
superstiziosi sia gli invidiosi a lui ostili, era impensabile che un ex monaco
benedettino fosse capace, grazie alla sua non convenzionale cultura, di usare
l’abaco e l’astrolabio, di costruire, almeno così si dice, un orologio e un
organo a vapore o di diventare il primo papa francese. e siccome, diceva la
poetessa Ada Merini, “la gente quando non
capisce inventa”, su Gerberto fioccarono le calunnie: d’altra parte era
stato eletto papa nel 999. provate a leggere questa data a testa in giù: non
sembra ovvio anche a voi che il nuovo pontefice fosse in combutta con
l’Anticristo?
Uno
dei primi a dirlo chiaramente fu il cardinale tedesco Bennone di Osnabruck, che
alla fine del secolo XI nel suo Gesta
Romanae Ecclesiae contro Hinldebrandrum descrisse Silvestro II come il
capostipite di una serie di presunti e calunniati papi-maghi. Da allora, per
oltre tre secoli, la sua leggenda sii arricchì di innumerevoli particolari. Nel
XII secolo, il povero orfano di Belliac (Francia meridionale), accolto e
istruito attorno al 950 nel vicino monastero di San Geraldo d’Aurillac, si
trasformò grazie alla penna del monaco inglese Guillaume de Malmesbury, diventò
un adolescente inquieto che, ansioso di diventare un negromante, lasciò di
notte il monastero per recarsi in Spagna “a
studiare presso gli arabi l’astrologia e altre scienze di questa natura”.
Gerberto
d'Aurillac maestro degli ancora fanciulli san Fulberto e Roberto il Pio a Reims, dal Codice
Manesse delXIV
secolo
Incoronazione
di Stefano quale re d'Ungheria, particolare estratto dacodice
miniato del XIV
secolo (ilChronicon de Gestis Hungarorum oChronica Picta).
Un
esempio di abaco, datato intorno al 1340. I calcoli medievali dell'aritmetica
aumentarono la velocità di misurazione attraverso le colonne e le prove.
Quest'abaco è un esempio di quelli usati per l'insegnamento da Gerberto di
Aurillac e da Bernellino di Parigi (d. 1003).
IN CARRIERA. In
realtà nella terra dei maghi, Gerberto ci arrivò nel 967,
con la benedizione dei confratelli, su proposta del duca Borrel di Barcellona.
Il duca era un potente feudatario ispanico di religione cristiana che, in
visita ad Aurliac, si era reso conto del potenziale intellettivo e della fame
di conoscenza del giovane. Giunti in Catalogna, il
duca raccomandò il ragazzo all’erudito Attone, il vescovo della diocesi di Vic,
perché gli facesse conoscere l’aritmetica, la musica, la geometria e
l’astronomia, materie scientifiche per i mussulmani, che all’epoca, occupavano
buona parte della Spagna Gerberto era scappato a gambe levate, invocando il
diavolo in aiuto, dopo aver rubato un libro di negromanzia al suo maestro
arabo. E che tornato in Francia si era fabbricato un Golem: una testa d’oro
magica, abitata da un demone, che gli prediceva il futuro e rispondeva si o no
alle sue domande. Quella testa lo avrebbe accompagnato nel 972, anche la cattedrale di Reims, sede della famosa
scuola gestita dall’arcivescovo Adalberone, dove Gerberto diede inizio alla
carriera di docente. “Insegnava tutte le
arti liberali e con l’aritmetica e le diverse applicazioni della geometria
esponeva al trigonometria e l’algebra che allora erano conosciute solo dagli
arabi. Dalla Germania e dall’Italia andavano alla sua scuola le migliori menti
dell’epoca. E a Reims, come nell’abbazia di Bobbio (Pc), dove fu abate tra il
982 e il 984, Gerberto mise a punto una biblioteca incomparabile per quel
tempo”, scrive lo storico delle religioni Mario Bacchiega.
Come (forse) ti uccido il pontefice.
Alla magia nera credevano davvero i
sette frati guidati da Giacinto Centini, nipote del cardinale Felice,
aspirante pontefice, che nel ‘600 tentarono fuori papa Urbana VIII con un
rito negromantico.
Bersaglio
sbagliato. Il gruppo
scelse di affidarsi a due libri proibiti: le profezie di Gioacchino da Fiore
e
|
COLLEZIONISTA. La verità è che il futuro pontefice era un
bibliofilo accanito: varie lettere testimoniano la sua forsennata ricerca di
codici e la richiesta a vari monasteri d’Europa di copie o traduzioni di testi
arabi, greci, scientifici e non. Quando diventò arcivescovo a Reims (991),
spese in manoscritti tutto il denaro donato alla cattedrale dall’imperatore e
dagli studenti. Forse da questa sua passione nacque, nel XIII secolo, la storia
secondo cui a Reims Gerberto finì sul lastrico: a causa del gioco d’azzardo o
per un amore non corrisposto. A salvarlo sarebbe intervenuta Meridiana,
un’adepta di riti esoterici, che, dopo avergli dato conoscenza e potere in
cambio d’amore, gli pronosticò la sua elezione a papa. La storia però dimostra
che a fare Gerberto un pontefice non fu una fata, ma il nuovo imperatore Ottone
III. In quegli anni politicamente travagliati, l’ex monaco aveva sempre
appoggiato la famiglia degli imperatori tedeschi. Se nel breve termine questa
lealtà gli aveva procurato una carriera a singhiozzo e due scomuniche più
politiche che religiose, alla lunga lo premiò: poco dopo che Gerberto era stato
promosso arcivesco di Ravenna (998), l’imperatore lo nominò pontefice.
Bonifacio VIII: un altro papa sospetto.
Dal processo (1310-1313) intentatogli
per motivi politici dal re di Francia Filippo IV il Bello, papa Bonifacio
VIII, che era passato a miglior vita nel 1303, uscì pulito. Fin da prima
della sua morte, però, fu accusato, oltre che di essere eretico, anche di
usare la magia e idolatrare il demonio.
TALISMANI. I suoi
nemici mormoravano che possedesse un demone personale, a cui chiedeva
consiglio su tutto, e un anello magico. Molti cardinali confermavano di
averlo visto: la leggenda voleva che il papa lo avesse strappato
personalmente al cadavere di re Manfredi di Svevia e che al suo interno vi
fosse intrappolato uno spirito.
|
ALLA POLVERE. La morte prematura di Ottone (1002) mandò in
frantumi il sogno di entrambi di istituire un nuovo pacifico regno cristiano,
guidato in modo concorde dalle due massime cariche laiche e religiose. Solo e
odiato dai romani, Silvestro seguì l’amico nella tomba poco più di un anno
dopo. Alcuni contemporanei dicevano che il suo corpo fu smembrato, su richiesta
del pontefice stesso, desideroso di punire i propri empi comportamenti, e dato
in pasto a cani e corvi oppure consegnato ai diavoli. Altri cronisti invece
sostenevano che, quando un papa stava per morire, le ossa di Gerberto
sbatacchiassero all’interno del suo sepolcro, nella chiesa di San Giovanni in
Laterano, o che dal sarcofago uscisse acqua senza motivo. Le chiacchiere si
spensero nel 1684, in
un clima di riabilitazione storica dell’ex papa-mago: durante i lavori di
ricostruzione della basilica di San Giovanni, l’arca marmorea in cui era stato
deposto Silvestro II venne aperta. Testimoni giurarono che il pontefice giaceva
perfettamente conservato, con i suoi paramenti, le mani incrociate sul petto e
tiara sul capo. Poi, appena l’aria penetrò nel sepolcro, si polverizzò e
scomparve. Quasi come per magia .
Così riporta il canonico Cesare
Rasponi:
« Quando
si scavò sotto il portico, il corpo di Silvestro II fu trovato intatto,
sdraiato in un sepolcro di marmo a una profondità di dodici palmi. Era
rivestito degli ornamenti pontificali, le braccia incrociate sul petto, la
testa coperta dalla sacra tiara; la croce pastorale pendeva ancora dal suo
collo e l'anulare della mano destra portava l'anello papale. Ma in un momento
quel corpo si dissolse nell'aria, che ancora restò impregnata dei soavi
profumi posti nell'urna; nient'altro rimase che la croce d'argento e l'anello
pastorale. »
|
Gerberto scrisse una serie di opere, che
trattavano principalmente questioni di filosofia e
le materie del quadrivio. Di lui ci restano parecchie
lettere, una Vita di
Sant'Adalberto, vescovo di Praga, che però si tende a ritenere spuria[89], ed alcune opere di matematica. Gli scritti di Gerberto furono
stampati nel volume 139 dellaPatrologia Latina[90].
Scritti matematici
·
Libellus de numerorum divisione;
·
De geometria;
·
Epistola ad Adelbodum;
·
De sphaerae constructione;
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Libellus de rationali et ratione uti;
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Regula de abaco computi;
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Liber abaci;
Scritti ecclesiastici
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Sermo de informatione episcoporum;
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De corpore et sanguine Domini;
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Selecta e conciliis Basolensi, Remensi, Mosomensi, etc.
Lettere
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Epistolae ante summum pontificatum scriptae;
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218 lettere, che includono missive all'imperatore, al papa e
vescovi vari.
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Epistolae et decreta pontificia;
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15 lettere a vari vescovi, fra cui Arnolfo, e abati, e una lettera
a Stefano I d'Ungheria[92];
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una lettera -di dubbia attribuzione- a Ottone III;
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5 brevi poesie.
Altro[
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Acta concilii Remensis ad S. Basolum;
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Leonis legati epistola ad Hugonem et Robertum reges.
Testo
in gran parte di Maria Leonarda Leone su Focus Storia 139, immagini e altri
testi da Wikipedia.
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