La battaglia di
Gravelinga (1588)
La disfatta
dell’Armada Invincibile.
Così la potente flotta
spagnola di Filippo II fu fermata dalle navi di Elisabetta I. Grazie a questo
successo, l’Inghilterra affermò il proprio dominio sui mari del nord.
Quando
il capitano inglese Thomas Fleming, il 29 luglio 1588, dalla tolda della Golden
Hind avvistò per primo lungo le coste della Cornovaglia la flotta spagnola
diretta nella Manica pensò davvero che fosse “invincibile”, la più grande forza
che avesse mai visto dispiegata in mare aperto. In effetti per risolvere
definitivamente la “questione inglese” ed eliminare l’odiata Elisabetta,
Filippo II re di Spagna, sovrano di quell’impero sul qual non tramontava mai il
sole, aveva fatto le cose in grande, attingendo a piene mani dal sontuoso
bilancio garantito dall’oro delle colonie del Nuovo Mondo per armare una
gigantesca flotta di 130 navi da guerra, composta di galeoni e mercantili.
Eppure mai nella storia l’aggettivo invincibile è stato speso più a sproposito (in
realtà l’etichetta è posteriore, gli spagnoli avevano battezzato la loro flotta
“Grande y Felicisima Armada”) e mai ci fu così grande scarto tra le aspettative
di vittoria della vigilia e la repentina e disastrosa disfatta in mare. E ciò
soprattutto se consideriamo che una delle parti in campo era la Spagna, reduce
dalla vittoria di Lepanto nel 1571 (vedi l’articolo la battaglia di Lepanto su
questo blog), che aveva ridimensionato il pericolo ottomano nonché fresca
conquistatrice del Portogallo (1580), suo storico rivale sul mare. Invece a
gettare l’ombra sui fulgidi orizzonti di gloria di Madrid si stagliò la figura
arcigna dell’ultima discendente dei Tudor, Elisabetta I d’Inghilterra, sovrana
di una nazione destinata a una crescita esponenziale che, grazie alla tempra
della regina vergine, avrebbe preso il posto della Spagna fino a ergersi a baluardo
di modernità, potenza marittima e coloniale per molti secoli a venire.
Filippo II d'Asburgo Tiziano; Ritratto di Filippo II di SpagnaRe di Spagna In carica16 gennaio 1556 - 13 settembre 1598PredecessoreCarlo VSuccessoreFilippo IIITrattamentoMaestàAltri titoliRe di Napoli
Re di Sicilia
Re di Sardegna
Duca di Milano
Re del Portogallo (dal 1581)
Duca delle Fiandre
Duca di Borgogna
Re del Perù
Signore del Vicereame della Nuova Spagna e delle Filippine
Re consorte d'Inghilterra e d'Irlanda (1554-1558)
Arciduca d'AustriaNascitaValladolid, Spagna, 21 maggio 1527MorteEl Escorial, Spagna, 13 settembre 1598SepolturaCripta Reale del Monastero dell'EscorialCasa realeAsburgoPadreCarlo V d'AsburgoMadreIsabella del PortogalloConiugiMaria Emanuela d'Aviz
Maria I d'Inghilterra
Elisabetta di Valois
Anna d'AustriaFigliDon Carlos, Principe delle Asturie
Isabella Clara Eugenia
Caterina Michela
Filippo IIIMottoNON SUFFICIT ORBISFirma
Filippo d'Asburgo (Valladolid, 21 maggio 1527 – San Lorenzo de El Escorial, 13 settembre 1598), noto anche come Filippo il Prudente (Felipe el Prudente), dal 1556 alla sua morte fu re di Spagna come Filippo II, re del Portogallo e Algarve (dal 1581) re di Sicilia, re di Sardegna, re di Napoli (dal 1554) come Filippo I (in portoghese Filipe I) e duca di Milano (dal 1540). Fu anche re consorted'Inghilterra dal 1554 al 1558 (sebbene, nell'ultimo periodo, avesse fatto pressioni per divenire re regnante, ma senza successo).
ESPUGNARE IL BASTIONE ANGLICANO. Erede di un
immenso regno (di cui facevano parte i Paesi Bassi, la Spagna, i regni di
Napoli, Sicilia, Sardegna e le Indie, ma non del trono imperiale rimasto allo
zio Ferdinando), gravato però da un perenne deficit di bilancio, il devotissimo
Filippo II, in piena Controriforma, si caricò della responsabilità di guardiano
dell’ortodossia cattolica, in primis contro gli Ottomani, ma anche avversando
per tutta la vita l’eresia protestante che invece trovò in Elisabetta,
anglicana, un’interessata paladina. Ma non di sola religione si nutrì lo
scontro tra i due sovrani. Seppur inizialmente sostenuta nella sua ascesa al
trono dallo stesso Filippo II, la regina inglese non si era fatta poi scrupolo
di disdegnare le sue profferte di matrimonio e contemporaneamente aveva preso
segretamente a finanziare la guerra di corsa dei pirati inglesi nell’Atlantico
allo scopo di danneggiare i traffici spagnoli con le colonie. E quando nelle
Fiandre . soggette al re di Spagna, che vi governava in nome di Filippo la
sorellastra Margherita d’Austria, era esplosa la rivolta calvinista, Londra non
solo decise di finanziare i ribelli ma, in risposta all’adesione della Spagna
alla Lega cattolica, nel 1588 inviò loro in appoggio anche un contingente
militare. Filippo intese questa decisione come una dichiarazione di ostilità
contro la sua persona, e così di fatto si aprì la guerra anglo-spagnola, un
conflitto intermittente tra i due Paesi che, sebbene mai ufficialmente
dichiarato, si sarebbe trascinato fino al 1604. Quando Elisabetta, dopo aver
imprigionato la cattolica regina di Scozia Maria Stuarda, permise che essa
venisse processata e messa a morte all’inizio del 1587, Filippo considerò la
misura colma e, pur essendosi conquistato il titolo di rey prudente (un modo
elegante per definire la sua cronica idiosincrasia a prendere decisioni
definitive), diede sbrigativamente il suo assenso al piano per la conquista
dell’Inghilterra. L’impresa da un lato sarebbe servita a spegnere
definitivamente la rivolta nei Paesi Bassi e dall’altra ad adempiere alla
missione affidatagli dalla Controriforma, ossia espugnare il bastione anglicano
e riportare a Londra la vera fede cattolica.
Elisabetta I Tudor (Greenwich, 7 settembre 1533 – Richmond upon Thames, 24 marzo 1603) è stata regina d'Inghilterra e d'Irlandadal 17 novembre 1558 fino alla sua morte.
Figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, e talvolta chiamata "regina vergine", "Gloriana" o "la buona regina Bess", Elisabetta fu la quinta e ultima monarca della dinastia Tudor; liberata dalla prigionia alla quale era stata sottoposta nel 1558 per evitare che prendesse il potere, succedette nello stesso anno alla sorellastra Maria I d'Inghilterra, morta senza eredi. Il suo regno fu lungo e segnato da molti avvenimenti importanti. La sua politica di pieno sostegno alla Chiesa d'Inghilterra, dopo i tentativi di restaurazione cattolica da parte di Maria Tudor, provocò forti tensioni religiose nel regno e vi furono parecchi tentativi di congiure contro di lei, in cui fu coinvolta anche la cugina Maria Stuarda, che ella fece giustiziare dopo averla confinata per molti anni.
Coinvolta a più riprese nei conflitti religiosi della sua epoca, uscì vittoriosa dalla guerra contro la Spagna; sempre durante il suo regno furono poste le basi della futura potenza commerciale e marittima della nazione ed ebbe inizio la colonizzazione dell'America settentrionale.[1] La sua epoca, denominata età elisabettiana, fu anche un periodo di straordinaria fioritura artistica e culturale: William Shakespeare, Christopher Marlowe, Ben Jonson, Edmund Spenser, Francis Bacon sono solo alcuni degli scrittori e pensatori che vissero durante il suo regno.
Il nome della prima colonia inglese in America, la Virginia, fu scelto in onore alla "regina vergine".[2]
Navi e artiglieria: la superiorità
inglese.
Gli inglesi che si opposero
all’Armada di Filippo II furono favoriti dal combattere in acque amiche,
abituati meglio degli avversari ai venti e alle correnti della Manica e con
il vantaggio di avere porti amici a disposizione dove rifugiarsi o fare
provviste. Ma altri elementi contribuirono alla vittoria. A partire dalla diversa
attitudine al combattimento: a bordo dei poderosi galeoni che a Lepanto
avevano avuto ragione degli ottomani, gli spagnoli erano preparati per lo
scontro a distanza ravvicinata, il classico arrembaggio; gli inglesi, invece,
dotati di vascelli più leggeri e veloci contavano su una guerra a distanza,
favoriti da questo dal numero delle colubrine che armava la loro flotta: 1874
contro le sole 635 sulle navi spagnole. La colubrina era l’unico pezzo
d’artiglieria che le XVI secolo era in grado di colpire un obbiettivo a 800
metri di distanza.
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IL BLITZ DI DRAKE. Il più importante uomo di mare
del regno, il marchese di Santa Cruz, tra i maggiori sponsor del conflitto,
richiese più di 500 navi e poco meno di centomila uomini, un budget eccessivo
perfino per le ricchissime casse spagnole. Filippo preferì invece un’azione
meno dispendiosa che si limitasse a prendere il controllo della Manica per poi
traghettare le truppe di Alessandro Farnese, il valente uomo d’armi italiano
che aveva represso la rivolta nei Paesi Bassi, sulle coste inglesi. Il piano
procedette nel massimo riservo e la flotta che andava ammassandosi a Lisbona
venne giustificata, agli occhi delle altre potenze europee, come la
preparazione di una nuova spedizione nelle Americhe. La regina Elisabetta, che
invece aveva intuito le vere intenzioni spagnole, spedì il fidato Francis
Drake, l’ex corsaro inglese insignito del titolo di cavaliere, a boicottare
l’impresa. Drake penetrò indisturbato nel porto di Cadice e catturò o distrusse
32 imbarcazioni spagnole; infine si spinse a occupare il porto di Sagres
tagliando per oltre un mese le comunicazioni tra Lisbona e l’Andalusia. Il
blitz corsaro di Drake rallentò non poco i preparativi di Madrid e andò a
sommarsi a un altro inciampo che intervenne nel gennaio del 1588 con la morte
del marchese di Santa Cruz. La sua sostituzione fu problematica e a lungo
discussa. Alla fine si decise di lasciare l’impresa al duca di Medina Sidonia,
Alonzo Perez de Guzman, uomo completamente digiuno di mare, al quale venne però
affiancato l’esperto ammiraglio Diego Flores de Valdes. Il vero comando della
flotta sarebbe stato assunto dal duca di Parma, Alessandro Farnese, una volta
che l’Armada avesse ottenuto il controllo del Canale e attraccato sulle coste
inglesi. Lo stesso Farnese, nel frattempo, aveva radunato sulla Manica un
esercito composto da circa 20mila uomini e 5mila cavalieri (oltre a un certo
numero di navi da sbarco), in attesa della flotta proveniente da Lisbona. Il 19
maggio del 1588 l’Armada lasciò finalmente il porto portoghese, ma subito
incappò in un’improvvisa tempesta nelle vicinanze di Capo Finisterre che la
costrinse a trovare riparo a La Coruna.
Sir Francis Drake (Tavistock, 13 luglio 1540 – Portobelo, 28 gennaio 1596) è stato un corsaro, navigatore e politico inglese. Fu il primo inglese a circumnavigare il globo, dal 1577 al 1580, e fu insignito del titolo di cavaliere al suo ritorno dalla regina Elisabetta I. Fu il comandante in seconda della flotta inglese che sconfisse l'Invincibile Armata nel 1588.
Le
fasi della battaglia.
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Fase 1: gli
attacchi inglesi. L’Armada
spagnola con 130 vascelli fa rotta verso il Canale della Manica. Gli inglesi
fanno sfilare le navi nemiche al largo di Plymouth per poi attaccarle alle
spalle. I primi scontri non producono gravi danni ma gli spagnoli perdono il
galeone Nuestra Senora del Rosario che, rimasto isolato, si consegna a Drake;
soprattutto salta in aria per un incidente la San Salvador, la nave che
trasporta il tesoro della spedizione, colata a picco dopo un accidentale
scoppio di due barili di polvere da sparo a bordo. Le schermaglie fra le due
flotte continuano fino al 2 agosto attraverso scontri minori che svolgono al
largo di Portland e vicino all’isola di Wight. Seppur inseguiti e
disorientati gli spagnoli riescono a fuggire lungo il Canale per poi
contrattaccare l’avanguardia inglese che si sottrae salvandosi. Il 6 agosto
l’Armada getta le ancore in prossimità del porto di Calais.
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Fase 2: la
battaglia. Le
navi con le truppe del duca di Parma sono in ritardo, bloccate a Bruges da 35
navi olandesi, il duca Medina Sidonia, comandante in capo della flotta
spagnola decide di non uscire da Calais per non affrontare l’intera flotta
inglese riunita. Ma nella notte del 7 agosto lord Seymour dà fuoco a 8 navi
da guerra e lascia che la corrente le porti addosso alle navi imperiali. Gli
spagnoli sono costretti a salpare in tutta fretta, e alcuni velieri si
scontrano fra loro, la flotta si disperde nella notte. Quel che resta
dell’Armada si raduna al largo di Gravelines dove il giorno dopo si svolge la
battaglia decisiva. Gli inglesi sono in superiorità numerica e lo scontro non
lascia scampo agli spagnoli che perdono altre navi. Un’improvvisa burrasca
divide le due flotte e permette agli spagnoli di fuggire verso nord.
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Fase 3: In
balia delle onde. L’Armada
ha perso la speranza di battere gli inglesi che, dal canto loro, inseguono
blandamente i nemici diretti a nord. A causa dei venti contrari e del
pericolo inglese sempre presente sulla Manica, Medina Sidonia decide di
rientrare in patria circumnavigando Scozia e Irlanda. Ma tre violentissime
tempeste attendono gli spagnoli nel lungo viaggio di ritorno conclusosi
soltanto il 21 settembre a Santander: delle 130 navi con 24mila uomini che
erano salpate da Lisbona, 45 imbarcazioni ( e con loro 10mila uomini)
andarono perdute colando a picco o infrangendosi sulle scogliere.
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LA PRIMA BATTAGLIA. Le navi spagnole
tornarono in mare soltanto il 12 luglio, nonostante i timori del Medina
Sidonia, convinto che il maltempo fosse un preciso segno divino avverso erano idel perdurare della missione oltre i
tempi previsti, la carne imbarcata a Lisbona era ormai immangiabile e nel porto
galiziano non furono trovati i rifornimenti sufficienti per rimpiazzarla.
Fedele agli ordini ricevuti, l’ammiraglio spagnolo prese a veleggerai lungo la
costa francese, così da evitare lo scontro con gli inglesi e raggiungere Calais
e il Farnese. Ma le correnti della Manica, sconosciute o quasi alla marineria
iberica, portarono i galeoni proprio dove il Medina non voleva, ovvero lungo le
coste inglesi. L’Armada venne avvistata dal nemico il 29 luglio: era composta
da un totale di quasi 30mila uomini (di cui 8mila marinai) e di circa 130 navi.
Di queste, solo 30 erano veri galeoni da guerra, mentre altre 60/70 erano
imbarcazioni dotate in un’incerta potenza di fuoco. Di contro l’Ammiragliato
inglese poteva contare su 17.500 uomini e su circa 172 navi, 34 affidate a lord
Howard d’Effingham, e 64 mercantili armati a Francis Drake. Inoltre aveva 36
unità a disposizione di lord Seymour, mentre la squadra di navi da trasporto
era affidata a lord Thomas Howard, di presidio sul Canale della Manica (Seymour
era impegnato nel blocco navale delle coste delle Fiandre) lasciarono che il
nemico sfilasse di fronte a Plymputh così da poterlo attaccare alle spalle.
Nonostante il perdurare del bombardamento, l’azione inglese non provocò ingenti
danni alla flotta di Filippo II e, anzi, il galeone del viceammiraglio spagnolo
Juan Martinez de Recalde, il “San Juan de Portugual”, pur rimasto isolato e
attaccato per oltre due ore riuscì a ricongiungersi con l’Armada. La prima
battaglia si spense così senza grandi azioni nel primo pomeriggio del 30
luglio.
UN NEMICO SCALTRO E POTENTE. La flotta spagnola
riprese a quel punto la sua rotta attraverso la Manica, ma il 31 venne
impegnata in un nuovo scontro. Questa volta l’ammiraglia della squadra
andalusa, la Nuestra Senora del Rosario, venne separata dal resto della flotta
iberica e il suo comandante, don Pedro de Valdès, fu costretto ad arrendersi a
Drake. Nelle stesse ore saltò in aria la San Salvador, la nave che conteneva il
tesoro della spedizione spagnola. Le scaramucce continuarono fino al 2 agosto,
con gli inglesi sempre attenti a tenere la distanza dai potenti galeoni nemici
per sfruttare la più lunga gittata delle proprie artiglierie ed evitare invece
i pericolosi abbordaggi in cui gli spagnoli primeggiavano. Seppur danneggiata
dai cannoni inglesi e tormentata dalla dissenteria esplosa a bordo, il 6 agosto
l’Armada gettò le ancore nel porto di Calais, dove a causa del blocco navale
imposto dagli inglesi (in questo supportati anche dalla marineria olandese)
Alessandro Farnese non era arrivato, bloccato com’era a Bruges con le sue
truppe. Medina decise allora di rimanere alla fonda di fronte alla città così
da evitare lo scontro in mare aperto con la flotta inglese riunita. La sua
strategia avrebbe potuto funzionare se solo gli inglesi non avessero fatto
scivolare contro l’Armada otto navi da guerra a cui avevano dato fuoco: per
sottrarsi al pericolo di un incendio, i navigli spagnoli dovettero prender in
modo disordinato il mare e nella confusione alcuni finirono addirittura per
scontrarsi fra loro, mentre la maggior parte fuggirono nella notte
disperdendosi. La San Lorenze, ammiraglia delle galeazze iberiche, nella rotta
persa il timone e si incagliò sulla costa.
UNA CONQUISTA IMPOSSIBILE. La battaglia decisiva
iniziò allo spuntare del giorno nel braccio di mare di fronte a Gravelines (o
Gravelinga), lungo la costa dell’Alta Francia. La flotta inglese fece fuoco sui
vascelli spagnoli a distanza ravvicinata facendone colare a picco almeno tre e
danneggiandone molti altri. Gli spagnoli, ormai dotati di poche munizioni,
tentarono invano di resistere all’assalto. Una violenta tempesta costrinse però
gli inglesi a sospendere l’attacco fino all’indomani. Il giorno successivo
l’Armada, riorganizza dosi, si presentò davanti al nemico pronta a combattere,
ma ancora una volta il fato decise diversamente: un improvviso cambio del vento
la indirizzò infatti dapprima contro la costa olandese e in seguito, quando il
disastro appariva inevitabile, verso il nord e il mare aperto.
Fu chiaro a quel punto
che la conquista dell’Inghilterra era fallita. Per cercare di salvare il
maggior numero di navi possibile, Medina decise di avventurarsi nella
circumnavigazione della Scozia e dell’Irlanda, rotta molto più lunga e
rischiosa ma che consentiva di tenersi alla larga dalla pericolosissima Manica,
dove gli inglesi avrebbero potuto tornare ad attaccare in ogni momento.
Per l’Armada il rientro
fu un vero e proprio calvario; quello che non avevano fatto i cannoni inglesi,
fu compromesso da tre rovinose tempeste che colpirono gli spagnoli falcidiando
la flotta. La notizia della cocente sconfitta arrivò al palazzo di Filippo II
in settembre, giusto il tempo per i resti dell’Armada di raggiungere mestamente
il porto di Santander. Sebbene l’esito dello scontro fosse stato clamoroso, lo
smacco subito non cambiò l’atteggiamento di Filippo che rimase convinto di
poter ritentare l’impresa della conquista dell’Inghilterra. Lo avrebbe fatto,
senza successo, ben due volte tra il 1596 e il 1597. Poi per oltre due secoli
nessuno osò più sfidare la potenza inglese a casa propria. Nell’Ottocento ci
provò Napoleone, un secolo e mezzo dopo anche Adolf Hitler, ma entrambi
conobbero gli stessi catastrofici risulta di Filippo II di Spagna.
Articolo in gran parte
di Mario Galloni pubblicato su Le grandi battaglie navali, Sprea editori. Altri
testi e foto da Wikipedia.
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