Il
blitzkrieg – la travolgente guerra lampo.
Le
radici nella tradizione militare prussiana.
Prima
di diventare un punto di forza dell’esercito nazista, questa modalità di
combattimento si sviluppò attraverso un
lungo processo. Eccone le origini.
Il
termine guerra lampo compare per la prima volta il 25 settembre 1939 in un
articolo della rivista americana Time che commentava la vittoria della Germania
nazista sulla Polonia. L’intuizione giornalistica aveva sintetizzato in poche
lettere un nuovo tipo di guerra: colonne di carri armati avevano travolto un
avversario di tutto rispetto con la rapidità e la potenza di un fulmine, e il
mondo attonito cercava almeno di dare un nome a quel fenomeno sorprendente,
fosco presagio di ulteriori guerre. La parola Blitzkrieg, infatti, non compare
in nessun documento ufficiale dell’esercito tedesco, né esiste alcun manuale di
dottrina che descriva o tratti della Blitzkrieg in quanto tale. Per comprendere
appieno quel nuovo tipo di guerra, però, non si poteva cominciare dal 1°
settembre 1939, quando i primi carri armati violarono il confine polacco, ma si
doveva andare molto indietro negli anni. La Blitzkrieg, infatti, non era uno
spartiacque nella storia dell’arte militare, emerso dal nulla nella Germania
nazista, ma il risultato di un processo evolutivo maturato per oltre un secolo,
che affonda le sue radici nella cultura e nelle dottrine sviluppate
dall’esercito prussiano a partire dall’Ottocento. La cocente sconfitta subita a
opera di Napoleone nel 1808 venne presa come una lezione dalla quale ripartire
per prendersi la rivincita. I motivi del successo delle armate rivoluzionarie
vennero indagati a fondo da un comitato guidato dal più radicale esponente del
movimento riformatore del corpo di ufficiali prussiano, Gerhard von
Schrnohorst, e applicati con tale efficacia e acume che i risultati furono
subito eclatanti. Dalla campagna del 1813 fino a Waterloo, infatti, il
contributo dell’esercito prussiano alla sconfitta finale di Napoleone fu
decisivo. Von Scharnhorst introdusse la coscrizione obbligatoria, la
meritocrazia nella selezione e
nell’avanzamento degli ufficiali, impose a un esercito fossilizzato sulle
rigide manovre settentesche l’addestramento alle elastiche tattiche di
schermaglia, istituì specifici percorsi formativi specialistici per gli
ufficiali di Stato maggiore, promosse una conduzione delle armate sul campo più
spregiudicata e aggressiva. Era una riforma così profonda da avere effetti
duraturi sulla stessa società prussiana, elevando lo status sociale della
professione militare, ma conferendole al contempo elementi di dinamicità
intellettuale e pratica che non avevano paragoni nel resto del mondo.
Von
Clausewitz e il concetto di Schwerpunkt.
Gerhard
Von Clausewitz volle come suo assistente personale un ufficiale non ancora
trentenne, ma già molto stimato nell’esercito prussiano per le sue qualità
intellettuali: Carl von Clausewitz. Il pensiero di quest’ultimo ebbe
un’influenza enorme sulla comprensione della guerra e sugli sviluppi della
cultura strategica. Un apparato concettuale ciclopico che trova il suo
culmine nel “Della guerra”, a tutt’oggi un’opera unica nella storia del
pensiero militare. Von Clausewitz non offriva precetti e soluzioni
schematiche, anzi li rifiutava, ma partendo dall’esperienza concreta della
guerra invitava i militare a imparare a muoversi in un ambiente mutevole e
caotico. Gli eserciti sul campo dovevano essere letti come strutture fluide e
in continuo movimento, e come ogni struttura essi erano dotati di un
baricentro, che costituiva il loro punto di equilibrio. Von Clausewitz lo
chiama “Scwerpunkt” e per i militari fu un’illuminazione. Gli eserciti (e
persino le nazioni) si reggevano su uno Scwerpunkt: per vincere bisognava
definire precisamente il proprio e scoprire qual’era quello del nemico per
colpirlo, sbilanciando e facendo crollare in un sol colpo tutto il suo
apparato bellico. Per Von Clausewitz lo Scwerpunkt era un punto critico, più
che un punto forte o debole, ma fu in questa seconda interpretazione
semplificata e riduttiva che il concetto conobbe la sua più vasta diffusione,
rimanendo comunque un faro inestimabile dell’azione militare. A qualsiasi
livello di operazioni, da quello strategico a quello tattico, il successo era
garantito se il massimo sforzo dell’attaccante veniva esercitato sul punto
più debole del difensore.
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Von Moltke e la Auftragstaktik.
A Metà dell’Ottocento la Prussia stava avviando il
processo di unificazione tedesca, incontrando l’ostilità di tutte le nazioni
confinanti. Era il momento di una riforma militare che adeguasse l’esercito
prussiano alle nuove sfide che lo attendevano. Il capo di Stato maggiore
Helmut Von Moltke fu il secondo più grande innovatore del sistema militare
prussiano dopo la riforma di Von Scharnhorst e proseguì l’opera del suo
predecessore ampliandola e aggiornandola. Tutte le nazioni europee, a
eccezione della Gran Bretagna, ormai avevano adottato una la coscrizione
universale, a ferma più o meno lunga, mettendo in campo eserciti di
dimensioni mai raggiunti prima. Nel contempo la nascente società industriale
non solo riusciva a sfornare armi in quantità sufficiente per simili masse di
uomini, ma sapeva anche renderle ogni anno più letali, in un continuo
processo stimolato da un’innovazione tecnologica che procedeva a un ritmo
vertiginoso. Von Moltke aveva percepito le linee tendenziali di questo
processo, e su questo fondò i suoi principi di riforma. Gli eserciti di massa
si sarebbero dispersi su un’area troppo vasta per essere controllati da
un’unica mente e persino il comandante di un plotone sarebbe riuscito a dare
ordini solo agli uomini che poteva raggiungere strisciando per evitare le
pallottole del nemico. In queste condizioni, ripeteva spesso che “ogni piano era destinato a essere
sconvolto al primo incontro con il nemico”. Questo non annullava
l’importanza dei piani di battaglia, ma richiedeva che gli obiettivi fossero
chiari e condivisi, su tutti i gradini della scala gerarchica, da quanti
dovevano applicarli. Ma non era sufficiente comprenderli: ogni ufficiale e
sottoufficiale doveva essere in condizione, per preparazione e per carattere,
di individuare quando e come modificare il modo per raggiungere quegli
obiettivi, se la situazione sul campo lo richiedeva. Era la Auftragstaktik, o
tattica del compito, che richiedeva autonomia di giudizio, intraprendenza,
senso di responsabilità. Valori che divennero essenziali nella cultura
militare tedesca,
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L’elaborazione
della dottrina.
Alla
conclusione della grande guerra si rese necessario comprendere quali sbagli
erano stati compiuti e quali lezioni se ne potevano trarre per rimediare alle
falle del sistema militare tedesco.
La
Germania era uscita sconfitta dalla Grande Guerra, e alla prostrazione dovuta
all’immane costo umano e materiale del conflitto si erano aggiunte le punitive
condizioni imposte dal Trattato di Versailles. I vincitori volevano garanzie
che la Germania non avrebbe rappresentato un pericolo per la pace europea e
mondiale e inserirono nell’accordo clausole che rendevano l’esercito tedesco poco
più di una formalità: limiti di 100mila uomini, divieto di possedere
un’aviazione militari e carri armati, divieto di avere uno Stato maggiore, al
massimo un burocratico Truppenamt (un dipartimento delle truppe). La neonata
repubblica tedesca pose a capo del Truppenamt Hans von Seeckt, chiedendogli di
garantire alla propria nazione uno strumento difensivo: che doveva essere
piccolo, ma non per questo doveva anche essere debole. Come von Scharnhorst
prima di lui, anche von Seeckt incominciò il lavoro analizzando la sconfitta,
ma se al suo predecessore era bastato un solo comitato per questo compito, egli
ne istituì ben 57. Ognuno di essi era composto di ufficiali con esperienza del
campo di battaglia e von Seeckt poneva loro le stesse domande: che cosa era
successo nella guerra 1914-18? Che cosa non si era capito? Che lezioni si
poteva trarre? La franchezza persino brutale era una consolidata tradizione tra
gli ufficiali tedeschi, che erano abituati ad esprimere la propria opinione
senza artifici e ipocrisie che la rendessero accettabile ai loro superiori, e
questo era una garanzia che i risultati delle commissioni, se non efficaci,
sarebbe stati almeno sinceri.
Già la conferma in seno
all’esercito della validità di un sistema e di una cultura fu un primo
risultato per von Seeckt. In continuità con l’eredità di von Scharnhorst, con
il pensiero di von Clausewitz e con le riforme di von Moltke, venne ribadito
che qualsiasi analisi, così come qualsiasi soluzione, doveva basarsi
sull’esperienza diretta e concreta di quanto avveniva sul campo di battaglia.
La guerra era stata persa per i gravi errori strategici compiuti da quanti si
erano succeduti al più alto comando dell’esercito tedesco: da Helmuth von
Moltke “il Giovane” (nipote e omonimo del suo predecessore), a Erich von
Falkenhayn e a Erich Ludendorff.
I componenti delle 57
commissioni di von Seeckt, però, non guardavano così in alto, e si limitarono a
descrivere ciò che essi avevano visto con i loro occhi. Da un lato il sistema
di cui facevano parte aveva sicuramente funzionato. L’esercito tedesco non solo
aveva superato per addestramento e combattività quello dei suoi nemici, ma era
stato in grado di elaborare al proprio interno, un metodo tattico per prevalere
sulle arcigne difese tattiche dei nemici incentrate sul binomio
mitragliatrice-trincea. Le Stosstruppen (Squadre di fanteria d’assalto) con il
loro addestramento speciale, la loro agilità e aggressività, la loro capacita
di impiegare in modo combinato e sinergico lanciafiamme, cannoni di
accompagnamento e armi automatiche, avevano perforato e superato ogni ostacolo,
ottenendo successi che si ritenevano impossibili. Tuttavia se questo non era
stato sufficiente a vincere la guerra, il motivo non poteva solo essere
addebitato agli errori degli alti comandi. Anche gli avversari, infatti,
avevano trovato un modo per rompere la solidità delle trincee, evidenziando una
grave falla nell’intero sistema militare tedesco: efficace, certo, ma
autoreferenziale, incapace di dialogare con il mondo esterno e di attingere
contributi da quanti non indossassero una divisa. Con il loro sistema di
rapporti informali e orizzontali, che mettevano in comunicazione uomini con
esperienze molto diverse, i britannici avevano preso il meglio delle idee e
della tecnologia disponibili e inventato il carro armato. Per quanto
rudimentali, lenti e impacciati, quei primi esemplari di carri rappresentavano
una risposta persino più efficace delle Stosstruppen alla guerra di trincea,
perché il mezzo meccanico poteva realizzare l’obiettivo che all’uomo non era
riuscito: riportare il movimento e la decisione nel campo di battaglia.
I protagonisti.
L’elaborazione della Blitzkrieg fu il frutto di un
intenso sforzo teorico di un gruppo di militari tedeschi negli anni Venti del
XX secolo, proseguito con affinamenti, teorici e in esercitazioni, e
soprattutto con la pratica di combattimento. In senso lato lo stesso Hitler
ha dato un contributo al suo sviluppo. Il Fuhrer non amava la parola
Blitzkrieg: nel 1942 durante un discorso spiegò che si tratta di una pura
trovata italiana, una fraseologia italiana, opinione che probabilmente
derivava dal libro del generale Aldo Cabiati La guerra lampo (1940). La
paternità della Blitzkrieg è un’opera collettiva dell’ambiente militare
tedesco, il risultato di una storia, di una cultura e di un’organizzazione
che proiettavano se stesse in un’era nuova, dominata dalle macchine a motore
a scoppio. Né avrebbe potuto essere altrimenti vista la complessità e
articolazione del risultato.
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Hans von
Seeckt (1866-1938) fu il massimo responsabile delle forze armate tedesche tra
il 1919 e il 1926 e con il suo impegno diede un fondamentale contributo sia
alla rinascita della Wermacht, sia all’elaborazione teorica della Blitzkrieg.
Suo, infatti, il documento di dottrina Comando e combattimento delle armi del
1921, che influenzò profondamente gli sviluppi dottrinari successivi. Il suo
impegno per conferire alla Germania un esercito efficiente e potente,
nonostante i limiti imposti dal Trattato di Versailles, fu totale e senza
esclusione di mezzi: von Seeckt viene ritenuto il mandante ultimo e comunque,
visto il suo ruolo al vertice, almeno coinvolto nell’organizzazione di una
struttura segreta che, assassinò alcuni dei funzionari addetti al controllo
del rispetto delle clausole del trattato.
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Ludwig von
Eimannsberger (1878-1945) nacque a Innsbruck, in Austria, e partecipò alla
Grande Guerra in qualità di generale di artiglieria. Comprese la novità
rappresentata dalla guerra meccanizzata fin dal primo apparire dei carri
armati su un campo di battaglia nel 1917 e da allora in poi fu uno dei più
prolifici e brillanti analisti e teorici in questo campo. Sue alcune delle
frasi più citate e più famose sull’argomento: “La cavalleria è morta, non c’è più posto per lei vicino ai carri
armati. Tuttavia i suoi compiti sono rimasti e per il loro svolgimento in
futuro ci si dovrà affidare ai veicoli corazzati. L’attacco è fuoco e
movimento, e il carro armato unisce entrambi questi elementi in una macchina
da guerra”.la sua opera più famosa è Der Kampfwagenkrieg (la guerra dei
carri armati) e fu pubblicata nel 1933. Fu promosso per questo a influente
esperto mondiale delle strategie della guerra meccanizzata.
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Franz Volckeim
(1898-1962) si arruolò volontario nel Reichswehr a 17 anni e a 19 entrò nel
Panzerkorps, partecipando e facendosi notare a varie azioni di combattimento.
Le sue prime riflessioni sull’impiego di carri armati risalgono al 1923, e da
allora la sua produzione teorica fu ininterrotta. Particolarmente importante
fu la sua esperienza dal 1932 al 1933 come istruttore degli ufficiali
carristi russi nel poligono di Kazan: fu quindi uno dei pochi militari
tedeschi ad avere un’esperienza con i carri armati prima che venissero
prodotti in Germania. Nei suoi libri la dottrina della Blitzgrieg e sulle
tattiche della guerra meccanizzata appaiono già praticamente nella loro
completezza.
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Heinz Guderian
(1888-1954) Il ruolo di questo generale nello sviluppo delle nuove dottrine
sulla guerra meccanizzata in Germania è stato a lungo considerato
fondamentale. In realtà, almeno dal punto di vista della dottrina, la lettura
dei suoi scritti non conferma questa tesi. Il suo pensiero non brilla per
originalità, ma risulta molto simile a quelli di Ludwig von Eimmannsberger e
di Ernst Volckheim, con i quali è tuttavia piuttosto avaro di riconoscimenti.
D’altro canto, dal 1927 in poi, la sua posizione di comandante del
dipartimento che si occupava della motorizzazione e delle trasmissioni radio
dell’Esercito lo mise in condizione di esercitare una vigorosa spinta in
favore della realizzazione pratica della forza corazzata tedesca. Nel 1935 fu
nominato generale e la sua influenza, soprattutto tra i membri del governo nazista,
divenne ancora più importante, seppure assieme a quella di altri ufficiali
come ad esempio il generale Erich von Manstein. La sua condotta durante la
guerra dimostrò comunque che anche se la dottrina della Blitzkrieg non era
una sua invenzione, pochi erano al suo livello quando si trattava di metterla
in pratica sul campo di battaglia.
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Prove
generali di Blitzkrieg.
Dal
primo dopoguerra agli inizi della Germania nazista, la guerra lampo comincia a
delinearsi nella forma che diventerà famosa. Con l’invasione della Polonia (1°
settembre 1939), la Blitzkrieg ebbe il primo collaudo sul campo.
Werner Thomas Ludwig Freiherr von Fritsch
Werner Thomas Ludwig Freiherr von Fritsch
Nel
1921 Hans von Seeckt pubblicò il documento Comando e combattimento delle armi
combinate (Fuhrung und Gefecht der verbundenen Waffen), che divenne il punto di
riferimento dottrinario della Wehrmacht nel periodo tra le due guerre e in non
poca misura anche durante la Seconda guerra mondiale. L’enfasi già posta nel
titolo sul concetto di armi combinate rispondeva all’esperienza acquisita
durante la Grande Guerra con le tattiche delle Stosstruppen, che valorizzavano
la collaborazione tra armi diverse durante il combattimento. L’obiettivo del
documento era mantenere tale attitudine nel futuro campo di battaglia: in
questo contesto sarebbe stati i veicoli dotati di motore a scoppio – fossero
essi su cingoli, su ruote o dotate di ali – a svolgere un ruolo decisivo in
virtù della loro velocità di movimento e della loro imprevedibilità. Von Seeckt
stimolava gli ufficiali tedeschi a studiare l’innovazione tecnologia, a comprendere
un mondo che non era originariamente il loro, a discuterne gli aspetti e le
prospettive, e a diffondere le loro opinioni in modo che il dibattito
diventasse più ampio e partecipato. Un impegno i cui frutti sarebbero maturati
da lì a qualche anno. Von Seeckt fu lungimirante anche nell’attività pratica di
riorganizzazione delle forze armate tedesche. Quando nel 1926 fu costretto a
rassegnare il suo incarico per aver permesso al principe Guglielmo, nipote
dell’imperatore, ad assistere alle manovre militari con l’alta uniforme
imperiale, l’esercito tedesco era sempre nei limiti di 100mila uomini, di cui
4mila ufficiali, imposti dal Trattato di Versailles, ma per addestramento e
cultura militare erano altrettanti potenziali leader di un esercito molto più
grande. Quando nel 1933 il Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler arrivò al
potere trovò uno strumento con una struttura ben definita e soprattutto il
potenziale intellettuale e organizzativo per evolvere verso forme sempre più
perfezionate. Nel 1935, con la reintroduzione della leva obbligatoria, la
Reichswehr poté salire a 600mila effettivi sena particolari preoccupazioni di
perdita di efficienza.
All’esercito tedesco e
ai giovani ufficiali che partecipavano al dibattito teorico per prepararsi alla
guerra futura, mancava solo l’esperienza pratica. In patria e in un poligono
messo segretamente a disposizione dalla Russia sovietica venivano effettuate
manovre sperimentali con finti mezzi meccanizzati allestiti su veicoli civili.
Le indicazioni ottenute erano poche e scarsamente attendibili, ma venivano
studiate con serietà e dedizione perché erano le uniche. Dall’estero la sola
letteratura disponibile basata su una conoscenza diretta del combattimento di
mezzi a motore veniva dal generale britannico John Fuller, principale autorità
mondiale nel campo della guerra meccanizzata. Fuller aveva pianificato i
maggiori attacchi di carri britannici durante la Grande Guerra, a partire dalla
battaglia di Cambrai nel 1917, e aveva poi progettato il Piano 1919: un avveniristico
assalto di 10mila carri armati appoggiati solo dall’aviazione. Dopo la guerra
aveva pubblicato le sue esperienze e le sue teorie, ma i militari tedeschi
proseguirono in modo autonomo l’analisi della futura guerra meccanizzata,
basandosi prevalentemente sulla propria tradizionale cultura militare. D’altra
parte lo stesso Partito nazista mostrò in modo tangibile di rispettare questa
continuità anche solo per opportunismo, autorizzando nel 1933 la pubblicazione
l’adozione di un nuovo regolamento dottrinario intitolato Truppenfuhrubg (il
comando delle truppe) il principale manuale tattico della Germania nella
Seconda Guerra mondiale. Gli autori, Werner von Fritsch e Ludwig Beck, erano
destinati il primo a diventare comandate in capo dell’Esercito, e il secondo
capo di Stato Maggiore e fondatore di fatto delle forze meccanizzate tedesche,
con la creazione delle prime tre divisioni corazzate. Entrambi caddero in
disgrazia prima della guerra, ma il manuale che avevano scritto rimase in
vigore. Beck fu addirittura implicato nel complotto per assassinare Hitler con
una bomba il 20 luglio 1944, episodio noto come Operazione Valchiria. Il
Truppenfuhrung è in realtà una riscrittura di Comando e combattimento delle
armi combinate di von Seeckt e ne ribadisce i principi, sancendo di fatto la
nascita della Blitzkrieg, ovvero l’interpretazione secondo la cultura militare
prussiano-tedesca di una guerra condotta nell’era del motore a scoppio.
Si spiega, infatti, nel
Truppenfuhrung che “la condotta della
guerra è un’arte, una libera attività creativa (…) basata su un continuo e
incessante sviluppo. Nuovi strumenti di guerra danno ai conflitti una forma in
incessante cambiamento. Il campo di battaglia vuoto esige un combattente che
pensa e agisce di propria iniziativa e può sempre analizzare una situazione e
sfruttarla in modo decisivo e coraggioso”. Quanto all’impiego dei carri
armati si fissa il principio che “essi
saranno impiegati in attacco là dove è cercata la decisione”. Prima che la
Reichswehr possa annoverare tra i suoi mezzi anche un singolo carro armato,
questi principi prevedono comandanti che osservando con i propri occhi
l’evolversi della situazione, decidono in fretta, si assumono responsabilità e
sanno avvantaggiarsi di ogni opportunità, comprendendo il valore della velocità
delle unità meccanizzate: in queste parole ci sono già Guderian, Rommel e tanti
altri che guidano attacchi di mezzi corazzati alla testa delle loro truppe. Di
lì a poco la Germania nazista avrebbe dato modo alla Reichswehr di mettersi
alla prova. Wilhelm Ritter von Toma fu il primo ad avere esperienza diretta di
guerra meccanizzata, durante la Guerra civile spagnola (1936-38). Inviato a
comandare il contingente di terra della Legione Condor, con compiti
nominalmente di istruzione delle truppe nazionaliste, dichiarò di aver
partecipato direttamente a 192 azioni. Il primo carro armato tedesco, il Panzer
I, si dimostrò inferiore al T-26 russo, non fosse altro che per il cannone da
45 mm che quest’ultimo montava in torretta, mentre il Panzer I aveva solo 2
mitragliatrici. La sorpresa era relativa, perché accanto ai carri leggeri
Panzer I e Panzer II (quest’ultimo con un cannoncino da 2 cm), i tedeschi già
stavano aspettando la produzione dei primi carri medi: i Panzer III e IV. Anche
le invasioni incontrastate di Austria e Cecoslovacchia furono attentamente
studiate, fornendo lezioni in una materia apparentemente secondaria come
l’incolonnamento delle unità e permettendo di perfezionarlo. Con l’invasione
della Polonia, il 1° settembre 1939. La Blitzkrieg incontrò la sua prima vera
prova del fuoco. Nelle sue memorie Heinz Guderian sostiene cha ancora il
sistema non era maturo, un livello secondo lui raggiunto solo con l’invasione
della Francia l’anno successivo.
Ludwig Beck
Il lessico.
Ci sono parole
che costituiscono i cardini delle dottrine. La Blitzkrieg coniugava in sé
alcuni concetti chiave che facevano storicamente parte integrante della
cultura militare tedesca da lungo tempo:
AUFTRAGSTAKTIK:
Tattica del compito: ogni comandante concorda con i subordinati il ruolo
svolto da ciascuno nell’economia generale del piano e gli obiettivi che
devono raggiungere, ma lascia a loro stabilire come farlo, a seconda delle
condizioni che incontreranno sul campo.
BEWEGUNGSKRIEG:
Guerra di movimento: il combattimento in attacco deve essere dinamico e
seguire un flusso di movimenti incessante. Rallentare o ancora peggio
fermarsi significa offrire un facile bersaglio al nemico. Inoltre, il
movimento continuo aumenta l’imprevedibilità e l’effetto sorpresa dell’azione
bellica, costringendo il nemico a subire costantemente l’iniziativa
dell’aversario.
GEFECHT DER
VERBUNDENEN WAFFEN: Battaglia delle armi combinate: si deve sempre cercare
l’effetto sinergico prodotto dalla combinazione di sistemi d’arma diversi, in
battaglia, per massimizzare l’effetto complessivo. L’impiego simultaneo o in
sequenza, ma comunque preordinato, di varie specialità compensa le loro
debolezze mentre aumenta l’efficacia.
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Panzer I
(1934-1945)
TIPO: Carro
leggero
ESEMPLARI
PRODOTTI: 1493
EQUIPAGGIO: 2
PESO: 5,4 T
CORAZZATURA:
6-13 mm.
ARMAMENTO: 2
mitragliatrici da 7,92 mm
VELOCITA’: 37
km/h
AUTONOMIA:
100/140 km.
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Panzer II
(1936-1945)
TIPO: Carro
leggero
ESEMPLARI
PRODOTTI: 1856
EQUIPAGGIO: 3
PESO: 8,9 T
CORAZZATURA:
5-15 mm.
ARMAMENTO: 1
cannoncino da 2 cm e 1 mitragliatrice da 7,92 mm
VELOCITA’: 40
km/h
AUTONOMIA:
130/200 km.
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Il
sistema maturo in Francia.
Nell’arco
di un mese e mezzo le truppe di HJitler ottennero un’importante vittoria. Tra i
fattori che fecero differenza cu furoino la rapidità e la sorpresa. La Francia
fu sconfitta, ma il successo tedesco non fu affatto facile e lo stesso Guderian
ebbe a definirlo “un miracolo”.
Fall
Gelb. Caso Giallo, fu il nome in codice dell’invasione tedesca della Francia.
Secondo il generale Heinz Guderian, certamente uno dei migliori interpreti sul
campo della Blitzkrieg e anche uno degli uomini che più attivamente partecipò
alla sua definizione tattica, questa operazione militare fu anche la prima dove
la guerra lampo stessa ebbe la piena attuazione. Il confronto tra gli eserciti
contrapposti vedeva in vantaggio gli Alleati (francesi, britannici, belgi,
olandesi e una divisione polacca): 3 milioni di uomini contro 2,5 milioni di
soldati delle armate tedesche. Complessivamente 156 divisioni contro 136, di
cui 10 erano Panzer Division e 6 di fanteria motorizzata. Anche per numero di
carri armati gli alleati erano in notevole vantaggio: 3600 contro 2574
tedeschi. Ma la situazione era anche peggiore dal punto di vista qualitativo
perché solo poco più di un quinto di esse era di tipo medio, Panzer III o IV,
mentre i rimanenti erano di tipo leggero. Gli Alleati, al contrario, disponevano
anche di 300 carri pesanti, i potenti B1, e 250 nuovi carri medi SOMUA. Persino
i veicoli da trasporto gli Alleati superavano la Wermacht: il solo esercito
francese disponeva di 300mila veicoli contro i 120mila tedeschi, mentre il
contingente britannico era addirittura completamente motorizzato. L’unico punto
di vantaggio per la Wehrmact consisteva nella Lutwaffe, con oltre 5000 velivoli
contro i 2700 circa degli Alleati. In queste condizioni, per i tedeschi era
estremamente difficile ottenere una vittoria decisiva: il massimo che si poteva
ragionevolmente attendere era un successo parziale. Il piano elaborato
dall’Oberkommando des Heeres (OKH), guidato dall’Oberbefehlshaber des
Heeerese (OBdH) Generalfeldmarschall
Walther von Brauchitsch, e opera dello Chefs des Generalstabes des Heeres,
Generaloberst Franz Halder, prevedeva infatti come sforzo principale una
spallata decisa contro il grosso delle forze alleate assestata dallo
Heeresgruppe A, il principale gruppo di armate tedesco, il quale, attraversando
Olanda e Belgio, doveva portare il prima possibile la guerra al confine con la
Francia.
Si tratta di una versione
riveduta, corretta e ammodernata del piano di aggressione alla Francia che il
generale Alred von Schlieffen aveva ideato ai primi del Novecento, e che con le
dovute correzioni e modifiche si pensava di poter far funzionare con maggior
successo rispetto alla versione di quello stesso piano utilizzata nel 1914.
Probabilmente non avrebbe sorpreso gli Alleati, ma rappresentava per l’alto
comando tedesco un rischio oculatamente calcolato, utile a non esporre la
Wehrmacht a un rovescio che sarebbe stato disastroso. Si pronunciò contro
questo piano, però il Generalleutnant Erich von Manstein, Chef des Stabes dello
Heeresgruppe A, che ne presentò uno alternativo, molto più audace e fiducioso
delle potenzialità della Wehrmacht e di
quegli innovati procedimenti tattici messi a punto in Polonia, che si erano
guadagnati l’appellativo di Blitzkrieg. In termini Clausewtziani, von Manstein
propose un cambio radicale di Schwerpunkt (il punto critico degli avversari):
dal nord al centro dello schieramento alleato, nella zona delle Ardenne. Qui le
linee di comunicazione erano peggiori rispetto a quelle settentrionali, ma
proprio per questo motivo si sarebbe potuto contare sull’effetto sorpresa e nel
contempo incontrare una resistenza meno numerosa. Lo Heeresgruppe A e lo
Heeresgruppe B dovevano semplicemente scambiarsi di posto: al primo sarebbe
toccato l’onere dell’attacco decisivo, mentre il secondo lo avrebbe sostenuto
tenendo impegnate con un attacco frontale il grosso delle forze
avversarie. Una volta che lo
Heeresgruppe A avesse attraversato il fiume Mosa, una tumultuosa corsa al mare
delle sue divisioni corazzate avrebbe tagliato, come un colpo di falce, le
linee di comunicazione delle armate alleate che nel frattempo si sarebbero
sbilanciate in avanti per contenere e respingere lo Heeresgruppe B. il piano di
von Manstein individuava come baricentro strategico del dispositivo avversario
le armate schierate al fianco nord della linea Marginot (complesso di
fortificazioni lungo il confine francese), protette dalle dense foreste delle
Ardenne. Il piano incontrò l’opposizione di Halder, ma trovò entusiasta Adolf
Hitler che ritenne interpretasse con maggior fedeltà il proprio bisogno di una
vittoria decisiva e divenne in questo modo Fall Gelb, il piano delle operazioni
ufficiale dell’invasione della Francia. Di fronte alla decisione del Fuhrer,
Halder dovette inchinarsi, seppure a malincuore, e con lui la maggior pare
degli alti ufficiali tedeschi. Non rinunciò comunque a mettere le mani sul
piano originale di von Manstein, modificandolo e limandone qua e là gli aspetti
più azzardati. Il valore assoluto dell’individuazione dello Schwehrpunkt
clausewitziano fu quello di consentire all’attacco tedesco di concentrare la
propria forza là dove essa avrebbe potutto conseguire un risultato decisivo e
la Blitzgrieg poteva compensare lo svantaggio di uomini e mezzi con il nemico.
Le truppe tedesche, già meglio addestrate di quelle alleate, si trovarono,
quindi dove occorreva e dove importava, anche in enorme vantaggio numerico. La
Lutwaffe, con il suo dominio dei cieli e con la propria elasticità di impiego,
avrebbe innanzitutto consenti di usufruire di un importante surplus di fuoco
alle truppe di terra, ma avrebbe svolto anche un prezioso compito preventivo,
individuando e indebolendo concentrazioni nemiche pronte a contrattacco. Nella
pratica non tutto funzionò come previsto: l’imprecisione degli Stuka causò
molte vittime amiche e nei rapporti giornalieri degli ufficiali si era già
soddisfatti quando ne subivano poche. In un mese e mezzo (dal 10 maggio al 25
giugno 1940) la Francia fu comunque sconfitta, e i britannici furono costretti
a una fuga che ebbe dell’incredibile. Il successo tedesco, non fu affatto
facile e lo stesso Guderian ebbe a definirlo un miracolo. Il singolo fattore
più importante per la vittoria fu la diversa qualità degli stili di comando.
Mentre gli ufficiali francesi rimanevano attaccati alle proprie radio
comunicando con i loro superiori per spiegare la situazione e attendere
istruzioni, quelli tedeschi agivano accanto ai propri uomini secondo il
principio della Auftragstaktik: concordato l’obiettivo, ogni ufficiale agiva in
autonomia per raggiungerlo. Emblematico il caso di Erwin Rommel durante le fasi
cruciali dell’attraversamento della Mosa. Il 14 maggio la sua divisione si
trovò bloccata davanti al fiume. I belgi avevano distrutto i ponti e
martellavano la posizione con tiri di artiglieria. Rommel, presente sul luogo,
diresse il fuoco di tutte le artiglierie disponibili per sopprimere quelle avversarie.
Poi organizzò l’attraversamento del fiume su gommoni dei gruppi d’assalto
incaricati di stabilire una testa di ponte sull’altro lato del fiume. Per
nascondere i movimenti, non avendo fumogeni, fece incendiare alcune case della
zona. Quindi si appropriò del treno da ponte di un’altra divisione ed entrò
nell’acqua insieme ai suoi genieri per accelerare i lavori. Infine, quando il
ponte fu gettato, era nel secondo carro che lo percorse.
Le
dottrine degli altri.
La
Gran Bretagna aveva introdotto per prima i carri armati un campo di battaglia
nel novembre 1917. Questi rudimentali mezzi a motore avevano aperto la strada
alle fanterie distruggendo reticolati e agendo come postazioni mobili di
mitragliatrici e di cannoni. Questo ruolo di appoggio all’azione della
fanteria, negli anni successivi, si era confermato negli eserciti di tutto il
mondo come il più convincente edera anche il più diffuso. Erano stati
costruiti carri sempre più corazzati e potenti, ma dovendo seguire il passo
delle fanterie non necessitavano di una velocità, di una manovrabilità e di
un’autonomia particolarmente accentuate. Accanto a questo impiego, se ne fece
strada un altro, mutuato dal ruolo tattico svolto nel passato dalla
cavalleria: quello dell’esplorazione
strategica e della sicurezza delle fanterie compiuto da unità esclusivamente
composte da carri armati. I mezzi didicati a svolgere questo secondo tipo di
funzione dovevano essere più veloci e con una maggiore autonomia, ma anche
sufficientemente armati per sostenere da soli il combattimento, perché la
fanteria appiedata non avrebbe potuto mantere il loro passo.
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Panzer III
(1939-1945)
TIPO: Carro medio
ESEMPLARI
PRODOTTI: 5714
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 21,6 T
CORAZZATURA:
5-70 mm.
ARMAMENTO: 1
cannone da 5 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’:
20/40 km/h
AUTONOMIA:
100/175 km.
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Panzer IV
(1939-1945)
TIPO: Carro
medio
ESEMPLARI
PRODOTTI: 8500
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 25 T
CORAZZATURA:
20-80 mm.
ARMAMENTO: 1
cannone da 7,5 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’:
20/40 km/h
AUTONOMIA:
180/270 km.
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Panzer V
(1943-1945)
TIPO: Carro
medio
ESEMPLARI
PRODOTTI: 6000
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 45 T
CORAZZATURA:
15-120 mm.
ARMAMENTO: 1
cannone da 7,5 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 46
km/h
AUTONOMIA:
170/250 km.
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Panzer VI
Tiger I (1942-1945)
TIPO: Carro
pesante
ESEMPLARI
PRODOTTI: 1347
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 54 T
CORAZZATURA:
25-120 mm.
ARMAMENTO: 1
cannone da 8,8 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 45
km/h
AUTONOMIA:
110/195 km.
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Panzer VI
Panzer VI
Tiger II (1944-1945)
TIPO: Carro
pesante
ESEMPLARI
PRODOTTI: 492
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 68 T
CORAZZATURA:
25-185 mm.
ARMAMENTO: 1
cannone da 8,8 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 41
km/h
AUTONOMIA: 120/170
km.
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La
dottrina della Lutwaffe.
Lo Stuka. Progettato nel 1933 dalla Junkers, restò in produzione per oltre nove anni
Nonostante
il Trattato di Versailles impedisse alla Germania di possedere velivoli
militari, il generale von Seecht incaricò il maggiore Helmut Wilberg di
elaborare una dottrina aerea che si incardinasse sui principi dottrinari che
si stavano sviluppando per l’esercito. Nel mondo le dottrine delle guerre
aeree privilegiavano il bombardamento strategico, nella convinzione, come
ebbe a sintetizzare il parlamentare britannico Stanely Baldwin, che il
bombardiere passerà sempre, e che quindi altri velivoli e altre missioni
fossero particolarmente irrilevanti in una guerra del futuro. In Germania, al
contrario, si sviluppò una dottrina molto più elastica, articolata in una
gamma più ampia di missioni e indirizzata in modo privilegiato verso il
bombardamento di appoggio al suolo e la preventiva acquisizione della
superiorità aerea sulla zona delle operazioni. In ordine di importanza
Wilverg indicò:
1.
Azione
di combattimento per conseguimento della superiorità aerea.
2.
Appoggio
alle forze terrestri.
3.
Appoggio
alla Marina.
4.
Interdizione
delle linee di comunicazione avversarie.
5.
Missioni
strategiche contro le basi delle operazioni avversarie.
6.
Bombardamenti
strategici contro obbiettivi civili, economici e amministrativi.
In
previsione della guerra, la scelta di priorità stabilita negli anni venti da
Wilberg venne sostanzialmente confermata anche per motivi produttivi:
nonostante nel tempo si sia sentita la mancanza di un bombardiere strategico
(il cosiddetto Bombardiere degli Urali), le richieste dell’esercito erano pressanti
e in grado di assorbire da sole l’intera capacità produttiva dell’industria
tedesca.
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La
sconfitta di Kursk.
Contro i russi, l’esercito tedesco va incontra ad una disfatta già scritta anche per la decisione di Hitler di spostare alcuni contingenti in Italia, orma la Blitzkrieg non può più contare sull’effetto sorpresa.
Contro i russi, l’esercito tedesco va incontra ad una disfatta già scritta anche per la decisione di Hitler di spostare alcuni contingenti in Italia, orma la Blitzkrieg non può più contare sull’effetto sorpresa.
il piano d'attacco tedesco
Nella
primavera del 1943 la Seconda guerra mondiale era a una svolta. In Tunisia le
forze italo-tedesche stavano per esser sopraffate dall’azione concentrica degli
Alleati britannici e americani, e ormai era facile prevedere che presto
sarebbero entrare in Europa dal sud, sbarcando in Sicilia e poi sulla penisola
per infliggere un colpo decisivo all’Italia fascista. Sul fronte orientale,
poi, la situazione era, se possibile, ancora più fosca. Le battaglie contro
l’Armata Rossa, e in particolare la terribile sconfitta di Stalingrado, avevano
consumato le risorse tedesche oltre il limite di sicurezza: l’organico
complessivo delle truppe era di ben 700mila uomini sotto la norma e i tentativi
di reintegrarli con nuovo reclute non solo avevano raccolto appena 400mila
uomini (quanti la sola Germania aveva perso a Stalingrado, ma li avevano in
larga parte sottratti alle industrie e quindi alla produzione militare. In più,
l’alto comando tedesco riteneva imminente una prossima offensiva sovietica che
sarebbe con ogni probabilità partita dal saliente di Kursk, un cuneo nello
schieramento tedesco che rappresentava un ottimo trampolino di lancio per un
attacco. Le opzioni strategiche a disposizione dei tedeschi erano poche e
nessuna era esente da rischi. In primo luogo si poteva rimanere sulla
difensiva, sia in forma elastica, programmando di cedere terreno per puntare a
distruggere più nemici possibile con contrattacchi mirati, sia in forma
statica, arroccandosi dove si poteva, per resistere a oltranza. Entrambe le
ipotesi vennero scartate: la prima soprattutto per l’opposizione di Hitler, ma
anche perché avrebbe richiesto tempi lunghi e un respiro che al momento
scarseggiava; la seconda perché semplicemente mancavano le truppe per guarnire
con la necessaria solidità un fronte tanto vasto. Rimaneva solo un’opzione:
quella di attaccare per anticipare l’azione avversaria e circondarne le armate
con una grande Kesselschlacht (battaglia di accerchiamento). Il piano tedesco
prevedeva che le due punte di una tenaglia sfondassero le difese sovietiche e si congiungessero a Kursk,
serrando nella loro stretta come una sacca masse di prigionieri che sarebbero
poi stati trasferiti nel Reich per rimpiazzare i vuoti della forza lavoro.
Mappa delle operazioni sul fronte | |
Data | 5 luglio - 16 luglio 1943 |
---|---|
Luogo | Kursk, Unione Sovietica |
Esito | Decisiva vittoria sovietica |
L’attacco prese il nome
di Unternehmen Zitadelle, ovvero Operazione Cittadella e scattò il 5 luglio
1943 e terminò appena 8 giorni dopo. Il 10 luglio infatti gli Alleati erano
sbarcati in Sicilia e Hitler, preoccupato, decise di sottrarre importanti
contingenti all’offensiva in corso per spostarli in Italia. Al di là
dell’improvvida reazione del Fuhrer, l’Operazione Cittadella era partita già
sconfitta. Da mesi Stalin aveva ricevuto informazioni molto precise sulle
modalità dell’offensiva e il maresciallo Georgij Zhukov aveva avuto tutto il
tempo non solo per esaminare la situazione e prendere contromosse, ma anche per
applicarle con estrema abilità. Il saliente di Krusk, sarebbe stato trasformato
in un’enorme fortezza, un unico grande ostacolo anticarro irto di ogni arma a
disposizione per erodere le forze corazzate del nemico. Quando quel potenziale,
già ridotto rispetto agli anni passati, ma comunque ancora temibile, fosse
stato sufficientemente indebolito, le forze sovietiche avrebbero dato avvio a
un’offensiva di massa. Semplice e letale.
Il panorama che si
presentò agli ufficiali tedeschi nei giorni dell’attacco fu da incubo. La linea
difensiva russa si presentava continua e proseguiva ininterrotta in ogni
direzione con la stessa densità di forze. Ogni arma anticarro disponibile venne
messa in linea con grande sapienza tattica. Carri armati interrati sparavano
praticamente al livello del suolo, aggiungendo così alla loro corazzatura la
protezione offerta dal terreno, dalla mimetizzazione e dalla posizione. Si
sarebbe dovuto aggirare quella fortezza alle spalle, cosa resa impossibile dall’estensione
dell’apparato difensivo, o colpirla dai cieli, dove però la Luftwaffe non
contava più sulla superiorità di un tempo. Anche sfondando una linea, se ne
incontrava un’altra, altrettanto munita e potente. Abbondanza di mezzi di cui
disponevano permetteva ai sovietici non solo di assegnare carri armati alle
unità di fanteria per utilizzarli come bunker, ma anche di conservarne a
sufficienza per contrattacchi locali. Qui ebbero minore successo, anzi: la
superiorità nella manovra e l’addestramento dei carri tedeschi trovò una nuova
conferma. La Blitzgrieg, però, ormai non rappresentava più una sorpresa: “I russi hanno imparato parecchio dal 1941. Non
sono più dei contadini sempliciotti. Hanno appreso da noi l’arte della guerra”.
Il generale Kurt Zeitzler, nuovo Capo di Stato Maggiore dell'esercito, pianificatore dell'Unternehmen Zitadelle
La battaglia di Kursk, in tedesco nota col suo nome in codice di Unternehmen Zitadelle (Operazione Cittadella), in russo Битва под Курском (battaglia presso Kursk), Курская битва (battaglia di Kursk), битва на Курской дуге (battaglia dell'arco di Kursk), si svolse nel quadro della terza offensiva estiva sferrata dai tedeschi il 5 luglio 1943[6] sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale e nella quale avvenne la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia.
Lo scontro vide opporsi le forze tedesche della Wehrmacht, integrate da quattro divisioni delle Waffen-SS, e dell'Armata Rossasovietica e si risolse, dopo dieci giorni di violenti combattimenti, con un'importante vittoria delle forze sovietiche, che vanificò il successo tedesco, precedentemente ottenuto nella terza battaglia di Char'kov, e consegnò definitivamente l'iniziativa delle operazioni sul fronte orientale all'Armata Rossa.
Un nemico imbattibile: il carro
russo T34/76
Durante l’operazione Barbarossa
questo carro fu una spiacevole sorpresa per i tedeschi. La sua concezione era
la più tecnologicamente avanzata della sua epoca: veloce e con un ampio
raggio d’azione, possedeva cingoli molto larghi che gli consentivano di
spostarsi con agilità sul fangoso suolo russo e un cannone in grado di
danneggiare i mezzi tedeschi. L’innovazione più importante, però, consisteva
nella corazza inclinata e arrotondata, che non solo aumentava la portata viva
del suo spessore, ma sulla quale spesso i proiettili tedeschi non trovavano l’impatto
e scivolavano via.
T34 (1940-45)
LUNGHEZZA: 11 m.
TIPO: Carro medio.
ESEMPLARI PRODOTTI: 35120.
EQUIPAGGIO: 4.
PESO: 26 t.
CORAZZATURA: 20-70 mm. Inclinata.
ARMAMENTO: 1 cannone da 76,2 mm. e
2 mitragliaci da 7,62 mm.
VELOCITA’: 55km/h.
AUTONOMIA: 250/350 km.
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Articolo in gran parte
di Nicola Zotti pubblicato su Storie di Guerre e Guerrieri Collection, Sprea
Editori, altri testi e foto da wikipedia.
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