La scuola degli scribi: l’istruzione nell’antico Egitto.
“Sii un’artista della parola, sicché tu sia potente. La lingua è
la spada dell’uomo”, insegnamento per Merikara, X dinastia.
Geroglifici egizi con i cartigli col nome di Ramses II, dal Tempio di Luxor, Nuovo Regno.
“Ama
gli scritti più di tua madre” recita un vecchio adagio dell’età dei faraoni. In
una società così capillarmente burocratizzata come l’antico Egitto, con
funzionari in ogni dove che controllavano l’operato dei sottoposti,
l’alfabetizzazione doveva essere certamente molto diffusa. Il faraone in primis
sapeva leggere e scrivere e questo, nel mondo antico, non era scontato. Allora
come oggi i genitori cercavano di invogliare i figli ad andare a scuola
facendogli capire che, studiando, avrebbero potuto ambire alle professioni
migliori. In un testo letterario chiamato ‘la satira dei mestieri’ si legge di
un padre che, accompagnando il figlio a scuola, passa in rassegna una serie di
professioni. Di tutte trova sempre il lato tragicomico, e alla fine l’unica che
elogia è quello dello scriba concludendo che non esiste al mondo professione
migliore.
Secondo la mentalità
egizia, studiando si poteva ambire ad arrivare fino ai piedi del faraone.
Certo, per farlo ci volevano i mezzi e non tutti li possedevano ma, almeno in
teoria, ciò era possibile. Le classi sociali egizie infatti non si fondavano
sulla condizione di nascita, ma sul lavoro e sulla carriera intrapresi.
La scuola e la carriera. Le scuole si trovavano
nelle vicinanze del palazzo del re presso i templi nelle cosiddette “Case della
Vita”, istituzioni preposte all’istruzione dei giovani scrivi con tanto di
grandi biblioteche. Il percorso scolastico iniziava tra i cinque e i sei anni,
ne durava una decina e alla fine si otteneva l’ambitissimo titolo di ‘scriba’. Pur
essendo il grado più basso dell’amministrazione era un titolo necessario per
poter fare carriera in qualsiasi ramo dell’amministrazione statale. L’alternativa
alla scuola era l’istruzione a casa con precettori privati, come è testimoniato
da una stele della XII dinastia dove è menzionato, accanto ai nomi di tutta la
famiglia, anche quello di un ‘maestro di scrittura’, forse un tutore privato. Nella
maggioranza dei casi è probabile che le ragazze adottassero questo tipo di
istruzione, anche se siamo a conoscenza di parecchie nobildonne e principesse
che frequentarono la scuola presso il tempio o il palazzo del re. Conosciamo pure
il nome di molte donne scriba, come la principessa Idut dell’Antico regno, la
quale si fecce rappresentare nella sua tomba di Saqqara su una barca di papiro
provvista di tutto il materiale del mestiere: paletta per l’inchiostro nero e
rosso e sottili giunchi per scrivere. Frequentare la scuola del palazzo reale voleva
dire entrare in contatto con l’élite del Paese e con i figli del faraone e
questo dava la possibilità di fare carriera. Questa scuola era frequentata
anche dai figli di sovrani stranieri vassalli dell’Egitto che, prelevati
forzatamente dai loro Paesi d’origine, venivano istruiti e indottrinati in tali
istituzioni. Si sperava che, una volta riportati in patria, questi giovani
principi così egittizzati provassero un senso di fedeltà incondizionata verso
il faraone.
Un dono divino. Thot, dio patrono degli scribi, donò
la scrittura agli uomini. Gli antichi egizi, infatti, definivano i
geroglifici medu neter, ovvero ‘parole di dio’. Rappresentato sotto forma di
ibis oppure di babbuino, il dio Thot aveva una controparte femminile: la dea
Seshat, ‘signare degli scritti’, che indossava un copricapo a forma di
stella. |
Una lingua, tante scritture. Scrittura ieratica su un ostrakon di calcare; il testo è stato scritto come esercitazione da uno scolaro egizio. Egli copiò quattro lettere del visir Khay (che fu attivo durante il regno di Ramses II). Con i suoi oltre quattro millenni di
storia, l’egizio è una delle lingue storiche più antiche oggi conosciute. Nel
corso del tempo si è evoluto usando di volta in volta il tipo di scrittura
più adatto ai diversi ambiti e necessità della vita. GEROGLICIFO. La caratteristica principale
è che è figurativo, rappresenta quindi esseri o oggetti ben riconoscibili.
IERATICO: il ‘corsivo’ dei geroglifico. A ogni segno geroglifico ne
corrisponde uno in ieratico e la grammatica è la stessa. DEMOTICO: scrittura
entrata in uso nel VII a.C. è una forma ancora più corsiva dello ieratico e
ha perso completamente il carattere figurativo. COPTO: la scrittura
utilizzata dei cristiani in Egitto. Utilizza le lettere dell’alfabeto greco
integrare da alcuni segni demotici. A differenza delle fasi precedenti delle
scritture egizie, include anche le vocali. |
Strumenti per scrivere. Sottili canne di fiume, che potevano
avere la punta morbida e sfilacciata oppure dura e appuntita, venivano
intrise nel colore: il rosso (ocra rossa) utilizzato per le parti importanti del testo e il nero (ricavato
dal carbone di legna) per il resto. Il geroglifico che indica lo scriba “sesh”,
rappresenta una paletta di legno rettangolare con due cavità per i colori e,
legato a questa, un porta-pennini e un contenitore per i pigmenti. I colori,
mischiati, assumevano una forma solida e per poterli utilizzare si bagnava il
pennino nell’acqua per poi passarlo sul colore, come si fa con gli
acquarelli. |
Il pozzo delle meraviglie. Planimetria schematica dell'area di Deir el-Medina con l'indicazione delle Tombe dei Nobili presenti[1] Nella città di Deir el Medina, dove
nel Nuovo regno abitavano gli artisti che decorarono le tombe della Valla dei
Re e delle Regine, si trova un enorme pozzo, profondo oltre 50 metri e largo
più di 35. Scavato nel tentativo, non riuscito, di raggiungere la falda
freatica, fu poi colmato con materiali di scarto del villaggio. Tra questi
migliaia di ostraka, anche scolastici, importantissimi per gli studiosi. |
Esercizi scolastici. Gli studenti andavano a
scuola tutte le mattine da soli o accompagnati dai genitori e si portavano la
merende da casa, un po’ di pane e una brocca di birra (ovviamente a bassa
gradazione alcolica). Una volta arrivati si sedevano a terra in una stanza o in
cortile colonnato e aspettavano il maestro. “Sii uno scriba ‘presente’ dirai
ogni volta che ti chiamano. Guardati dal dire ‘Uffa’, si legge in un papiro. Che
facessero anche l’appello? Sembrerebbe proprio di sì. I giovani allievi
dovevano imparare due grafie: il geroglifico e lo ieratico (geroglifico
corsivo), una miriade di segni e di regole da imprimere nella mente. Per prima
cosa iniziavano a scrivere parole intere, non simboli isolati come si fa ora
per imparare i geroglifici. Dopodiché passavano a scrivere frasi compiute sotto
dettatura o ricopiandole direttamente da papiri. I testi letterari utilizzati
dal maestro erano scelti con cura e venivano riuniti in antologie chiamate
dagli studiosi “Miscellanee scolastiche”. Queste raccolte contengono brani di
vario genere: esempi di lettere, insegnamenti morali, storie edificanti, inni
al faraone e agli dèi. Pezzi selezionati con cura che svolgevano ima duplice
funzione: oltre a essere un utile esercizio per imparare a scrivere,
inculcavano nella mente dei giovani scribi i principi fondamentali su cui si
basava la loro società. Nel Nuovo regno, una volta acquisita la padronanza
della lingua madre, i giovani venivano introdotti all’alfabeto cuneiforme dell’arcaico,
lingua franca per la diplomazia di allora. Anche la geografia, la cartografia,
le mappe catastali, la matematica e la geometria erano considerate fondamentali
per la formazione dei futuri funzionari. Per scrivere i ragazzi non usavano il
papiro, troppo caro, ma gli ostraka (singolare ostrakon) parola greca che vuol
dire “coccio”: i sottili frammenti calcarei o pezzi di vasi sulla cui
superficie si poteva scrivere. Questi ostraka scolastici, redatti dagli studenti
con grafie talora precise, altre volte incerte, sono pieni di correzioni o
integrazioni fatte dai maestri. Tali ‘quaderni’ scolastici sono una miniera inesauribile
di informazioni sull’antica letteratura egizia che, di solito, era scritta su
papiro, supporto ben più fragile. Grazie a questi,gli studiosi sono riusciti a
recuperare testi antichi sconosciuti, a volte unendo insieme come in un puzzle
vari ostraka; altre volte se ne sono serviti per integrare lacune in testi
letterari già conosciuti. L’egittologo Sergio Donadoni scrisse: “La letteratura
egizia è un deserto su cui si ergono rovine”; grazie a questi scolari e ai loro
‘quaderni’ il deserto è certamente meno arido.
Una dura disciplina. Nella scuola degli
scribi la disciplina era rigida poiché doveva preparare gli alunni all’austerità
del servizio nell’amministrazione statale. Le qualità richieste erano
carattere, ambizione e sottomissione al superiore. L’educazione dello scolaro
veniva paragonata all’ammaestramento delle scimmie, dei cavalli, dei tori e dei
cani che, alla fine, volenti o nolenti, si piegavano al giogo. Ma la gioventù è
ribelle per natura e i maestri erano più volte costretti a rimproverare
duramente gli studenti: “Mi è stato detto che ha abbandonato la scrittura e vai
a spasso tra i piaceri, che hai voltato la schiena ai geroglifici! Non concedere
il tuo cuore ai piaceri, altrimenti sarai un fallimento”. Sembra di sentire le
romanzine di oggi: il tempo è passato ma aa quanto pare i rimproveri non sono
cambiati poi tanto.
Articolo di Barbara
Faenza pubblicato su Storica National Geographic del mese di febbraio 2019 –
altri testi e immagini da Wikipedia.
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