Operazione Archery
Attacco al Reich.
Il radi contro l’isola norvegese di Vagsoy con l’intento di
alleggerire il peso sul fronte russo fu un grande successo britannico e anche
un ottimo banco di prova per saggiare le difese tedesche in vista di futuri
sbarchi nel cuore della fortezza nazista.
Per
le potenze alleate l’autunno del 1941 rappresentò senza dubbio una delle fasi
più drammatiche dell’intero Secondo conflitto mondiale. I bollettini di guerra,
provenienti dai più disparati teatri d’operazioni, lasciavano ben poco spazio
all’ottimismo: l’inarrestabile avanzata delle armate dell’Asse era sul punto di
dare una svolta senza ritorno al corso della guerra. Ma era il fronte russo a
preoccupare maggiormente: con l’Operazione Barbarossa in pieno svolgimento,
sembrava che l’Armata Rossa fosse ormai sul punto di capitolare, con conseguenze
inimmaginabili sul futuro andamento del conflitto. Le richieste d’aiuto di uno
Stalin sempre più in difficoltà diventavano giorno dopo giorno sempre più
pressanti. E fu proprio in questo complesso frangente che l’allora designato
comandante per le operazioni Lord Mountbatten, fu indotto, in accordo con il
primo ministro Winston Churchill, a studiare un ambizioso piano d’attacco
contro l’isola di Vagsoy di fronte alla costa norvegese, tra le città di Bergen
e Trondheim. Un’operazione anfibia che avrebbe dovuto mettere in allarme
l’intero settore tedesco nell’area e far affluire il maggior numero possibile
di forze nemiche, distogliendole dal fronte sovietico. Ma la missione avrebbe
avuto anche un secondo fine: saggiare la capacità di reazione dei nazisti e
capire fino a che punto l’esercito britannico fosse in grado di portare a
termine sbarchi di simile complessità. Un compito per nulla agevole se si
considera che un precedente piano, in più grande stile, finalizzato ad
attaccare Trondheim, era stato cancellato
all’ultimo minuto proprio per le grandi difficoltà logistiche riscontrate. La
nuova operazione, chiamata in codice Archery, prevedeva infatti per la prima
volta l’impiego simultaneo di tutte le tre forze armate (esercito, marina e
aviazione) per un assalto contro una costa ben difesa. Non suonano per nulla
avventate quindi le parole di Mounthbatten alla vigilia della missione.
Il ruolo strategico della Norvegia. La campagna di
Norvegia (il primo scontro terrestre tra Alleati e Terzo Reich) combattuta
tra il 9 aprile e il 10 giugno del 1940 e conclusosi con l’occupazione
tedesca del Paese, fu senza ombra di dubbio il risultato di fattori
strategici primari. Non si trattava di un teatro di operazioni minore, bensì
essenziale per la futura guerra in Europa. E di questo Hitler, quando
prevenne l’attacco inglese deciso da Churchill, era perfettamente conscio. La
Germania, infatti, per poter alimentare il suo sforzo bellico, dipendeva in
gran parte dal ferro svedese, che arrivava in patria via mare dai porti
norvegesi, da quello di Narvik in particolare. Solo assicurandosene il
controllo sarebbe stato possibile garantire all’industria tedesca il minerale
necessario per continuare il programma di produzione di armamenti. E da
questa eventualità gli inglesi furono subito allarmati, vista l’impossibilità
di mettere in pratica il Progetto Catherine, ovvero il piano per assicurarsi
il controllo del Mar Baltico. Ma il peso strategico della Norvegia era
garantito anche dalla possibilità di occupare preziosi basi aeree (come per
esempio la Sola Air Station a Stavanger), essenziali per il dominio
dell’Atlantico che si stava profilando: i velivoli da ricognizione tedesca
infatti potevano controllare un ampio settore dell’oceano evitando
d’incorrere nell’attività dei caccia della RAF. Nei fiordi norvegesi furono
ricavate importanti basi di U-Boot e trovarono rifugio grandi navi da guerra
prima di avventurarsi nell’Atlantico per eludere il blocco navale nemico.
Basti ricordare a tale proposito l’episodio della corazzata Tirpitz che
rimase a lungo nascosta tra i fiordi norvegesi e rappresentò una vera spada
di Damocle sui convogli alleati diretti a Murmansk. Ma gli sforzi per assicurarsi il contro del Parse furono anche causa di un enorme dispendio di risorse: vi furono stanziati oltre 400mila uomini, che sarebbero rimasti l’intero conflitto praticamente inoperosi. E questo a discapito di altri fronti in forte difficoltà |
Una pianificazione perfetta. Era necessario valutare
ogni minimo dettaglio per non incappare in un fallimento che avrebbe potuto dare
un colpo definitivo al morale dell’esercito britannico. La scelta del bersaglio
fu ponderata con estrema attenzione con la chiara finalità di provocare il
maggiore numero di danni possibili alle installazioni tedesche sull’isola e non
correre il rischio di essere sopraffatti dall’afflusso di rinforzi. In tale
prospettiva l’isola di Vagsoy e il piccolo scoglio di Maaloy, a poca distanza,
fornivano tutte le garanzie del caso. Fu possibile appurare tramite la
ricognizione aerea e la presenza di collaborazionisti sul posto, che le
numerose installazioni presenti erano difese da alcuni reparti della 181a
Divisione di fanteria della Wehrmacht, circa duecento uomini, e un solitario
carro armato. Forze relativamente esigue che avrebbero comunque potuto contare sulla
protezione aerea fornita da quattro squadriglie di caccia e bombardieri (poco
meno di quaranta velivoli) dislocati nelle estreme vicinanze. Reparti però ben
motivati che se messi in condizioni avrebbero potuto ostacolare seriamente le
operazioni. Era pertanto necessario disporre di un contingente d’assalto ben
addestrato e affinare l’intesa con marina e aviazione per poter garantire la
necessaria copertura durante l’iniziale fase di attacco e il successivo
sganciamento. Nulla poteva essere lasciato al caso perché il minimo errore, la
più piccola distrazione, avrebbe potuto far precipitare gli eventi. Fu
stabilito che il raid sarebbe stato condotto da truppe britanniche e norvegesi:
51 ufficiali e 525 fra soldati semplici e sottoufficiali, selezionati tra le
migliori forze disponibili: uomini del Commando numero 2 e 3, esperti in
esplosivi del 6, ufficiali sanitari del 4 e infine una dozzina di membri della
Kompani Linge (unità composta da soldati norvegesi fuggiti dal Paese dopo
l’occupazione tedesca) che avrebbero dovuto fungere da guide e interpreti.
Questa forza terrestre si sarebbe avvalsa del supporto di una task force della
Royal Navy costituita dall’incrociatore HMS Kenya, dai cacciatorpediniere HMS
Onslow, Oribi, Offa e trasporto truppe (HMS Prince Charles e il Prince
Leopold). La copertura aerea sarebbe stata fornita invece da bombardieri
leggeri o medi del tipo Blenheim e Hampdens e caccia bimotori Beaufighter,
messi disposizione dalla Royal Air Force (RAF). Per poter raggiungere tutti gli
obiettivi prefissati fu deciso che la forza di incursori avrebbe dovuto agire
su bersagli già stabiliti a tavolino per evitare che si potessero verificare
fraintendimenti o interferenze. Fu pertanto suddivisa in cinque unità con i
seguenti compiti: il Gruppo 1 avrebbe messo in sicurezza l’area di Halnoesvik;
il Gruppo 2 attaccato il centro abitato di South Vagsoy; il Gruppo 3
neutralizzato la batteria costiera, i depositi di munizioni e le caserme
sull’isolotto di Maaloy; e il Gruppo 5, una volta sbarcato nella costa più a
nord dell’isola, avrebbe dovuto tagliare ogni via di comunicazione e impedire ai
rinforzi nemici di dare manforte alle truppe dislocate più a sud. il Gruppo 4
sarebbe rimasto in posizione in attesa come riserva. I cinque reparti furono
affidati a ufficiali navigati, con alle spalle una certa esperienza di teatri
operativi, così suddivisi in base alla successione elencata sopra: il tenente
Clement, uk tenente colonnello John Durnfor-Slater, il maggiore Jack Churchill,
il capitano Birney e per finre il capitano Hooper.
La Kompani Linge. L’esigenza strategica
d’intralciare l’attività delle truppe d’occupazione tedesche in Norvegia fu
affrontata dagli Alleati favorendo la formazione di un’unità militare
speciale composta esclusivamente da uomini provenienti dal Paese e fuggiti in
Inghilterra dopo la conquista nazista del giugno 1940. Fu pertanto costituita
la Lingekomaniet (chiamata anche Norwegian Indipendent Company 1 o Linge’s
Company) sotto l’organizzazione del SOE (Special Operations Executive),
l’organismo segreto voluto direttamente dal primo ministro Winston Churchill
per operazioni dietro le linee nemiche. Uomini altamente addestra e motivati,
che si specializzarono nella conduzione di attacchi e sabotaggi in tutta la
Norvegia, in particolare lungo le zone costiere, fornendo supporto militare
alla resistenza e mettendo in piedi un fatta rete di informatori. Attività
che si sarebbero dimostrate estremamente preziose nel corso del conflitto. La
Kompani Linge nel 1941 fu affidata al capitano Martin Linge e sottoposta a un
pesante addestramento che implicava la capacità di destreggiarsi in
operazioni aerotrasportate, anfibie e nell’uso di esplosivi. Il battesimo di
fuoco avvenne con l’Operazione Claymore, nel marzo 1941, contro le isole
Lofoten, ma il vero salto di qualità fu l’Operazione Archery, nella quale si
registrò la morte proprio di Linge. A discapito delle perdite patite, l’organico
dell’unità non soffrì grazie al continuo afflusso di nuove reclute. Un’altra
missione che la consacrò alla stira è stata il celebre raid di Telemark, la
complessa operazione finalizzata al sabotaggio degli impianti della Norsk
Hydro, azienda a cui era stata affidata al produzione di acqua pesante
nell’ambito del programma di ricerca atomica nazista. In ambito spionistico
fu possibile organizzare una complessa rete di operatori radio clandestini in
grado di fornire informazioni sulla disposizione delle forze di occupazione ei
loro spostamenti. Nel complesso fecero parte dell’unità oltre cinquecento
uomini e i caduti furono cinquantasette. |
Commandos all’attacco. Alla Vigilia di Natale
del 1941, dopo un lungo e meticoloso addestramento, la squadra navale al
completo salpò dalla base di Skapa Flow (Orcadi) poco dopo le dieci di sera,
arrivando alle isole Shetland, posizionate a metà strada tra la Gran Bretagna e
la Norvegia, poco dopo l’una del pomeriggio. Se fino a quel punto il tempo si era
mantenuto buono, un’improvvisa tempesta si abbatté sul convoglio, provocando
forti danni alle due unità di trasporto. L’Ammiragliato fu pertanto costretto a
posticipare l’ultima parte della traversata di circa 24 ore. Solo dopo aver
effettuato le riparazioni necessarie, le unità ripresero il mare, arrivando di
fronte alle coste nemiche alle prime ore del 27 dicembre. La sorpresa fu
totale: nessuna unità navale nemica si profilò all’orizzonte e non vi furono
sorvoli di velivoli da ricognizione. Fu pertanto dato ordine alla forza
d’assalto di preparare armi ed equipaggiamenti e salire sui mezzi da sbarco che
nel frattempo venivano messi in mare. Alle 8.50 le principali unità da guerra
incominciarono un pesante cannoneggiamento delle difese costiere tedesche e dei
centri nevralgici dell’isola, alcune squadriglie di bombardieri del Bomber
Command decollati dalle basi aeree di Wick in Scozia e dalle isole Shetland.
alcuni Hampden a volo radente provvidero a sganciare fumogeni e bombe al
fosforo per creare una cortina di protezione che celasse la navigazione dei
mezzi da sbarco, mentre nel contempo i Beaufighter fornivano protezione aerea
nel caso comparissero velivoli della Luftwaffe tedesca. Come da copione, e
senza che si verificassero particolari incidenti, il Gruppo 1 toccò terra nella
posizione assegnata, e si prodigò per mettere in sicurezza l’area di Halnoesvik,
dopodiché si mise in cammino per ricongiungersi con il Gruppo 2, anch’esso in
perfetta tabella di marcia. Il compito più delicato, quello del Gruppo 3, fu
portato a termine con relativa tranquillità: bastarono poco più di venti minuti
per mettere a tacere la batteria costiera e la guarnigione dislocata
sull’isolotto di Maaloy. Anche se in realtà gran parte del lavoro era già stato
fatto dai cannoni dell’incrociatore Kenya con il pesante bombardamento avvenuto
venti minuti prima dello sbarco sulla spiaggia dei 105 uomini della forza
d’assalto. Pertanto, dopo la resa delle forze tedesche scampate, furono portate
a termine le ultime operazioni di demolizione delle infrastrutture militari
ancora utilizzabili. Dopodiché gli uomini del maggiore Jack Churchill, dopo
aver attraversato lo specchio di mare che li divideva dal continente,
distrussero la fabbrica d’olio di aringhe in località Mortenens. Nel complesso,
sebbene fosse stata presa completamente di sorpresa, la fanteria tedesca, dopo
un primo momento di disorientamento, reagì con prontezza e si dimostrò un osso
duro da eliminare. E i problemi più grossi furono causati proprio alla
principale forza d’attacco, il Gruppo 4, al comando di Slater, da un’accanita
resistenza nel villaggio di South Vagsoy per mano di una cinquantina di fanti
tedeschi, che si difesero fino all’ultimo uomo combattendo casa per casa. Nella
furibonda sparatoria che si protrasse per varie ore si registrarono gravi
perdite tra i britannici. Alle 10,20 anche il Gruppo 5, sbarcato nella parte
centro-nord dell’isola, sotto la protezione dei cacciatorpediniere HMS Oribis e
Onslow, si prodigò per impedire l’afflusso di rinforzi tedeschi che stavano
cercando di farsi strada verso il lato meridionale dell’isola. Liberi di
muoversi per l’assenza di truppe nemiche, scavarono numerose buche sull’unica
via di comunicazione per renderla inagibile ai mezzi di trasporto. Nel corso
dell’operazione furono localizzate anche alcune navi mercantile all’ancora e un
peschereccio armato, che fu subito assaltato nella speranza potesse contenere
documenti riservati o codici di trasmissione radio. Dopo aver portato a termine
anche questo compito, il gruppo si diresse verso il villaggio di South Vagsoy,
dove la resistenza nemica non era stata ancora neutralizzata.
Nonostante tutto si
procedette a far saltare diverse infrastrutture civili e militari: la centrale
elettrica, la stazione radio, le difese costiere e il vicino faro. Nel
complesso il raid si protrasse fino alle 13,45, prima che la breve luce
invernale artica lasciasse spazio alle tenebre.
British Commandos.
A partire da giugno 1940, a seguito della catastrofica
ritirata di Dunkerque e del pessimo stato in cui versavano le forze
britanniche, il primo ministro inglese Winston Churchill volle a tutti i costi
che si provvedesse alla costituzione di reparti d’assalto per poter operare
nei territori occupati dai tedeschi. Soprattutto per due ragioni: ostacolare
l’attività nemica e ridare morale ad un esercito fino ad allora in grande
difficoltà. Si rivelò una mossa azzeccata, capace di avere un forte impatto
sull’andamento delle operazioni militari. Se inizialmente queste unità erano
costituite da volontari provenienti dal resto dell’esercito, a lungo andare,
e in virtù dei successi ottenuti, si trasformarono in reparti autonomi
impiegati da tutte le forze armate britanniche (non mancarono anche volontari
di nazionalità straniera). Alla fine del conflitto si contavano oltre tenta
unità con compiti distinti e una lunga storia di successi alle spalle. Nel 1941
9 commando subirono una profonda riorganizzazione: ogni battaglione della
Special Service Brigade era costituito da due unità, divise in sei gruppi
forti di tre ufficiali e sessantadue uomini, effettivi pensati per poter
essere imbarcati sui nuovi mezzi anfibi denominati LCA. Fu solo a partire dal
1942 che vennero istituiti anche i primi reparti della Royal Navy: nove unità
di Royal Marines con il compito di aprire teste di ponte e difenderle nel
corso di operazioni anfibie. E per ultima anche la RAF si dotò di Royal Air Force
Commando, per operazioni di cattura e controllo di aeroporti militari. Il nucleo
della forza terrestre che condusse l’assalto all’isola di Vagsoy, proprio nel
corso dell’Operazione Archery, era costituito essenzialmente da uomini
provenienti dal Commando numero 2 e 3, due delle più titolate unità, che si
sarebbero distinti nel corso dell’intero conflitto operando nei più disparati
teatri operativi (sbarchi in Sicilia e in Normandia compresi. |
Landing craft assault. LCA britannico durante lo sbarco in Normandia La riuscita dell’operazione
Archery si basava sull’attacco anfibio in grande stile con l’impiego di una
cospicua forza terrestre che avrebbe dovuto essere sbarcata direttamente
sulle spiagge nemiche. Non essendo possibile prevedere l’impiego di unità di
grandi tonnellaggio per gli ovvi limiti di pescaggio, furono progettati mezzi
speciali a sfondo piatto, denominati LCA (Landing CRAF Assault). Con un
dislocamento di circa 10 tonnellate e una propulsione fornita da due motori a
benzina da 130 cavalli vapore potevano raggiungere i sette noti di velocità; prestazioni
che li rendevano simili ai contemporanei LCVP statunitensi. Erano stati
ideati specificatamente per operazioni di questo tipo e potevano condurre
sull’obbiettivo trentacinque soldati perfettamente equipaggiati e circa 350
chilogrammi di carico a cui si dovevano aggiungere i quattro uomini d’equipaggio
e un armamento leggero (di norma mitragliatrici Bren o Lewis); alcuni modelli
potevano alloggiare due mortai. L’attacco all’isola di Vagsoy fu una sorta di
battesimo del fuoco che, in virtù del successo, sarebbe stato replicato nel
corso dell’intero conflitto, tanto da far diventare gli LCA un mezzo standard
per questo tipo di operazioni. Il loro impiego doveva essere pianificato con
largo anticipo e l’avvicinamento alla costa era preceduto da un pesante fuoco
di sbarramento per eliminare possibili ostacoli e mettere a tacere l’artiglieria
avversaria. Per effetto della blindatura leggera infatti gli LCA potevano
sopportare il fuoco di armi leggere, ma erano impotenti se bersagliati dal
fuoco di pezzi di grosso calibro o mortai. |
Un successo oltre le aspettative. Per l’Alto
Commando alleato l’Operazione Archery fu un notevole successo che in qualche
misura ridava la morale alle truppe e dimostrava la validità di questo tipo di
missioni coordinate: aviazione, marina ed esercito avevano collaborato
egregiamente senza che si verificassero imprevisti di sorta. Un ottimo inizio
per future operazioni in grande stile. Il prezzo pagato fu comunque abbastanza
alto: venti commando risultarono uccisi e altri cinquantasette feriti. Tra le
perdite più gravi si annoverava il capitano Martin Linge, comandante della
Kompani Lige, il cui ruolo fu essenziale
e difficilmente sarebbe stato rimpiazzato in breve tempo. Anche la RAF
registrò l’abbattimento di undici velivoli (sette Blenheim, due Hampden e due
Beaufighter) con la morte di trentun membri d’equipaggio, mentre per la Royal
Navy furono tutto sommato leggere: due caduti e una mezza dozzina di feriti e
non si registrarono particolari danni al naviglio. Un ulteriore dato positivo
fu l’arruolamento di settantasette civili norvegesi che decisero di unirsi agli
Alleati, andando ad ingrossare il contingente delle forze norvegesi libere. Per
i tedeschi, colti totalmente di sorpresa, si registrarono centoventi caduti e
un centinaio di prigionieri. Per non parlare delle gravi perdite in termini di
infrastrutture civili (fabbriche di vario genere, centri radio, stazioni
elettriche e così via), militari (una batteria costiera, caserme, depositi di
munizioni e carburante) e naviglio per quasi 15mila tonnellate.
Al lungo elenco vanno
aggiunti anche quattro veicoli della Luftwaffe. Ma sicuramente il colpo più
duro fu quello psicologico: l’attacco si rivelò un vero fulmine a ciel sereno
che allarmò l’Alto comando tedesco e fece andare su tutte le furie Hitler. Come
conseguenza, nel tentativo di evitare il ripetersi di simili raid, il Fuhrer
decise di dirottare in Norvegia altri 30mila uomini e una discreta forza
navale, sguarnendo o indebolendo altri teatri di combattimento. Si è calcolato
che alla fine del conflitto le forze tedesche presenti in Norvegia ammontassero
a quasi 440mila unità: un grande dispendio di risorse per mantenere un fronte
che nel proseguo si dimostrò decisamente poco attivo. L’intero corso dei
combattimenti fu documentato da un’unità fotografica che immortalò gli eventi,
fornendo alcune delle più interessanti e drammatiche foto del conflitto. E furono
proprio queste testimonianze di prima mano a diventare un incredibile arma
propagandistica che fu utilizzata per ridare morale a una nazione ormai sull’orlo
di una crisi di nervi.
Articolo di Enrico
Cattapani pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 6. Altri testi e
immagini da Wikipedia.
Nessun commento:
Posta un commento