mercoledì 30 gennaio 2019

L’impero sassanide.


L’impero sassanide.
Dopo aver sconfitto l’ultimo re dei parti, Artabano, il nobile Ardashir diventò il primo re di una nuova dinastia, quella dei sassanidi. I quattro secoli di splendore dell’impero sasanide finirono di colpo con l’invasione araba.


Impero Sasanide
Ērānshahr
Impero Sasanide Ērānshahr – BandieraImpero Sasanide Ērānshahr - Stemma
(dettagli)
Sassanian Empire 621 A.D.jpg
Dati amministrativiNome completoImpero degli AriiNome ufficialeĒrānshahrLingue ufficialiPahlavi (Persiano medio)Lingue parlatePahlavi (Persiano medio)AramaicoGrecoCapitaleCtesifonteDipendenzeRegno d'ArmeniaLakhmidiPoliticaForma di StatoImperoForma di governoMonarchia assolutaŠāhān šāh Ērān ud Anērān (Re dei Re dell'Iran e del "non-Iran")Sovrani della PersiaNascita224 con Ardashir ICausaAbbattimento della dinastia arsacideFine651 con Yazdgard IIICausaConquista islamica della PersiaTerritorio e popolazioneBacino geograficoVicino OrienteMedio OrienteAsia centraleTerritorio originalePersiaSuddivisioneSatrapiaEconomiaRisorsecereali, grano, pietre preziose, allevamento, mineraliProduzionigrano, derrate alimentari, olio, vino, gioielli, stoffeCommerci conImpero romanoIndiaCinaEsportazionigioielli, vino, olio, stoffeImportazionispezie, drappi, seta, ebano, incensoReligione e societàReligioni preminentiZoroastrismoReligione di StatoZoroastrismoReligioni minoritarieNestorianesimoEbraismoClassi socialifunzionari, sacerdoti, proprietari terrieri, guerrieri, artigiani, commercianti, contadini, schiaviEvoluzione storicaPreceduto daImpero particoSucceduto daFlag of Afghanistan (1880–1901).svg Califfato islamicoManuale
L'Impero sasanide, noto anche come secondo impero persiano per distinguerlo dal primo impero persiano (Impero achemenide),[1][2] fu un'entità politica costituitasi nel 224 con Ardashir I in seguito alla caduta dell'Impero partico e alla sconfitta dell'ultimo re della dinastia arsacide, Artabano V.
Noto ai suoi abitanti come Ērānshahr e Ērān in Persiano Medio e come Iranshahr e Iran in Persiano Nuovo,[3] fu l'ultimo impero persiano preislamico, governato dalla dinastia sasanide dal 224 al 651;[4][5] rappresentò una delle potenze maggiori in Asia Occidentale, Meridionale e Centrale, insieme con l'Impero romano/bizantino, nella tarda antichità.[6]
Nel corso del tempo, l'Impero giunse a comprenderne interamente gli odierni IranIraqAfghanistanSiria orientale, il Caucaso (Armenia, Georgia, Azerbaijan, e Dagestan), Asia Centrale sudoccidentale, parte della Turchia, alcune regioni costiere della penisola arabica, la regione del golfo persico e alcune regioni del Pakistan occidentale. Il nome nativo dell'Impero sasanide in Persiano Medio è Eran Shahr che significa Impero ariano.[7] Secondo la leggenda, la bandiera dell'Impero sasanide era la Derafsh Kaviani.[8]
Il periodo sasanide è considerato uno dei periodi più importanti della storia della Persia, in quanto costituì l'ultimo grande impero iraniano prima della conquista musulmana e dell'adozione dell'Islam.[9] In molti modi, il periodo sasanide rappresentò il picco dell'antica civiltà persiana. La Persia influenzò considerevolmente la civiltà romana nel corso del periodo sasanide.[10]L'influenza culturale dei Sasanidi si estendeva anche oltre i confini territoriali dell'Impero, raggiungendo persino l'Europa Occidentale,[11] Africa,[12] Cina e India.[13] Giocò un ruolo fondamentale nella formazione dell'arte medievale sia europea sia asiatica.[14]


Evoluzione territoriale dell'Impero sasanide.



Guerre romano-sasanidi (224-363)
parte Guerre romano-persiane
Map sassanid empire.jpg
L'impero sasanide al tempo di Sapore I (nel 260)Data224 - 363LuogoAsia MinoreCaucasoArmeniaMesopotamiaEgittoPartia e PersiaEsitoNulla di fattoModifiche territorialiPassaggio della Armenia e della Mesopotamia dall'uno e l'altro impero, e viceversa.Schieramenti
Comandanti
Voci di guerre presenti su Wikipedia
Per guerre romano-sasanidi dal 224 al 363 si intende quel complesso di ostilità a bassa o alta intensità che oppose l'Impero romano ai Sasanidi. Per circa un secolo e mezzo, dal 229, in seguito all'avvento della dinastia sasanide, fino alla campagna sasanide di Giuliano (del 363), i due imperi si combatterono principalmente in Mesopotamia, nel deserto palmireno ed in Siria romana, per il predominio del Vicino Oriente.


Alcuni imperi nascono sulle rovine di altri, il dominio sasanide nacque sull’altopiano iraniano intorno al 224 d.C. con la sconfitta dell’ultimo sovrano dell’impero partico, Artabano V, per mano dell’allora sconosciuto Ardashir I. Il fondatore della dinastia – il cui nome proviene da Sasan, il nonno di Ardashir – fu figlio di Papak, un capo locale che unificò gran parte della provincia di Fars. I re sasanidi diedero sempre risalto al legame con questa provincia, così da sottolineare il forte vincolo tra la loro stirpe e quella dei re achemidi, sovrani dell’Iran, il cui impero fu tra i più importanti dell’antichità. Come questi ultimi, i sovrani sasanidi adottarono il titolo di Re dei Re (sahansah). Per questo aggiunsero nuovi rilievi in loro onore a Naqsh – i Rustam, necropoli reale dell’antico impero achemenide, non solo per legittimarsi rispetto ai governi precedenti, che consideravano invasori, ma soprattutto per recuperare un passato glorioso di cui di cui si sentivano eredi.
L’espansione militare sasanide mirava al controllo di un territorio vasto quanto quello degli acheminidi. Ovviamente ciò causò spesso relazioni tese con i vicini, soprattutto con romani, armeni, unni eftaliti (conosciuti come unni bianchi) e arabi: ne seguirono numerose guerre e rivolte dalle quali non sempre i sasanidi uscirono vittoriosi. Eppure rappresentavano una delle più terribili minacce per l’espansione territoriale dell’impero romano e per le sue strutture dei potere. Ne fu chiara dimostrazione quando il re Sapore I – Shahpur in persiano medio – tenne in scacco l’intero impero nella famosa battaglia di Edessa (verso il 260), in cui fece prigioniero l’imperatore romano Valeriano. E proprio uno dei rilievi di Naqsh – i Russtam rappresenta Valeriano in ginocchio davanti al vincitore, il Re dei Re.


Ghal'eh Dokhtar nell'odierno Fars in Iran, costruito da Ardashir nel 209, prima di sconfiggere l'Impero dei Parti.

Gli ultimi re della Persia.

224
Ardashir vince l’ultimo re dei parti, Artabano V e inaugura la monarchia sasanide, l’ultima dinastia di re persiani.
260 circa.
Nella battaglia di Edessa Sapore I fa prigioniero l’imperatore Valeriano, che si pensa sia stato giustiziato crudelmente.
274-277
Diffusione della dottrina manichea grazie a Mani, che verrà torturato e condannato a morte dal re sasanide Cosroe I
339-420
Yazdgird I si apre alla tolleranza religiosa e interrompe le persecuzioni dei cristiani. Firma la pace con i romani.
636
Gli eserciti arabi conquistano Ctesifonte, la capitale amministrativa dell’impero sasanide, dopo la battaglia di al-Qadisiyya
651
L’ultimo re sasanide Yazdgir III, fugge dagli invasori arabi ed è ucciso a Merv. Il figlio si trasferisce in India.
 
Bassorilievo sasanide a Naqsh-e Rostam raffigurante Sapore I (a cavallo) mentre fa prigioniero l'imperatore romano Valeriano (in piedi) e Filippo l'Arabo (in ginocchio)


UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE. Nell’impero sasanide la società era organizzata in modo gerarchico. Alla sommità si trovava il sovrano, che delegava le mansioni di governo a una sorta di primo ministro, dal grande potere. I consigli, o ministeri, e i governi delle province  completavano la burocrazia, che garantiva il funzionamento dello stato. sotto vi erano quattro classi, in ordine decrescente di prestigio: i sacerdoti (asrovan), i guerrieri (arteshtaran) e gli artigiani (hutukhshan). I membri della corte – composta da parenti del re, altri nobili e notabili del regno, i quali ricoprivano le cariche di una complessa amministrazione – provenivano soprattutto dai primi due ceti, e in particolar modo dall’aristocrazia militare, e vivevano in un ambiente lussuoso e sofisticato, che raggiunse uno splendore leggendario durante il regno di Cosroe I (Khusraw I), tra il 531 e il 579.
Spesso crediamo che le culture antiche siano uniformi: niente di più lontano dalla realtà. La società sasanide era plurilingue, multietnica e multi religiosa, come ci si potrebbe immaginare in un territorio così esteso quale quello controllato dai loro re. I sasanidi dominavano gran parte della Via della Seta, dettaglio che gli garantiva introiti immensi, ma per questo dovevano salvaguardare la sicurezza dei cammini. Carovane con ogni sorta di prodotti e persone provenienti da Cina, Asia centrale, India, penisola Arabica, Egitto, Mediterraneo orientale, Caucaso, Grecia o Roma, attraversano la regione sasanide tramite una complessa rete di comunicazioni. Le élite sasanidi parlavano il medio persiano o pahlavi, una lingua imparentata con l’antico persiano – la lingua dei re achemidi – sia con il moderno persiano, e potenziarono l’impiego della lingua materna non solo a corte, nell’amministrazione, nelle leggi e nel conio delle monete, ma anche in ambito letterario e religioso. Tuttavia, la poliedrica popolazione dell’impero parlava pure altre lingue iraniche, quali il partico, il battriano, il sogdiano, il corasmiano o chvarezmio, così come le lingue di diversi ceppi linguistici.

Bahram V favorì la fioritura della poesia e nella letteratura persiana. "Bahram e la principessa indiana nel padiglione nero", dipinto di una Khamse (Quintetto) del grande poeta di lingua persiana Nizami, metà XVI secolo, epoca safavide.

ZOROATRISMO, LA RELIGIONE DEI RE. La diversità regnava anche in ambito religioso. I re e la maggior parte dell’élite dominante professavano lo zoroastrismo, il cui nome viene di Zoroastro (adattamento greco della parola avestica Zarathustra), considerato dai credenti come il profeta. Il dio principale è il dio della saggezza (Ahura Mazda in avestico, Ohrmazd in pahlavi), creatore del mondo e delle sue creature, e ha come antagonista principale lo spirito del male (Angra Mainyu in avestico, Ahrima in pahlavi). Tuttavia, lo zoroastrismo non è una religione monoteista. Dall’antichità i suoi fedeli hanno venerato altri dei immateriali e materiali, associati soprattutto a elementi naturali come il fuoco, le stelle, la terra, l’acqua, i metalli e le piante. Non dimentichiamo che Sasan, eponimo della dinastia sasanide, fu sacerdote della dea delle acque Anahita nel tempio di Istakhr, a Fars.
Lo zoroastrismo fu la religione principale dell’epoca sasanide, ma non l’unica a diffondersi nell’impero. Comunità sempre più numerose di ebrei, cristiani, maniche, mandei e buddisti convivevano grazie a una politica di tolleranza religiosa, nonostante persecuzioni mirate di alcune autorità zoroastriane che temevano di perdere il potere a corte.
Per esempio, il Talmud, uno dei più importanti testi del giudaismo rabbinico, fu redatto nelle versioni di Gerusalemme e di Babilonia durante la dominazione sasanide. Non solo: il massimo rappresentante della Chiesa orientale cristiana – che nella variante nestoriana si separò dall’occidentale nel V secolo – risiedeva a Ctesifonte sotto la protezione del re sasanide. Ciononostante, alcuni sovrani cercarono di imporre lo zoroastrismo quale religione ufficiale nelle zone ribelli a maggioranza cristiana, come per esempio in Armenia e Georgia, per paure che i re vicini, convertitosi al cristianesimo, li attrassero nella loro orbita.
 Sempre in quel periodo il manicheismo si espanse sino ai confini dell’Asia, malgrado la condanna a morte del profeta e fondatore Mani, tra il 274 e 277, durante il regno di Wahram I. Mani compose in pahlavi lo Shahpuhragan, compendio della dottrina manichea, e lo dedicò al re sasanide Sapore I (Shahpuhr, 240-270 circa), causando risentimento nel clero zoroastriano. Il sacerdote zoroastriano Kartir fu il principale istigatore della condanna a morte di Mani e della persecuzioni dei suoi seguaci e di altre minoranze religiose.


 Immagine rinvenuta a Doura Europos (Siria), risalente al III secolo d.C., che, comunemente, viene intesa come quella del profeta iranico Zarathustra; più probabilmente indica "il Persiano" uno dei sette livelli di iniziazione del culto mitraico romano[8].


The Faravahar, one of the best-known symbols of Zoroastrianism.Faravahar-Gold.svg

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Fedeli
Vedi anche
Lo zoroastrismo (definito anche zoroastrianesimo o mazdeismo, in avestico mazdayasna, cioè "adorazione di (Ahura) Mazda" o "culto di Mazda") è la religione basata sugli insegnamenti del profeta Zarathuštra (o Zoroastro) ed è stata in passato la religione più diffusa dell'Asia centrale.
Essa si sviluppò e si diffuse come religione principale, questo sia teologicamente, che demograficamente e politicamente, nelle regioni iraniche e dell'Asia centrale tra il VI secolo a.C. e il X secolo d.C.[1].
Questa fede è chiamata dai fedeli zarathushti din (religione zoroastriana) dal nome del suo fondatore Zarathuštra (derivato dal tardo medio-persiano, o lingua pahlaviZardukhsht anche Zardusht; anche dalla lingua fārsìZardosht). I fedeli sono chiamati "zoroastriani" (lingua fārsìzartoshtizardoshtilingua gujaratijarthushti).
Lo zoroastrismo è indicato tradizionalmente anche con il termine Mazdayasna daēnā (medio-persiano dēn ī Māzdēsn, religione degli adoratori di Mazdā) e loro stessi come mazdayasna (adoratori di Mazdā, medio-persiano māzdēsn), indicandosi quindi come seguaci del dio creatore denominato Ahura Mazdā ("Saggio signore" o "Signore che crea con il pensiero"). Da qui la sua denominazione corrente di mazdaismo o mazdeismo ritenuta come l'unica corretta da alcuni iranisti[2].
Lo zoroastrismo è stato per secoli la religione dominante in quasi tutta l'Asia centrale, dal Pakistan all'Arabia Saudita, fino alla nascita e diffusione della religione islamica nel VII secolo. Tuttavia non si estinse, e piccole comunità zoroastriane permangono ad oggi in IranTagikistanAzerbaigian e India (i cosiddetti Parsi, comunità fuggite dall'Iran nel periodo della sua islamizzazione e rifugiatesi in India)


IL CROLLO DELL’IMPERO. Alla fine del V secolo il sacerdote zoroastriano Mazdak promosse una riforma religiosa e sociale che scatenò una grave crisi nell’impero. Con l’appoggio iniziale del re Kawadh I. Mazdak avviò la spartizione comune della ricchezza e, soprattutto, della produzione agricola tra i lavoratori dei campi, con la convinzione che nessuno doveva possedere più del necessario. Nella sua organizzazione, i figli diventavano responsabilità di tutta la comunità e perfino le donne erano condivise, come biasimavano gli esponenti del conservatore clero zoroastriano. La riforma di Mazdak fu un palese attacco sia al potere delle élite aristocratiche, che si accaparravano possedimenti e donne, sia a diverse autorità religiose dell’epoca, che temevano il mazdachesimo per quel pericoloso libero amore. La risposta a questa prima forma storia di comunismo non si fece attendere; nel 496 i nobili e il clero deposero il re Kawadh I, che poté tornare sul trono grazie all’aiuto straniero e solo dopo aver sconfessato quelle idee. Fu il figlio Cosroe I che, prima di succedere al padre, sterminò Mazdak e i suoi seguaci.
Nel 636, dopo la vittoria nella battaglia di al-Qadisiyya, gli arabi, latori della nuova religione mussulmana, conquistarono Ctesifonte, capitale amministrativa dell’impero sasanide. Negli anni seguenti caddero pure altre regioni. Il crollo dell’impero culminò nel 651 con la sconfitta del re Yazdgird III, ultimo della sua dinastia, che, dopo la fuga, venne assassinato a Merv, nell’attuale Turkmenistan.
Gli arabi sono passati alla storia come gli annientatori dell’impero sasanide, ma anche come i suoi eredi, dal momento che ne hanno trasmesso il sapere. Non dimentichiamo che nella letteratura, nell’architettura, nei giardini e nelle arti plastiche e tessili del periodo islamico rimangono elementi del mondo sasanide, senz’ombra di dubbio una delle culture più affascomamto e spfostocate deòòa tarda antichità.

Gli scacchi conquistano i persiani.

Gli scacchi, un gioco di origine indiana, furono importanti in Iran durante il dominio sasanide. Secondo il testo pahlavi Spiegazione degli scacchi e invenzione del nard, il re indiano Dewisharm mandò il gioco al re sasanide Cosroe I a condizione che, se non fosse stato capace di decifrarne il significato, avrebbe dovuto pagargli un tributo. Il saggio sasanide Wuzurgmihr I Bokhtagan riuscì a capirlo e mandò a sua volta il nard, corrispondente all’attuale backtagan, a Dewisharm che, invece, fu incapace di decifrarlo e fu costretto a pagare il tributo al re sasanide.
La parola scacchi proviene dal provenzale escac, che a sua volta deriva dal persiano sah’re’. In pahlavi corrispondeva al ermine catran, “di quattro membri”, con cui nell’antica India era indicato un esercito formato dalla fanteria (pedoni), cavalleria, elefanti (alfieri) e carri (torri). Parte della terminologia degli scacchi deriva, infatti dal pahlavi. Per esempio, alfiere proviene dall’arabo al-fil, che a sua volta deriva dal pahlavi pil, elefante, e scacco matto viene dal pahlavi sah mat o re morto.

Il diamante Darya-ye Noor.
Corone per il Re dei Re.
C’è chi cambia abito. I re sasanidi, invece, cambiavano corona. Come dimostrano i rilievi e soprattutto la numismatica sasanide, ogni re era solito usare una o più corone diverse da quelle dei suoi predecessori, mettendo così in risalto il proprio carattere.
Le corone erano considerate il simbolo più importante della regalità ed erano decorate con motivi diversi, che spesso rappresentavano divinità zoroastriane. Così per esempio, Wahram I (271-274) incluse nella propria corona i raggi solari, simbolo del dio Mitra o Mihr, Wahram II (276-293) le ali di un corvo, che rappresentavano il dio della guerra Verethragna o Wahram, da cui prendeva il nome lo stesso re. Le corone sasanidi divennero di una tale complessità e avevano una decorazione talmente lussuosa e carica che i re non riuscivano a portare sulla testa.
Secondo alcune fonti, proprio per la loro pesantezza erano appese a catene d’oro sul trono, sul luogo della residenza temporale del monarca o perfino sul letto di morte. L’usanza sasanide di sospendere le corone fu poi ripresa dai re bizantini, e annessa come cerimoniale di corte.


Articolo in gran parte di Miguel Angel Andres Toledo Università di Salamanca pubblicato su National Geographic del mese ottobre 2018 – altri testi e immagini da Wikipedia. 

martedì 29 gennaio 2019

La bizzarra piramide di Cestio.


La bizzarra piramide di Cestio.
Dove non te l’aspetti, sulla strada che da Roma porta a Ostia, sorge una piramide. A volerla fu Gaio Cestio, ricco politico romano, che convinse i suoi eredi con un ricatto.



Piramide di Caio Cestio
Piramide Cestia.jpg
La Piramide vista da piazzale OstienseUtilizzotombaEpoca12 a.C. circaLocalizzazioneStatoItalia ItaliaComuneRomaDimensioniAltezza36,40 mAmministrazionePatrimonioCentro storico di RomaEnteSoprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di RomaResponsabileRita ParisSito webarcheoroma.beniculturali.itMappa di localizzazione
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La Piramide Cestia in un'incisione di Giovanni Battista Piranesi

Veduta notturna della Piramide Cestia
La Piramide Cestia (o Piramide di Caio CestioSepulcrum Cestii in latino) è una piramide di stile egizio, sita a Roma vicino a Porta San Paolo e al cimitero acattolico, la cui costruzione fu completata nel 12 a.C.



Bastarono 330 giorni, attorno al 12 a.C., per costruire la più famosa piramide romana. Si tratta del sepolcro di Gaio Cestio, uno dei sette epuloni cittadini (i membri del collegio religioso che si occupava di allestire banchetti pubblici e giochi rituali in occasione di particolari festività), il quale, nel testamento, intimò agli eredi di edificare la sua tomba entro quel termine di tempo, pena la perdita di tutto il patrimonio a loro lasciato in eredità.
Alta 36,4 m., con una base quadrata di circa 30 m per lato, la piramide è incastonata come un gioiello nella cinta delle Mura Aureliane, costruite fra il 270 e il 275 per difendere Roma dagli attacchi dei barbari. Proprio per questo motivo, poiché costituiva una sorta di bastione delle mura urbane, la piramide non fu spogliata dei suoi marmi bianchi, come accadde, invece, a molti altri monumenti cittadini.

BLOCCO DI CEMENTO ARMATO. Dal punto di vista costruttivo, le somiglianze fra la Piramide Cestia e le piramidi egizie sono poche. Quella romana non venne edificata con blocchi di pietra sovrapposti, ma fu costruita in calcestruzzo. Al suo interno si trova una camera sepolcrale decorata, alta 4,80 m. e con due lati di 5,95 e 4,10 m. Proprio grazie alla sua struttura, la piramide ha inclinazione decisamente maggiore rispetto a quelle dei faraoni (pur essendo decisamente più piccola delle sue più nobili sorelle), raggiungendo un’altezza che un edificio tradizionale difficilmente avrebbe toccato. Le curiose circostanze della costruzione del monumento ci sono note grazie a un’iscrizione scolpita sul fianco orientale del monumento:

OPVS . APSOLVTVM . EX .
TESTAMENTO . DIEBVS . CCC. XXX ARBITRATVI L . PONTI .
Publii . Filii . Claudia tribu . MELAE . HEREDIS .
 ET POTHI .  Liberti.
Che significa: quest’opera è stata completata per testamento in 330 giorni per disposizione di Lucio Ponzio Mela figlio di Publio della tribù Claudia, erede, e di Potho, libero. Gli eredi, quindi, messi in ambascie dalla possibilità di essere diseredati, si affrettarono a portare a termine i desideri del loro avo: pare addirittura che la tomba fu completata con qualche giorno di anticipo sul previsto. Sempre sulla facciata orientale, oltre che su quella occidentale, sono iscritte le credenziali del defunto, cioè il nome e i titoli di Cestio. La data di costruzione non è indicata chiaramente, ma viene dedotta da alcune circostanze ricostruibili studiando le iscrizioni poste sulle varie parti del monumento. Tra i beneficiari, ed esecutori, del testamento (elencati nel piedistallo di una delle colonne poste agli angoli della piramide), compare Marco Vipsanio Agrippa, politico militare e architetto, nonché genero di Cesare Augusto, di cui aveva sposato la figlia Giulia Maggiore. Agrippa scomparve nel 12 a.C., quindi il monumento deve essere stato certamente costruito prima di quella data. D’altra parte, la dedica di una statua di Cestio, che si trovava all’ingresso del sepolcro, indica che essa fu realizzata vendendo stoffe orientali intessute d’oro che il defunto (alla maniera dei faraoni) avrebbe voluto portarsi nella tomba.
Una disposizione di legge del 18 a.C., che vietava sprechi e sciali, non impedì però agli eredi di adempiere la volontà del morto. La costruzione del monumento deve quindi necessariamente collocarsi fra queste due date.


 La Piramide Cestia in una foto del 1880
Il cimitero dei poeti.

Cimitero acattolico di Roma
Cimitero Acattolico Roma.jpg
Vista del cimiteroTipocivileConfessione religiosadiverse dalla cattolica o nessunaStato attualein usoUbicazioneStatoItalia ItaliaCittàRomaCostruzionePeriodo costruzione1716Data apertura11 ottobre 1821 (data ufficiale)Tombe famoseJohn KeatsPercy Bysshe ShelleyAntonio GramsciCarlo Emilio GaddaEmilio LussuMappa di localizzazione
Modifica dati su Wikidata · Manuale
Il cimitero acattolico di Roma (già cimitero degli Inglesi, o anche "cimitero dei protestanti", o nella lingua parlata "cimitero del Testaccio", o "cimitero degli artisti e dei poeti"[1]) si trova a Roma, nel quartiere di Testaccio, vicino a Porta San Paolo, a lato della Piramide Cestia[2].
Ai piedi della Piramide Cestia, dentro il recinto delle Mura Aureliane, sorge il cimitero acattolico di Roma, un tempo chiamato anche cimitero degli inglesi, o cimitero del Testaccio oppure cimitero degli artisti e dei poeti. All’interno dei suoi confini si trovano le tombe di famosi poeti romantici inglesi, come John Keats (1795-1821) e Percy Shelley (1792-1822), ma anche quelle di Antonio Gramsci (1891-1937) e dello scrittore milanese Carlo Emilio Gadda (1893-1973). Fino all’Ottocento il luogo era chiamato “i prati dei romani”. Era un’aerea pubblica, dove si portava il bestiame a pascolare e si conservava il vino. Sotto la Piramide Cestia, i romani dell’epoca andavano anche a divertirsi. Furono gli abitanti non cattolici della città a scegliere questo luogo per le loro sepolture, come testimoniato da una delibera del Sant’Uffizio data 1671. Per le prime sepolture non erano previste lapidi, che cominciarono a essere realizzate solo dopo la metà del Settecento.

 

DECORAZIONI POMPEIANE. La camera sepolcrale vera e propria, con la volta a botte, fu sigillata al momento della sepoltura, come avveniva in Egitto. Si tratta di una stanza dipinta di bianco, con decorazioni in stile pompeiano: sacerdotesse, anfore, immagini della Vittoria alata. Per quanto ben conservata, oggi appare nuda e spoglia. Sulla parete di fondo di doveva trovare il ritratto di Gaio Cestio, ormai scomparso. Al suo posto c’è un buco, praticato forse da cacciatore di tesori. Il sepolcro si trovava lungo la Via Ostiense, che collegava l’Urbe al porto di Ostia, ed era circondato da una recinzione di tufo, oggi visibile in parte. Agli angoli c’erano quattro colonne e due statue du Celso ai lati della porta. La presenza di una piramide a Roma è curiosa (quella di Cestio è la sola rimasta, anche se non fu l’unica), ma risente del gusto esotico dell’epoca, seguito alla conquista romana dell’Egitto avvenuta, per mano di Ottaviano, nel 30 a.C. Nel Medioevo, il popolo identificava la Piramide Cestia con la Meta Remi (cioè “il termine di Remo, inteso come la sua tomba), associandola ad un’altra piramide chiamata invece meta Romuli (la “tomba di Romolo”), molto simile a quella di Cestio e costruita nello stesso periodo. Quest’ultima è esistita almeno fino al 1499, nel rione Borgo (che si trova ai piedi del colle Vaticano ed era sede di sepoltura), ed è riportata sulla pianta della città di Roma disegnata da Alessandro Strozzi nel 1474. Fu demolita nel Cinquecento da papa Alessandro VI Borgia, per aprire la nuova strada di Borgo Nuovo. Anche il poeta trecentesco Francesco Petrarca, per quanto fosse un esperto latinista, indica la Piramide Cestia come il “sepolcro di Remo”, avallando la credenza popolare. Il rimando, anche se fantasioso, alle origini della città e la sua struttura curiosa e bizzarra fecero della sepoltura uno dei monumenti più ammirati dai viaggiatori, soprattutto stranieri. La Piramide Cestia fu immortalata anche in dipinti e incisioni, come quelle celeberrime di Giovan Battista Piranesi, eseguite alla metà del Settecento, in cui sono ben visibili le colonne agli angoli del monumento e le iscrizioni sulla parete volta a est. Nel 1663, papa Alessandro VII fece scavare un’apertura nella piramide, che portò alla scoperta della camera sepolcrale, già visitata dai tombaroli.



La Meta Romuli, tra il Circo di Nerone e il Mausoleo di Adriano, in una ricostruzione di Pirro Ligorio
La Meta Romuli era una piramide che si trovava a Roma, nel quartiere del Borgo vicino alla Basilica di San Pietro in Vaticano e fu denominata anche "Piramide vaticana" o "Piramide di Borgo".


Articolo in gran parte di Eugenio Anchisi pubblicato su Civiltà Romana n. 1 edizioni Sprea. Altri testi e immagini da Wikipedia.

I vichinghi, gli eroi delle sagre.

  I   vichinghi gli eroi delle saghe. I popoli nordici vantano un tripudio di saghe che narrano le avventure di eroi reali o di fantasia. ...