Le guardie Variaghe i
salvatori dell’Impero Bizantino.
Le guardie Variaghe.
Quando gli imperatori di Bisanzio
ebbero modo di constatare la loro determinazione sui campi di battaglia. Non
tardarono a trasformarli nel fulcro dei loro eserciti. Un vero e proprio corpo
d’élite, composto da guerrieri d’origine scandinava, che garantì alla Roma
d’Oriente una rinascita militare insperata.
La Guardia variaga - ill. dalla Cronaca di Giovanni ScilitzeDescrizione generaleAttivaX-XI secoloNazione Impero bizantinoServizioEsercitoTipoFanteria pesanteRuoloTruppa d'assalto
Guardia cerimonialeGuarnigione/QGCostantinopoliEquipaggiamentoAscia danese
Elmo vichingo
Cotta di maglia
Uno
dei più grandi storici del “fenomeno vichingo” e della loro inarrestabile
espansione a cavallo tra il IX e l’XI secolo, Johannes Brondsted, ha scritto in
maniera lapidaria: “Perché la Scandinavia
era forte e il resto dell’Europa debole?”. Mille anni fa, nelle chiese o
nei monasteri della Francia del nord si udiva con frequenza una supplica: “Liberaci, o Signore, dall’ira degli uomini
del nord”. Niente di più giustificato. Questo flagello era impersonato da
guerrieri norvegesi, danesi e svedesi., le cui scorrerie potevano prendere
pieghe sempre diverse, da rapide incursioni e razzie in cerca di bottino a
sanguinose invasioni alla ricerca di terre da colonizzare. Perché accadde tutto
ciò? La risposta non è semplice. Per quale ragione l’Europa poteva consentire a
danesi o norvegesi di assoggettare vaste regioni dell’Inghilterra, dell’Irlanda
e della Francia?
Descrizione
generale.
Attivi dal IX al XV
secolo
Nazione impero
bizantino
Tipo fanteria pesante
Ruolo guardia
imperiale
Arma tipica ascia
lunga danese
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Guerrieri terribili a vedersi.
L’immagine
arrivata fino a noi di questi giganteschi combattenti, dotati di forza fuori
dalla norma e indubbie doti militari, non è mai stata messa in discussione
dagli storici. Le fondi disponibili, infatti, sembrano essere concordi su
questo punto. Una descrizione lasciataci da una testimonianza del XII secolo,
inoltre ce li descrive come uomini dalla barba folta, lunghi baffi e capelli
molti scuri. Era anche assai diffusa l’abitudine, presa in prestito
probabilmente dalle popolazioni turche, di ricorrere a estesi e complessi
tatuaggi su mani, braccia e spalle.
ECCO COSA SCRISSE
IL MONACO MICHELE PSELLO NEL 1057.
“Presso di loro (i
bizantini) stavano i mercenari
stranieri, terribile d’aspetto e dai corpi giganteschi. Soldati… dagli occhi
blu… i Variaghi con la loro carnagione naturale, che combattono come
invasati, come infiammati dalla collera divina… che non si curano delle
ferite che ricevono e non tengono in alcun conto i loro corpi”. Non stupisce pertanto il timore che erano
in grado di incutere alle truppe schierate contro di loro sui campi di
battaglia.
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Il potente regno dei Rus. L’Europa occidentale,
però, non fu il loro solo obiettivo. Uno degli aspetti più affascinanti è il
fenomeno legato all’espansione delle popolazioni svedesi verso Oriente e le
enormi distese delle steppe russe. Le loro avventure coloniali e mercantili
erano cominciate nell’area del Baltico e in seguito si svilupparono anche in
direzione est verso il laghi Ladoga e Onega. Uno degli elementi più
interessanti di questo fenomeno è venuto alla luce di qualche decennio fa: il
ritrovamento in prossimità dell’antico abitato di Staraya Ladoga (non lontano
da San Pietroburgo) di un insediamento commerciale del periodo compreso tra
l’inizio del IX secolo e la metà dell’XI. Quando i coloni scandinavi, Rus (dal
nome di una loro tribù), arrivarono nella terra che oggi porta il loro nome
(Russia), è probabile che vi si siano stabiliti, chiamando la città con il nome
di Aldeigjuborg. Da lì, grazie al complesso sistema di collegamenti fluviale,
fu possibile raggiungere i luoghi delle future città di Novgorod e Kiev.
Stazioni commerciali e fortezze garantirono, insieme a un’indubbia forza
militare, la nascita di un potente stato definito dalle fonti medievali “Terra
dei Rus”. La più antica testimonianza di questo popolo, la Cronaca di Nestore,
datata agli inizi del XII secolo e scritta da un monaco di Kiev, ci fornisce
una versione piuttosto interessante. I Variaghi, provenienti dall’altra sponda
del mare (il Baltico) furono chiamati dalle locali popolazioni slave e
finniche, in costante guerra tra loro, per essere amministrati e governati.
All’appello aderirono tre fratelli con le loro genti, i Rus appunto, e fu uno
di loro, Rjurik, a edificare l’antica città di Aldeigjuborg. È pertanto
possibile affermare che intorno al 900 l’influenza svedese fosse ormai
diventata un elemento importante nell’Europa orientale: una vasta rete di vie
fluviali si era sviluppata ed erano stati creati due stati scandinavi, Novgorod
e Kiev, che negli anni successivi si sarebbero unificati a formare una vasta
entità statale. Se la genesi di questo regno è piuttosto convulsa, non
altrettanto si può dire della sua storia nei secoli successivi: il regno di
Kiev si sviluppò a partire dalla fine dell’VIII secolo, raggiungendo il culmine
della sua potenza durante i regni del principe Vladimir I il grande (980-1015)
e Jaroslav I il Saggio (1019-1015) per poi iniziare una rapida e inesorabile
decadenza.
L'incontro di Svjatoslav con l'imperatore Giovanni, di Klavdij Lebedev.
I Variaghi in battaglia e il loro
armamento.
Siamo poco informati su quali
formazione tattiche adottassero sui campi da battaglia, ma sembra siano state
mutate nel corso del tempo e delle particolari condizioni dello scontro. Di
certo a loro spettava il compito di proteggere a tutti i costi il sovrano;
pertanto, almeno all’inizio di ogni battaglia, assumevano un assetto
difensivo. Ma non sempre. Una testimonianza preziosa, a tale riguardo, è
stata fornita dal cronista Goffredo Malaterra, relativamente alla battaglia
di Durazzo nel 1081; secondo la sua versione i Variaghi, divisi in due
colonne, per loro stessa richiesta, si schierarono in prima linea, a difesa
del centro dove stazionava l’imperatore. Indipendentemente dal loro impiego
tattico, però, la loro discesa in campo era un evento assai temuto dai nemici
a prescindere da come procedesse lo scontro, erano certi che prima o poi
avrebbero dovuto confrontarsi con questi guerrieri nordici, dall’aspetto
terribile e una forza sovrumana. Il loro armamento li rendeva facilmente
riconoscibili.
ARMATURE. La guardia variaga era per
lo più protetta da pesanti armature di tipo loricato o lamellare, ma alcune
rappresentazioni dell’epoca mostrano come non venisse disdegnata anche una
protezione più leggera, alla maniera dell’esercito bizantino. L’armatura era
spesso usata in combinazione con una tipica imbragatura di pelle costituita
da una cinghia avvolgente il petto con due bretelle passanti sulle spalle che
si allacciavano sulla schiena. Per risparmiare sul peso, inoltre, i corsetti
erano relativamente corti con maniche fino al gomito, e usati in combinazione
con bracciali e gambali.
ELMI. Gli elmi indossati dai primi
mercenari rus avevano una forma conica del tipo spangenhelm, costruiti cioè con placche
giunte una all’altra senza intelaiatura, di derivazione antico-orientale
(scito-sarmatica probabilmente), con spesso una protezione nasale. Venivano
in genere indossati sopra la cotta di maglia che proteggeva il capo.
SCUDI. Le cronache dell’epoca
ricordano che i Variaghi erano dotati di splendidi scudi rotondi, del tipo in
voga presso i popoli scandinavi, circolari e leggermente convessi, e forniti
di cinghie per le spalle. Misuravano in genere 80-100 cm di diametro. A
partire dall’XI secolo si ricorse anche a scudi lunghi di tipo bizantino.
Ascia. Sono proprie le lunghe asce
usate da Rus e Variaghi a far coniare il termine alternativo con cui erano
conosciuti, i portatori d’ascia. Il reggimento della Guardia imperiale era
associato a quest’arma di origine danese da impiegare a due mani e a forma di
mezzaluna che veniva portata sulle spalle. La sua lama, leggermente inclinata,
era in grado di provocare terribili ferite. La lunghezza andava dai 120 ai
140 cm.
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La dotazione tipica della guardia
variaga.
I Variaghi, anche conosciuti come
“portatori d’ascia”, dovevano la loro fama alla capacità di destreggiarsi con
quest’arma in grado di provocare terribili ferite. La tipica spada nordica,
lancia, giavellotto e la temibile romfaia completavano la loro dotazione in
battaglia.
SPADA. Anche se parte
dell’armamento proveniva dalle armerie imperiali, le guardie variaghe non rinunciavano alla
loro spada di tipo nordico a doppio taglio e con pomo quadrangolare o
semicircolare. Per gli ufficiali era prassi dotarsi di armi intarsiate di
splendida fattura.
Spada di un vichingo sepolto a Repton in Mercia; oggi nel Derby Museum and Art Gallery
ROMFAIA. È possibile che alcuni
Variaghi utilizzassero un’arma a forma di falce (fals) che aveva destato
grande impressione nell’esercito imperiale romano durante le guerre daciche
del I-II secolo dopo Cristo. Era costituita da una lama ricurva, affilata sul
lato interno, che si poteva utilizzare a una o due mani. Le terribili ferite
che era in grado di provocare la rendevano estremamente pericolosa.
Reperti di romfaie
ASCIA. Sono proprie le lunghe asce usate da Rus e Variaghi a far coniare il
termine alternativo con cui erano conosciuti, i portatori d’ascia. Il
reggimento della Guardia imperiale era associato a quest’arma di origine
danese da impiegare a due mani e a forma di mezzaluna che veniva portata
sulle spalle. La sua lama, leggermente inclinata, era in grado di provocare
terribili ferite. La lunghezza andava dai 120 ai 140 cm.
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La battaglia capolavoro. Sappiamo dalle fonti bizantine che le truppe
variaghe furono determinanti in più di un’occasione nelle continue guerre che
caratterizzarono la storia bizantina, dal Caucaso ai Balcani, fino all’Italia.
Spesso però i dettagli su come fossero impiegate operativamente non sono
chiari. Una delle più interessanti eccezioni riguarda lo scontro decisivo
combattuto nell’agosto del 1122 presso l’antica città di Beroia, l’odierna
Stara Zagora, nell’attuale Bulgaria, tra l’esercito di Giovanni II il Comneno e
quello dei Peceneghi, una popolazione nomade di origini turca che aveva invaso
i confini imperiali in cerca di terre dove insediarsi. Per il sovrano bizantino
il rischio di perdere il controllo della parte settentrionale dei Balcani era
troppo alto e fu pertanto richiamato l’esercito dall’Asia Minore. Riunitosi
presso Costantinopoli con le truppe rus di stanza nella capitale dopo una
marcia forzata, le due armate si trovarono faccia a faccia proprio di fronte a
Bèrola dove i peceneghi si erano accampati. Con l’inganno, mentre vigeva una
tregua in attesa dei responsi su una proposta di pace, Giovanni diede ordine
alle sue truppe di attaccare di sorpresa l’accampamento nemico difeso da carri
messi in circolo. Sebbene fossero stati colti di sorpresa, i cavalieri turchi
si difesero strenuamente e riuscirono a respingere tutti gli assalti nemici.
Quando le truppe bizantine sembravano incapaci di avere la meglio l’imperatore
decise d’impiegare la sua ultima risorsa, i fedeli variaghi. Armati delle loro
immancabili lance lunghe danesi e dimostrando una determinazione ai limiti del
suicidio, riuscirono ad aprirsi un varco verso attraverso il fitto circolo di
carri e penetrare nel cuore dell’accampamento. I peceneghi tentarono di opporsi
ma furono sbaragliati, cedendo di schianto e venendo massacrati. La sconfitta
fu definitiva, l’esercito invasore annientato e i superstiti, in cambio della
vita, costretti ad arruolarsi nelle file imperiali.
L’élite dell’esercito bizantino. Ma il lungo
viaggio di questo popolo di guerrieri non si limitò alle pianure dell’Europa
orientale. Spostandosi lungo gli estesi fiumi della Russia meridionale giunsero
sulle rive del Mar Nero, venendo a contatto con un mondo totalmente differente:
l’impero greco erede di Roma. I Variaghi fecero la loro prima apparizione a
Costantinopoli già nell’839, quando l’imperatore Teofilo II (829-842) ne
ingaggiò alcuni come mercenari. Eppure il primo impatto tra questi due mondi fu
piuttosto turbolento. Alcuni eserciti rus, attirati dalle enormi ricchezze
della capitale posta sullo stretto dei Dardanelli, tentarono a più riprese di
assediarla, come nel drammatico assalto dell’860. Sebbene fosse stato respinto,
dimostrò quanto questi guerrieri fossero abili, motivati e dotati di un forte
spirito di corpo. Il punto di svolto non tardò a materializzarsi nel 988,
quando l’imperatore bizantino Basilio II
(976-1025) fece esplicita richiesta a Vladimir I di un forte contingente di
guerrieri per salvaguardare il trono dalle continue minacce intere e mettere a
tacere le trame dell’aristocrazia. Il signore di Kiev gli fornì 6mila uomini,
pretendendo in cambio la mano della sorella, Anna Porfirogenita, dopo essersi
convertito al cristianesimo. Nel 989, il prezioso apporto dei guerrieri
variaghi, guidati da Basilio in persona, consentì di mettere a tacere ogni
minaccia interna e riprendere le redini dell’impero. Ma non solo. Inquadrati
nelle file dell’esercito bizantino si distinsero nestranei com’elle vittoriose
campagne militari contro la Siria nel 994 e nella spedizione contro Georgia e
Armenia (1000-1). Colpito da così tanta determinazione e ferocia in battaglia.
Basilio affidò loro il compito di proteggerlo, dando vita a quella che sarebbe
divenuta la temuta e rispettata Guardia variaga, uno dei reparti d’élite
dell’esercito bizantino, attivo per diversi secoli in molti teatri di guerra.
La loro fedeltà alla corona, estranei com’erano alle macchinazioni della
nobiltà greca, si sarebbe rivelata in più di un’occasione un fattore chiave nei
destini altanelanti della corte della Roma d’oriente. I Variaghi divennero
leggendari per la loro cieca lealtà all’imperatore “il Garth King” com’era
chiamata nella Laxdaela Saga (antica cronaca islandese), e anche nei momenti
più bui della storia imperiale dimostrarono un’incredibile fedeltà, superiore a
qualsiasi altro reparto. A costituire il grosso del contingente figurarono
guerrieri di provenienza svedese, danese e norvegese. Basilio li impiegò con
notevole successo anche nelle sanguinose guerre contro i bulgari che
imperversarono sui Balcani dal 1001 al 1018. E l’apporto dei Variaghi fu
decisivo a più riprese, fino alla vittoria definitiva nella battaglia di
Kleidon (29 luglio 1014), nelle montagne della Belasica in Macedonia quando
l’esercito bulgaro fu annientato con 6mila morti e 15mila prigionieri. A
dimostrazione di quanto fossero determinanti, Basilio ordinò che fosse concesso
loro un terzo del bottino delle ricchezze catturate e dei prigionieri. Con la
morte di Basilio il ruolo dei Variaghi non venne meno. E questo anche grazie
alla presenza di figure di grandi capacità militari ed enormi possibilità, come
il futuro re di Norvegia Harald III, conosciuto come Harald “Hardrada” che
giunse a Costantinopoli nel 1034. Distintosi inizialmente per i successi
ottenuti nelle operazioni in Sicilia, ricevette dall’imperatore Michele IV
Pallagone (1034-1041) il compito di guidare l’esercito dei Balcani; avrebbe
portato a termine il compito con tale
determinazione da ricevere il titolo di Bolgara Brennir, distruttore dei
Bulgari. Nel complesso partecipò a otto battaglie e venne nominato Akolythos,
comandante della guardia, prima del suo definito ritorno in patria nel 1043.
I Drakkar
Come si spostavano sul mare i
Variaghi.
L’impiego delle guardie variaghe
sul mare fu piuttosto limitato, anche se le fonti dell’epoca riferiscono come
piccoli contingenti venissero utilizza con compiti di controllo delle coste.
In altri casi, come nel biennio 967-8, vengono invece citate addirittura
alcune navi rus aggregate alla flotta bizantina per assistere le autorità
governative in Italia. È quindi probabile che almeno nel IX e nel X secolo i
variaghi facessero uso delle loro tipiche imbarcazioni nordiche i famosi e
veloci drakkar, vascelli che per secoli costituirono il segreto della potenza
vichinga. La loro forma allungata (25 metri di media), stretta e slanciata
garantiva un’incredibile manovrabilità, oltre a ottime capacità d’inversione,
e pescaggio molto ridotto, ideale per navigare anche con un solo metro di
fondale o risalire corsi d’acqua. Segreto che le rese indispensabili nel
vasto sistema fluviale della Russia. Erano dotate di remi e nelle versioni
più tarde di vele rettangolari, ideali per le lunghe traversate, issate su un
unico albero. Un aspetto che le rendeva uniche, e incuteva particolare timore
nell’avversario, era la loro decorazione a prua che prediligeva esseri
mostruosi, draghi o serpenti in genere, tipici della simbologia nordica.
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Cieca fedeltà all’imperatore. Nel 1054 sull’impero
bizantino incominciò a calare la terribile minaccia dei Turchi selgiuchidi. E i
vichinghi d’Oriente furono in prima linea anche in questa fase molto delicata;
nel 1054 durante il regno dell’imperatore Costantino IX Monomaco, come
raccontato dallo storico Aristakès de Lastivert, un distaccamento russo-variago
si scontrl contro le truppe del sultano Toghrul-bek di fronte alla fortezza di
Baberd in Armenia, riportando un’incredibile vittoria che fu resa ancora più
eclatante dalla morte del comandante turco. Ma da lì a breve sarebbero arrivate
le prime delusioni. Truppe variaghe furono presenti al disastro di Manzikert (1071),
in cui l’esercito di Romano IV Diogene, per una serie di tradimenti nelle file
della nobiltà, fu battuto dalle truppe del sultano Alp Arslan. Sconfitta che
aprì una drammatica fallla nel sistema difensivo bizantino, sancì la perdita di
gran parte dell’Anatolia e lo scoppio di una terribile guerra civile. Eppure rimasero
sempre fedeli all’autorità imperiale. A dimostrazione di ciò si può citare un
episodio avvenuto nel marzo del 1081, quando l’imperatore bizantino Alessio I
Comeno decise di rivendicare il trono e li suo esercito si palesò di fronte
alle mura di Costantinopoli, difesa da scandinavi. Nonostante la situazione
fosse disperata, gli appelli di Alessio ad aprire le porte non valsero a nulla.
I Variaghi non avrebbero mai ceduto e non si lasciarono corrompere. Solo l’abdicazione
di Niceforo III (1078-1081) a favore del rivale salvò la città dalla guerra civile.
Negli anni successivi con un impero ridotto ai minimi termini e spesso in crisi
per lotte interne e invasioni, il ruolo di queste truppe nordiche fu legato
alle sorti altalenanti dei suoi sovrani, ma pur sempre come dimostrano le
fonti, giocando un ruolo significativo. Nelle loro fila si verificò anche una
sorta di avvicendamento con l’apparizione per la prima volta di forti
contingenti di veterani anglo-sassoni, provenienti dalla Britanni a seguito
dell’invasione normanna, che andarono a infoltire le file della Guardia
imperiale. E si dimostrarono decisivi in più di un’occasione, come durante il
regno di Giovanni II Commeno (1118-1143) nella battaglia di Beroia (1122) nei
Balcani, contro un’invasione di peceneghi all’interno del territorio imperiale.
Quando il resto dell’esercito si era dimostrato incapace di penetrare il
circolo difensivo nemico, Giovanni decise di gettare nella mischia i suoi
Variaghi che non lo delusero: in nettissima inferiorità numerica riuscirono a
penetrare nello schieramento nemico riportando una vittoria sensazionale. Il loro
apporto sui campi di battaglia continuò per tutto il XII e il XIII secolo. In particolare
nel 1203-4, durante l’ingloriosa IV Crociata, che sancì la conquista di
Costantinopoli da parte di cavalieri europei e veneziani, almeno 6mila Variaghi
furono impegnati nella sua vana difesa. Combatterono con incredibile coraggio,
difendendo il settore loro affidato e mettendo in forte difficoltà in più di un’occasione
gli assalitori. E la loro fame crebbe a dismisura, se consideriamo che anche l’Impero
latino di Costantinopoli (1204-1261) non tardò a costituire un proprio
contingente di Variaghi. Nei decenni successivi i riferimenti nelle fonti sul
loro impiego diventarono sempre più sporadiche
Sappiamo però, che si
distinsero in diversi teatri di guerra come la Macedonia e l’Epiro. Durante la
fase di relativa rinascita imperiale, con la dinastia dei Paleologhi (a partire
dal 1261 fino alla caduta nel 1453) continuarono a operare, ma certamente senza
quel prestigio che li aveva caratterizzati nel passato. Nel XIV secolo il loro
impiego fu limitato a compiti di guardia personale all’interno della capitale:
l’ultima preziosa citazione storica che li riguarda risale al 1402, quando l’imperatore
Giovanni VII d’Inghilterra ricordando che alcuni suoi compatrioti militavano
nelal difesa di Costantinopoli minacciata dai Turchi.
Articolo in gran parte
di Enrico Cattapani pubblicato Guerre e guerrieri antalogy extra n. 1. Altri testi
e immagini da wikipedia.
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