Attacco a Saint-. Nazaire: Scacco alla Tirpitz.
Il rischio che la più
potente nave da battaglia tedesca potesse operare in Atlantico era una minaccia
troppo grande per l’ammiragliato inglese. E per impedire che il porto di
Saint-Nazaire potesse fungere da base d’appoggio, nel marzo del 1942 prese il via
una delle più incredibili operazioni militari della Seconda guerra mondiale.
Quanto
la Royal Navy temesse la minacci della flotta di superficie tedesca era stato
chiaro fin dal 23 maggio del 1941 con l’improvvisa apparizione della potente
corazzata Bismarck e l’incrociatore pesante Prinz Eugen nello Stretto di
Danimarca. Dopo pochi minuti d’intenso cannoneggiamento, alle sei del mattino,
l’incrociatore da battaglia Hood, orgoglio della flotta di Sua Maestà, venne
colpito da una salva ed esplose affondando in poco meno di cinque minuti. Degli
oltre 1400 uomini di equipaggio solo tre si salvarono. Anche la nave di
battaglia Prince of Wales fu raggiunta da numerosi colpi che provocarono estesi
danni sia sul ponte sia sotto la linea di galleggiamento; tuttavia, piuttosto
malconcia, riuscì a battere in ritirata grazie a una cortina fumogena. Chi ebbe
modo d’assistere di persona agli eventi, ufficiali o semplici marinai che
fossero, non poté che rimanere pietrificato di fronte a una simile potenza di
fuoco e precisione di tiro. Sarebbero stati necessari quattro lunghi e
drammatici giorni, e una delle più massicce operazioni navale che si ricordi,
per avere la meglio sulla potente nave da battaglia della Kriegsmarine. Quando
orma sembrava essere in salvo, per uno strano gioco del destino, fu individuata
da un ricognitore isolato e sottoposta a una caccia serrata; centrata da un
siluro di uno Swordfish, decollato dalla portaerei Ark Royal, che mise fuori
gioco il timone, fu affondata dopo tre ore di agonia, incapace di manovrare,
mentre era in rotta per il porto francese di Saint-Nazaire. Non avrebbe potuto
dirigersi in alcun altro luogo. Lo scalo bretone era infatti l’unico in tutta
la Francia occupata a disporre di un bacino di carenaggio in grado di ospitare,
per le opportune riparazioni del caso, un simile gigante dei mari da oltre 52mila tonnellate di stazza
a pieno carico. (articolo completo sulla fine della Bismark lo trovate qui.
Il capitano Stephen Beattie.
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Stephen Halden Beattie
Nato29 marzo 1908 Leighton, MontgomeryshireMorto20 aprile 1975 (età 67)
Mullion, CornwallSepolto
Ruan Minor Churchyard
Fedeltà Regno UnitoServizio / - Victoria Cross
- Croix de Guerre avec Palmes(Francia)
- Legion d'Honneur (Francia)
- Ordine di Menelik II (Etiopia)
Il capitano Stephen Halden Beattie VC (29 marzo 1908 - 20 aprile 1975) è stato un gallese destinatario della Victoria Cross , il più alto e prestigioso premio per la galanteria di fronte al nemico che può essere assegnato alle forze britanniche e del Commonwealth .
'Sam' Beattie è nato a Leighton, Montgomeryshire , dal Reverendo Prebendary Ernest Halden Beattie, MC e Ethel Knowles. È stato educato alla Abberley Hall School di Worcester . È entrato a far parte della Royal Navy nel 1925 come Cadetto di entrata speciale.
A comandare il cacciatorpediniere
Campbeltown durante l’Operazione Charlot fu Sthephen Halden Beattle
(1908-1975). Nella Royal Navy dal 1925, Beattle fu premiato con la
prestigiosa Victoria Cross proprio per il raid di Saint-Nazaire.
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USS Buchanan
HMS Campbeltown
La nave nel 1936, quando portava ancora il nome di USS Buchanan.Descrizione generale
TipoCacciatorpediniereClasseClasse Wickes / Classe TownProprietà U.S. Navy
Royal NavyCantiereBath Iron Works di Bath, Stati Uniti d'AmericaImpostazione29 giugno 1918Varo2 gennaio 1919Entrata in servizio20 gennaio 1919Destino finaleEsplosa il 28 marzo 1942nel porto di Saint-Nazaire, a seguito degli eventi dell'Operazione Chariot.Caratteristiche generaliDislocamentostandard 1.260Lunghezza95,81 mLarghezza9,3 mPescaggio3,7 mPropulsionequattro motori Normand a ritorno di fiamma, con turbine Brown-Curtis e due alberi motore; 30.000 shpVelocità35,5 nodi (66 km/h)Equipaggio158ArmamentoArmamentoartiglieria alla costruzione:
- 4 cannoni da 102/50 mm
- 1 cannone da 76/23 mm
- 6 tubi lanciasiluri da 533 mm
dati tratti da [1]
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L'HMS Campbeltown era un cacciatorpediniere di classe Town attivo durante la seconda guerra mondiale; costruita originariamente per la United States Navy ed entrata in servizio il 20 gennaio 1919 con il nome di USS Buchanan della classe 4 pipes (nome familiare per indicare la classe Wickes), passò poi alla Royal Navy nel settembre del 1940 e venne da questa impiegata nel conflitto. La nave è particolarmente famosa per il ruolo giocato nell'Operazione Chariot il 28 marzo 1942, durante la quale andò perduta esplodendo all'interno del bacino di carenaggio di Saint-Nazaire, impedendone l'accesso per tutta la durata della guerra[1].
L’INCUBO TIRPITZ. Ma per la flotta di Sua
Maestà il pericolo non era ancora stato debellato del tutto. La Bismark non era
la sola nave da battaglia della sua classe. Il 25 febbraio del 1941 la gemella
Tirpitz infatti aveva preso il mare al comando del capitano Friedrich Topp;
assegnata inizialmente alla flotta del Mar Baltico, era stata in seguito
dirottata nei fiordi norvegesi per contrastare una possibile invasione inglese
e attaccare i convogli alleati che risalivano il Mare del Nord con destinazione
Unione Sovietica. Eppure per l’ammiragliato inglese la sua presenza rimaneva
una costante minaccia alla sicurezza; la possibilità che forzasse il blocco
navale, come la Bismark era stata in grado di fare, e la possibilità di una sua
scorreria in Atlantico erano un rischio che non poteva essere sottovalutato. In
ballo c’era il controllo delle rotte che garantivano i rifornimenti essenziali
per la sopravvivenza della stessa Gran Bretagna. Pertanto la Tirpitz non solo
diventava un obiettivo di primaria importanza, ma ogni elemento in grado di
garantire la sua operatività doveva essere eliminato con tutti i mezzi a
disposizione. È per questa ragione che si sarebbe materializzata una delle più
audaci e incredibili missioni della Seconda guerra mondiale, denominata in
codice Operazione Chariot. E il bersaglio era proprio il porto di Saint-Nazaire
con il suo spazioso bacino di carenaggio. Anche se la Tirpitz fosse stata in
grado di operare in pieno oceano si sarebbe trovata senza alcuna struttura
adeguata in grado di assisterla in caso di danni. Gli analisti militari inglesi
arrivarono così alla conclusione che senza Saint-Nazaire i nazisti non si
sarebbero mai azzardati a rischiare la loro preziosa nave da battaglia
sull’Atlantico. Fu dunque proposta una serie di opzioni per distruggere
definitivamente le infrastrutture del porto, scartando fin dall’inizio, in una
fase del conflitto in cui il governo inglese era ancora riluttante a
coinvolgere la popolazione civile, la possibilità di massicci bombardamenti
della Royal Air Force (Raf). È probabile inoltre che l’effetto delle bombe non
avrebbe potuto danneggiare seriamente il complesso. E una di seguito all’altra
naufragarono le ipotesi di impiegare agenti segreti, per l’impossibilità di
trasportare una tale quantità di esplosivo, e un’operazione in grande stile
della marina con truppe da sbarco. Sarebbe stata individuata con largo anticipo
e con conseguenze facilmente immaginabili.
Normandie Dock.
Il cacciatorpediniere inglese HMS Campbeltown dopo l'impatto con la chiusa del bacino di carenaggio del porto francese di Saint-Nazaire
Nel 1940, con la caduta della
Francia sotto il giogo nazista, la Royal Navy capì fin da subito che il
bacino di carenaggio di Saint-Nazaire sarebbe diventato l’unico in grado di
ospitare le potenti navi da battaglia della Kriegmarine. Dal punto di vista
strategico la sua presenza era estremamente pericolosa perché avrebbe
consentito alle forze navali tedesche di disporre di un pericoloso accesso
sull’Atlantico in grado di evitare il blocco navale della Royal Navy nel Mare
del Nord e diventare un pericoloso spauracchio contro i convogli che
rifornivano la Gran Bretagna. Pertanto era un obiettivo primario. I lavori
del bacino di carenaggio Normandie Dock, ideato dall’ingegnere Albert Caquot,
erano inizianti nel 1929 per essere terminati cinque anni più tardi. Quando
divenne operativo poteva vantare dimensioni ragguardevoli per l’epoca: 350
metri di lunghezza, 50 di larghezza, 15 di altezza e un volume d’acqua pari a
circa 260mila metri cubi. Il bacino era stato pensato per garantire l’accesso
alla Loira, e quindi all’oceano atlantico, alle navi di grande tonnellaggio
da Saint-Nazaire. Il porto manteneva un costante livello d’acqua con il
bacino e permetteva ai vascelli di grandi dimensioni un facile accesso. Per
operazioni di riparazione o costruzione l’invaso poteva essere svuotato,
tramite complessi sistemi di pompaggio, e reso asciutto, permettendo di
intervenire sulle parti della nave normalmente irraggiungibili perché sotto
la linea di galleggiamento. Il bacino sarebbe divenuto famoso per i progetti
realizzati dai Chantiers de l’Atlantique, tra i quali non si può dimenticare
il noto transatlantico SS Normandie, capace di vincere il Nastro Azzurro nel
1935 e ripetersi nel 1937.
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L’ALTA MAREA DI MARZO. Fu invece un curioso
fenomeno astronomico a cambiare completamente le carte in tavola. Per quel mese
di marzo del 1942 era prevista una delle più ampie manifestazioni di marea in
quel tratto d’Atlantico. E agli specialisti della Royal Navy non passò inosservato.
Secondo lo loro previsioni una nave leggera avrebbe potuto superare i banchi di
sabbia che si trovavano alla foce della Loira e avvicinarsi alle banchine
portuali, aggirando il canale dragato, pesantemente difeso. Se il piano
sembrava non adatto per una nave trasporto truppe era quasi certo che un
cacciatorpediniere, opportunamente modificato e imbottito di grandi quantità di
esplosivo, avrebbe potuto riuscire nell’impresa di penetrare la corazzatura
delle porte del bacino di carenaggio per poi esplodere all’interno e renderlo
inutilizzabile. Era pensabile inoltre che una nutrita componente di commando,
sbarcando dal naviglio leggero, avrebbe potuto violare la munita base navale
tedesca per mettere fuori gioco installazioni logistiche e di rifornimento; non
ultime alcune infrastrutture impiegate per l’assistenza dei temibili U-Boot. La
Raf, inoltre, avrebbe dovuto garantire un prezioso supporto aereo, da
realizzare la sera prima, per impegnare le difese nemiche e consentire ai mezzi
d’attacco di risalire il fiume indisturbati. Il primo ministro Winston
Churchill approvò il raid ma fu perentorio su una cosa: il bombardamento
avrebbe preso il via solo dopo aver individuato chiaramente i bersagli da
attaccare. L’operazione pertanto, con opportune modifiche, fu approvata per il
28 marzo. Nessun dettaglio fu lasciato al caso. Un prezioso lavoro
d’intelligence fu predisposto dalla NID (Naval Intelligence Division) mettendo
insieme dati provenienti da fonti diverse: una dettagliata planimetria della
città, informazioni sul posizionamento delle artiglierie tedesche e
localizzazione dei campi minati. Fu calcolato che il tempo necessario a
completare la missione avrebbe dovuto essere di circa due ore. L’aspetto più
delicato dell’operazione era comunque la scelta dei mezzi da impiegare.
L’ipotesi di mettere a disposizione due preziose unità, una per l’attacco,
l’altra per il rientro della forza di spedizione, provocò un netto rifiuto
dell’ammiragliato. L’idea di impiegare una vecchia unità francese, inizialmente
ritenuta valida, fu poi scartata per ragioni di sicurezza, il fatto di dover
utilizzare un equipaggio non inglese avrebbe potuto causare pericolose fughe di
notizie e far perdere il prezioso effetto sorpresa. Si arrivò così a definire
una strategia piuttosto elaborata: le squadre di commando sarebbero arrivate
con siluranti o motovedette e l’operazione di sfondamento del porto sarebbe
spettata all’HMS Campbeltown, comandato dal capitano di corvetta Stephen
Beattie, un cacciatorpediniere fornito dalla marina statunitense in base ad
accordi di cooperazione in tempo di guerra. Pertanto l’unità fu sottoposta a
radicali trasformazioni, prima tra tutte un sostanziale alleggerimento
(rimozione dei compartimenti interni e dell’armamento principale) per superare
le secche alla foce della Loira; dopodiché fu aumentata la corazzatura della
timoneria. Inoltre per camuffarlo, in modo che apparisse un vascello tedesco,
due dei quattro fumaioli furono asportati. E infine a prua furono nascoste
quattro tonnelate e mezzo di esplosivo ad alto potenziale fissate allo scafo
con calcestruzzo. Il timer sarebbe stato programmato nell’immediatezza della
fine del raid.
Commando britannici, fatti prigionieri dopo il raid, scortati da soldati tedeschi
La
Tirpitz.
La
politica di riarmo tedesca negli anni ’30, dopo la denuncia di Hitler che gli
accordi sulla limitazione degli armamenti, fu portata avanti anche in campo
navale. La Kriegsmarine, conscia di non poter competere con la Royal Navy in
termini numerici, optò quindi per la realizzazione di corazzate che fossero
tecnicamente all’avanguardia. E così nel ’36 fu impostata quella che sarebbe
diventata il fiore all’occhiello della marina del Terzo Reich, la Bismark,
seguito subito dopo dalla gemella Tirpitz. Potentemente armata, ben protetta
e veloce era un vero gioiello della tecnologia. Ma il vero punto di forza di
queste unità era un sistema di tiro estremamente efficiente, come avrebbe
confermato l’unico combattimento navale contro le unità nemiche. Nello
stretto di Danimarca l’incredibile precisione, fin dalle prime bordate, si
rivelò micidiale, provocando l’affondamento del pur potente incrociatore da
battaglia Hood e il danneggiamento della corazzata Prince of Wales. Proprio
per questa ragione la presenza della Tirpitz in teatri operativi era per la
Royal Navy una minaccia di primaria importanza. Sebbene la corazzata tedesca
non venisse mai impiegata in combattimento rappresentò per gli inglesi una
vera spina nel fianco. Ciò che in termini anglosassoni viene definito “fleet
in being”, cioè tenere occupate una grande quantità di forze nemiche a causa
della potenziale pericolosità.
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Tipo:
corazzata
Classe:
Bismark
Lunghezza
fuoritutto: 251 metri
Larghezza: 36
metri
Dislocamento a
vuoto: 42.900 tonnellate
Velocità: 30
nodi
Autonomia:
8870 miglia nautiche a 19 nodi
Equipaggio:
2608 uomini tra cui 103 ufficiali
Sistema di
scoperta Radar modello Fumo 23
Armamento: 8 x 380 mm SK C/34 (4 torri binate)
12 x 150 mm SK C/28 (6
torri binate)
16 x 105 mm SK C/33-37
(8 torri binate)
16 x 37 mm SK C/30 (8 affusti binati)
46 x 20 mm SK C/30-38
Difesa
antinave: 8 tubi lanciasiluri da 533 mm
Aviazione
imbarcata: due catapulte con quattro idrovolanti Arado Ar 196
Protezione:
corazzatura verticale di 320 mm
Orizzontale tra i 50 e gli 80 mm
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Varata il 1°
aprile ’39 prese il nome dal famoso ammiraglio Alfred von Tirpitz della
marina imperiale tedesca (Kaiserliche Marine).
Prima ancora
di essere realmente operativa la nave da battaglia divenne bersaglio di
continui attacchi della Raf (Royal Air Force), subendo tra il luglio del ’40
e il febbraio dell’anno successivo, ben 16 bombardamenti aerei, senza
comunque subire mai danni seri.
La nave
divenne operativa il 25 febbraio del ’41 e il comando fu affidato al capitano
Friedrich Karl Topp.
La Tirpitz fu
definitivamente colata a picco il 14 novembre del ’44 in un fiordo in
prossimità della città norvegese di Tromso. Dei 1700 uomini d’equipaggio ben
1058 perirono nell’attacco.
Venne
soprannominata “Den ensomme Nordens Dronning”, ovvero la Regina solitaria del
Nord, datole dai Norvegesi.
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UN ATTACCO “ALTAMENTE IMPROBABILE”. L’ufficiale
a capo della forza di incursori, quantificabile in 265 uomini, era il tenente
colonnello Charles Newman. A lui fu affidato il compito dell’organizzazione
della missione e la costituzione di tre Gruppi operativi così suddivisi: due
(gruppo 1 e 2) avrebbero viaggiato su naviglio leggero, mentre il terzo (gruppo
3) sarebbe stato imbarcato sul ponte della Campbeltown. Compito del primo
gruppo era quello di neutralizzare i cannoni antiaerei posizionati in difesa
del molo vecchio, uno dei principali obiettivi per assicurare il controllo
dell’area durante le operazioni, mentre il secondo avrebbe dovuto attaccare il
vecchio accesso al complesso e, una volta eliminate le difese, garantire
protezione da eventuali contrattacchi. La squadra imbarcata sul
cacciatorpediniere invece, dopo aver reso sicura l’area intorno alla nave una
volta attraccata, si sarebbe dovuto occupare di distruggere il sistema di
pompaggio e i congegni dell’apertura delle paratie stagne del bacino. Una volta
portata a termine la missione prefissata, le squadre dei commando avrebbero
dovuto rientrare alla base con i mezzi veloci rimasti ad attenderli. Un compito
ben pianificato fin nei minimi particolari, ma non di facile realizzazione; il
benché minimo errore avrebbe potuto rivelarsi fatale, con il rischio di
trasformare l’operazione in un bagno di sangue. E le truppe tedesche non erano
certo sprovvedute. La guarnigione di stanza nei dintorni di Saint-Nazaire era
costituita da almeno 5mila uomini, mentre la difesa del complesso portuale era
affidata al 280° Battaglione d’artiglieria navale, forte di 28 cannoni di vario
calibro con compiti antinave. A completare lo spiegamento c’era anche la 22°
Brigata d’artiglieria antiaerea dotata di temibili pezzi da 22 e 40 mm. Nel
porto stazionavano inoltre anche alcune unità di Kriegsmarine (motovedette,
posamine e almeno un cacciatorpediniere) e due flottiglie di U-Boot (6 e 7 Unterseebootsflottile). E per ironia
della sorte, proprio il giorno prima dell’attacco il comandate in capo della
flotta subacquea, Karl Donitz, in visita alla base, rivolgendosi al comandante
Herbert Sohler chiese come si sarebbe comportato in caso d’attacco di commando
nemici. E questi sembra avesse replicato: “Un attacco alla base sarebbe un vero
azzardo e pertanto altamente improbabile”.
nel raid vennero impiegati tre cacciatorpediniere, una cannoniera e 16 unità veloci (motovedette e siluranti immagini sopra)
Royal Navy commando.
Commando britannici
Per la marina britannica, man mano
che il Secondo conflitto mondiale entrava nelle fasi più drammatiche, la
creazione di squadre speciali d’assalto divenne una vera e propria necessità.
Se i primi reparti furono formati solo all’inizio del 1942, alla fine della
guerra se ne potevano contare ben 22. I loro compiti, dopo un severissimo
addestramento (per rendere le operazioni ancora più realistiche venivano
impiegate munizioni ed esplosivi veri) furono fin dall’inizio ben delineati:
dallo sbarco in territorio nemico alla creazione di teste di ponte, fino a
veri e propri raid con compiti di sabotaggio. Operativi pressoché su tutti i
fronti di guerra (dall’Europa al Pacifico) si resero protagonisti di celebri
missioni, cui Saint-Nazaire è senza dubbio una delle più eclatanti. Ma non
mancarono anche terribili fallimenti, come il sanguinoso sbarco sulle spiagge
di Dieppe in Normandia nell’agosto del ’42. In genere ogni unità poteva
vantare grosso modo gli effettivi di una compagnia, alla cui guida era posto
un ufficiale con il grado di capitano di corvetta, con 10 graduati e 65
specialisti, divisi in tre squadre. Le esercitazioni sia diurne che notturne
prevedevano anche l’attraversamento di fiumi in assetto da combattimento,
usando piccoli canotti gonfiabili.
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L’INIZIO DEL RAID. La sera del 27 marzo,
intorno alle 22, una curioso flottiglia guidata dal comandante Robert Ryder e
salpata da Falmouth il giorno prima incrociava circa 60 miglia ala largo del
porto di Saint-Nazaire. Era composta da tre cacciatorpediniere (l’HMS Campbeltown
e due unità di scorta), una cannoniera e ben 16 unità veloci (motovedette e
motosiluranti) su cui era imbarcata la maggior parte dei commando. Queste unità
avrebbero dovuto neutralizzare le difese portuali e reimbarcare gli assaltatori
una volta portata a termine la missione. Le unità, poco prima di dare inizio
all’operazione, issarono la bandiera tedesca per cercare di trarre in inganno
le difese nemiche. Poco prima della mezzanotte, come da programma, cinque
squadroni della Raf cominciarono il bombardamento della città nella speranza di
fornire un diversivo di un’ora e distrarre le difese tedesche. Le pessime
condizioni metereologi che ebbero, però, l’effetto di disperdere i velivoli,
tanto che solo quattro di loro riuscirono a centrare gli obiettivi prefissati.
L’idea di impegnare il nemico si dimostrò esatta ma ebbe anche l’effetto
d’insospettire il comandante della base. Fu pertanto diramato l’ordine di
massima allerta. Tutto questo mentre, alle prime ore del 28 marzo, i mezzi
inglesi, separatisi dalle unità di scorta, incominciarono a risalire la Loira.
Tutto andò liscio fino all’una e 22, quando un potente fascio di luce illuminò
il ponte di una delle motovedette, la cannoniera 314, dopodiché tramite segnali
luminosi fu richiesta l’identificazione.
L’equipaggio
dell’imbarcazione provò a replicare con un messaggio in base a un codice che
era stato cattura in un peschereccio tedesco sull’isola di Vagsoy durante
l’invasione in Norvegia del dicembre del 1941. Fu richiesto l’immediato
ingresso al porto per i danni subiti dalle imbarcazioni nel precedente
bombardamento inglese. Ma a quanto pare non ebbe effetto. Furono momenti
infiniti, dopodiché una serie di detonazioni provenienti da una batteria
costiera fecero capire che era questione di tempo prima che tutte le difese
nemiche aprissero il fuoco. Pertanto all’una e 28 il comandante Beattie diede
ordine di ammainare la bandiera tedesca e issare la White Ensign della Royal
Nav: un razzo di segnalazione rosso trasmise l’ordine d’attacco. Lo scontro
entrò subito nel vivo e l’intensità del fuoco tedesco iniziò ad aumentare. Il
Campbeltown fu colpito ripetutamente e si verificarono le prime perdite in
coperta. Beattie sapeva però di essere in prossimità dell’obiettivo, pertanto
diede ordine di aumentare la velocità a 19 nodi per lanciarsi contro il bacino.
All’una e 34 avvenne il terribile impatto. A quel punto i primi commando del
Gruppo 3, divisi in cinque squadre, scesero a terra con il preciso obiettivo di
mettere fuori uso parte delle installazioni: stazioni di pompaggio del bacino,
meccanismi di apertura delle paratie e depositi. Nel complesso gli obiettivi
furono raggiunti senza grosse perdite. Non altrettanto fortunati furono invece
gli altri due Gruppi. Le loro motovedette furono quasi tutte colpite o messe
fuori uso in fase di avvicinamento agli obiettivi prefissati: la 457 fu l’unica
a poter raggiungere il molo vecchio, mentre la 177 riuscì ad attraccare in
prossimità del vecchio accesso del porto. Per le altre il compito non poté
essere portato a termine. A quel punto l’equipaggio del Campbeltown, dopo aver
azionato le cariche di autoaffondamenti, si portò a poppa della nave per essere
recuperato dall’unità 177; trenta uomini per lo più feriti furono fatti salire
a bordo. Per gli altri fu però subito chiaro che non c’era possibilità di
evacuazione in assenza di altre imbarcazioni disponibili. Anche il comandante
delle squadre d’assalto, Newman, sbarcato dalla sua cannoniera, si attivò
subito per contrastare il sempre maggior afflusso delle truppe nemiche, ma dopo
un’accanita resistenza, a capo di almeno cento incursori, si rese conto che la
possibilità di ritirarsi via mare era ormai tramontata. Dopo aver riunito i
sopravissuti diramò tre ordini moto stringati: “Fate il vostro meglio per rientrare in Inghilterra”, “Non arrendersi
finché le munizioni non saranno esaurite”, “Non arrendersi per niente, se in
grado di farne a meno”. Si sarebbero fatti strada dalla città vecchia
attraverso un ponte, sotto il fuoco delle mitragliatrici, per poi avanzare
nella città moderna. Intenzionati a disperdersi in aperta campagna furono ben
presto circondati e, una volta terminate le munizioni, costretti ad arrendersi.
Ma non tutti gli uomini
furono catturati, cinque di loro
riuscirono nell’impresa di raggiungere la Spagna neutrale ed essere rimpatriati
in Inghilterra. Per le imbarcazioni superstiti la via del ritorno fu un
autentico calvario. La 177 per esempio, aveva caricato con successo alcuni
membri del cacciatorpediniere, ma fu colpita mentre cercava di raggiungere l’estuario.
Anche la 269, una motosilurante con il compito di attirare il fuoco nemico
muovendosi a grande velocità sul fiume fu raggiunta da diversi colpi e il suo
meccanismo di guida risultò danneggiato. Furono necessari diversi minuto per
poterlo riparare, dopodiché dovette affrontare un peschereccio armato apparso
all’improvviso; colpita più volte fu messa fuorigioco da un violento incendio
all’apparato motore. Anche la 306 fu sorpresa dal fuoco nemico; il sergente
Thomas Durrant, addetto alla mitragliatrice, sebbene ferito, rifiutò di
abbandonare il suo posto per farsi medicare. Quando l’unità riuscì a
raggiungere il mare aperto fu attaccata da una silurante tedesca; ferito
nuovamente Durrant si rifiutò di arrendersi, nonostante le reiterate offerte del
comandante nemico. Sarebbe morto dopo poco senza distaccarsi dalla sua arma. Anche
il comandante Ryder, sbarcato dalla sua cannoniera e assicuratosi che la
Campbeltown fosse bene penetrata nel bacino di carenaggio, dopo aver fatto
salire a bordo alcuni componenti del suo equipaggio decise di lanciare alcuni
siluri contro le paratie del bacino per provocare ulteriori danni alla
struttura. Dopodiché posizionò la sua motosilurante in prossimità del molo a
mezzo fiume per contrastare il fuoco dei pezzi tedeschi. ma la situazione stava
orma precipitando; non poté che constatare che le altre unità intorno a lui
erano in fiamme (ne contò almeno otto) e che i luoghi in cui erano avvenuti gli
sbarchi erano stati riconquistati dal nemico.
Non c’era altro che si
potesse fare per i restanti commando. Sulla via del ritorno il mezzo fu
continuamente illuminato dai riflettori e colpito almeno sei volte, mai in
maniera grave. Quando la motocannoniera entrò in mare aperto le artiglierie
costiere continuarono a bersagliarla, provocando alcune perdite tra i membri
dell’equipaggio.
All’appuntamento con i
cacciatorpediniere HMS Alberston e Tynedale, rimasti in attesa al largo di
Saint-Nazaire, si sarebbero presentate solo tre imbarcazioni (la 160, 307 e
443). Per le altre non c’era più nulla da fare. Giunsero al punto di raccolta e
aspettarono l’arrivo delle navi. Ma i pericoli erano ancora in agguato.
L’attacco di due bombardieri tedeschi, uno Junkers 88 e un idrovolante Blohm
and Voss, fu sventato solo dalla prontezza degli addetti ai pezzi antiaerei. I
sopravvissuti sarebbero arrivati in Inghilterra solo il giorno successivo.
tenente colonnello Augustus Charles Newmann ufficiale a capo della forza di incursori durante l'operazione Charlot
Caccia serrata alla Tirpitz.
corazzata Tirpitz
il comandante Friedrich Karl Topp ispezione i marinai della Tirpiz
L’ammiragliato inglese cercò in
tutti i modi e con tutti i mezzi di eliminare lo spauracchio della Tirpitz.
Per quanto relegata nei fiordi norvegesi, era pur sempre una minaccia troppo
grande per i convogli nel Mare del Nord. I primi tentativi di attacco furono
però infruttuosi. Questo almeno fino al settembre del 1943, quando fu
organizzata un’ambiziosa missione, chiamata in codice Operazione Source con
minisommergibili della classe X. Si trattava di trainare sei di questi mezzi
all’imboccatura del fiordo di Arta, dov’era nascosta l’unità tedesca, tramite
sommergibili standard, per poi penetrare le difese nemiche e rilasciare le
cariche ad alto potenziale sotto lo scafo della corazzata. Sebbene per
problemi tecnici solo tre di essi riuscissero a prendere parte al forzamento
del porto, l’X6 riuscì ad avvicinarsi alla Tirpitz quanto bastava per
rilasciare le cariche che sarebbero esplose poco dopo. La corazzata rimase a
galla ma riportò danni gravissimi: le quattro torri binate da 380 si
staccarono dai basamenti, uno dei pezzi da 150 rimase bloccato e il sistema
di puntamento fu messo fuori gioco. Inoltre l’asse delle eliche di babordo
subì torsioni così accentuate da impedirne il funzionamento. Eppure la
pesante corazzatura e le porte stagne impedirono alla nave di affondare.
L’entità dei danni rimase però sconosciuta agli inglesi. Fu decisa pertanto
una serie di missioni aeree. Nell’aprile del 1944 una grossa squadra navale
lanciò 42 bombardieri su due ondate. Alcune bombe da mezza tonnellata
esplosero sulle torrette e penetrarono nei compartimenti sottostanti
provocando molte perdite dell’equipaggio. Nel complesso però la nave non subì
che danni superficiali. Tre ulteriori missioni, programmate tra aprile e
maggio, furono annullate per le pessime condizioni atmosferiche, mentre il 17
luglio l’operazione Mascot mancò il bersaglio per la presenza di una cortina
fumogena. Vista la difficoltà di impiegare velivoli leggeri si ricorse a
bombardieri pesanti. Il 27 ottobre 27 Lancaster della Raf, che impiegavano
potenti le potenti bombe Tallboy da oltre cinque tonnellate, riuscirono a
colpire la nave con un ordigno che trapassò il ponte ed esplose in mare,
provocando gravi deformazioni allo scafo. Vista l’impossibilità di portare la
nave in Germania per riparazioni, l’ammiraglio Donitz ordinò che fosse
rimorchiata in acque poco profonde in un fiordo in prossimità di Tromso. Ma
ormai il destino della Tirpitz era segnato. Il 12 novembre 31 Lancaster
riuscirono a mandare a segno tre Tallboy che perforarono il ponte corazzato
al centro della nave ed esplosero nella sala caldaie, aprendo un pauroso
squarcio nella chiglia. Dopo alcuni
minuti d’agonia la nave si capovolse completamente portando con sé oltre
mille uomini. Il mito della Regina solitaria del Nord, com’era chiamata dai
locali dopo l’affondamento della Bismarck, s’era concluso nel modo più
drammatico. Ciò che restava della possente nave da battaglia, orgoglio della
Kriegsmarine, fu demolito dal governo norvegese tra il 1948 e il 1957.
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LA CAMPBELTOWN ESPLODE. Le cariche nascoste a
bordo della Campbeltown detonarono a mezzogiorno e provocarono ingenti danni al
bacino di carenaggio. L’esplosione fu così potente da generare un vero muro
d’acqua che spazzò via anche due petroliere attraccate alle banche del porto. E
quando, quasi un mese dopo, i ricognitori della Raf sorvolarono l’area
scattando foto del bacino, ciò che restava della nave inglese era ancora ben
visibile. Ma cos’era successo veramente? In base alla testimonianza del
capitano Robert Montgomery, facente parte della forza d’assalto, la Campbeltwon
sarebbe dovuta esplodere alle 4 e 30 del mattino, ma la formazione di acido nei
sistemi d’innesco provocò un’esplosione ritardata. Questo mentre nel frattempo
sempre più inglesi catturati affluivano al quartier generale tedesco. L’uomo
ricorda come “Poco prima che la
Campbeltown esplodesse, Beattie era stato interrogato da un ufficiale tedesco,
che affermò che non sarebbe voluto molto tempo per riparare i danni causati
dalla Campbeltown. Proprio in quel momento andò in pezzi”.
L’esplosione mise fuori
gioco il bacino fino al termine della guerra. Il prezzo pagato fu molto
pesante. Dei 622 uomini della Royal Navy e delle forze d’assalto che presero
parte all’azione solo 228 tornarono in patria. Almeno 169 furono uccisi e altri
215 presi prigionieri. La reazione di Hilter fu furibonda; non era ammissibile
che una simile flottiglia fosse riuscita a a forzare uno dei porti più muniti
del Terzo Reich risalendo la Loira senza essere avvista in anticipo. E la sua
furia si abbatté sul generale Carl Hilpert, comandante in capo della Wehrmacht
per il fronte occidentale, che fu sollevato dal comando.
Da quel momento per i
tedeschi il Vallo atlantico sarebbe diventato una vera ossessione e molte
risorse furono spese per rendere sicuri i porti e impedire che simili raid
potessero ripetersi. Dal giugno del 1942 in poi si sarebbero prodigati per la
realizzazione di un vasto sistema difensivo, sotto al diretta supervisione del
ministro del armamenti Albert Speer, che prevedeva la costruzione di almeno
15mila bunker per difendere la costa atlantica dalla Norvegia alla Spagna. Per
contro il raid inglese aveva raggiunto il suo obbiettivo: grazie al coraggio e
all’intraprendenza degli inglesi la Tirpitz non sarebbe mai entrata in Atlantico,
rimanendo ancorata nei fiordi della Norvegia per tutto il corso della guerra.
Questo almeno fino al fatidico 12 novembre 1944 quando le bombe della Raf la
affondarono.
Articolo in gran parte
di Antonio Ratti pubblicato Storie Collection di guerre e guerrieri, anthology
extra n. 1 altri testi e foto da Wikipedia.
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