La bizzarra piramide di Cestio.
Dove non te l’aspetti, sulla strada che da Roma porta a Ostia,
sorge una piramide. A volerla fu Gaio Cestio, ricco politico romano, che
convinse i suoi eredi con un ricatto.
Piramide di Caio Cestio
La Piramide vista da piazzale OstienseUtilizzotombaEpoca12 a.C. circaLocalizzazioneStato ItaliaComuneRomaDimensioniAltezza36,40 mAmministrazionePatrimonioCentro storico di RomaEnteSoprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di RomaResponsabileRita ParisSito webarcheoroma.beniculturali.itMappa di localizzazione
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La Piramide Cestia (o Piramide di Caio Cestio, Sepulcrum Cestii in latino) è una piramide di stile egizio, sita a Roma vicino a Porta San Paolo e al cimitero acattolico, la cui costruzione fu completata nel 12 a.C.
Bastarono
330 giorni, attorno al 12 a.C., per costruire la più famosa piramide romana. Si
tratta del sepolcro di Gaio Cestio, uno dei sette epuloni cittadini (i membri
del collegio religioso che si occupava di allestire banchetti pubblici e giochi
rituali in occasione di particolari festività), il quale, nel testamento,
intimò agli eredi di edificare la sua tomba entro quel termine di tempo, pena
la perdita di tutto il patrimonio a loro lasciato in eredità.
Alta 36,4 m., con una
base quadrata di circa 30 m per lato, la piramide è incastonata come un gioiello
nella cinta delle Mura Aureliane, costruite fra il 270 e il 275 per difendere
Roma dagli attacchi dei barbari. Proprio per questo motivo, poiché costituiva
una sorta di bastione delle mura urbane, la piramide non fu spogliata dei suoi
marmi bianchi, come accadde, invece, a molti altri monumenti cittadini.
BLOCCO DI CEMENTO ARMATO. Dal punto di vista
costruttivo, le somiglianze fra la Piramide Cestia e le piramidi egizie sono
poche. Quella romana non venne edificata con blocchi di pietra sovrapposti, ma
fu costruita in calcestruzzo. Al suo interno si trova una camera sepolcrale
decorata, alta 4,80 m. e con due lati di 5,95 e 4,10 m. Proprio grazie alla sua
struttura, la piramide ha inclinazione decisamente maggiore rispetto a quelle
dei faraoni (pur essendo decisamente più piccola delle sue più nobili sorelle),
raggiungendo un’altezza che un edificio tradizionale difficilmente avrebbe
toccato. Le curiose circostanze della costruzione del monumento ci sono note
grazie a un’iscrizione scolpita sul fianco orientale del monumento:
OPVS
. APSOLVTVM . EX .
TESTAMENTO
. DIEBVS . CCC. XXX ARBITRATVI L . PONTI .
Publii
. Filii . Claudia tribu . MELAE . HEREDIS .
ET POTHI .
Liberti.
Che significa: quest’opera è stata completata per
testamento in 330 giorni per disposizione di Lucio Ponzio Mela figlio di Publio
della tribù Claudia, erede, e di Potho, libero. Gli eredi, quindi, messi in
ambascie dalla possibilità di essere diseredati, si affrettarono a portare a
termine i desideri del loro avo: pare addirittura che la tomba fu completata
con qualche giorno di anticipo sul previsto. Sempre sulla facciata orientale,
oltre che su quella occidentale, sono iscritte le credenziali del defunto, cioè
il nome e i titoli di Cestio. La data di costruzione non è indicata
chiaramente, ma viene dedotta da alcune circostanze ricostruibili studiando le
iscrizioni poste sulle varie parti del monumento. Tra i beneficiari, ed
esecutori, del testamento (elencati nel piedistallo di una delle colonne poste
agli angoli della piramide), compare Marco Vipsanio Agrippa, politico militare
e architetto, nonché genero di Cesare Augusto, di cui aveva sposato la figlia
Giulia Maggiore. Agrippa scomparve nel 12 a.C., quindi il monumento deve essere
stato certamente costruito prima di quella data. D’altra parte, la dedica di
una statua di Cestio, che si trovava all’ingresso del sepolcro, indica che essa
fu realizzata vendendo stoffe orientali intessute d’oro che il defunto (alla
maniera dei faraoni) avrebbe voluto portarsi nella tomba.
Una disposizione di
legge del 18 a.C., che vietava sprechi e sciali, non impedì però agli eredi di
adempiere la volontà del morto. La costruzione del monumento deve quindi
necessariamente collocarsi fra queste due date.
Il cimitero dei poeti.
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Cimitero acattolico di Roma
Vista del cimiteroTipocivileConfessione religiosadiverse dalla cattolica o nessunaStato attualein usoUbicazioneStato ItaliaCittàRomaCostruzionePeriodo costruzione1716Data apertura11 ottobre 1821 (data ufficiale)Tombe famoseJohn Keats, Percy Bysshe Shelley, Antonio Gramsci, Carlo Emilio Gadda, Emilio LussuMappa di localizzazione
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Il cimitero acattolico di Roma (già cimitero degli Inglesi, o anche "cimitero dei protestanti", o nella lingua parlata "cimitero del Testaccio", o "cimitero degli artisti e dei poeti"[1]) si trova a Roma, nel quartiere di Testaccio, vicino a Porta San Paolo, a lato della Piramide Cestia[2].
Ai piedi della
Piramide Cestia, dentro il recinto delle Mura Aureliane, sorge il cimitero
acattolico di Roma, un tempo chiamato anche cimitero degli inglesi, o
cimitero del Testaccio oppure cimitero degli artisti e dei poeti. All’interno
dei suoi confini si trovano le tombe di famosi poeti romantici inglesi, come
John Keats (1795-1821) e Percy Shelley (1792-1822), ma anche quelle di
Antonio Gramsci (1891-1937) e dello scrittore milanese Carlo Emilio Gadda
(1893-1973). Fino all’Ottocento il luogo era chiamato “i prati dei romani”. Era
un’aerea pubblica, dove si portava il bestiame a pascolare e si conservava il
vino. Sotto la Piramide Cestia, i romani dell’epoca andavano anche a
divertirsi. Furono gli abitanti non cattolici della città a scegliere questo
luogo per le loro sepolture, come testimoniato da una delibera del Sant’Uffizio
data 1671. Per le prime sepolture non erano previste lapidi, che cominciarono
a essere realizzate solo dopo la metà del Settecento.
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DECORAZIONI POMPEIANE. La camera sepolcrale
vera e propria, con la volta a botte, fu sigillata al momento della sepoltura,
come avveniva in Egitto. Si tratta di una stanza dipinta di bianco, con
decorazioni in stile pompeiano: sacerdotesse, anfore, immagini della Vittoria
alata. Per quanto ben conservata, oggi appare nuda e spoglia. Sulla parete di
fondo di doveva trovare il ritratto di Gaio Cestio, ormai scomparso. Al suo
posto c’è un buco, praticato forse da cacciatore di tesori. Il sepolcro si
trovava lungo la Via Ostiense, che collegava l’Urbe al porto di Ostia, ed era
circondato da una recinzione di tufo, oggi visibile in parte. Agli angoli c’erano
quattro colonne e due statue du Celso ai lati della porta. La presenza di una
piramide a Roma è curiosa (quella di Cestio è la sola rimasta, anche se non fu
l’unica), ma risente del gusto esotico dell’epoca, seguito alla conquista
romana dell’Egitto avvenuta, per mano di Ottaviano, nel 30 a.C. Nel Medioevo,
il popolo identificava la Piramide Cestia con la Meta Remi (cioè “il termine di
Remo, inteso come la sua tomba), associandola ad un’altra piramide chiamata
invece meta Romuli (la “tomba di Romolo”), molto simile a quella di Cestio e
costruita nello stesso periodo. Quest’ultima è esistita almeno fino al 1499,
nel rione Borgo (che si trova ai piedi del colle Vaticano ed era sede di
sepoltura), ed è riportata sulla pianta della città di Roma disegnata da
Alessandro Strozzi nel 1474. Fu demolita nel Cinquecento da papa Alessandro VI
Borgia, per aprire la nuova strada di Borgo Nuovo. Anche il poeta trecentesco
Francesco Petrarca, per quanto fosse un esperto latinista, indica la Piramide
Cestia come il “sepolcro di Remo”, avallando la credenza popolare. Il rimando,
anche se fantasioso, alle origini della città e la sua struttura curiosa e
bizzarra fecero della sepoltura uno dei monumenti più ammirati dai viaggiatori,
soprattutto stranieri. La Piramide Cestia fu immortalata anche in dipinti e
incisioni, come quelle celeberrime di Giovan Battista Piranesi, eseguite alla
metà del Settecento, in cui sono ben visibili le colonne agli angoli del
monumento e le iscrizioni sulla parete volta a est. Nel 1663, papa Alessandro
VII fece scavare un’apertura nella piramide, che portò alla scoperta della
camera sepolcrale, già visitata dai tombaroli.
La Meta Romuli era una piramide che si trovava a Roma, nel quartiere del Borgo vicino alla Basilica di San Pietro in Vaticano e fu denominata anche "Piramide vaticana" o "Piramide di Borgo".
Articolo in gran parte
di Eugenio Anchisi pubblicato su Civiltà Romana n. 1 edizioni Sprea. Altri testi
e immagini da Wikipedia.
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