La battaglia delle Arginuse.
L’amaro trionfo per Atene.
Verso la fine della Guerra del Peloponneso gli ateniesi
sconfissero Sparta in un’importante battaglia navale, ma i generali artefici
della vittoria furono condannati a morte al loro rientro ad Atene.
Battaglia delle Isole Arginuse parte della Guerra del Peloponneso | |||
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Posizioni spartane ed ateniesi alle Arginuse | |||
Data | 406 a.C. | ||
Luogo | Isole Arginuse (odierne Alibey) - Turchia Europea, Stretto di Lesbo | ||
Esito | Vittoria pirrica ateniese | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
Effettivi | |||
Perdite | |||
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La battaglia delle Arginuse, combattuta durante la guerra del Peloponneso presso le isole Arginuse, ad est dell’isola di Lesbo, fu una vittoria navale ateniese ottenuta contro la flotta spartana. La flotta ateniese, costituita perlopiù da navi appena costruite ed equipaggi inesperti, venne affidata ad otto strateghi, i quali, nonostante ciò, seppero cogliere la vittoria grazie alle loro abilità. L’urgenza di Atene era quella di interrompere il blocco navale imposto dalle triremi spartane comandate da Callicratida, a Mitilene, città nella quale era ormeggiata la flotta ateniese al comando di Conone.
La notizia della vittoria fu accolta con giubilo ad Atene, a tal punto che i cittadini votarono per concedere la cittadinanza agli schiavi e ai meteci che avevan combattuto nella battaglia. Successivamente tuttavia giunse la notizia del naufragio della flotta ateniese a causa di una tempesta, la stessa che impedì alle navi incaricate il recupero dei sopravvissuti delle 25 triremi ateniesi affondate o gravemente danneggiate. Gli ateniesi, sconvolti dalla notizia, dopo un aspro dibattito avvenuto in assemblea, processarono e giustiziarono sei degli otto comandanti.
A Sparta, i tradizionalisti avevano sostenuto lo sconfitto Callicratida e per evitare che il prosieguo della guerra portasse una nuova ascesa di Lisandro, suo oppositore, vollero chiedere la pace ad Atene. Fu questo partito a prevalere e venne quindi mandata una delegazione ad Atene. L’offerta di pace fu però rifiutata. Di conseguenza Lisandro partì alla volta dell’Egeo, con l’incarico di prendere il comando della flotta e portare Sparta alla vittoria della guerra, ottenuta dopo meno di un anno dalla vittoria a Egospotami.
Guerre
tra Greci.
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431 a.C.
Inizia la
Guerra del Peloponneso, che vede di fronte due fazioni: la Lega delio-attica, guidata dalla città di
Atene e la Lega del Peloponneso, capeggiata invece da Sparta.
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421-414
a.C.
Dopo
dieci anni di conflitto, Atene e Sparta firmano la pace di Nicia. Sette anni
dopo Atene lancia una campagna per conquistare la Sicilia, che si conclude in
una disastrosa sconfitta e provoca la ripresa della guerra.
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406 a.C.
Gli ateniesi
sconfiggono la flotta di Sparta nella battaglia delle Argunuse, ma rovinano
tale successo condannando a morte i generali vittoriosi per non aver soccorso
i superstiti.
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405 a.C.
Battaglia di
Egospotami. Lo spartano Lisandro sorprende a terra la flotta ateniese e la
distrugge quasi integralmente. Sotto assedio e senza più navi, alla fine
Atene capitola di fronte ai suoi storici avversari.
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406 a.C.
Sparta impone
ad Atene il governo dei trenta tiranni, che promuove una sanguinosa
epurazione. Un anno dopo l’oligarchie viene sconfitta e nella città attica
viene restaurata la democrazia.
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Museo dell'Acropoli di Atene: un antico documento iconografico della trireme nel rilievo scoperto da Charles Lenormant nel 1852.
Intorno
al luglio del 406 a.C., in un minuscolo arcipelago di fronte alle coste
dell’Asia Minore si svolse la più imponente battaglia navale della Guerra del
Peloponneso. Sparta e Atene erano coinvolte da circa 25 anni in un sanguinoso
scontro, che si era esteso a tutto il mondo greco. All’inizio del conflitto
Sparta si era concentrata sulle operazioni di terra, approfittando
dell’indiscussa superiorità della propria fanteria. Dal canto suo, Atene
dominava i mari fin dalla vittoria contro i persiani nel 480 a.C. tuttavia
negli ultimi tempi le parti si erano invertite. Gli spartani avevano compreso
che per vincere dovevano potenziare le proprie capacità marittime. Per questo
motivo si erano rivolti all’impero persiano, tradizionale nemico dei greci, da
cui avevano ricevuto aiuti economici per armare nuove triremi e reclutare
migliaia di vogatori. Grazie a questa nuova forza navale e ai temibili opliti,
praticamente imbattibili a terra, i lacedemoni speravano di poter chiudere
rapidamente la partita. Nel 406 a.C. Callicratida assunse il comando della
fotta spartana in sostituzione del grande generale Lisandro. Sebbene non avesse
esperienza e guardasse con sospetto all’ingerenza persiana, alla sua prima
battaglia il nuovo ammiraglio riuscì a sconfiggere Conone, il miglior generale
ateniese dell’epoca. Nel combattimento questi perse trenta navi e fu costretto
a rifugiarsi con le restanti quaranta nel porto di Mitilene, presso l’isola di
Lesbo, dove fu bloccato dalle imbarcazioni spartane. Conone decise allora di
inviare ad Atene due triremi per comunicare ai suoi concittadini che, se non
gli avessero inviato dei rinforzi, la guerra poteva considerarsi finita. Una
delle due navi riuscì a eludere il blocco lacedemone e a recapitare il
messaggio.
In quella situazione
disperata gli ateniesi fecero un grande sforzo collettivo. Nei porti restavano
poco più di trenta triremi, ma in meno di un mese il governo cittadino approvò
e portò a termine la costruzione di un’ottantina di nuove navi, finanziate
fondendo le statue dorate della Nike (la personificazione della vittoria) situate
nell’Acropoli. Il comando della flotta di soccorso fu assegnato a otto dei
dieci strateghi che venivano eletti annualmente in città, tra i quali figurava
anche Pericle, figlio del famoso statista e omonimo e di Aspasia di Mileto. Per
equipaggiare le navi servivano urgentemente 22mila uomini, ma i marinai e i
vogatori più esperti erano bloccati a Mitilene. Fu presa allora la decisione,
senza precedenti, di reclutare gli schiavi, ai quali venne concessa in cambio
la libertà e la cittadinanza. Si ricorse anche ai membri delle classi più
elevate, che normalmente servivano nella fanteria. Per gli opliti fu un bel
bagno di umiltà ritrovarsi a remare coperti da un semplice perizoma, su cuscini
ingrassati per evitare gli sfregamenti. La flotta ateniese salpò non appena
pronta, anche se gli equipaggi erano inesperti e in alcuni casi non era stato
possibile coprire tutti i 180 posti di voga. Lungo la rotta verso Lesbo si
unirono altre imbarcazioni delle città alleate, portando a oltre 150 il totale
delle navi della Lega delio-attica. Pensando che fosse più vantaggioso
combattere vicino a terra, i generali ateniesi ormeggiarono la flotta presso le
Arginuse – un piccolo arcipelago situato tra Lesbo e le coste dell’Asia Minore
e formato all’epoca da tre isole (oggi una di esse si è trasformata in
penisola). Da capo Malea. All’estremità sudorientale di Lesbo, gli spartani
videro i fuochi da campo degli avversari e decisero di attaccarli a sorpresa di
notte, ma una tormenta glielo impedì.
Il giorno successivo le
due flotte si apprestarono a combattere nello stretto canale (meno di otto
chilometri) che separa Lesbo dalle Arginuse. Con quasi 300 imbarcazioni
coinvolte, si trattava della più grande battaglia navale della Guerra del
Peloponneso. Callicratida lasciò 50 navi di fronte a Mitilene, perché
proseguissero il blocco, e dispose le restante 120 su un’unica linea, lungo un
fronte di oltre due chilometri. Per contrastare la maggiore esperienza e la
grande agilità di manovra dei nemici, gli ateniesi adottarono invece una
strategia innovativa: divisero la flotta in otto unità, ognuna agli ordini di
uno stratega, e si disposero su due file: in questo modo le imbarcazioni della
seconda fila potevano difendere gli spazi liberi tra quelle della prima.
L’obiettivo dei generali era impedire che gli spartani eseguissero il
diekplous, una manovra che consisteva nell’inserirsi tra due imbarcazioni nemiche
per poi speronarle sul fianco con il rostro di bronzo posto sulla prua delle
triremi. Solo il centro della flotta ateniese era disposto su un’unica linea,
ma era protetto alle spalle dall’isola di Garip. Schierarsi su due file
implicava però accorciare il fronte, con il rischio di vedersi accerchiare
dagli avversari. Per evitare questa situazione, gli strateghi decisero di
ampliare gli spazi tra una nave e l’altra: grazie a questo espediente
riuscirono a superare il fronte spartano di oltre 15 navi per latro. Il comando
indipendente delle otto unità lasciava inoltre ai generali un maggior margine
di manovra, permettendo di adottare le iniziative di volta in volta più
opportune.
Modello di trireme
UNA BATTAGLIA CRUENTA. Quando le due flotte
furono a distanza di combattimento, gli spartani abboccarono e cercarono di
infilarsi negli enormi spazi della prima fila nemica per effettuare il
diekplous. Ma le loro triremi furono bloccate dalle navi della seconda fila e
si ritrovarono così esposti all’attacco degli avversari, che ben presto le
speronarono e le mandarono a picco. Approfittando di questa situazione, il
generale Pericle lanciò una manovra avvolgente sull’ala sinistra per circondare
il fianco destro spartano. Qui si trovava la trireme di Callicratida, il cui
timoniere aveva consigliato fin dall’inizio di ritirarsi di fronte alla
superiorità numerica ateniese. Ma l’ammiraglio lacedemone aveva ribattuto che
un ritiro era contrario al codice etico spartano e che la città sarebbe stata
in grado di riprendersi dalla sua eventuale morte. Furono parole profetiche:
quando la sua nave fu speronata dagli ateniesi, Callicratida cadde in mare e
sparì tra i flutti, probabilmente annegato sotto il peso delle sue armi.
La manovra di Pericle e
la morte di Callicratida gettarono nello scompiglio l’ala destra degli spartani.
La sinistra resistette più a lungo, ma alla fine fu sopraffatta dalla flotta
nemica e si diede anch’essa alla fuga. Ormai separate in piccoli gruppi, le
triremi spartane e persiane erano ancora più vulnerabili di fronte alla
superiorità numerica ateniese e caddero una dopo l’altra. I lacedemoni persero
circa 70 navi, oltre la metà dell’intera flotta, mentre gli ateniesi solo 25. Questa
vittoria clamorosa e inaspettata avrebbe dovuto accrescere il morale della
città Attica e invertire le sorti della guerra ma le cose andarono
diversamente.
Busto di Tucidide
Socrate e la tirannia del popolo.
Quando si svolse il processo delle
Arginuse, Socrate occupava la carica di pritano, uno dei 50 magistrati della
Bulé (Consiglio) che a turno si incaricavano di presiedere le riunioni dell’assemblea
cittadina. Dopo un concitato dibattito, si decise di processare i generali. Tutti
i pritani approvarono il procedimento per paura della folla, tranne Socrate. Nella
sua Apologia, Platone mise in bocca al maestro queste parole: “Quando decideste di processare in massa
illegalmente, come più tardi avete ammesso, i generali che non avevano
raccolto i morti dopo la battaglia navale (…) fui il solo, tra i pritani, ad
oppormi a voi, perché non fosse scavalcata la legge, e votai contro, e
sebbene gli altri oratori fossero pronti a denunciarmi e a farmi arrestare,
incoraggiati dalle vostre grida, io pensai che dovessi seguire la legalità e
la giustizia, al prezzo di ogni rischio, piuttosto che associarmi a voi”.
In quel momento Socrate riuscì a evitare conseguenze personali, ma sette anni
dopo avrebbe pagato il prezzo della sua coraggiosa opposizione alla volontà
collettiva venendo processato e condannato a morte.
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SALVATAGGIO FALLITO. Aggrappati ai resti
delle imbarcazioni affondate, i superstiti ateniesi attendevano i soccorsi dei
compagni. Ma invece di concentrare tutti gli sforzi su questo obiettivo, gli
strateghi si diressero a Mitilene per liberare Conone dal blocco degli spartani
e lasciarono a due ufficiali il compito di gestire le operazioni di salvataggio.
Purtroppo si scatenò una tempesta che costrinse le navi a rifugiarsi sotto
costa e non permise di portare a termine nessuna delle due missioni. Le imbarcazioni
bloccate a Mitilene riuscirono comunque a salvarsi, perché la flotta spartana
si ritirò, ma i naufraghi non ebbero la stessa fortuna. Tra il pomeriggio e la
notte oltre tremila uomini morirono inghiottiti dalle onde. Nei giorni
successivi i parenti dei defunti accusarono gli otto generali di negligenza. Due
di questi, intuendo come si stavano mettendo le cose, decisero di non fare
ritorno ad Atene. Gli altri sei furono giudicati nel corso di una concitata
assemblea. Alcuni oratori (qualsiasi cittadino poteva intervenire in pubblico)
osservarono che un processo collettivo era incostituzionale e ogni caso andava
giudicato separatamente. Ma un tal Licisco ribatté che chi si fosse a un
giudizio diretto del popolo sarebbe stato anch’egli processato. La situazione
dei generali fu ulteriormente aggravata dalle testimonianze di alcuni
superstiti, come un naufrago che si era salvato aggrappandosi a un barile di
farina, che li accusarono di negligenza. Alla fine l’assemblea decretò la
condanna a morte dei sei strateghi, incluso il figlio di Pericle. Gli ateniesi
avrebbero avuto modo di pentirsi di quel processo avventato.
Giustiziando agli
artefici dell’inattesa vittoria, si erano privati delle loro doti strategiche
e, allo stesso tempo, avevano disincentivato altri a presentare la propria
candidatura per il posto di comando. Anziché risollevare il morale della
cittadinanza, la battaglia provocò rancore e divisioni. Un anno più tardi la flotta
ateniese fu distrutta a Egospotami e la lunga Guerra del Peloponneso terminò
con la vittoria finale di Sparta e dei suoi alleati. Questa triste conclusione
trasformò quello che avrebbe potuto essere un momento di gloria in uno degli
episodi più oscuri della storia di Atene.
Articolo in gran parte
di Javier Negrete filologo e scrittore pubblicato su Storica National
Geographic del mese di ottobre 2018. Altri testi e foto da Wikipedia.
Geographic del mese di ottobre 2018. Altri testi e foto da Wikipedia.
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