venerdì 22 giugno 2018

Domus Aurea

DOMUS AUREA

La fastosa residenza di Nerone


Dopo che Roma venne distrutta da un incendio, Nerone decise di costruire la residenza imperiale più sontuosa che il mondo avesse mai conosciuto: la Domus Aurea. Alla sua morte il palazzo fu distrutto e poi interrato. 
Ricostruzione della Domus Aurea



Il sogno di Nerone.
Una ricostruzione virtuale in 3d che offre una suggestiva ipotesi della configurazione della Domus Aurea, anche se il riutilizzo sistematico dei suoi terreni da parte degli imperatori successivi a Nerone rende impossibile ricrearne con esattezza l’aspetto e l’organizzazione. Nerone si impegnò personalmente nella costruzione del palazzo, seguendo i lavori di Severo e Celere, gli architetti incaricati dell’opera. Il complesso era enorme: si estendeva dal Colle Palatino fino all’Esquilino, e dominava la città. La gigantesca statua al centro del vestibolo, opera di Zenodoro, misurava 120 piedi (37 metri) e rappresentava Helios, il dio Sole, ma aveva le sembianze di Nerone. Il vestibolo, che costituiva l’entrata alla residenza imperiale, era accessibile dalla via Sacra, la strada più importante di Roma. Spiccano il maestoso lago artificiale e il parco con giardini, aiuole, boschi e animali, domestici e selvatici. questo giardino doveva esser circondato dal portico menzionato da Svetonio, come se si trattasse di un gigantesco peristilio. Per quanto riguarda il padiglione dell’Esquilino, fu costruito su due livelli,sfruttando la pendenza del colle.



Una maestosa villa bianca, con rivestimenti interni in oro, dominava le colline di Roma venti secoli fa, quando l’Urbe governava il mondo. L’autocrate con manie di grandezza che si trovava allora alla guida dell’impero mobilitò tutte le risorse disponibili per crearla, ma non poté goderne che per pochi mesi. Poi la villa fu demolita e se ne perse la memoria.
Questo edificio era la Domus Aurea, la casa d’oro, la grandiosa residenza imperiale concepita da Nerone. Si estendeva su oltre 50 ettari , forse quasi 80 – superficie che corrisponderebbe a un’ottantina di campi di calcio. Se si confronta questa cifra con i 426 ettari che al tempo occupava la città dentro le mura, ci si può fare l’idea della grandiosità del progetto e dell’aspirazione smisurata dell’imperatore ad impossessarsi dello spazio cittadino.
Si capisce anche perché il popolo romano vi vedesse un’usurpazione imperdonabile: a cosa sarebbe dovuto servire una casa con più di 300 stanze?  Si trattava banalmente di una dimostrane di potere.
Lo storico Svetonio, apertamente contrario al faraonico progetto, scrisse che una volta terminati i lavori, Nerone inaugurò la dimora esclamando che finalmente avrebbe potuto vivere come si addice a un uomo . Sembra l’affermazione di un megalomane, ma in realtà rispondeva a un’antica tradizione romana secondo la quale un nobile era ciò che dimostrava di essere, e la domus, la sua abitazione, doveva costituire un domicilio degno della posizione sociale da lui occupata.

ISPIRAZIONE ORIENTALE. Nell’ultimo secolo e mezzo Roma aveva già visto la costruzione di grandi edifici, ma nessuno era paragonabile a quello di Nerone. Le dimore dei cesari Augusto e Tiberio sul colle Palatino, dove sorgevano le residenze imperiali, non erano molto diverse dalle abitazioni aristocratiche repubblicane. Giulio Cesare e Augusto avevano preferito costruire fori pubblici: volevano dimostrare di pensare prima al popolo romano che a loro stessi.
All’inizio dell’impero le domus dei sovrani non erano dei palazzi. Difatti il termine palatium derivato dallo stesso Palatino, inizierà a essere usato solo tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C.
La Domus Aurea fu progettata come un rus in urbe, ovvero una villa in città, con parchi e padiglioni propri delle campagne e della periferia di Roma, ma costruita all’interno della capitale stessa. Lo storico Tacito descrisse così le ambizioni di Nerone: “Fece costruire un palazzo nel quale rappresentassero un prodigio non tanto le pietre preziose e l’oro esibito – che costituivano solitamente il comune sfoggio dei ricchi – quanto il paesaggio agreste, gli stagni e le distese solitarie dei boschi da una parte, e gli spazi aperti e i panorami dall’altra”.
Ciononostante il palazzo di Nerone non era neppure una villa urbana. Il suo modello di riferimento era quello orientale: il palazzo degli antichi re ellenistici, in particolare quello che i Tolomei, re d’Egitto, avevano costruito ad Alessandria. Al pari di questo, la Domus Aurea era un enorme quartiere palatino, composto da ampi giardini con aiuole, alberi, stagni e padiglioni. Al centro c’era un teatro e persino il primo “museo” della storia di Roma, una selezione di opere d’arte che l’imperatore si era fatto inviare dalla Grecia e dall’Asia.



IL PALAZZO “TRANSITORIO”.  Le ambizioni costruttive di Nerone si erano già manifestate in una dimorare precedente la “Domus Transitoria”, “il passaggio” così chiamato perché univa le precedenti residenze imperiali del Palatino con i giardini di Mecenate sull’Esquilino. Nerone ne intraprese la costruzione quando salì al trono nel 54, ma i pochi resti non permettono di capre esattamente come fosse. Si è conservato un solo settore , disposto su due piani che assecondano la pendenza del terreno e sono collegati da scale di marmo, da cui si puà intuire il lusso e la raffinatezza delle architetture. Si tratta di un nifeo, ovvero una fontana murale, decorata con 48 colonne di marmo verde e rosso e posta di fronte a un atrio corinzio: un padiglione con spioventi verso l’interno sostenuti da dodici colonne di porfido. Questa esile struttura era collegata a due gruppi simmetrici di stanze, rinfrescate da fontane: i triclini estivi, delle sale da pranzo dove si poteva godere dei piaceri della tavola con il sottofondo delle casta celle d’acqua. La bellezza degli affreschi della Domus Transitoria preludeva alla ricca decorazione pittorica che l’imperatore ordinò nella Domus Aurea.
La Domus Transitoria costituì un sontuoso precedente della Domus Aurea, ma perché quest’ultima diventasse realtà su Roma dovette abbattersi un’autentica catastrofe: l’incendio del 64, secondo Tacito, il più devastante nella storia della città. Gli storici antichi sospettavano che l’imperatore avesse avuto un ruolo nel disastro. Svetonio riferisce che Nerone accarezzava l’idea di una nuova capitale, Neropoli, e per questa ragione non esitò a dare apertamente alle fiamme Roma, mandando  degli schiavi a incendiare le proprietà degli aristocratici romani. L’accusa era duplice: l’incendio era doloso e l’imperatore voleva impossessarsi dei terreni migliori per costruire il suo futuro palazzo. Anche Tacito fa un’affermazione analoga: “Nerone utilizzò le rovine della patria per costruirsi un palazzo “.



Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato come Lucio Domizio Enobarbo (in latinoNero Claudius Caesar Augustus Germanicus o Lucius Domitius AhenobarbusAnzio15 dicembre 37 – Roma9 giugno 68), è stato un imperatore romano.
Fu il quinto ed ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia. Successe al padre adottivo Claudio nell'anno 54 e governò per circa quattordici anni,[2] fino al suo suicidio, avvenuto all'età di 30 anni.[3]
Nerone fu un principe molto controverso nella sua epoca; ebbe alcuni innegabili meriti, soprattutto nella prima parte del suo impero, quando governava con la madre Agrippina e con l'aiuto di Seneca, filosofo stoico, e di Afranio Burro, prefetto del pretorio, ma fu anche responsabile di delitti e atteggiamenti dispotici.

UN PROVERBIALE INCENDIO. Gli storici sostengono che, in seguito alla catastrofe, Nerone decise di costruire sui terreni colpiti un palazzo di dimensioni mai viste. A questo scopo sottopose l’impero a un vero e proprio salasso economico: “Accettò e persino reclamò contributi che portarono in rovina le province e i privati cittadini” , denunciò Svetonio. Per questo progetto furono usate le fortune personali di senatore come Seneca, costretto a suicidarsi dopo aver consegnato i suoi beni per pagare la nuova residenza imperiale. Gli storici moderni ridimensionano la portata di questa interpretazione machiavellica. Sostengono che, dopo l’incendio, Nerone volle ricostruire la nuova Roma in base a un progetto di rigenerazione urbana che mirava a evitare il propagarsi di incendi come quello del 64: ampie strade e portici sporgenti rispetto alla facciata per separare i blocchi degli edifici.
La Domus Aurea si iscriveva in questa riforma della città, che permise all’imperatore di modificare parzialmente il percorso della via Sacra (l’ampio viale in cui si tenevano le processioni religiose e i cortei trionfali) nel punto in cui, ai piedi del Palatino, curvava per entrare in linea retta nella spianata del foro repubblicano, il cuore della citt°.
Grazie a tale iniziativa la facciata della residenza imperiale poteva essere amministrata fin dal popoloso centro di Roma, all’altra estremità della via Sacra. Il palazzo è conservato solo parzialmente; Svetonio lo descrive in un testo che si presta a differenti interpretazioni: “c’era un atrio in cui era stata eretta una statua colossale di Nerone alta 120 piedi (quasi 37 metri). Tale era l’ampiezza che all’interno aveva porticati a tre ordini di colonne, lunghi un miglio; c’era anche un lago artificiale che sembrava un mare, circondato da edifici che formavano delle specie di città. Inoltre all’interno c'erano campi, vigne, pascoli, boschi con diversi animali, selvatici e domestici, d’ogni genere”. Si trattava di un paradiso alla maniera ellenistica, in cui era possibile perdersi, e non di una casa solo da ammirare, come nella tradizione aristocratica romana

Un palazzo che era una galleria d’arte.

Autore
da Epigono
Data
copia romana del I secolo a.C. da un originale bronzeo del 230-220 a.C. circa
Materiale
marmo
Altezza
211 cm
Ubicazione


Nella sua nuova residenza Nerone non si fece mancare nessun piacere. Disponeva, per esempio di bagni con acqua corrente che proveniva dal maree dalle sorgenti sulfuree “albule”, dove aveva trovato sollievo prima di lui Augusto. Il soffitto della sala principale, dal canto suo, si apriva per lasciar cadere una pioggia di fiori profumati durante i banchetti. Oltre al tatto, la vista e l’olfatto, l’imperatore poteva deliziarsi anche la vista: le missioni che aveva inviato in Grecia e in –Oriente erano tornate con opere preziose d’arte greca classica ed ellenistica. Tra le altre, all’imperatore erano state consegnati il gruppo scultoreo del Laoconte e i bronzi che rappresentavano il Galata morente e il Galata suicida sculture di cui sono sopravvissute le copie romane in marmo.



l gruppo scultoreo del Laocoonte e i suoi figli, noto anche semplicemente come Gruppo del Laocoonte, è una scultura in marmo conservata nel Museo Pio-Clementino dei Musei Vaticani, nella Città del Vaticano. Wikipedia
Data di apertura: 27 dopo Cristo
Supporto: White marble

LA CASA D’ORO Svetonio parla di una villa ispirata al modello tradizionale, con atrio e peristilio, il giardino della domus, delimitato da un portico colonnato e attorno al quale si distribuivano le varie stanze. Solo che qui l’atrio (il primo cortile all’entrata della domus) si era trasformato in un vestibolo di enormi proporzioni e il peristilio aveva acquisito dimensioni colossali: il portico che incornicia il giardino supera i 1480 metri di perimetro.
La prima cosa che saltava all’occhio erano le ricchissime decorazioni, che giustificavano il nome di “palazzo”: “Nelle altre parti, ogni cosa era rivesta d’oro e ornata di gemme e madreperla”, riferisce Svetonio. E aggiunge che esistevano anche ingegnosi sistemi per profumare le stanze: “il soffitto delle sale da pranzo era di lastre d’avorio mobili e forate, perché vi si potessero far piovere dall’alto fiori ed essenze”. Svetonio non dimentica di menzionare una delle zone più stupefacenti del complesso: la sala da pranzo principale: “Era circolare e ruotava su se stessa giorno e notte, senza mai fermarsi, come la terra”, Si trattava di un dispositivo tecnologico costruito dai due architetti e ingegneri romani cui erano stati affidati i lavori, Severo e Celere.
Oltre a questo particolare sistema meccanico, forse decorato come un planetario a tema astrale-zodiacale, i due professionisti realizzarono un’altra innovazione: applicarono per la prima volta all’architettura privata le tecniche costruttive di volte e cupole fino ad allora riservate agli edifici pubblici.




Sala ottagonale della Domus Aurea.



DISTRUZIONE E RINASCITA. Il corpo principale della Domus Aurea è andato perduto. Ciò che resta oggi sul versante meridionale dell’Esquilino potrebbe corrispondere a uno di quegli edifici, di cui parla Svetonio, “che formavano delle specie di città” . Si sono conservati 240 metri di stanze di un padiglione che, stando alla sua composizione apparentemente simmetrica, doveva raggiungere i 370 metri di lunghezza. Al centro si trova l’innovativa Sala ottagonale, circondata da triclini. Questa stanza era sormontata da una cupola cementificio di quattordici metri di diametro, illuminata da un lucernario o abbaino centrale.
La costruzione del palazzo procedette a ritmo frenetico: probabilmente a soli due anni dall’incendio Nerone poté andarvi ad abitare. Ciononostante, dopo soli alcuni mesi, partì per la Grecia, dove trascorse un anno e mezzo viaggiando ed ammirando opere d’arte;  quando nel 68 tornò in patria si suicidò. Alla morte dell’imperatore il senato votò e approvò la sua damnatio memoriae (condanna della memoria) che consisteva nell’eliminare qualsiasi traccia del suo passaggio, in quello che era il primo passo verso la distruzione della Domus Aurea.
La statua gigante di Helios con le fattezze di Nerone fu rimossa dall’entrata della Domus Aurea e se ne cancellarono le sembianze dell’imperatore. Il palazzo fu spogliato di ogni oggetto di valore e sul suo grandioso lago artificiale fu costruito l’anfiteatro Flavio, meglio noto come Colosseo, proprio per la vicinanza alla colossale statua di Nerone.
Per poeti come Marziale questi cambiamenti simboleggiano la sconfitta della tirannia: “Qui dove il solare colosso gode così da vicino la vista degli astri (…) l’odioso palazzo del re crudele sfolgorava” . Il ritorno alla giustizia segnerà in modo profondo il giudizio sui deliri di grandezza di colui che per quattordici anni era stato il capo massimo dell’impero: “Roma viene restituita a sé stessa”  conclude Marziale.
La casa d’oro scompare, i parchi furono destinati all’uso pubblico e a meno di quindi anni dalla morte di Nerone Tito costruì le sue terme in una parte del complesso. Dopo circa altri vent’anni fu Traiano a costruire le sue, in un’altra area del palazzo abbandonato, dopo un incendio. La terra rimossa per costruire il foro di quest’ultimo imperatore fu usata per sotterrare i resti dell’edificio sull’Esquilino, che sono giunti fino ai nostri giorni. Solo nel 1480 furono ritrovati i corridoi e le stanze sepolti da secoli. Le pitture suscitarono l’ammirazione degli artisti rinascimentali e ispirarono un nuovo stile decorativo, a grottesca, (così chiamato perché tali pitture furono rinvenute in sotterranei simili a grotte). In questo modo l’arte fece rinascere e rese immortale l’eredità della Domus Aurea.






serie di affreschi ritrovati nella Domus Aurea.

Articolo di Pedro Angel Fernàdez Vega su storica del mese di aprile 2018 immagini  e altri testi scaricate da wikipedia.










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