giovedì 28 giugno 2018

Guerra e commedia ad Atene

GUERRA E COMMEDIA AD ATENE

Il teatro al tempo di Aristofane.
 Aristofane, figlio di Filippo del demo di Cidateneo (in greco anticoἈριστοφάνηςAristophánēsAtene450 a.C. circa – 385 a.C. circa), è stato un commediografo greco antico, uno dei principali esponenti della Commedia antica (l’Archaia) insieme aCratino ed Eupoli, nonché l'unico di cui ci siano pervenute alcune opere complete (undici).

Durante la Guerra del Peloponneso il geniale drammaturgo Aristofane, denunciò l’inettitudine dei dirigenti ateniesi e la perdita irreparabile dei valori tradizionali in una serie di irrilevanti commedie

Tra battute e invettive personali, l’assurdo e la poesia si uniscono per offrire una visione trasfigurata della realtà. Sono queste le caratteristiche della commedia attica antica, della quale Aristofane (450-380 a.C. ca.) è il massimo rappresentante. La lettura delle sue opere giunte fino a noi (solo undici su quaranta) regala la gioia di sfuggire alla routine quotidiana di un mondo nuovo, a volte ideale, dove prevalgono la festa e l’allegria. E questo nonostante la vita del drammaturgo fosse trascorsa tra luce e ombre. L’infanzia e la giovinezza dell’autore cominciarono con lo splendore politico e culturale dell’Atene classica, la cosiddetta “era d’oro di Pericle”. Il periodo della maturità, invece, vide la sconfitta contro Sparta dopo 27 anni di guerra e il conseguente crollo del regime democratico.
Per questo motivo la commedia di Aristofane è anche una denuncia dei difetti degli ateniesi che furono alla base di questa crisi: l’egoismo, la credulità alla propaganda populista e, soprattutto, la burocratizzazione dello stato, dovuta alla guerra e alla corruzione diffusa di cui seppero approfittare i demagoghi. Tra il 431 e il 404 a.C., la Guerra del Peloponneso, che vedeva scontrarsi Atene e Sparta, divenne un tema ineludibile per il teatro ateniese dell’epoca. E, in particolare, Aristofane, che a soli quattro anni dall’inizio dell’ostilità portò in scena la sua prima opera i banchettanti 427 a.C., oggi perduta.






Maestro della satira


427 a.C.
In piena guerra del Peloponneso mette in scena sotto pseudo mino la sua prima opera i banchettanti oggi perduta.

424 a.C.
Prima rappresentazione dei cavalieri una diatriba contro il demagogo Cleone che arriva prima alle Lenee.

414 a.C.
Gli uccelli, una critica all’imperialismo ateniese e al protarsi della guerra arriva seconda alle Grandi Dionisie.

411 a.C.
Aristofane porta in scena Lisistrato, opera in cui la protagonista propone uno sciopero del sesso per mettere fine alla guerra.

388 a.C.
Va in scena l’ultima commedia di Aristofane, Pluto, in un’Atene in piena crisi dopo la sconfitta della guerra del Peloponneso.  


GUERRA E CORRUZIONE. Allo scoppio del conflitto, Pericle consigliò alla popolazione civile di abbandonare le campagne e di rifugiarsi in città, mentre le postazioni dei spartani venivano attaccate via mare. Gli ateniesi si ritrovarono coinvolti in una lunga guerra, in cui non si intravedeva la conclusione, con migliaia di rifugiati in fuga dall’avanzata spartana ammassati all’interno delle mura. I più colpiti da questa strategia di logoramento furono i contadini ateniesi: costretti ad abbandonare i campi e privati dei mezzi di sostentamento, assistevano impotenti alla distruzione delle loro proprietà da parte del nemico. Nel frattempo venivano gravati da tasse sempre più alte e oppressi da un clima di esarcebato bellicismo, in una città in cui si sentivano sempre in secondo piano.
Fu proprio uno di questi contadini, rozzo e grossolano, il grande protagonista delle commedie composte da Aristofane, per le Linee e le Grandi Dionisie, le feste in onore del dio del vino e del teatro. Queste ultime si svolgevano tra i mesi di marzo e aprile nel teatro di Dionisio e avevano lo scopo di mantenere la normalità ad Atene e a far dimenticare le difficoltà del conflitto bellico. Nelle prime commedie di Aristofane (Gli arcanesi, I cavalieri, Le nuvole e Le vespe composte tra il 425 e il 422 a.C.) l’eroe comico riusciva a sovvertire lo status quo con l’ingegno e a raggiungere il grande obiettivo della pace. Grazie alla fantasia inesauribile e alle risorse di questo personaggio, nelle sue opere Aristofane dava vitaa un mondo parallelo in cui gli schiavi potevano prendersi gioco dei padroni, i mortali degli déi e i mediocri degli intellettuali più in vista. Il commediografo mirava in questo modo a esercitare una vera e propria “giustizia popolare”, facendo si che i suoi eroi agissero e parlassero in libertà, con la schietta franchezza caratteristica delle classi popolari. Il coro, con le sue danze e i suoi stravaganti costumi, contribuiva a creare un’atmosfera colorata e farsesca, e a volte partecipava attivamente ai piani dell’eroe. Il pubblico sugli spalti rideva di gusto alle trovate del protagonista, ma nel frattempo sbirciava i volti dei vicini di posto, bersaglio degli strali di Aristofane. Era un susseguirsi continuo di battute, spesso un po’ volgari, ad esempio sulla effeminatezza dell’ambasciatore Clistene  o del poeta tragico Agatone (di cui Aristofane scriveva che amava lasciarsi perforare). Ma il commediografo si faceva beffe anche della codardia e dell’ingordigia di Cleonimo – assolutamente inutile e irriso per aver abbandonato lo scudo in battaglia - , della persistente stitichezza di un certo Antistene o della cispa di un generali di nome Agirrio. In questo modo Aristofane cercava di scuotere il pubblico ateniese, che si lasciava abbindolare passivamente dalle lusinghe dei suoi inutili politici, e lo metteva di fronte alle conseguenze della scelta di una classe dirigente inetta.
In seguito alla morte del generale Pericle (429 a.C), poco dopo l’inizio della guerra, il potere fu preso d’assalto dai rappresentanti di una classe in piena espansione: quella dei mercanti e degli artigiani. Aristofane li presentava come arrivisti privi di spessore e di scupoli, che svilivano l’intera classe politica. Nelle sue commedie il drammaturgo ridicolizzava i successori di Pericle: Eucrate e Lisicle vengono descritti come venditori di stoppa e di pecore Iperbolo come “fabbricante di lampade” e Cleone “come conciatori di pelli”. Nell’opera I cavalieri (424 a.C.) si profetizza la fine del governo della città nelle mani di qualche “salsicciaio”.  Le ambizioni e le manovre di questi politici litigiosi avevano prolungato le campagne belliche ben oltre a quelle di Pericle. Nelle Commedi di Aristofane l’eroe affronta in una disputa dialettia (agon) questi nemici della pace: i demagoghi e i loro seguaci, i sicofanti o delatori di professione, agli ambasciatori – che nel corso delle loro eterne e costose missioni diplomatiche vivevano nel lusso mentre il popolo moriva di fame in mezzo alla spazzatura – e i fabbricanti di armi, in convivenza con gli altri ufficiali militari. Insomma, tutti coloro che non erano disposti a rinunciare ai benefici di un conflitto bellico che andava ormai avanti da troppi anni.



Immagine dell’Acropoli di Atene


Il figlio del conciatore di pelli.
Cleone, figlio di Cleneto del demo di Cidateneo (in greco anticoΚλέωνKléonAtene, ... – Anfipoli422 a.C.), è stato un politico e militare ateniese, protagonista della guerra del Peloponneso.

Risultati immagini per cleone 
Figli di un ricco conciatore di pelli, Cleone sale al potere dopo la morte di Pericle, favorito dalla guerra contro Sparta. Politico bellicista e ottimo oratore, capace di manipolare i suoi concittadini,è uno degli obiettivi preferiti dalle critiche di Aristofane.
Gli attacchi dell’autore cominciarono con i Babilonesi (426 a.C.) un’opera perduta per la quale viene poi costretto a scusarsi. Negli Arcanesi (425 a.C.) Aristofane continua a prendersela con il “conciatore”, come lo chiama con disprezzo e con i suoi seguaci,che non vogliono porre fine alla guerra.
La maggiore diatriba contro Cleone si trova nell’opera I cavalieri dove il politico viene rappresentato come uno schiavo pallagonio (dell’Asia Minore) che manipola il suo ex padrone Demo (popolo), Aristofane lo accusa di essere un ladro e corrotto e di “attingere a man bassa alle casse dello stato per rubare tutto il possibile” . Alla fine Cleone perde i suoi privilegi a beneficio di Agoracrito, un salsicciaio ancora più spudorato di lui.




Ricostruzione teatro Dionisio ad Atene


UNA CITTA’ DI CREDULONI. Non mancano neppure i rimproveri a chi preferiva restare ai margini a questi intrighi politici. Per Aristofane, Atene era “una città di creduloni”. Criticava la passività dei suoi cittadini, riluttanti a recarsi all’assemblea, permissivi con la corruzione politica e sempre pronti a farsi incantare dalle cavillo arguzie degli avvocati nei tribunali. Aristofane esponeva queste critiche in un momento dell’opera in cui l’azione drammatica si interrompeva e dopo esseri tolti la maschera, i membri del coro si rivolgevano direttamente la pubblico. L’autore ne approfittava anche per criticare i suoi rivali, proclamando con orgoglio la superiorità della sua arte. In Le Nuvole per esempio, il coro dichiarava in nome dell’autore: quanto a me, non cerco di ingannarvi ripetendo due o tre volte lo stesso argomento, ma vi offro sempre opere nuove di mia invenzione, che non si assomigliano fra loro e sono tutte ben congegnate”. Con il passare degli anni Sparta, sempre più prossima a imporsi nel conflitto, Aristofane trasferì nelle sue opere l’angoscia degli ateniesi. E così le gesta dei suoi protagonisti si fecero sempre più assurde e disperate: chi volava in groppa a un gigantesco scarabeo stercorario nell’opera La pace (421 a.C.) fino a chi si attaccava addosso piume per fondare una città in cielo chiamata Nephelokokkygia (Nubiculla) e abbandonare un’Atene devastata dalla guerra in Gli uccelli (414 a.C.). L’eroe lascia ormai trapelare tutto il suo disincanto:poiché si rende conto che non è possibile cambiare realtà si rifugio in un’utopia cui può  accedere grazie alla sua sconfinata immaginazione. Aristofane rivelò ai suoi compatrioti che non solo gli uomini ma anche le donne erano vittime della guerra,  e forse ancor più di loro, perché nel conflitto perdevano padri, fratelli, figli, mariti. Era quindi normale che pure loro anelassero alla pace. Da questa aspirazione femminile nasce il soggetto di una delle opere più note di Aristofane, Lisistrata (411 a.C.)  la commedia è caratterizzata da una geniale inversione dei ruoli: le donne decidono di unirsi per occupare l’acropoli ateniese, dove è conservato il tesoro con cui viene finanziata la guerra, e di obbligare gli uomini a porre fine alle ostilità tramite uno sciopero del sesso.




La guerra delle donne
Lisistrata andò per la prima volta in scena nel 411 a.C., in piena guerra e pochi mesi dopo un colpo di stato oligarchico ad Atene. Il carattere risoluto di Lisistrata (“cole che scioglie gli eserciti”, in greco) è ispirato a una donna di quella nobiltà turbolenta: Lisimaca, la sacerdotessa di Pallade Atena.

La commedia, che parla della guerra in termini domestici, spiega il progetto oligarchico di rinnovamento sociale come se si trattasse di un lavoro casalingo: Atene è la lana da cardare per eliminare nodi e imperfezioni (demagoghi, sicofanti). Solo allora si potrà ottenere un buon gomitolo con cui tessere un vestito nuovo, una società rinnovata.

“Perché parlano(…) queste donne che non c’entrano nulle con la guerra?” dice un uomo a Lisistrata, che ribatte: “Noi sopportiamo il doppio del peso rispetto a voi, perché prima partoriamo i figli che vanno a servire in guerra come ospiti. E poi, proprio nell’epoca in cui si dovrebbe godere della giovinezza, ci ritroviamo a dormire sole per colpa delle vostre zuffe”.


IL MONDO CAPOVOLTO. Più tardi, nelle Donne in parlamento (392 a.C.), alcuni personaggi femminili, guidati da Prassagora, assumono il potere ad Atene e impongono una serie di misure di giustizia sociale. La comicità dell’opera non fa dimenticare lo sfondo cupo della commedia: la rovina dello stato ateniese e la scomparsa della sua base sociale a causa della guerra. Aristofane offriva al pubblico di Atene – che quasi certamente era solo maschile – l’opportunità di osservare nella realtà da un altro punto di vista, perché capisse chi stava pagando veramente le conseguenze delle decisioni che erano state prese.

Politici ricchi e furfanti.
Pluto fu portato per la prima volta in scena nel 388 a.C. ed è l’ultima opera di Aristofane sopravvissuta. Questa commedia è una denuncia della disuguaglianza sociale ad Atene dopo la guerra e un atto di accusa contro la corruzione: “Guarda i politici delle città: finché sono poveri si comportano onestamente con la gente, ma appena si arricchiscono grazie al bene comune, diventano dei furfanti e cospirano contro le masse”,
Sono i tempi della disillusione, nei quali ognuno sembra pensare a sé stesso: “In nessuno vi è nulla di buono, tutti si lasciano sopraffare dalla seta di profitto”, commenta cinicamente Blepsidemo, cittadino ateniese.
Ecco perché la descrizione della fortunata vita del protagonista, l’onesto contadino Cremilo, diventa un elogio speranzoso della semplice vita campestre: “Che bellezza essere ricchi senza dover spendere un soldo! L’arca è piena di farina bianca e le anfore di un vino rosso fragrante…il pozzo è pieno d’olio; le ampolline riboccano di mirra e la soffitta di fichi secchi”.  

UNA CITTA’ IN ROVINA. Il disastro era inevitabile: la rappresentazione dell’opera Le rane (405 a.C.) dove Dionisio si reca nell’Ade, ovvero negli inferi, era un modo di esorcizzare i fantasmi di un passato glorioso e favorire un incontro tra i vivi e coloro che erano morti a causa della guerra. Un anno più tardi, la sconfitta di Atene contro Sparta portò alla disillusione politica, con tutte le sue conseguenze: la demoralizzazione, l’astensionismo o, in alternativa la fuga nei piaceri semplici della vita quotidiana..
In Pluto (388 a.C.) l’ultima commedia di Aristofane giunta fino ai nostri giorni (dove quasi non compare il coro), questo messaggio è molto chiaro: Cremilo, un anziano ateniese povero ma onesto, riesce a fare recuperare la vista a Pluto, il dio della fortuna, consentendogli di retribuire le sue ricchezze in un modo più giusto ed equo. L’opera costituisce una critica alla ricchezza accumulatasi nelle mani di pochi in seguito allo sfaldamento politico del dopoguerra nonché alla meschina ambizione delle classi agiate che minava le fondamenta della società. Aristofane sognava un ritorno all’aurea moderazione di un tempo, quando l’onestà e l’operosità erano le uniche vie per la felicità.
Il commediografo rese i suoi concittadini protagonisti di opere che scandagliavano le miserie della polis ateniese del V secolo a.C., miserie che poi venivano esposte all’opinione pubblica con gran disinvoltura. Ma queste rappresentazioni teatrali, disseminate di invettive personali con un carattere specificamente politico e polemico, si spingono oltre la semplice farsa di schiavi, vecchiette litigiose e volgari ballerine.
L’originalità dell’arti di Aristofane sta nel coniugare la comicità. Il meccanismo scenico, la satira e il cabaret politico, nel contesto rituale di una festa religiosa. Per questa ragione, accanto al grottesco e alla volgarità si trovano anche manifestazioni di profonda devozione e di elevato lirismo. È sotto quest’apparenza brillante e allegra, torna inesorabile tutta la tragedia umana che la Guerra del Peloponneso comportò per Atene.

Un’arringa contro la filosofia

Socrate era un’autentica figura pubblica ad Atene: non aveva mai praticamente lasciato la città, se non per servirla in guerra. La gente era abituata a vederlo in strada, dove esortava i suoi concittadini a sviluppare i propri pensieri. Aristofane lo dipinse in Le nuvole (423 a.C.) come un rappresentante dei sofisti, filosofi di professione che offrivano i loro servizi a pagamento.

Aristofane sosteneva che l’insegnamento filosofico alimentasse fra i giovani il relativismo ideologico, erodendo le fondamenta stesse dello stato: “Se li paghi, ti insegnano come vincere qualsiasi causa, che tu abbia torto o ragione” dichiarava.

Lo stesso Aristofane considerava Le Nuvole la sua commedia migliore, nonostante questa desse una visione distorta di Socrate. Il filosofo, in realtà, odiava i sofisti, ma nella commedia Socrate appare come un loro rappresentante e come un empio corruttore di quei giovani nichilisti. Questa caricatura ebbe il suo peso nella condanna a morte di Socrate decretata nel 399 a.C.









LE COMEDIE
DEL FACETIS
SIMO ARISTO

Tradutte di Greco in lingua commune d'Ita
lia, per Bartolomio & Pietro


Con Privilegio de lo Illustrissimo Senato
veneto, per anni diece.

IN VENEGIA.
Apresso Vincenzo Vaugris, a'l segno d'Erasmo.
M. D. XLV.

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Articolo di Juan Pablo Sànchez Filologo classico su storica di aprile 2018 altri testi e immagini da Wikipedia


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