QUANDO ROMA ERA UNA CITTA’ SPOPOLATA.
La città eterna ha rischiato di non
esserla affatto: uno sguardo al collasso di Roma dopo la caduta dell’Impero
Romano.
La
distruzione dell'Impero romano, di Thomas Cole. Dipinto allegorico (ispirato molto probabilmente
al sacco
di Roma dei Vandali del 455), quarto della serie "Il
corso dell'Impero"
del 1836, oggi a New York, presso l'Historical Society
Il Sacco di Roma del 410 d.C.
Da un milione e mezzo a ventimila abitanti.
Roma passò da essere la maggior
metropoli del suo tempo ad anonima provincia dell’Impero Bizantino. Lo
spopolamento della città andò di pari passo con il suo declino politico e
militare. Per 700 anni la sua fama e la sua
potenza l’avevano fatta sentire inviolabile. Tuttavia, quando le tribù
germaniche cominciarono a premere sulle sue frontiere settentrionali, si
decise di costruire una nuova cinta muraria. Ammettere che un’invasore
sarebbe potuto arrivare così vicino al cuore dell’impero rappresentò uno
smacco tremendo. Ma poi ci fu il traumatico Sacco dei Visigoti, un evento che
ebbe risonanza in tutto il mondo romano. E poi ancora il Sacco dei Vandali e
vent’anni di guerre goto-bizantine, che incendiarono la penisola. La peste e
l’arrivo dei Longobardi diedero il colpo di grazia alla leggendaria Roma.
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Roma ha due celebri facce,
quella classica imperiale e quella sgargiante dei papi. Ma fra lo splendore dei
due periodi si nasconde quasi un millennio in cui era moribonda. All’apogeo
dell’impero verso il II secolo d.C. la città ospitava più di un milione di
abitanti. Tuttavia, verso la fine del VI secolo erano rimasti solo 20mila
sopravvissuti a una moltitudine di guerre, carestie e pestilenze. Se n’erano
andati i mercanti, i marinai, le prostitute, i lavoratori e la plebe mentre la
nobiltà era salpata per Costantinopoli. Roma non era più Caput mundi. Anzi era governata com una provincia dell’impero bizantino.
Vista dall’alto delle colline, la
città aveva ancora l’affascinante skyline del suo glorioso passato: svettavano
le statue mastodontiche, le piazze ricoperte di marmo, le colonne decorate, i
tetti di bronzo sgargianti, le ville patrizie e le insule, i condomini della
plebe. Eppure era una città fantasma: le vie erano ricoperte di muschio e i
palazzi avvolti dall’edera, abitati da volpi e gufi. Il Tevere era straripato
molte volte e l’assenza di manutenzione aveva fatto si che uno strato di fango
indurito rivestisse le strade.Uno degli edifici più imponenti era l’anfiteatro Flavio, ovvero il Colosseo, aveva chiuso i battenti da anni. Gli ultimi spettacoli risalivano a circa sessant’anni prima, ossia al tempo di Teodorico, che aveva tumulare i sotterranei per non doverne pagare la manutenzione. Di fronte al Colosseo, si stagliava ancora la statua di Nerone, che era alta 34 metri , aveva dieci piani ed era tutta in bronzo. Era lei il colosso da cui l’anfiteatro prendeva il nome. Un tempo doveva essere stata abbagliante, ma dopo tanta incuria era annerita dal tempo e le mancavano le braccia: si dice che fu proprio il pontefice Gregorio Magno ad aver dato ordine di mutilarla per recuperare il metallo e fonderlo. Negli anni successivi Gregorio Magno completerà il lavoro prendendosi il resto. Era un papa devoto e pragmatico che, alla rimozione di un falso dio univa il profitto del metallo prezioso per aiutare i poveri della città.
Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circa – Roma, 12 marzo 604), è stato il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa. Anche le Chiese ortodosse lo venerano come santo.
Sebbene il suo pontificato si sia svolto in uno dei periodi più bui della storia italiana, conservò una incrollabile fiducia nella forza del Cristianesimo; una delle anime più luminose del Medioevo europeo svolse il suo ministero racchiusa in un corpo minuto e sempre malato, ma dotato di una grandissima forza morale[1].
GREGORIO
MAGNO
Nacque intorno al 540 d.C. nella nobile
famiglia degli Anicii e si fece notare come abile amministratore di Roma, di
cui diventò prefetto. Trovata la vocazione, trasformò la villa di famiglia in
un monastero in cui si ritirò prima di essere eletto papa. Fu il primo
pontefice alla guida di Roma
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IL BOSCO INVADE LA CITTA ’. La via
Sacra parte ai piedi del Colosseo e arriva fino all’altro cuore di Roma, il
Campo Marzio: si tagliavano all’epoca le imponenti basiliche – dove un tempo si
riunivano i commercianti -, gli enormi teatri di Pompeo e di Marcello e le
lussuose terme di Agrippa. La lista della magnificenza è lunga, ma la sparuta
popolazione non sapeva più che farsene di tanto clamore architettonico. I pochi
abitanti, abituati all’abbandono non si curavano delle erbacce o del fango che,
sedimentatosi, aveva alzato il livello della strada, e si ingegnavano aprendo
sentieri che si incuneavano nella boscaglia attecchita tra i templi. Sulle
strade erano cresciuti degli alberelli che, con il tempo, sarebbero diventati
querce secolari, ben visibili da Carlo Magno quando, nell’800, farà il suo
ingresso da nord per la via Lata, l’odierna via del Corso. Percorreva quella
stessa strada il nascente turismo religioso che dal nord Europa veniva a
visitare i luoghi sacri dei martiri. E cominciavano a prosperare il mercato
nero delle reliquie e le visite organizzate che, per qualche moneta,
conducevano i pellegrini a inginocchiarsi davanti alla graticola dove era stato
bruciato vivo san Lorenzo, oppure alla colonna in marmo rosso dove santa
Bibiana aveva subito il supplizio della flagellazione con corde piombate. Nascevano
allora anche le prime guide turistiche, una sorta di Loney Planet del tempo: l’itinerario di Einsiedeln, dell’VIII
secolo, ad esempio, era una pianta di Roma per orientare i pellegrini verso le
attrazioni religiose o turistiche della città.
Tempio di Castore e Polluce nel foro Romano
IL DESTINO DEI REDUCI. Ma dove era
finito quel che restava della popolazione? Dove erano i discendenti di coloro
che erano stati i signori di tutta l’Europa? Probabilmente erano concentrati fra
il riva sinistra del Tevere e il quartiere di Transtevere, a vere nelle osterie
ricavate dai vecchi templi pagani. Chissà se avevano memoria della grandezza
dell’impero romano o se si domandavano chi avesse costruito quella città
enorme.
Il livello di alfabetizzazione
della plebe, altissimo nella Roma classica, era precipitato: a leggere e
scrivere era diventato appannaggio delle classi alte. I trasteverini abitavano
in insule fatiscenti e lavarovano nei piccoli commerci di paese. Erano vasai,
allevatori, contadini. Sopravvissuti di un mondo pagano ormai
sorpassato,riusavano quello che trovavano sepolto sotto le maceria della Roma
imperiale: le stoviglie, le stoffe, gli attrezzi.
Quando un’insula crollava, gli
abitanti si trasferivano in un’altra: la disponibilità di case vuote era
talmente alta che non c’era bisogno di costruirne altre. Ciononostante era una
condizione precaria: le latrine non scaricavano, le fognature non avevano più
manutenzione e la Chiesa
e l’amministrazione civile si rimbalzavano la responsabilità della pulizia
delle strade
Anche la situazione idrica era
drammatica. I sedici acquedotti – che in epoca imperiale portavano
quotidianamente tonnellate di acqua fresca dagli Appennini – erano stati
tagliati dai Goti nel primo assedio di Roma (537-538), e da allora la manutenzione era stata molto
discontinua.
Cinquant’anni dopo, Gregorio Magno si lamentava in una
delle sue epistole delle condizioni dei pochi acquedotti, a stento ancora
funzionanti. La vegetazione aveva corroso le tubature di piombo vecchie di
secoli e le radici avevano scalzato le fondamenta. Gli impianti termali per cui
Roma erano famosi erano sbarrati da decenni.
Sul Palatino spiccavano ancora i lussuosi palazzi dove un
tempo risiedevano gli imperatori, ora riconvertiti a sede dell’amministrazione
di Costantinopoli: uffici e residenze di prestigio per i notabili bizantini, i
funzionari e la piccola guarnigione militare di stanza nella città. Erano i
privilegi degli espatriati che lavorano in un Paese povero e non volevano mischiarsi
con la popolazione locale. Passeranno i secoli: la città arrancherà, le piazze
si inabisseranno nella terra e gli abitanti ricicleranno i materiali per farne
nuove costruzioni. Invece di liberare le strade larghe e dritte dei romani che
li avevano preceduti, la popolazione aprirà sentieri stretti e tortuose per
aggirare alberi e macerie. La salvezza della città sarà il fatto di essere la
sede papale, privilegio che le permetterà di essere uno dei centri più
importanti dell’Alto Medioevo italiano.
Eppure, per molto tempo, nulla porrà contro la sensazione
di straniamento nell’ammirare una città così grande, così monumentale e così
irrimediabilmente vuota.
ROMA
IN DECLINO: UN PAESAGGIO IN ROVINE
https://video.repubblica.it/edizione/roma/roma-l-ara-com-era-in-viaggio-nel-campo-marzio/265486/265864
Campo Marzio, un ampio quartiere compreso
tra il foro e il Tevere è stato radicalmente cambiato nel V secolo. Il teatro
di Balbo, fatto costruire da un banchiere amico dell’imperatore Augusto,
cadde in disuso. Lo spazio rettangolare porticato situato di fronte al
teatro,
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Articolo in gran parte di Giorgio Pirazzini su Storica della National Geografic di
Aprile 2018.Altri testi e immagini da Wikipedia.
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