domenica 24 giugno 2018

Raccolto amaro




RACCOLTO AMARO.


Negli Anni ’30 la collettivizzazione forzata, con le requisizioni di prodotti agricoli voluti da Stalin, provocò in Ucraina la morte per fame di milioni di persone.



Lavoro collettivo in un kolchoz, in una foto del 1941.
Kolchoz[1] (in russoколхоз? ascolta[?·info], plur. kolchozy, qualche volta italianizzato in colcos[2]) è l'abbreviazione dikollektivnoe chozjajstvo in russoколлективное хозяйство?, che significa "proprietà agricola collettiva" .
Fu una tragedia così grande che gli ucraini inventarono una nuova parola per descriverla: Holodomor o “sterminio per fame”. Si riferisce alla morte, provocata negli anni ’30 dalle politiche di Stalin, di milioni di ucraini. Un’ecatombe che ancora oggi è una delle ragioni del risentimento di Kiev verso Mosca. La tragedia ebbe inizio quando Stalin, tra l’autunno del 1932 e la primavera del 1933, decise la collettivizzazione agraria, Kulaki, i contadini agiati (coltivatori diretti o piccoli proprietari terrieri), ad aderirvi contro la loro volontà. La collettivizzazione forzata delle terre innescò una gigantesca carestia che colpì varie parti dell’Unione Sovietica, dal Caucaso alla Siberia dal Kazakistan all’area del fiume Volga.
Gli Ucraini furono tuttavia quelli che ne soffrirono di più le conseguenze, poiché lo sterminio dei contadini s’intrecciò con la persecuzione dell’intellighenzia e la lotta al patriottismo di un intero popolo. Per l’URSS la fertile Ucraina, soprannominata non a caso il granaio d’Europa, era un Paese da sfruttare e per questo Stalin decise di spezzare la schiena ai kulaki, forti oppositori della collettivizzazione. E così, alla fine degli anni ’20, come gli altri coltivatori dell’Unione Sovietica, anche i contadini ucraini furono costretti ad aderire ai Kolchoz, le fattorie collettive di Statp, mentre le loro terre venivano confiscate. “La prima mortalità di massa fu causata direttamente dal fatto che le autorità sovietiche, indifferenti alle naturali variazioni di produzione, mantennero percentuali altissime di requisizioni (circa il 20%)” scrive lo storico francese Bernard Brunetau nel suo libro Il secolo dei genocidi (Il Mulino).


  Il congresso Canadese-Ucraino del 2005 riconobbe l'Holodomor come genocidio di oltre 7 milioni di persone


OPPOSIZIONE. “In Ucraina fu collettivizzato il 70% delle fattorie contro il 59% della Russia” scrive ancora Bruneteau. In molti si opposero alle requisizioni, si rifiutarono di cedere i raccolti, nascosero le derrate alimentari e uccisero il bestiame piuttosto che darlo ai kolchoz. Questo atteggiamento degli ucraini fu considerato dal Politburo sovietico un gravissimo atto di ribellione e, pur conoscendo la preoccupante carenza di cibo per gli abitanti delle campagne, agenti e attivisti locali del partito furono mandati a fare requisizioni e confiscare derrate nelle case e nelle fattorie. Inoltre, per evitare che i contadini si rifugiassero nelle città, queste vennero isolate. “La necessità di sfamarsi era considerata un crimine contro lo stato” spiega Brunetau. La situazione era difficile in tutta l’Urss, la popolazione era stremata e affamata, tuttavia Stalin rifiutò qualsiasi aiuto dall’esterno e accusò i contadini che stavano letteralmente morendo di fame di essere i colpevoli della loro stessa situazione. E come se non bastasse promulgò leggi draconiane che non fecero altro che aumentare la tensione, il terrore e il numero di vittime: chiunque fosse trovato a nascondere qualcosa da mangiare, anche solo delle bucce di patata, sarebbe stato fucilato.
Fu un massacro: in tutta l’Urss circa cinque milioni di persone – deliberatamente private dei mezzi di sostentamento – morirono di fame. Di questi, secondo le stime, quattro milioni erano ucraini. “Le epidemie si diffusero e si registrarono casi di cannibalismo, tutti fatti di cui il governo tenne un bilancio preciso. Quasi la metà delle vittime era costituita da bambini”, racconta ancora lo storico. Cifre che naturalmente a Mosca rimasero ben chiuse nei suoi archivi.



Articolo del Chicago American che racconta la tragedia ucraina. La stampa internazionale sposava spesso le tesi di Mosca, ma alcune notizie trapelarono lo stesso.

GIORNALISTI A CONFRONTO.
Dalle storie di due giornalisti che all’epoca si occuparono in modi diversi, della vicenda, si capisce perché il dramma dell’Holodomor è rimasto a lungo nell’oblio. Nel 1932 il giovane cronista gallese Gareth Jones iniziò a raccogliere le grida di disperazione dei contadini ucraini ridotti alla fame. Con un coraggioso lavoro di ricerca sul campo documentò – unico giornalista occidentale a farlo – la terribile carestia ucraina , individuandone le cause nelle politiche criminale del regime sovietico. Le sue corrispondenze, pubblicati su quotidiani inglesi e statunitensi, furono le prime denunce del dramma, trasformandosi presto in un atto d’accusa contro Stalin
.



SOSTENITORI. Il territorio ucraino era all’epoca interdetto agli osservatori internazionali e i giornalisti occidentali seguivano i fatti da Mosca, spesso sposando il punto di vista del regime. Uno di questi era il corrispondente del New York Times, Walter Duranty. Il giornalista nel 1931 vinse il premio Pulitzer per i suoi articoli celebrativi delle politiche economiche di Stalin. Duranty magnificò i piani quinquennali del dittatore, edulcorò la questione delle purghe, e negò lo sterminio dei kulaki. Accusò inoltre Jones di raccontare falsità solo per creare allarmismo. Così, il giornalista gallese, screditato e denigrato dai colleghi, fu espulso dall’Unione Sovietica. Nel 1935 rimane ucciso in circostanze oscure, con ogni probabilità da agenti dell’Nkvd, il ministero degli interni sovietico.

IL DISGELO. Mosca soffocò qualsiasi forma di dissenso e non riconobbe mai questo spaventoso crimine: manipolando i dati demografici riuscì a nascondere l’improvvisa scomparsa di milioni di esseri umani. L’insabbiamento delle responsabilità fu totale non solo all’epoca dei fatti ma anche in seguito. Dopo la morte di Stalin (1953), il suo successore Nikita Krusciov avviò alla destalinizzazione e denunciò i crimini del predecessore, soprattutto le epurazioni all’interno del partito, le purghe avvenute con processi farsa tra il 1936 e 1938. Tuttavia non fece mai parola del dramma ucraino – che fu il più grande sterminio della storia del XX secolo dopo l’Olocausto degli ebrei – poiché nonostante le aperture di Krusciov negli anni ’50 il partito andava ancora protetto per il bene dello Stato Sovietico.
Proprio in quei anni però una voce si alzo: fu lo scrittore russo di origini ucraine Vasilij Grosmann. Nel suo famoso romanzo dal titolo Tutto scorre, scritto tra il 1955 e il 1963, uno dei personaggi, Anna Sergeevna, racconta i terribili anni della collettivizzazione, della carestia e dello sterminio dei kulaki in Ucraina. Il libro, come è facile immaginare, ebbe una vicenda editoriale complessa. Negli anni ’60 agenti del kgb sequestrarono il manoscritto, ma l’autore lo riscrisse. La copia, ritrovata dopo la sua morte (1964), fu poi pubblicata nel 1970, a Francoforte. Mentre in Russia il romanzo apparve solo nel 1989, all’epoca di Gorbaciov in piena glasnost, la politica della trasparenza. Qualche anno prima, nel 1986, in Inghilterra e negli Stati Uniti, era uscito il saggio Harvest of Sorrow dello storico inglese Robert Conquest, nel quale per la prima volta l’Holodomor veniva documentato e descritto nei particolari. Secondo Conquest la carestia non fu provocata dalla collettivizzazione delle terre ma dalla confisca del cibo, dalle liste di proscrizione imposte a fattore e villaggi e dai blocchi stradali che impedivano gli spostamenti della popolazione. Lo sterminio di milioni di kulaki, per lo storico inglese, fu insomma un atto deliberato di genocidio.

                                                       

Capo indiscusso Stalin segretario del partito comunista sovietico.


CONTRO L’UMANITA’. La verità su quanto accade in quegli anni, tuttavia iniziò a diffondersi su vasta scala soltanto dopo la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina (1991) e l’apertura degli archivi sovietici. Nel 2003 le Nazioni Unite hanno stabilito che l’Holodomor è stato “il risultato di politiche e azioni crudeli che provocarono la morte di milioni di persone”. Cinque anni dopo, nel 2008, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale lo sterminio ucraino viene classificato come crimine contro l’umanità. Tuttavia non è mai stato riconosciuto come genocidio, per non irritare la Russia. Dal punto di vista storiografico il dibattito è tutt’ora aperto e gli studiosi si dividono ancora oggi sulle cause scatenanti di quella tremenda carestia: fu la conseguenza dei piani quinquennali di Stalin che ridussero alla fame i cittadini? O fu creata ad arte da Mosca per decapitare il nazionalismo ucraino?è poi corretto definirla un atto di genocidio, con le inevitabili implicazioni politiche che ne deriverebbero? Il primo a ritenerlo tale, molti anni prima di Conquest, era stato il giurista polacco Raphael Lemkin, che nel 1944 coniò il termine genocidio e che in seguito si è battuto per inserirlo nel diritto internazionale. Ne è anche convito lo storico Ettore Cinnella, autore del recente saggio Ucraina: il genocidio dimenticato 1932-1933 (Della Porta editore), che non ha dubbi: “Fu sicuramente un genocidio sociale, ovvero un tentativo di sterminare buona parte del mondo contadino sovietico, quindi non solo ucraini ma anche russi. Tuttavia Stalin cercò anche di distruggere il carattere nazionale del popolo ucraino attraverso le persecuzioni antireligiose, la sconsacrazione e la distruzione delle chiese. Sia il mondo contadino ucraino, sia l’intellinghenzia del Paese furono colpiti per cercare di cancellare la loro memoria storica, a cominciare dai maestri di scuola e dalla Chiesa, che era allora indipendente da Mosca. Mettendo insieme tutti questi tasselli, considerando che ci fu la volontà deliberata di ridimensionare e reprimere quel popolo, ritengo sia lecito parlare di genocidio”.

Dalla realtà alla fiction.

La tragedia ucraina è stata raccontata per la prima volta sul grande schermo lo scorso anno con il film Bitter Harvest, del regista canadese di origine ucraina, George Mendeluk. La storia ruota attorno all’amore tra due giovani, l’artista Yuri e Natalka, le cui vite finiscono travolte dalla collettivizzazione delle terre che priva i contadini di ogni mezzo di sostentamento, mentre le truppe bolsceviche reprimono qualsiasi tentativo di ribellione.
FIABA E TRAGEDIA. Il film descrive con una scenografia suggestiva una Ucraina quasi fiabesca, che fa da contraltare alla tragedia che si abbatté sulla regione. Il governo ucraino non ha avuto alcun ruolo nella realizzazione della pellicola di Mendeluk, costata 21 milioni di dollari e finanziata da Ian Ihnatowycz, magnate canadese anch’esso di origine ucraina, interessato a far conoscere l’Holodomor al mondo occidentale attraverso questo film. 

NON RICONOSCIUTO. Esiste tuttavia un problema di carattere giuridico che impedisce l’inclusione della tragedia ucraina dell’Holodomor nella lista dei genocidi ufficialmente riconosciuti dalla comunità internazionale. È quanto spiega la studiosa statunitense Anne Applebaum, già vincitrice del premio Pulitzer e autrice del recente saggio Red Faminie: Stalin’s War on Ukraine: “Ciò che accadde in Ucraina tra il 1932 e il 1933 coincide perfettamente con la definizione di genocidio di Raphael Lemkin, ma non può rientrare nella formulazione redatta nel 1948 con la Convenzione sul genocidio. L’Unione Sovietica contribuì alla stesura di quel documento in modo decisivo proprio al fine di escludere l’Olocausto ucraino”. Finché il diritto internazionale non sarà aggiornato, l’Holodomor continuerà a essere formalmente escluso dall’elenco dei genocidi.

                                                                     

Mappa dei paesi che hanno riconosciuto Holodomor come genocidio.

Articolo in gran parte di Riccardo Michelucci, pubblicato su Focus storia n.139 immagini da wikipedia

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