PONZIO PILATO
Il governatore romano della Giudea che condannò Gesù
era un uomo inflessibile,che in varie occasioni si scontrò con gli ebrei di
Gerusalemme in nome di Roma, anche se l’imperatore Tiberio non approvava i suoi
metodi sbrigativi
Ecce
Homo (Ecco
l'uomo), il dipinto raffigura Ponzio Pilato mentre presenta Gesù nella corte Pretoria
di Gerusalemme.:
il prefetto si rivolge al popolo mostra alla folla Gesù avvolto in un mantello
di porpora e con una corona di spine in testa (allusione al suo titolo di re
dei giudei) e dichiara di non ritenerlo colpevole di alcun reato.
Galleria di arte moderna di Firenze
L’imperatore Tiberio era molto preoccupato per Nome originale | "Quintus Pontius Pilatus" |
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Predecessore | Valerio Grato |
Successore | Marcello |
Consorte | Claudia Procula |
Procurator Augusti | dal 26 d.C. al 36 d.C. |
Imperatore Tiberio.
Gesù fu condannato a morte durante il suo regno che si protrasse da 14 al 37 d.C. (Museo Archeologico di Venezia)
DIECI ANNI DI ODIO. Il governo di
Pilato durò a lungo dal 26 al 36 d.C. Durante l’impero romano il mandato di
prefetto normalmente durava tre anni ma Tiberio aveva un diverso punto di vista
il merito alle cariche amministrative. L’imperatore riteneva che tutti gli alti
magistrati dell’amministrazione romana fossero mossi dall’avidità: quando s’insediavano
in una nuova destinazione, la prima cosa che facevano era di arricchirsi il più
rapidamente possibile, rubando a piene mani. Ma se avessero dovuto trascorrere
molto tempo nella stessa provincia, a un certo punto si sarebbero saziati e lo
spoglio delle ricchezze sarebbe avvenuto più lentamente, causando meno danni ai
territori governati. All’imperatore
piaceva portare questo esempio: un uomo giace a terra con una ferita ricoperta
di mosche; passa un viandante porta pena per il moribondo e si avvicina per
scacciare gli insetti. Ma il ferito chiede di non farlo e risponde così al
viandante che ne domanda la ragione: se le cacci la mia situazione, peggiorerà.
Queste mosche sono ormai sazie del mio sangue, al punto che quasi non le
avverto ma, quando se ne andranno, arriveranno altri insetti più affamati e mi
succhieranno via anche gli umori interni”.
ricostruzione del tempio di Gerusalemme
26 d.C.
L’imperatore Tito invia Ponzio
Pilato in Giudea in qualità di prefetto (governatore).
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28-29 d.C.
Gesù inizia a predicare
l’avvento del regno di Dio. I suoi seguaci lo considerano il Messia.
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30-33 d.C.
Gesù entra a Gerusalemme ed è
acclamato Messia. Ponzio Pilato lo condanna alla crocifissione.
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36 d.C.
Pilato, è deposto dall’incarico
di governatore. Forse morirà in esilio nella Gallia Viennese.
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II-V sec.
Compaiono alcuni testi apocrifi,
dove Pilato è presentato come un personaggio cristiano.
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PILATO, IL PROVOCATORE. Pilato era
un amministratore competente, ma duro. Uno dei suoi primi atti fu un’aperta
provocazione verso gli abitanti di Gerusalemme. Sapeva che la legge ebraica
proibiva le rappresentazioni umane, e in particolare quelle dell’imperatore
romano, che si proclamava dio e offendeva in questo modo Yahweh. Tuttavia,
Pilato pensava che la tolleranza verso gli ebrei fosse una dimostrazione di
debolezza, così ordinò ai suoi soldati di portare in città le insegne con
l’effige dell’imperatore. L’operazione si svolse di notte, per mettere gli
ebrei di fronte al fatto compiuto. Al mattino seguente, vedendo gli stendardi
appesi alle mura della residenza del prefetto (l’ex palazzo di Erode), la
popolazione insorse. Ma Pilato, sprezzante, se n’era già andato a Cesarea, la
capitale amministrativa della provincia. Gli ebrei non si diedero per vinti e
in molti percorsero i 120
chilometri fino a Cesarea per esprimere la propria
indignazione davanti a Pilato. Esigevano il rispetto delle proprie tradizioni e
chiedevano che gli stendardi e le immagini imperiali fossero trasferiti al di
fuori della città santa. Pilato, impassibile, li ignorò ma, al secondo giorno
di proteste, le fece radunare nello stadio. Contemporaneamente ordinò a una
coorte (unità di circa cinquecento uomini) di nascondersi nei meandri
dell’edificio. Tra le grida furiose della folla, il prefetto dichiarò che le
insegne sarebbero rimaste al loro posto, perché simbolo del potere imperiale.
Poi, quando ne ebbe abbastanza, ordinò ai soldati di schierarsi con le spade
sguainate nell’arena e sugli spalti e di circondare gli ebrei. Ma questi non si
lasciarono intimidire. Si gettarono a terra scoprendosi il collo, come se
invitassero i soldati a ucciderli, e intanto gridavano: “preferiamo morire piuttosto che vedere le nostre leggi violate con
tanta insolenza”. Pilato fu costretto a cedere. Fu la sua prima sconfitta.
Ma non imparò la lezione. Lo stesso Filone riferisce che per ripicca il
prefetto fece appendere, ancora una volta alle mura del palazzo di Erode, degli
scudi dorati “che non avevano alcuna
raffigurazione né altro simbolo proibito”, ma la cui iscrizione
rappresentava di sé un’offesa: “Pilato
dedica questi scudi a Tiberio”, si leggeva. Gli ebrei insorsero nuovamente,
sostenendo che quegli scudi erano inutili e offensivi, e chiedendo a gran voce
che si rispettassero “le tradizioni dei
padri che per secoli erano state osservate da re e imperatori”. Il prefetto
li ignorò di nuovo e questa volta gli abitanti di Gerusalemme si rivolsero
direttamente a Tiberio, che alla fine ordinò che gli scudi fossero rimossi e
trasferiti a Cesarea. Un’altra sconfitta per il prefetto. Alla successiva
occasione di scontro fu però Pilato a prevalere. Gerusalemme era afflitta da
una siccità cronica: né la trentina di cisterne della città né la fonte principale,
la piscina di Siloe, bastavano a fornire le migliaia di pellegrini che si
recavano in città durante le feste. Per risolvere quest’annoso problema, Pilato
decise di far costruire un acquedotto che partiva da una sorgente nei pressi di
Betlemme, a una decina di chilometri dalla capitale. Per finanziare i lavori
confiscò una parte del tesoro del tempio, che per gli ebrei era intoccabile.
Quando la cosa si venne a sapere, migliaia di cittadini andarono a protestare
davanti al pretorio, residenza abituale dei governatori romani.: costruire
l’acquedotto era giusto, ma non con i soldi del tempio. poiché le proteste non
accennavano a placarsi, Pilato ordinò ad alcuni membri della sua guardia di
travestirsi e mescolarsi ai rivoltosi con bastoni e pugnali nascosti sotto le
vesti. All’ordine dell’ufficiale di comando i soldati si scagliarono contro la
folla uccidendo almeno un centinaio di persone. La protesta si concluse e
Pilato poté costruire l’acquedotto. Ma l’odio contro di lui non fece che
aumentare.
Moneta di Pilato. I
governatori romani battevano moneta in nome dell’imperatore. Su questa emessa
nell’anno 17 del regno di Tiberio,
appare il lituo il bastone rituale degli auguri romani.
IL GIUDICE DI CRISTO. E’ difficile credere che una
persona del genere possa essersi comportata come riferiscono i Vangeli. Le
autorità ebraiche avevano deciso di rivolgersi a Pilato per sbarazzarsi di
Gesù. Erano infatti preoccupate del suo ingresso trionfale a Gerusalemme e del
suo tentativo di espellere i mercanti e i cambiavalute dal tempio – un fatto
che aveva suscitato molto scalpore e ostacolato il normale funzionamento del
santuario. Avrebbero potuto semplicemente pagare qualche sicario e una folla di
manifestanti perché lo lapidassero con l’accusa di blasfemia, ma i capi
religiosi della comunità ebraica avevano paura del popolo. Era meglio condurlo
dinanzi al prefetto, che era l’unico ad avere il potere di imporre la pena
capitale e, a quanto ne sapevano le autorità ebraiche, vedeva con
preoccupazione gli insegnamenti di Gesù. Secondo il Vangelo di Luca, l’accusa
era di aver sobillato le folle, essersi opposto al pagamento dei tributi dovuti
all’imperatore e aver affermato di essere il “Messia
Descrizione
La miniatura, realizzata a piena pagina,illustra, nella metà superiore, la scena dell'inizio del processo: Gesù Cristo è a sinistra in piedi, mentre Pilato è seduto al centro sedia ; alle sue spalle due giovani reggono dei bastoni d'oro con placche rettangolari raffiguranti dei ritratti. Cristo fissa il sacerdote Caifa, mentre il sacerdote Anna, che compare con capelli e barba nera, formula le accuse. Dalla parte opposta si trovano cinque uomini immobili che guardano Cristo.
Sotto la scena del processo è riprodotto il pentimento di Giuda. La scena di sinistra è focalizzata sull’ atto di restituire i trenta denari ai sacerdoti e sul loro rifiuto. A destra il corpo di Giuda appeso ad un albero conclude l’episodio. Descrizione
Nella metà superiore della pagina illustrata, Pilato viene raffigurato al centro, seduto nello stesso tribunale presente nella miniatura del processo a Cristo. Ai lati del tribunale una folla di uomini gesticolano, mentre a destra una figura in uniforme è occupata a scrivere su una tavoletta di cera.
Nella metà inferiore della pagina, a sinistra, Cristo è fiancheggiato da due ufficiali, a destra Barabba si accompagna a due carcerieri. Il carceriere, vestito di rosso, tiene una fune attorno al collo di Barabba e guarda Pilato, mostrando di attendere una sua decisione.
Nella metà inferiore della pagina, a sinistra, Cristo è fiancheggiato da due ufficiali, a destra Barabba si accompagna a due carcerieri. Il carceriere, vestito di rosso, tiene una fune attorno al collo di Barabba e guarda Pilato, mostrando di attendere una sua decisione.
Processo di Cristo davanti a Pilato
Le due miniature sono
stratte dal Codex Purpureus Rossanensis VI secolo d.C.
Museo diocesano e del
codex Rossano
http://www.artesacrarossano.it/codex.php
GESU’ O BARABBA?
«Liberate
Barabba» in una stampa britannica.
Barabba è conosciuto solo grazie ai Vangeli e
agli Atti degli Apostoli. Il suo nome viene da un vocabolo aramaico e può
significare (aramaico בר-אבא, Bar-abbâ, letteralmente
"figlio del padre") o Gesù
Barabba (Yeshua Bar-abbâ, letteralmente "Yeshua,
figlio del padre". Poiché questa soluzione non ha molto senso, si è
pensato a ipotesi alternative. Attorno al 250 l’autore cristiano Origene
propose Bar-rabbà “figlio del maestro” o Bar rabbàn “figlio del nostro
maestro”. Barabba sarebbe allora il figlio di un rabbino. Potrebbe essere anche
un patronimico vero e proprio: Bar-Abbas,
"figlio di Abbas", dato che Abba era un raro nome ebraico (un certo
Abbas fu sacerdote all'epoca di Antigono II Asmoneo e si occupò dell'ossario del re
di Giuda, alcuni anni
dopo il 37 a .C.;
potrebbe essere stato anche un parente stretto del Barabba biblico, se non suo
padre, dato che non si conosce l'età di Barabba nel 30 d.C.).[15][16]
Secondo il Vangelo di Marco, composto
all’incirca tra il 71 e il 75, era stato incarcerato con i
sediziosi che avevano commesso un omicidio durante una rivolta. Se ne deduce
che la rivolta ebbe grande risonanza e aperte motivazioni antiromane. È vero
che il popolo ammirasse Barabba. Ma non è plausibile che un uomo inflessibile
come Pilato mettesse a repentaglio la sicurezza dell’impero romano per
rispettare la consuetudine, in occasione della Pasqua di liberare un
prigioniero scelto dal popolo. Ciò avrebbe implicato dare carta bianca a quelli
che i romani consideravano “terroristi “ e che invece fossero per gli ebrei
degli “eroi nazionali”. Quindi anche se è possibile che Barabba sia esistito
realmente, e che alcune circostanze siano vere, non è credibile che il prefetto
possa aver offerto la libertà a uno dei prigionieri politici e condannati gli
altri tre alla crocifissione come monito al popolo.
Letteratura
·
Michel de Ghelderode,
dramma (1928)
·
Emery
Bekessy, Barabba, romanzo (1946)
·
Pär Lagerkvist, Barabba, romanzo (1950)
·
da cui è stato tratto il film Barabba (1961)
di Richard Fleischer
·
Antonio Conti, Barabba, dramma (1959)
Cinema[modifica | modifica
wikitesto]
·
Il film più celebre su tale argomento è Barabba (1961)
di Richard Fleischer, con Anthony Quinn.
Seguono altri film minori, e vari serial
televisivi. Tutti sono molto romanzati se non completamente inventati, giacché
della biografia di Barabba, a parte la citazione nei Vangeli, non si conosce
nulla.
I Vangeli sostengono che Pilato
fece il possibile per salvare Gesù perché lo riteneva innocente: una
circostanza inverosimile, se si considera il carattere del prefetto. Inoltre la
sua reazione è descritta tramite una serie di immagini poco realistiche, come
la famosa scena in cui si lava le mani prima di condannare Cristo – un gesto
che non rientrava nella tradizione romana -, a indicare che la colpa della sua
morte sarebbe ricaduta sugli ebrei che avrebbero voluto la sua crocifissione.
D’altra parte la proclamazione dell’innocenza di Gesù da parte del prefetto
(che non lo riteneva colpevole di nessun delitto) può essere interpretata come
un tentativo dei cristiani di esonerare i romani dalla responsabilità della
morte del Salvatore. Il cristianesimo, infatti, si stava diffondendo
nell’impero e non aveva interesse a entrare in conflitto con le autorità
romane, ma allo stesso tempo voleva prendere le distanze dall’ebraismo con cui
rischiava di essere confuso. Per questo gli evangelisti cercarono di addossare
la colpa al popolo ebraico e il particolare ai suoi capi. In realtà gli
studiosi hanno pochi dubbi del fatto che fu Pilato a ordinare l’arresto di Gesù
e a processarlo sbrigativamente tramite un cognitio
extra ordinem: un giudizio legale abbreviato che prevedeva la presentazione
delle accuse, un’eventuale replica dell’imputato e la sentenza immediata.
Secondo la legge romana, Gesù fu
condannato subito a morte. In questo modo Pilato assolse il suo compito di
salvaguardare l’ordine pubblico e preservare l’autorità dell’imperatore
Tiberio. La crocifissione fu collettiva ed esemplare: Gesù non fu giustiziato
da solo ma insieme con altri due rivoltosi antiromani, che secondo alcuni erano
suoi seguaci. Pilato, comunque, doveva ritenere Gesù meno pericoloso di altri
ribelli, visto che alla fine fece eliminare solo lui, e al limite, un paio dei
suoi sostenitori e non perseguitò il resto dei fedeli. Il mandato di Pilato in
Giudea si concluse in linea con quest’atteggiamento sprezzante e conflittuale,
con la crudele repressione di una manifestazione religiosa di samaritani, da
lui interpretata come una rivolta armata. In Samaria circolava una leggenda
secondo la quale gli oggetti sacri di Mosé erano sepolti da secoli sul monte
sacro di Garizim. Un profeta proclamò di aver ricevuto una rivelazione divina:
le coppe stavano per tornare alla luce e il santuario samaritano sul Garizim
sarebbe così diventato il più importante di Israele , scavalcando il tempio di
Gerusalemme. I seguaci del profeta, alcuni dei quali armati, organizzarono una
processione per raggiungere la vetta. Pilato fece schierare ai piedi del monte due
coorti di fanteria e uno squadrone di cavalleria, che attaccarono brutalmente i
pellegrini e ne fecero una strage. Inoltre Pilato fece giustiziare i presunti
capi della rivolta sopravvissuti al massacro.
Crocifissione questa
pena era applicata a chi si ribellava contro Roma. L’olio di David Teniers il
Vecchio mostra Gesù tra i due ladroni . Louvre Parigi.
L’IMPERATORE
E GLI EBREI.
Come Giulio Cesare e Augusto prima di lui, Tiberio comprese e temette
le peculiarità religiose e sociali degli ebrei. Li esentò dal servizio
militare obbligatorio, ne rispettò le festività e le usanze, gli restituì il
controllo sui paramenti sacri del sommo sacerdote che fino all’anno 36 erano
stati custoditi nella torre Antonia (la grande fortezza romana di
Gerusalemme) invece che nel tempio. Inoltre, accolse le lamentele dei
samaritani e giudei contro i governatori romani – per esempio rimproverò a Pilato
la sua politica repressiva e finì per destituirlo. Tiberio concesse ai sommi
sacerdoti – e al loro consiglio di governo, il Gran Sinedrio di Gerusalemme –
sufficiente libertà di gestione degli affari interni della comunità ebraica.
Tuttavia i governatori ne controllavano le nomine e potevano, in alcuni casi,
deporli.
|
PILATO, UN
SANTO CRISTIANO.
L’atteggiamento favorevole ai Romani dei Vangeli canonici, che
presentano Pilato come difensore dell’innocenza di Gesù portò a un’esaltazione
della sua figura nei Vangeli apocrifi, che contengono la presunta
corrispondenza del prefetto con Tiberio, Erode Antipa e l’imperatore Claudio.
Queste tradizioni sorsero tra il II e il V secolo, e furono successivamente
rielaborate fino a cristallizzarsi nei testi giunti fino a oggi, apparsi
attorno al X secolo. Il più curioso è
|
SUICIDIO NELLA GALLIA. L’indignazione
dei samaritani, e degli stessi giudei, di fronte a questo episodio fu di tale
portata che si decise di inviare al più presto una delegazione a Roma. I
partecipanti riuscirono a farsi ricevere da Tiberio, che ordinò la destituzione
del prefetto. Il legato della Siria Lucio Vitiello il Vecchio s’incaricò di
eseguire la sentenza. Pilato dovette rientrare a Roma, ma al suo arrivo Tiberio
era morto. Il suo successore, Caligola, mandò il prefetto in esilio nella Gallia
Viennese, dove si sarebbe suicidato più tardi. In seguito comparvero degli
scritti apocrifi che avevano il prefetto come protagonista, ad esempio gli Atti di Pilato (o Vangelo di Nicodemo), varie
paradoseis o “tradizioni” fantasiose, e alcune lettere a Tiberio ed Erode a lui
attribuite anch’esse false. La
Chiesa etiope ritiene che Pilato si convertisse al
cristianesimo e morì da martire e ne celebra la ricorrenza il 25 giugno.
L’UOMO
CHE TEMEVA GESU’
Secondo
la tradizione cristiana, Pilato non è responsabile della morte di Gesù.
Questo emerge sia dai Vangeli canonici sia da quelli apocrifi, come gli Atti di Pilato (detti anche Vangelo di
Nicodemo), di cui sono qui presentate alcune righe. Composti nel II
secolo, mostrano un Pilato timorato di Gesù e che tenta di opporsi alla sua
condanna
Pilato convoca Gesù al
suo cospetto.
Gli ebrei denunciano
Gesù per aver guarito persone di sabato (giorno di riposo obbligatorio),
Pilato chiede: “Come posso io, che sono
un governatore, giudicare un re?” e quindi ordina che sia condotto qui Gesù, ma con gentilezza”. Gli ebrei
ribattono: “Non siamo noi a dire che è
re, è lui che si definisce così”.
Il timore di Pilato e di
sua moglie.
“Quando Pilato lo vide, ebbe paura e fece per alzarsi dal suo
scranno”. Allora sua moglie (di cui Pilato dice
che è timorata di Dio e segue le usanze ebraiche) gli mandò un messaggio: “Non immischiarti nelle faccende di
quest’uomo giusto, per questa notte ho moto sofferto a causa sua”, in
altre parole ha sognato la morte di Gesù
Pilato proclama
l’innocenza di Gesù.
Gli ebrei insistono a
voler mettere a morte Gesù perché ha guarito di sabato. Allora Pilato, pieno
d’ira uscì dal pretorio e disse: “Chiamo
il sole a testimonio! In quest’uomo non ho travato alcuna colpa”. Pilato,
insomma, non vuole condannarlo e dice agli ebrei; “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”.
Nicodemo intercede
presso Pilato.
Un ebreo di nome
Nicodemo si rivolte a Pilato: “ti
prego, uomo timorato di Dio, permettimi di dire qualche parola” e parla
in difesa di Gesù. Gli ebrei erano incolleriti e digrignavano i denti contro
Nicodemo. “Perché siete furibondi e
digrignate i denti contro di lui?”, domandò Pilato, “perché avete udito la verità?”.
Il prefetto si lava le
mani.
Prima di condannare
Gesù, Pilato adirato dice agli ebrei: “Siete
sempre stati un popolo sedizioso e vi siete sempre opposti ai vostri
benefattori”. Prima di emettere la sentenza, il prefetto prese
dell’acqua, si lavò le mani di fronte al sole e disse: “Sono innocente del sangeu di quest’uomo giusto. Vedetevela voi”,
|
Articolo in gran parte di Antonio
Pinero autore di LA VITA DI
GESU’ SECONDO I VANGELI APOCRIFI pubblicato
su Storica National Geografic del mese di aprile 2018 immagini e altri testi scaricate da wikipedia
Il processo più famoso della
storia è ancora pieno di misteri. Di sicuro c’è che Gesù fu vittima di un
braccio di ferro giudiziario tra il potere romano e le alte gerarchie religiose
di Gerusalemme.
Fu il processo più famoso di
tutti i tempi, che cambiò il corso della Storia. Eppure durò solo poche ore, e
il suo svolgimento è fitto di enigmi e misteri. L’imputato? Gesù di Nazareth,
fondatore di una religione che conta ancora oggi più di due miliardi di fedeli
nel mondo. Ecco come andò il suo caso giudiziario.
NOTTE FATALE. Siamo a Gerusalemme,
durante la vigilia della Pesach (la
Pasqua ebraica). Più precisamente il 14 del mese di Nisan,
che cade tra marzo e aprile. Sull’anno (il 33 d.C. nella nostra tradizione, il
3793 per gli ebrei) si discute
ancora. Scesa la sera, in una casa poco fuori le mura Gesù sta cenando con i
suoi dodici apostoli. Dopo il pasto, il gruppo raggiunge l’uliveto di
Getesemani per la notte, ma all’improvviso la luce di alcune torce squarcia il
buio e una piccola folla di soldati arresta il Nazareno, identificato grazie
all’aiuto di Giuda Iscariota, uno degli apostoli. I seguaci si dileguano nelle
tenebre, mentre Gesù è scortato nel palazzo del sommo sacerdote Caifa., per
essere interrogato dal Sinedrio. Ma perché è stato arrestato? Per scoprirlo
bisogna fare un passo indietro, e indagare i rapporti tra le autorità ebraiche
e i nuovi padroni della Palestina: i Romani.
PROVINCIA TURBOLENTA. Fino al 4 a .c., il Regno di Giuda (che
includeva l’attuale Israele) era governato da re Erode il Grande, vassallo di
Roma. Alla sua morte il territorio si smembrò in varie parti, finite tutte,
direttamente o indirettamente, sotto il controllo dell’Urbe. La regione della
Giudea, dove sorgeva Gerusalemme, era retta da un prefetto che risiedeva nella
città di Cesarea. La Galilea ,
nel cui territorio si trovava Nazareth, era controllata da Erode Antipa (uno
dei figli di Erode il Grande), anch’egli vassallo dei Romani. “Quello della Giudea era un territorio
piccolo ma attraversato da continui fremiti insurrezionali, dove la presenza
romana era lungi dall’essere accettata”, spiega Aldo Schiavone storico e
autore di Ponzio Pilato (Einaudi). I nuovi arrivati ridimensionarono le
competenze del Sinedrio, il massimo organo politico e religioso ebraico,
un’assemblea di 71 esponenti delle principali
correnti religiose (farisei e sadducei), presieduta da un sommo sacerdote. “Questi era scelto dal governatore romano, e
ciò lo metteva in una posizione particolare, in quanto rappresentante supremo
dell’identità giudaica e, allo stesso tempo, fiduciario della potenza
occupante”, precisa l’esperto. Al Sinedrio spettava la giurisdizione in
materia religiosa, il prefetto romano (l’unico che poteva condannare a morte)
reprimeva i reati contro l’ordine pubblico.
PERSONAGGIO SCOMODO. È in tale contesto che Gesù svolge la sua
predicazione, riscuotendo una fama crescente e mettendo in crisi il formalismo
della religione praticata dai farisei e dai sadducei. Per giunta, i suoi
seguaci affermavano che era figlio di Dio, una bestemmia inconcepibile per gli
ebrei. Quattro giorni prima dell’arresto, la domenica che inaugurava la
settimana pasquale, era entrato a Gerusalemme accolto da una folla festante e
aveva compiuto un’azione clamorosa, inveendo contro i mercanti che operavano
nel Tempio e rovesciando i banchi del cambiavalute. Un atto purificatore, ma
allo stesso tempo una minaccia agli interessi della casta dei sacerdoti. In
quei giorni di festa, la città santa si riempiva di pellegrini e il prefetto
romano si trasferiva a Gerusalemme per monitorare eventuali disordini. “Nelle settimane precedenti c’era stata una
riunione del Sinedrio, riportata in tutti i Vangeli, per decidere cosa fare a
Gesù, e in quell’occasione Caifa stesso avrebbe pronunciato una frase rivelatrice:
‘Conviene che uno solo muoia per la salvezza di tutto il popolo”, ricorda
Schiavone.
Ma
torniamo alla notte dell’arresto. Incalzato con domande sulla sua predicazione,
Gesù risponde con estrema calma. Non si tratta peraltro di una seduta legale
del Sinedrio, perché le norme ebraiche vietano che l’assemblea si riunisca di
notte, per di più in una residenza privata. Alla fine, gli accusatori fanno
ripetere a Gesù di essere il “figlio di Dio” e così salta fuori il capo
d’imputazione: la bestemmia. Un delitto per cui è prevista la condanna a morte,
che il Sinedrio non può eseguire. A comminare la pena devono essere i Romani,
che però giudicavano solo chi si fosse macchiato di reati politici. E qui entra
in scena il prefetto Ponzio Pilato.
VICOLO CIECO. Quando Gesù è condotto davanti a Pilato, è giorno e
ha già subito dileggi e percosse. “Come
per la riunione della notte, anche quello diurno non fu un processo nel senso
moderno, ossia con il rispetto delle rigide procedure formali. Gesù non era,
tra l’altro un cittadino romano, e così per condannarlo basta che Pilato ne
accertasse velocemente la colpevolezza in forza dei suoi poteri”, chiarisce
Schiavone. L’accusa naturale era quella di “lesa maestà” per essersi lasciato
acclamare come Messia, che per gli ebrei equivaleva a “re dei Giudei” ,
mettendo in discussione l’autorità imperiale. La vicenda si potrebbe chiudere
in un batter d’occhio ma Pilato esita. Interroga Gesù e capisce che il castello
accusatorio è inconsistente. Non è il pericoloso sovversivo di cui gli hanno
parlato i sinedriti. “Probabilmente
affiorò in Pilato il sospetto di essere stato trascinato in una resa dei conti
fra fazioni giudaiche, da cui l’autorità romana avrebbe fatto bene a tenersi
fuori. A quel punto avrebbe potuto liberare il prigioniero, ma decise di non
farlo per non deteriorare i rapporti con Caifa”. Per uscire dal vicolo
cieco e convincere il Sinedrio a fare un passo indietro, secondo i Vangeli, il
prefetto tenta soluzioni di compromesso. Appigliandosi a una tradizione pasquale
ebraica, propone di scegliere se salvare Gesù o un altro detenuto, Barabba,
appartenente al gruppo degli zeloti, ostili all’aristocrazia sadducea e
promotori dell’indipendenza dai Romani. Ma gli interpellati scelgono di
risparmiare lo zelota (come già detto sopra, questo episodio è dubbio, in
quanto dell’esistenza di Barabba ne parlano solo i Vangeli ed è molto
discutibile il fatto che il prefetto abbia preferito liberare un pericoloso
patriota per gli ebrei o un rivoltoso per i romani). Pilato, fa comunque
flagellare il prigioniero sperando di soddisfare gli accusatori, ma alla fine
cede. È ormai pieno giorno, e l’epilogo è noto: Gesù è condannato alla
crocifissione, pena riservata ai traditori dello Stato e a chi commetteva reati
particolarmente infamanti.
CONDANNA NECESSARIA. Ma perché Pilato si arrese? Alcuni pensano che abbia
ceduto di fronte alla minaccia, rivoltagli dal Sinedrio, di future lamentele da
riportare a Tiberio stesso, sintetizzate da una frase dei Vangeli: “Se rilasci costui non sei amico diCesare”.
Ma cìè chi ha sostenuto una tesi diversa. “Forse
colpito dal magnetismo di Gesù, Pilato si sarebbe reso conto che questi non
faceva nulla per salvarsi,decidendo alla fine di assecondarlo. Gesù non cercò
mai di sottrarsi alla condanna, perché pensava che il suo sacrificio fosse
l’unico esito coerente con il messaggio della propria predicazione”,
sostiene Schiavone.
Senza
la pena capitale, la portata innovativa
del suo messaggio sarebbe sfumata e la
fede cristiana non avrebbe avuto nessun morto risorto. La Storia gli diede ragione:
se quel processo non fosse andato così, non sarebbe mai nata una nuova,
rivoluzionaria religione.
Fonti
di parte
La fonte principale sul processo a Gesù
sono i Vangeli, anche se un cenno si trova negli Annales di Tacito (quando si
parla delle persecuzioni di Nerone conro i cristiani) e in un passo
(probabilmente aggiunto nel Medioevo) delle Antichità giudaiche di Flavio
Giuseppe. Ma i Vangeli riportano diverse varianti e per molti stori la più
attendibile è quella di Giovanni.
Articolo in gran parte di Massimo Manzo pubblicato su Focus Storia n. 140. Altri testi e immagini da Wikipedia.
Pilato doveva stare molto attento a non irritare di nuovo Tiberio, dopo le brutte figure che aveva già fatto.Dovette acconsentire alla prepotenza del Sinedrio perché venne minacciato che sarebbero andati a denunciarlo da Tiberio se avesse lasciato libero uno che si era dichiarato "Rex Judeorum". Il santone itinerante che era Gesù credeva di essere lui l'uomo scelto per impersonare la figura dell'atteso Messia. Si era fanaticamente convinto che il suo diopadre l'avrebbe salvato, magari all'ultimo momento. Si sbagliava e se ne rese conto quando disse "Dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato?" = Fine. Nella credenza messianica non era pensabile che il Messia fosse sconfitto. I suoi amici si radunarono di nascosto e pensarono di risolvere una sconfitta facendola diventare una cosa miracolosa in cui credere. Si inventarono la resurrezione di Gesù. Poi, saltò fuori quel pazzoide voltagabbana di Saulo/Paolo che, dopo un trauma cranico per una rovinosa caduta dovuta a insolazione, si inventa una nuova setta religiosa in cui sono accettati anche i non ebrei, l'avvento del Regno è rimandato in un futuro indefinito e non sarà più una monarchia terrena, ma sarà "sopra le nuvole", il messia non salverà più il suo popolo dai nemici, ma salverà tutta l'umanità dal...peccato, infine, il messia non è più un uomo scelto dal dio, ma è un dio anch'esso. = Ecco che è già nata una nuova religione, che in ambiente imperiale si chiamerà cristiana.
RispondiEliminaOttimo articolo.
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