LUNGHE BARBE IN CITTA’
Pavia o Benevento? Monza o
Verona? I centri di potere dei Longobardi furono spesso in lotta tra loro.
Alboino (Pannonia, 530 circa – Verona, 28 giugno 572) è stato re dei Longobardi dal 560 circa e re d'Italia dal 568 al572, anno del suo assassinio.
Nel 568 guidò il suo popolo alla conquista dell'Italia, abbandonando la terra natia, la Pannonia. Riuscito nell'impresa che tutti i Germani avevano sognato (conquistare l'Italia), diviene un personaggio leggendario. Esistevano diversi canti epici longobardi sulle sue imprese; Paolo Diacono vi si ispira per numerosi episodi da lui narrati nella sua Historia Langobardorum[2]. La storia si confonde con la fantasia, a causa delle tradizionali gesta arricchite via via con il passare del tempo, e la sua figura sfocia pertanto nella leggenda.
“Quando re Alboino giunse al confine con
l’Italia con tutto l’esercito e con la moltitudine di popoli al seguito, salì
su monte (…) e da lì contemplò quella parte d’Italia fin dove lo sguardo poteva
spingersi”. Così il cronista Paolo Diacono descrive nell’Historia Longobardorum (789) l’arrivo in Italia dei
Longobardi, determinati a conquistare tutto ciò che lo sguardo del loro re
poteva osservare quel giorno. Doveva essere una giornata limpida perché quel
popolo germanico si sarebbe preso, alla fine, tutta la Penisola. Gli uomini “dalle lunghe barbe o Langharte in
germanico” erano arrivati, secondo la leggenda dalla Scandinavia: avevano
attraversato le terre germaniche ed erano giunti in Pannonia, regione che
andava dall’odierna Ungheria alla Croazia. Nello Stivale entrarono proprio da
qui,passano per il Friuli nel 569: in 150mila dilagarono nel Settentrione e si
insediarono anche nel Centro-Sud. I loro centri di potere si contesero per
decenni il ruolo di capitale del regnum
loamgobardorum. Quali erano e in che modo si fecero concorrenza?
Il cosiddetto
Tempietto longobardo, oggi oratorio di Santa Maria in Valle, si trova a Cividale
del Friuli, in provincia di Udine. Wikipedia
il tempietto longobardo, eretto verso la metà
dell'VIII secolo;
composto da un'aula a base quadrata e riccamente ornato da stucchi con motivi
geometrici e fitomorfi e con episodi evangelici, rappresenta una sintesi tra la
tradizione decorativa longobarda e reminiscenze classiche.
L’espansione dei Longobardi in Italia.
L’Italia fu divisa in due Longobardie
quella Major a nord, e quella Minor, con di ducati di Spoleto e Benevento,
sopravissuti fino all’XI secolo al sud. In mezzo il Ducato romano e l’Esarcato
controllato dai Bizantini.
ARCIPELAGO. “Quello dei
Longobardi era stato a lungo un popolo nomade, poco abituato a stanzialità e
quindi privo di centri di riferimento ‘fissi’, ecco perché nei due secoli di
storia del regnum si registrò la compresenza di più città di rilievo, dove il
re e i duchi esercitavano le loro funzioni”. Non a caso, il patrimonio
artistico longobardo fa parte dei beni protetti dall’Unesco come sito multiplo
(chiamato Longobardi in Italia: i luoghi
del potere): un arcipelago in cui si contano sette centri da nord a
sud: Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio, Spoleto, Campello sul
Clitunno, Benevento e Monte sant’Angelo. Lo stesso regno era diviso tra
Longobardia Major, comprendente i ducati del Nord e la Lombardia e la Longobardia Minnor ,
con i territori centro-meridionali, che godevano spesso di una larga autonomia.
Molti di questi possedimenti furono strappati ai Bizantini, e all’interno di
essi, almeno all’inizio, i Longobardi non cercarono alcuna integrazione con le
popolazioni italiche, le quali mantennero come città di riferimento Roma, sede
papale, e Ravenna, capitale dell’Esarcato d’Italia, territorio retto appunto
dall’impero Bizantino.
L'altare del duca Rachis è una delle più importanti opere scultoree della Rinascenza liutprandea ed è conservato nel Museo Cristiano di Cividale del Friuli. È datato tra il 737 e il 744, periodo in cui il longobardo Rachis fu duca del Friuli. Le dimensioni complessive sono 1,44 x 0,90 x 0,88 m. L'altare è stato portato nel 1947 nei pressi del Duomo dalla cividalese Chiesa di San Martino, dove è attestato stesse già nel 1568.
FATAL VERONA.
Il mosaico iniziò a formarsi all’indomani dell’ingresso di
Alboino, con l’istituzione del ducato del Friuli, forum Iulii per i Romani, che
aveva come centro di riferimento Cividale. “La
prima città a fregiarsi del ruolo ‘capitale’ ovvero ‘sede del re’, fu invece
Verona scelta per la posizione strategica a ridosso delle Alpi, utile a contenere
eventuali invasioni da nord”, riprende la storica.
A Verona Alboino fissò il suo
quartier generale nel palazzo che era
stato del re ostrogoto Teodorico il Grande (454-526), e proprio qui trovò la
morte nel 572, vittima di una
congiura ordita dalla moglie Rosmunda. La donna, narra Diacono, agì insieme al
nobile Elmichi, suo amante, vendicandosi perché durante una festa era stata
obbligata dal marito a bere in un coppa realizzata con il cranio del padre
Cunimondo, re delle tribù germanica dei Gepidi, in precedenza sconfitti da
Alboino.
Ritratto di Rosamunda
DA PAVIA …ALL’ANARCHIA. Uscito di scena Alboino, i nobili longobardi
elessero Clefi come suo sostituto e spostarono la capitale del regno a Pavia, la Ticinum romana, tolta ai
Bizantini dopo due anni di assedio e già importante centro sotto gli Ostrogoti.
I vari duchi e le rispettive farae, sorta di clan militari, mantennero persino
grandi autonomie, tanto che al decennio successivo alla morte di Clefi, ucciso
nel 574 dalla sua guardia
del corpo è noto come periodo dei duchi e dell’anarchia.
L’instabilità politica rese il territorio longobardo preda
dei Franchi e degli stessi imperatori d’Oriente, e così, bisognosi di una
guida, i duchi acclamarono nel 584 un nuovo re: Autari, figlio di Clefi, pronto
a rafforzare il regno. Prima mossa: farsi amica la potente tribù germanica dei
Bavaro con un matrimonio di interesse. Nel 589 impalmò Teodolinda, figlia del
duca di Baviera. L’unione fu però breve: Autari morì nel 590 e la regina si
risposò con Agilulfo, duca di Torino, da lei stessa indicato come nuovo
sovrano.
Immagine
di Teodolinda che divento regina dei Longobardi nel 589
DAMA DI FERRO. Teodolinda si
dimostrò intraprendente. Di fede cattolica, fu lei ad avviare il processo di
conversione dei Longobardi, molti dei quali avevano in precedenza abbracciato
l’arianesimo. Questo migliorò i rapporti con la Chiesa di Roma e con le
genti italiche e non solo. L’impero Bizantino riconobbe l’autorità del regnum
su un’area che includeva il Nord della penisola (escluse le coste venete e
liguri), la Tuscia
(l’odierna Viterbo), parte dell’Umbria e Marche e varie zone del sud. Agilulfo
e Teodolinda trasferirono la capitale a Milano, con la vicina Monza prediletta
come residenza estiva. Quest’ultima fu scelta in prima persona dalla regina,
che vi fece erigere un’importante basilica dedicata a San Giovanni Battista di
cui però non è rimasta traccia.
Ma perché proprio Milano? Non
solo perché era già stata residenza imperale nel IV secolo e tra le maggiori
città italiane: rispondeva all’esigenza di Agilulfo di presentarsi come rex totius italiae (re di tutta Italia) non
solo dei Longobardi. “Con la nuova coppia
di sovrani iniziò a delinearsi un nuovo concetto di capitale, che recuperava
l’antica idea di luogo e potere e rappresentanza riconoscibile da tutti”,
sottolinea Percivaldi.
Agilulfo, lontano parente del suo predecessore Autari, era di origine turingia e apparteneva al clan degli Anawas.Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum[1] descrive in forma romanzesca l'investitura di Agilulfo. Nell'autunno del 590, poco dopo la morte improvvisa di Autari, i duchi longobardi diedero alla regina Teodolinda, rimasta vedova dopo poco più di un anno dalle nozze con Autari, il mandato di scegliere il nuovo re. Agilulfo, allora duca di Torino, andò a rendere omaggio alla regina e ne baciò la mano in segno di rispetto. Teodolinda gli chiese il motivo per cui lui le baciasse la mano, quando aveva il diritto di baciarle la bocca. In questo modo, lo investì del diritto di essere re e contestualmente suo sposo. Si sposarono nel novembre di quello stesso 590.
DAMA DI FERRO. Teodolinda si
dimostrò intraprendente. Di fede cattolica, fu lei ad avviare il processo di
conversione dei Longobardi, molti dei quali avevano in precedenza abbracciato
l’arianesimo. Questo migliorò i rapporti con la Chiesa di Roma e con le
genti italiche e non solo. L’impero Bizantino riconobbe l’autorità del regnum
su un’area che includeva il Nord della penisola (escluse le coste venete e
liguri), la Tuscia
(l’odierna Viterbo), parte dell’Umbria e Marche e varie zone del sud. Agilulfo
e Teodolinda trasferirono la capitale a Milano, con la vicina Monza prediletta
come residenza estiva. Quest’ultima fu scelta in prima persona dalla regina,
che vi fece erigere un’importante basilica dedicata a San Giovanni Battista di
cui però non è rimasta traccia.
Ma perché proprio Milano? Non
solo perché era già stata residenza imperale nel IV secolo e tra le maggiori
città italiane: rispondeva all’esigenza di Agilulfo di presentarsi come rex totius italiae (re di tutta Italia) non
solo dei Longobardi. “Con la nuova coppia
di sovrani iniziò a delinearsi un nuovo concetto di capitale, che recuperava
l’antica idea di luogo e potere e rappresentanza riconoscibile da tutti”,
sottolinea Percivaldi.
RILANCIO PAVESE. Dopo la scomparsa di Agilulfo (616), Milano continuò a
esercitare un ruolo di primo piano fino al 626, quando il sovrano Arioaldo
riportò la corte a Pavia. “Tornata
capitale dopo essere stata un centro di dissenso politico nei confronti delle
scelte filo papali di Teodolinda e Agilulfo, Pavia rimase da lì in poi la città
di riferimento dei Longobardi in Italia, che la arricchirono di fondazioni
ecclesiastiche e monasteri”, continua la storica.
Di
pari passo crescevano città come Cividale e soprattutto Brescia, che diede i
natali addirittura a due dei più importanti sovrani Longobardi. Il primo fu
Rotari, salito al trono nel 636 e autore dell’editto che ne porta il suo nome
(643) e con cui per la prima volta i Longobardi mettevano per iscritto le loro
leggi. Un secolo dopo vi nacque Desiderio, l’ultimo sovrano di stirpe Longobarda.
Incoronato nel 757, a lui si devono la costruzione in città della grande
basilica di San Salvatore e la nascita della figlia Ermengarda, battezzata così
nell’800 da Alessandro Manzoni nell’Adelchi, la tragedia che racconta la
sconfitta dei Longobardi per mano di Carlo Magno, il re dei Franchi che la
donna sposò nel 770.
Manoscritto
dell'Editto di Rotari
L'editto di Rotari (in latino Edictum Rotharis Regis[1]) fu la prima raccolta scritta delle leggi dei Longobardi, promulgato alla mezzanotte tra il 22 novembre e 23 novembre 643 da re Rotari.
L'editto, scritto in latino con frequenti parole d'origine longobarda, è uno dei principali documenti per lo studio dell'evoluzione della lingua longobarda e raccoglie in modo organico le antiche leggi del popolo longobardo, pur con aspetti derivati direttamente dal diritto romano. Stando al principio della personalità della legge, l'editto fu valido solo per la popolazione italiana di origini longobarde; quella romana soggetta al dominio longobardo rimase invece regolata dal diritto romano, codificato a quell'epoca nel Digesto promulgato dall'imperatore Giustiniano I nel 533.
Con la romanizzazione dei Longobardi, che in sostanza coincide con il tasso di cristianizzazione effettiva di quel popolo, l'editto di Rotari perde le proprie caratteristiche di diritto personale e nel 700 viene esteso anche ai Romani[2].
moneta del ducato di Benevento
CHIAMATELA RINASCENZA. Pochi decenni prima di avviarsi al tramonto, il regno
longobardo aveva toccato il suo apogeo con Liutpandro, sul trono per un
trentennio dal 712. “Fortissimo in guerra, voleva unificare la penisola sotto l’egida
Longobarda, in barba ai Bizantini e a Roma” spiega Diacono. Rafforzato il
ruolo di Pavia, fu il motore di una rapida espansione del regnum ai danni
dell’Esarcato di Ravenna. Spintosi fino a Sutri, poco a nord dell’Urbe, da buon
cattolico si riaprì però presto al dialogo, rinunciando alla conquista. In
campo artistico il periodo fu fertile, tanto che gli storici dell’arte gli
diedero un nome: rinascenza liutprandea. Longobardi e popolazioni locali
convivevano ed elementi classici, bizantini e orientali si fondevano.
Liutprando stabilì legami con Carlo Martello, nonno di Carlo
Magno. Ma questo – insieme al matrimonio con la figlia di Desiderio – non bastò
a evitare che le inimicizie di un tempo tornassero a galla e così, quando il
papato chiese aiuto allo stesso Carlo Magno per frenare l’espansionismo
Longobardo, questi mosse guerra proprio a Desiderio e al figlio Adelchi
associato al trono. Penetrati in Italia tra il 773 e il 774, i Franchi presero
uno dopo l’altro i centri longobardi, da Verona, dov’era Adelchi a Pavia, dove
riparò Desiderio.
Carlo Magno il 5 giugno 774 si
proclamò Rex Francorum et Longobardorum: l’esperienza
del regno longobardo, che sarebbe confluito nell’impero Carolingio, si stava
per concludere ma con qualche eccezione. A Sud sopravvisse il nucleo del Ducato
di Benevento, tramutato in principato, e gli stessi centri del Nord non persero
vigore “Cruciale nell’antichità, ma
diminuito con l’arrivo del Medioevo, grazie ai Longobardi il ruolo delle città
era tornato di primo piano: i maggiori centri del regnum si erano arricchiti di
monumenti realizzate dalle migliori maestranze e si era innescato quel circolo
virtuoso, economico e sociale, che costituì le basi per il fenomeno comunale
esploso dopo l’anno mille” conclude Percivaldi. Ed è probabilmente questa
la più importante eredità che ci hanno lasciato gli uomini dalle lunghe barbe
(LA)
« Fuit vir multae sapientiae, consilio sagax, pius admodum et pacis amator, belli praepotens, delinquentibus clemens, castus, pudicus, orator pervigil, elemosinis largus, litterarum quidem ignarus, sed philosophis aequandus, nutritor gentis, legum augmentator »
| (IT)
« Fu uomo di molta saggezza, accorto nel consiglio, di grande pietà e amante della pace, fortissimo in guerra, clemente verso i colpevoli, casto, virtuoso, instancabile nel pregare, largo nelle elemosine, ignaro sì di lettere ma degno di essere paragonato ai filosofi, padre della nazione, accrescitore delle leggi »
|
(Paolo Diacono, Historia Langobardorum, VI, 58) |
Liutprando | |
---|---|
Tremisse di Liutprando, coll'Arcangelo Michele in sostituzione della Vittoria. | |
Re d'Italia | |
In carica | 712-744 |
Incoronazione | 712 |
Predecessore | Ansprando |
Successore | Ildebrando |
Nome completo | Liutprandus (in latino), Liutprand (in longobardo) |
Altri titoli | Rex Langobardaorum Rex totius Italiae |
Nascita | ?, 690 circa |
Morte | Pavia (?), gennaio 744 |
Sepoltura | Pavia, basilica di San Pietro in Ciel d'Oro |
Padre | Ansprando |
Madre | Teodorada |
Consorte | Guntrude |
Liutprando (690 circa – Pavia?, gennaio 744) è stato re dei Longobardi e re d'Italia dal 712 al 744.
Tra i più grandi sovrani longobardi, cattolico, fu "litterarum quidem ignarus" ("alquanto ignorante nelle lettere", secondo quanto dice Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum), ma intelligente, energico ed ambizioso. La sua volontà di potere derivava dalla consapevolezza di essere stato oggetto di una speciale scelta divina, come annuncia lui stesso nel prologo alle Liutprandi Leges. Fu amato e temuto dal suo popolo, che ammirava la saggezza del legislatore, l'efficacia del comandante militare e anche il coraggio personale - manifestato per esempio quando sfidò a duello, solo, due guerrieri che architettavano un attentato contro di lui.
Dall’Umbria alla Calabria
Il santuario di San
Michele Arcangelo si trova a Monte Sant'Angelo, in provincia di Foggia. Ha la
dignità di basilica minore.
Mentre al Nord splendevano le
capitali del Regnum langobardorum,
nel centro sud si affermavano città come Spoleto e Benevento, capoluoghi
degli omonimi ducati della Longobardia Minor, estesa dall’Umbria a parte
della Calabria e della Puglia.
Come due gocce
d’acqua. Dopo il
crollo del regno, l’anima longobarda rimase viva proprio a Benevento, detta
anche Ticinum geminun (gemella di Pavia). Nel 774 il duca
Arechi II aveva elevato il proprio status a quello di principe, facendo così
del ducato un principato (sopravissuto fino all’XI secolo). Tra le eredità
del tempo spicca proprio a Benevento il complesso della chiesa di Santa Sofia
(VIII secolo). In Puglia, invece il Santuario di San Michele Arcangelo sul
Gargano (Foggia), divenne con i Langharte un’ambita meta di pellegrinaggio. A
Salerno rimangono resti del Palatium di San Pietro a Corte, reggia di Arechi
II.
La chiesa di Santa
Sofia è un antico edificio religioso di Benevento; sorge nella piazza
precedentemente omonima, successivamente intitolata a Giacomo Matteotti
|
articolo in gran parte di Matteo Liberti pubblicato su
Focus Storia n. 138, altri testi e immagini scaricati da Wikipedia.
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