PARTIGIANO DELLE NEVI.
Ettore Castiglioni mise la sua esperienza a servizio
di ebrei e antifascisti. Che portò in salvo attraverso le montagne.
Uno spirito schivo e
solitario. Una mente brillante, curiosa e indipendente. Una persona che pensava
con la propria testa in un periodo storico in cui il pensiero era omologato. Un
uomo che scelse la montagna in nome della libertà: per viverla, per difenderla
e infine donarla agli altri. Questo era Ettore Castiglioni, l’apinista che aprì
più di 200 nuove vie sull’arco alpino. Milanese di origine ma trentino di
adozione: nacque a Ruffrè (Trento) mentre i genitori erano in vacanza,
nell’agosto 1908. E proprio le montagne di quel luogo, le Dolomiti con le loro
“crode”, le cime tipiche di questa catena montuosa, segnarono la sua esistenza
figlio di un’agiata famiglia milanese, crebbe nel capoluogo lombardo di cui
però diceva: “A Milano mi sento sempre di
passaggio, anche quando vi resto per parecchi mesi. Fra le mie crode mi sento a
casa mia”. Ma quello che fece di Castiglioni un personaggio straordinario
fu la capacità di spendere in favore degli altri la sua conoscenze delle
montagne. Come quando nel 1943,
in Svizzera, salvò molti ebrei in fuga dal fascismo.
Dopo l’8
settembre Castiglioni si rifugiò in Valpelline dove fondò una comunità di
alpinisti antifascisti.
ALPINISTA
PENSATORE. Complici i suoi due
fratelli maggiori, Manlio e Bruno, Ettore compì la sua prima scalata a soli 15
anni, sulle Dolomiti che, “per la loro
verticalità, per la loro spinga armoniosa di linee sono sempre state le
montagne più amate”, scrive Marco Albino Ferrari, giornalista, alpinista e
biografo di Ettore Castiglioni. A soli 23 anni, nel 1931, aveva già in tasca la
laurea di giurisprudenza, ma preferì sempre il pianoforte e le poesie ai libri
di diritto. “Ettore era prima di tutto un
alpinista, ma anche un intellettuale, un pensatore; per lui la montagna non
rappresentava solo uno strumento per misurare le proprie dote atletiche”,
prosegue il biografo.
La sua fama di alpinista crebbe come quella di
divulgatore del CAI, Club Alpino Italiano, e per il Touring Club per il quale
compilò le guide per i monti d’Italia,
che, sottolinea Ferrari “per la prima
volta raccontavano le montagne italiane in chiave alpinistica”. Castiglioni
diventò famoso in piena epoca fascista. Il regime lo esaltava e lo esibiva come
modello da seguire. Nel 1934, per sfruttare la sua fama, gli venne conferita
una medaglia d’oro al valore alpinistico. Riconoscimento che Castiglioni non
gradì affatto: non per questioni ideologiche per opposizioni al regime, ma
perché riservato come era non amava di certo quel clamore creatosi intorno a
sé. “Ora ho anche la seccatura della
medaglia che mi tocca accettare per non offendere chi me l’ha assegnata,
credendo di farmi piacere e mi toccherà andare alla cerimonia. Cosa c’entrano
tutti loro? Le mie ascensioni le ho fatte per me e per me solo, e sono e
resteranno soltanto mie”, annotava nei suoi diari.
“Di certo
rifiutare quel riconoscimento avrebbe significato perdere la libertà, venire
emarginato o subire addirittura il confino. Piegarsi per ricevere quella
medaglia, che non rappresentava solo un premio, era anche un modo di preservare
la sua libertà di movimento. Ettore quindi decise di accettare di buon grado
quell’onorificenza, ma dai suoi diari si evince chiaramente che non gli
interessava e non se ne fece mai un vanto”, spiega Ferrari.
SCELTA
DI CAMPO. La sua attività di
alpinista e divulgatore proseguì fino al maggio del 1943, quando,richiamato
alle armi, venne assegnato alla scuola di alpinismo militare di Aosta, con il
grado di sottotenente e il ruolo di istruttore. Castiglioni, che fino a quel
momento non aveva mai preso una posizione pubblica rispetto al fascismo, dopo
l’8 settembre fece la sua scelta. L’armistizio con gli Alleati aveva portato
l’esercito allo sbando e l’inevitabile confusione, che colse anche il suo
reparto, lo portò a rifugiarsi con alcuni commilitoni in Valle d’Aosta,
sull’Alpe Berio (in Valpelline) dove dette vita a una piccola, ma combattiva,
unità di alpinisti antifascisti.
La posizione strategica, non molto lontano dal confine
italo-elvetico, divenne presto un punto di riferimento per ebrei e antifascisti
in fuga dall’Italia, diretti in Svizzera.
“In questo
periodo si verificò una svolta nella sua vita: da uomo chiuso, ai margini della
vita sociale, quasi misantropo, di fronte all’urgenza e alla possibilità di
salvare vite umane, Ettore si trasformò, e al contrario di come aveva sempre
fatto, non fuggì dagli uomini, ma anzi cerco di andare loro incontro per
salvarli” dice il biografo.
Per circa quarant'anni
i diari di Ettore Castiglioni sono rimasti ignoti al pubblico. Vennero editati
nel 1993, raccogliendo dal vastissimo materiale manoscritto i passaggi più
significativi, con le ... Google Books
VIE
DI FUGA. Famiglie di ebrei e molti
oppositori in fuga dall’Italia riuscirono a varcare il confine svizzero
affidandosi alla sua esperienza, perché conosceva alla perfezione quelle
montagne: attraverso la
Fenetre du Durand, un valico tra Valle d’Aosta e canton
Vallese, a quasi 2800
metri di altitudine, furono in molti a raggiungere la
salvezza e la libertà grazie all’alpinista. Tra questi anche Luigi Einaudi,
futuro presidente della Repubblica italiana.
Le guardie di frontiera svizzere avevano l’ordine di
impedire l’entrata di clandestini, ma no nonostante i divieti e i pericoli,
Castiglioni continuò ad accompagnare ebrei e antifascisti. Anche dopo un primo
fermo della polizia svizzera avvento nell’ottobre del1943. per qualche settimana
rimase agli arresti, prima nel carcere di Martigny poi a Sion, infine fu
rimandato in Italia. Le attività partigiane di Castiglioni proseguirono fino
all’11 marzo del 1944, giorno in cui partì con gli sci ai piedi dalla
Valmalenco per raggiungere il passo del Maloja, spartiacque geografico tra
territorio italiano e svizzero. Una
volta varcato il confine venne fermato una seconda volta dalla polizia elvetica
mentre si trovava nel ristorante Alpina., gli agenti lo rinchiusero in una
stanza dell’hotel Loghin di St. Moritz, situata al secondo piano, “dopo avergli sottratto pantaloni, scarponi
e requisito l’attrezzatura da sci nell’eventualità che volesse tentare la fuga”
ricorda un memoriale del CAI di Milano pubblicato nel 2008 in occasione del
centenario della sua nascita.
Durante la notte, però Castiglioni decise ugualmente
di evadere nonostante le rigide temperature. “L’alpinista milanese scappò nel cuore della notte ricavando dalle
lenzuola lunghe stisce che in parte usò per fasciarsi i piedi e in parte per
calarsi dalla finestra. E senza abiti mé scarpe, con indosso solo i mutandoni
di tela, una coperta di lana porta come mantella, un paio di ramponi e
bastoncini da sci recuperati chissà dove, s’avviò verso il confine italiano”.
Spiega il volume del CAI.
Riuscì a superare il passo del Forno ed entrare in
territorio italiano, quando, stremato, si accasciò sulla neve. Si trovava a 2600 metri di
altitudine. “Il suo corpo fu ritrovato a
duecento passi dal valico del Forno il 5 giugno 1944 con la faccia ancora
immersa nella neve di primavea” afferma Ferrari.
L'hotel Longhin
di Maloja da dove Castiglioni è fuggito.
(Ristampa di una cartolina)
I giusti italiani.
Avviato negli anni ’60 dal Yad
Vashem, l’Ente Israeliano per la
Memoria della Shoa, il riconoscimento di “Giusto fra le
Nazioni” è un’onorificenza concessa ai non ebrei che, durante la guerra
rischiarono la propria vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio
nazista. Ad oggi sono 26513 le persone inserite in questo elenco, 682 italiani.
Oltre a nomi famosi come Giorgio Perlasca (commerciante che, fingendosi console
salvò 5000 ebrei ungheresi), Carlo Angela (padre del giornalista Piero,
psichiatra che accolse nella sua clinica numerosi ebrei e il ciclista Gino
Bartali (nascondendo nella sua bicicletta documenti falsi salvò quasi 800
persone), ci sono nomi meno noti ma altrettanto gloriosi.
Non solo vip. Come Andrea Schivo,
secondino presso il carcere di San Vittore, che si adoperò per alleviare le
sofferenze dei detenuti ebrei in attesa di deportazione; o Benedetto de Beni,
ingegnere che salvò due ebree dallo sterminio di Voroshilovgrad. In futuro
questo in questo elenco potrebbe figurare anche Pino Lella, che a 17 anni, in Valchiavenna, aiutò gli ebrei a raggiungere la Svizzera. La sua storia negli
Usa è diventata un bestseller e il libro Beneat a Scarlet sky diventerà un film
Giorgio Perlasca
Giorgio Perlasca (Como, 31 gennaio 1910 – Padova, 15 agosto 1992) è stato un funzionario, filantropo e commercianteitaliano. Nell'inverno del 1944, nel corso della seconda guerra mondiale, fingendosi Console generale spagnolo salvò la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi strappandoli alla deportazione nazista e alla Shoah.
Un gesto “sportivo”
Sfidare le regole in nome di
un ideale, di un’amicizia, o di un affetto: sono molti gli sportivi entrati
nella Storia per un gesto dall’alto valore simbolico. A volte anche solo con un
exploit, come quello di Jesse Owens, 23 anni, figlio di un povero agricoltore
nero del Sud degli Stati Uniti, che vinse quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi
di Berlino del 1936: uno smacco per Hadolf Hitler, fanatico sostenitore della
superiorità della razza ariana. Ben 32 anni dopo sarà la volta del famoso pugno
guantato di nero (simbolo delle Black Power) alzato da Tommie Smith e John
Carlos, i due velocisti che, sul podio, vollero esprimere così la loro protesta
contro le discriminazioni razziali. Un gesto che costò loro la sospensione
dalla squadra statunitense.
Jesse Owens
GIUSTO FRA LE NAZIONI. I motivi del suo ultimo viaggio in Svizzera e della
fuga precipitosa senza speranza rimangono ancora un mistero. Oggi il suo corpo
è sepolto a Tregnago (Verona) dove la sezione locale del Club Alpino Italiano è
intitola proprio a lui. L’avventurosa vita dell’alpinista è stata raccontata di
recente nel documentario Oltre il
confine, la storia di Ettore Castiglioni (2017). Mentre dal punto di vista istituzionale è in corso
l’iter per chiedere che il suo nome venga inserito tra i “Giusti tra le
nazioni”, un riconoscimento per i non ebrei che rischiarono la via, agendo
disinteressatamente, per salvare anche un solo ebreo dalla Shoah
Articolo in gran parte di Fabio Dalinasso, pubblicato su Focus Storia n. 139. altri testi
e immagini da Wikipiedia
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