martedì 26 giugno 2018

I pittori dell'Egitto

I PITTORI DELL’EGITTO

Gli artisti che decorarono le tombe dei faraoni avevano grandi abilità tecniche e un canone di bellezza proprio. 



Tomba di Tausert e Sethnakht. I dipinti che decorano le pareti di questa tomba reale della Valle rei Re (XIX-XX dinastia) sono tra i meglio conservati d’Egitto. Le scene della camera funeraria sono tratte dal libro delle porte; sui pilastri sono raffigurate varie divinità


Una delle prime cose che vengono in mente quando si parla di arte egizia sono le pitture dai colori vivaci che ricoprono le pareti delle tombe. Tuttavia, gli autori di questi capolavori, ammirati ancora oggi, all’epoca non venivano considerati artisti. Anzi, nell’antico Egitto le parole “arte” e “artista” non esistevano affatto ed era piuttosto raro che gli autori firmassero le proprie opere. Quelli che noi consideriamo artisti per gli egizi erano dei semplici artigiani, cui nel migliore dei casi veniva riconosciuto di esser “abili con le dita o con le mani”, A volte i pittori venivano chiamati “scribi di contorno” , un’espressione da cui trapela l’importanza che aveva il disegno nell’arte egizia, non solo all’interno della pittura ma anche della scultura e del bassorilievo. Nell’Egitto del faraone tutte le arti plastiche dovevano sottostare alle norme delle Case della Vita. Si trattava di centri didattici legati ai grandi templi e gestiti dai sacerdoti, dove venivano formati gli scribi – i cui segni grafici sono appunto disegni – e i professionisti d’ogni tipo, dai medici agli architetti. È interessante notare che i pittori apprendevano il mestiere dai padri e non nelle Case della Vita, anche se erano comunque obbligati a rispettare le regole di tali istituzioni. Gli scribi del contorno realizzavano opere di varia natura, dai bassorilievi sulle pareti dei templi alle sculture e ai sarcofagi di legno. Dipingevano anche migliaia di oggetti appartenenti alle così dette “arti minori”quali per esempio mobili o stele. Ciononostante, la loro attività principale era la pittura tombale. Sebbene spesso fossero imprecisamente considerati “decorativi”, i dipinti che compaiono sulle pareti delle cappelle funerarie o nei reconditi ambienti che ospitavano le mummie non avevano una finalità estetica. Rispondevano invece a una necessità più profonda, che andava oltre il tentativo di ricostruire gli spazi dov’era vissuto il defunto.

Tomba del faraone Seti. La tomba di Seti I nella Valle dei Re è una delle più belle d’Egitto. Le sue decorazioni dimostrano il grado di perfezione raggiunto dai pittori egizi durante la XIX dinastia.
Nelle foto sotto due affreschi della Tomba.

Particolare di Sopedet, dea della costellazione di Sirio



Particolare della dea Iside che allarga le ali a proteggere il re defunto.

Pittura, un’arte millenaria.
PREDINASTICO 3500-3200 A.C. Viene eretta a Ieracompoli la tomba 100, la prima con le pitture murali.
ANTICO REGNO  2686-2173 A.C.  Sulle pareti delle mastabe vengono raffigurate scene religiose e di vita quotidiana
MEDIO REGNO 2040-1786 A.C. Caratteristica di questo periodo è la pittura di sarcofagi e miniature. 
NUOVO REGNO 1552-1069 A.C. Le tombe tebane di re e nobili sono riccamente decorate con pitture murali.
EPOCA ROMANA I SEC. A. C. – I SEC. D.C. Le maschere funerarie di al-Fayyum sono adornate da ritratti naturalisti.


LA MAGIA DELLE IMMAGINI. Per poter sopravvivere all’aldilà il ka – l’essenza vitale del morto – aveva bisogno di nutrirsi. A questo scopo i familiari e i sacerdoti funerari depositavano nella cappella della tomba offerte alimentari. Ma cosa sarebbe successo una volta che anche la famiglia del defunto si fosse estinta? Secondo i testi sacri, in questo caso il ka sarebbe stato costreto ad alimentarsi dei suoi stessi escrementi prima di scomparire definitivamente. Per scongiurare tale eventualità gli egizi ricorrevano alla magia (heka) della pittura e dei bassorilievi: era sufficiente rappresentare un oggetto perché questo diventasse reale. Tuttavia per una vita eterna non sarebbe bastata la rappresentazione di una tavola imbandita, perché il cibo si sarebbe rapidamente esaurito: era necessario raffigurare tutto il processo di produzione alimentare. Così, a partire dall’Antico regno divenne abituale dipingere il ciclo completo del frumento: la semina, la mietitura, la trebbiatura, fino allo stoccaggio nei silos. Lo stesso avveniva con la caccia e la pesca, in modo che al ka del defunto non mancassero fonti di sostentamento.
Anche un’altra peculiarità dell’arte egizia: il gran numero di opere incompiute era connessa all’universo magico. Si riteneva infatti che fosse sufficiente abbozzare una scena: a completarla ci avrebbe pensato la magia. Per gli antichi egizi la vita era continuità, e un’opera conclusa era un’opera morta. Invece, i lavori incompiuti indicavano che ci sarebbe stato un domani per ultimarli e simboleggiavano quindi la speranza di un tempo a venire.

SECOLI DI EVOLUZIONE. Nei tremila anni di storia dell’Egitto la tecnica e lo stile pittorici rimasero fondamentalmente gli stessi. Dai rudimentali tentativi effettuati nel corso della prima dinastia fino all’Antico regno non si registrarono cambiamenti apprezzabili. L’iniziale schematicità della pittura tornerà brevemente nel Medio regno, per poi lasciare nuovamente spazio al moderato realismo che dominerà tutte le rappresentazioni pittoriche di tombe e sarcofagi del Nuovo regno e delle successive fasi della civiltà egizia. Fu proprio nel corso del Nuovo regno che la pittura raggiunse il suo apice. Di particolare interesse per quanto riguarda quell’epoca sono i luoghi di sepoltura degli operai che costruirono le tombe reali, situati nella necropoli del loro villaggio, Deir-el-Medina. Molti di questi lavoratori dipinsero le proprie tombe di giallo, perché tale era il colore che si utilizzava anche nelle sale dei sarcofagi reali. Il giallo era infatti connesso all’incorruttibilità e all’eternità: era il colore dell’oro, la materia di cui erano fatti i corpi degli déi. Gli abitanti di Deir-el-Medina dovevano essersi detti che se quel colore andava bene per i faraoni, sarebbe andato bene anche per loro. Con Amenofi III l’arte raggiunse un livello tecnico mai visto prima, ma la sua stessa precisione ne pregiudicò la capacità espressiva. Si ebbe un cambiamento con il suo successore, il figlio Akhenaton, promotore di un nuovo stile artistico che rappresentò una ventata di aria fresca in un’arte dominata da un eccessivi accademismo. Le foreste di papiri e le spighe di grano, che fino ad allora aveva obbedito alle leggi immutabili del parallelismo e della simmetria, adesso ondeggiavano sinuose al vento.
Alla morte di Akhenaton e della moglie Neferiti, l’arte ramesside – quella dei primi faraoni della XIX dinastia, fondata da Ramses I – seppe conservare la delicatezza che aveva ereditato dal periodo precedente. In ogni modo con questa tappa si concluse l’età dell’oro della pittura egizia; tutto quanto venne dopo non fu che un simulacro dei passati splendori. Né la pittura saita, né quella tolemaica e, meno ancora, quella di epoca romana, avrebbero ritrovato la sensibilità che, salvo sporadiche eccezioni, aveva caratterizzato i periodi precedenti.

SCENE DELL’ALDILA’ PER NEFERTARI
Fu "grande sposa reale" di Ramesse II detto il Grande, faraone della XIX dinastia[3]. È una delle regine meglio conosciute della storia egizia, nonché una delle più potenti, con un'influenza comparabile a quella di Ahmose Nefertari[4]HatshepsutTiy[5]Nefertiti e Cleopatra VII, pur non avendo regnato in modo autonomo[6]. È anche nota l'educazione eccezionale che le fu impartita: era in grado sia di leggere che scrivere i geroglifici egizi (abilità piuttosto rara per l'epoca). Mise le sue conoscenze a servizio della diplomazia, mantenendo una corrispondenza con gli altri sovrani del suo tempo[7].
La sua raffinatissima tomba, classificata come QV66, è tra le più grandi e spettacolari della Valle delle Regine[8][9]. Inoltre Ramesse costruì un tempio per lei nel complesso monumentale di Abu Simbel, il cosiddetto "Tempio minore"[10][11].







La tomba di Nefertari, Grande sposa reale di Ramses II, situata nella Valle delle Regine, è una delle più grandi mai costruite per una sovrana. Si distingue dal resto delle tombe della XIX dinastia per la magnifica decorazione pittorica: contiene 5600 metri quadrati di rappresentazione dei rituali magici necessari per raggiungere l’aldilà.
Le pitture della dimora eterna di Nefertari costituiscono uno dei pochi tentativi di conferire volume ai volti dei personaggi giocando con le sfumature cromatiche, in contrasto con la generale tendenza dell’epoca a usare una tonalità uniforme. Scoperte nel 1904, le pitture andarono incontro a un tale deterioramento che negli anni ottanta si rese necessario un restauro.


Nefertari (anche Nefertari Meritmut) (Panopoli1295 a.C. – Abu Simbelfebbraio 1255 a.C.[2]) è stata una reginaegizia.
Fu "grande sposa reale" di Ramesse II detto il Grande, faraone della XIX dinastia[3]. È una delle regine meglio conosciute della storia egizia, nonché una delle più potenti, con un'influenza comparabile a quella di Ahmose Nefertari[4]HatshepsutTiy[5]Nefertiti e Cleopatra VII, pur non avendo regnato in modo autonomo[6]. È anche nota l'educazione eccezionale che le fu impartita: era in grado sia di leggere che scrivere i geroglifici egizi (abilità piuttosto rara per l'epoca). Mise le sue conoscenze a servizio della diplomazia, mantenendo una corrispondenza con gli altri sovrani del suo tempo[7].
La sua raffinatissima tomba, classificata come QV66, è tra le più grandi e spettacolari della Valle delle Regine[8][9]. Inoltre Ramesse costruì un tempio per lei nel complesso monumentale di Abu Simbel, il cosiddetto "Tempio minore"[10][11].
Il suo nome, in geroglifici, è scritto:
<
t G15nfrit
r
Z4
U7
t
n
>

nfrt iry mryt n mwt - (Neferetiry Meritenmut), che significa Bella Compagna, Amata da Mut[12

L’USO DEI COLORI

Di solito i pittori tracciavano il profilo delle figure in rosso, quindi apportavano le opportune correzioni in nero e infine applicavano i pigmenti definitivi. La pittura egizia è sempre stata piatta, lo spazio racchiuso dal disegno iniziale veniva dipinto con un unico colore, senza usare sfumature (che avrebbero per esempio consentito di mettere in risalto i tratti del viso). Il pennello era un semplice calamo, una canna sottile simile a quella degli scribi, ma con la punta tagliata per trattenere la tinta.
La tavolozza dei colori era molto limitata. Se si esclude il nero, ottenuto dalla combustione parziale della paglia di frumento, gli altri pigmenti erano di origine minerale. I blu e i verdi erano minerali di rame carbonati, come l’azzurro o la malachite. I gialli e i rossi si ottenevano dalle varie ocre, molto abbondanti nella regione di Tebe; e i bianchi dal calcare, anche se la varietà più pura era l’huntite, un carbonato di calcio e magnesio.
I pigmenti venivano sciolti in acqua con un po’ di resina di acacia, che ne facilitava l’adesione alla superficie dipinta; come fissatori si usavano l’albumina d’uovo e la cera. Si dipingeva su pietra, stucco di gesso, papiro e legno. A causa del clima secco, gli egizi non utilizzavano la pittura a fresco (che prevede di inumidire il supporto di gesso per consentire ai pigmenti di penetrare più in profondità.

IL CANONE EGIZIO.

A partire dalla III dinastia (2686-2613 a.C.) gli egizi suddivisero la figura umana in diciotto quadrati, dalla pianta dei piedi all’attaccatura dei capelli. Tale suddivisione è nota come canone egizio. Durante l’epoca dell’eresia di Amarna, 1300 anni più tardi, il canone passò a includere venti quadrati, che divennero poi ventuno nel Periodo tardo e in quello tolemaico.
Nel corso della sua spedizione in Egitto del 1842, l’egittologo tedesco Karl Richard Lepsius osservò a Saqqara che già durante l’Antico regno i disegni delle tombe venivano realizzati su una griglia sottostante. Fu il primo a studiare tale tecnica. Nelle rappresentazioni dell’essere umano sia le gambe sia il volto veniva raffigurati di lato, mentre il busto, le spalle e gli occhi frontalmente.
Alcuni artisti spiccavano per la loro maestria. Le pitture incompiute sono quelle che meglio permettono di apprezzare le diverse abilità tecniche dei realizzatori. Se gli artiginani meno capaci utilizzavano la griglia, infatti, i più bravi eseguivano direttamente il disegno iniziale e non apportavano più correzioni (gli storici dell’arte le chiamano “pentimenti”). Una volta che il lavoro veniva completato non era più possibile osservare con chiarezza come era stato realizzato perché o pentimenti venivano coperti con degli strati di colore.

PICCOLI CAPOLAVORI.

Non sempre le opere migliori della pittura egizia erano di grande formato. Oltre a eseguire prove dei loro lavori principali (come d’altronde hanno sempre fatto gli artisti di tutte le epoche) i pittori egizi realizzavano anche dei dipinti in formato ridotto, più intimisti, che uscivano dagli schemi generali e che oggi consentono di apprezzarne al meglio il talento. In genere gli artisti non potevano permettersi di dipingere sui costosi papiri, che erano monopolio dello stato. Quindi ricorrevano a materiali di scarto come gli ostraka (frammenti di ceramica) o a delle piccole lamine di calcare. Se in molti casi le immagini realizzate sugli ostraka erano semplici disegni, non mancano esempi di autentici capolavori, variopinti e dai colori brillanti.
Uno degli esempi più famosi in questo senso è la figura di una giovane danzatrice ritratta in posizione acrobatica. Nonostante un certo convenzionalismo, colpisce la sicurezza del tratto con cui è definito il corpo snello della ragazza e la grazia della chioma di riccioli scuri (sebbene l’orecchino sembri sfidare le leggi di gravità). Un’altra splendida testimonianza è quella di una donna dalla folta capigliatura nera, rappresentata frontalmente – una prospettiva non abituale per l’arte egizia – che sembra riposare accanto al suo liuto in una postura suggestiva e insolita.



Akhenaton, talvolta anche EkhnatonIkhnaton[1]Khuenaton o Khuniatonu[10][N 1], ma per i primi 5 anni di regno[4]Amenofi IV o Amenhotep IV (Tebe1375 a.C. circa – Akhetaton1334/1333 a.C. circa), è stato un faraone egiziodella XVIII dinastia. Regnò per 17 anni[11], morendo probabilmente intorno al 1334 a.C.
È celebre per aver abbandonato il tradizionale politeismo egizio a favore di una nuova religione di stampo enoteistico, monolatrico[12] (che mantenne, cioè, la credenza in più divinità pur adorandone una sola[13]) o pseudo-monoteistico[N 2], introdotta da lui stesso e basata sul culto del solo dio Aton, il disco solare[14]. La sua rivoluzione religiosa, duramente contrastata[15], si rivelò effimera. Pochi anni dopo la sua morte, i suoi monumenti furono occultati o abbattuti, le sue statue spezzate o riciclate e il suo nome cancellato dalle liste reali[16][17]. Le pratiche religiose tradizionali furono gradualmente restaurate e i sovrani che pochi decenni dopo fondarono una nuova dinastia, senza legami con la XVIII dinastia, screditarono Akhenaton e i suoi immediati successori (Neferneferuaton, Smenkhara,Tutankhamon e Ay), appellando lo stesso Akhenaton "il nemico di Akhetaton"[18] o "quel criminale"[19]. A causa di questa damnatio memoriae, Akhenaton fu completamente dimenticato fino alla scoperta, nel XIX secolo, del sito archeologico di Akhetaton (Orizzonte di Aton[20]), la nuova capitale che egli fondò e dedicò al culto di Aton, presso l'attuale Amarna. Gli scavi iniziati dall'archeologo inglese Flinders Petrie nel 1891, e terminati nel 1937, fecero nascere un grande interesse nei confronti di questo enigmatico faraone. Una mummia scoperta nel 1907 da Edward Ayrtonnella tomba KV55 della Valle dei Re potrebbe essere la sua[21]: recenti analisi del DNA hanno accertato che l'uomo scoperto nella KV55 era padre di re Tutankhamon[22], ma l'identificazione di tali resti con Akhenaton è assai dibattuta[5][23][24][25]. 
UN CAMBIO DI STILE

Il re Akhenaton e la moglie Nefertiti sostituirono il culto della principale divinità egizia, Arnon, con quello di Aton, il disco solare (Ra), in onore del quale fondarono una nuova capitale: Akhetaton, l’attuale Amarna. Questa rivoluzione religiosa ebbe un impatto sulla società a tutti i livelli, incluso quello artistico. A sorprendere non è tanto il cambiamento di proporzioni nella figura umana, quanto il fatto che ad apparire deformato sia lo stesso Akhenaton, rappresentato con un cranio oblungo e stretto (una modifica che interessa anche la regina Nefertiti e le figlie) e dei fianchi prominenti che gli davano un aspetto androgino. Oltre alla fama dei suoi eccessi la sovrana lasciò ai posteri il suo splendido busto, oggi conservato a Berlino i cui morbidi colori conferiscono un gran fascino al volto.
Nel sito di Amarna gli archeologi hanno scoperto alcune pitture del palazzo reale che permettono di osservare la delicatezza dell’arte di quel periodo, come nella scena in cui le due giovani principesse sembrano conversare animatamente tra tappeti e cuscini.
Un altro esempio di realismo è visibile in varie porzioni di pavimento in gesso dipinto, nelle quali alcune anatre svolazzano tra fiori di loto e papiro. Si tratta di composizioni piene di vita, dai colori intensi ed estremamente luminose, come ci si potrebbe aspettare da una cultura che adorava il sole.

« Gradevole a vedersi, bella come le Due Piume, signora di gioia, dispensatrice di grazia, che dona felicità a chi ode la sua voce. »
(Stele di confine di Akhenaton[3])
Nefertiti (per intero: Neferneferuaton Nefertiti) (ca. 1370 a.C. – Amarna, ca. 1330 a.C.?) è stata una regina egiziadella XVIII dinastia.
Grande sposa reale del faraone Akhenaton (1351 a.C. - 1334/3 a.C.[4]), affiancò il marito nella grande ma effimera rivoluzione religiosa che cercò di imporre il culto dell'unico dio Aton, il disco solare. Insieme, Akhenaton e Nefertiti furono responsabili della creazione di una nuova religione di stampo enoteistico che causò, per un ventennio, stravolgimenti all'interno della antica religione egizia e alcuni disordini politici. Il suo regno accanto ad Akhenaton ebbe inizio nel periodo di maggiore prosperità della storia egizia[5] (inauguratosi con Amenofi III, padre di Akhenaton[6]) per terminare in una momentanea disgregazione del Paese, con rivolte fomentate dal clero di Amon[7], e in un'imminente crisi dinastica[8]. Nessun'altra regina egizia appare saldamente legata al trono del marito quanto Nefertiti: le sue rappresentazioni al fianco di Akhenaton le conferirono onori fino ad allora ineguagliati[9], così come inedite furono le numerose scene di intimità e affettuosità della coppia reale giunte sino a oggi[9]. Alcuni egittologi ritengono che Nefertiti abbia regnato brevemente come Neferneferuaton dopo la morte di suo marito (ca. 1334 a.C.) e prima della ascesa al trono di Smenkhara e di Tutankhamon (ca. 1332 a.C.)[10]; comunque, l'identificazione di Neferneferuaton con Nefertiti è oggetto di un dibattito archeologico estremamente complesso[8][11][12].


BEN OLTRE LA PITTURA

Jean-Francois Champillon, lo studioso francese che decifrò la scrittura egizia, affermava ce le pitture tombali non erano altro che geroglifici colorati. Alcune immagini sembrerebbero confermare quest’ipotesi, come nel caso delle decorazioni funerarie del visir Ramose.
Nelletombe venivano deposito offerte di cibo, bevande, unguenti e vestiti che permettevano all’essenza vitale del defunto di sopravvivere all’aldilà. Il ka veniva rappresentato tramite un geroglifico che in questa tomba è formato dai profili di varie figure umane: le prefiche, ovvero le donne chi si affliggono per la more del defunto. Se il pittore ha collocato la maggior pare delle donne rivolte verso sinistra, ne ha disegnate anche tre orientate in senso contrario: in questo modo l’intrecciarsi delle braccia compone il geroglifico ka. È una maniera indiretta per indicare che quanto viene indicato nella tomba è destinato al ka di Ramose.
In altri casi la pittura descrive alcuni aspetti della vita degli antichi egizi. Nella tomba del funzionario Nakht, per esempio, la scena di un banchetto illustra la complicità tra due delle invitate, una delle quali offre un frutto di mandragora alla vicina. Questa.  Per non rifiutare, nasconde il pomo che a sua volta ha in mano, mentre con gesto affettuoso accetta quello che le viene offerto dall’amica. 


Articolo in gran parte di Maite Mascort Egittologa pubblicato su Storica National Geografic del mese di maggio 2018 altri testi e immagini da wikipedia. 






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