I PITTORI DELL’EGITTO
Gli artisti che decorarono
le tombe dei faraoni avevano grandi abilità tecniche e un canone di bellezza
proprio.
Tomba di Tausert e Sethnakht. I dipinti
che decorano le pareti di questa tomba reale della Valle rei Re (XIX-XX dinastia)
sono tra i meglio conservati d’Egitto. Le scene della camera funeraria sono
tratte dal libro delle porte; sui pilastri sono raffigurate varie divinità
Una delle prime cose che
vengono in mente quando si parla di arte egizia sono le pitture dai colori
vivaci che ricoprono le pareti delle tombe. Tuttavia, gli autori di questi
capolavori, ammirati ancora oggi, all’epoca non venivano considerati artisti.
Anzi, nell’antico Egitto le parole “arte” e “artista” non esistevano affatto ed
era piuttosto raro che gli autori firmassero le proprie opere. Quelli che noi
consideriamo artisti per gli egizi erano dei semplici artigiani, cui nel
migliore dei casi veniva riconosciuto di esser “abili con le dita o con le
mani”, A volte i pittori venivano chiamati “scribi di contorno” ,
un’espressione da cui trapela l’importanza che aveva il disegno nell’arte
egizia, non solo all’interno della pittura ma anche della scultura e del
bassorilievo. Nell’Egitto del faraone tutte le arti plastiche dovevano
sottostare alle norme delle Case della Vita. Si trattava di centri didattici
legati ai grandi templi e gestiti dai sacerdoti, dove venivano formati gli
scribi – i cui segni grafici sono appunto disegni – e i professionisti d’ogni
tipo, dai medici agli architetti. È interessante notare che i pittori
apprendevano il mestiere dai padri e non nelle Case della Vita, anche se erano
comunque obbligati a rispettare le regole di tali istituzioni. Gli scribi del
contorno realizzavano opere di varia natura, dai bassorilievi sulle pareti dei
templi alle sculture e ai sarcofagi di legno. Dipingevano anche migliaia di
oggetti appartenenti alle così dette “arti minori”quali per esempio mobili o
stele. Ciononostante, la loro attività principale era la pittura tombale.
Sebbene spesso fossero imprecisamente considerati “decorativi”, i dipinti che
compaiono sulle pareti delle cappelle funerarie o nei reconditi ambienti che
ospitavano le mummie non avevano una finalità estetica. Rispondevano invece a
una necessità più profonda, che andava oltre il tentativo di ricostruire gli
spazi dov’era vissuto il defunto.
Tomba del faraone Seti. La tomba di Seti I nella Valle dei Re è una
delle più belle d’Egitto. Le sue decorazioni dimostrano il grado di perfezione
raggiunto dai pittori egizi durante la
XIX dinastia.
Nelle foto sotto due
affreschi della Tomba.
Pittura, un’arte millenaria.
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PREDINASTICO
3500-
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ANTICO REGNO 2686-
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MEDIO REGNO 2040-
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NUOVO REGNO 1552-
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EPOCA ROMANA I SEC. A.
C. – I SEC. D.C. Le
maschere funerarie di al-Fayyum sono adornate da ritratti naturalisti.
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Anche un’altra peculiarità
dell’arte egizia: il gran numero di opere incompiute era connessa all’universo
magico. Si riteneva infatti che fosse sufficiente abbozzare una scena: a
completarla ci avrebbe pensato la magia. Per gli antichi egizi la vita era
continuità, e un’opera conclusa era un’opera morta. Invece, i lavori incompiuti
indicavano che ci sarebbe stato un domani per ultimarli e simboleggiavano
quindi la speranza di un tempo a venire.
SECOLI DI EVOLUZIONE. Nei tremila
anni di storia dell’Egitto la tecnica e lo stile pittorici rimasero
fondamentalmente gli stessi. Dai rudimentali tentativi effettuati nel corso
della prima dinastia fino all’Antico regno non si registrarono cambiamenti
apprezzabili. L’iniziale schematicità della pittura tornerà brevemente nel
Medio regno, per poi lasciare nuovamente spazio al moderato realismo che
dominerà tutte le rappresentazioni pittoriche di tombe e sarcofagi del Nuovo
regno e delle successive fasi della civiltà egizia. Fu proprio nel corso del
Nuovo regno che la pittura raggiunse il suo apice. Di particolare interesse per
quanto riguarda quell’epoca sono i luoghi di sepoltura degli operai che
costruirono le tombe reali, situati nella necropoli del loro villaggio,
Deir-el-Medina. Molti di questi lavoratori dipinsero le proprie tombe di
giallo, perché tale era il colore che si utilizzava anche nelle sale dei
sarcofagi reali. Il giallo era infatti connesso all’incorruttibilità e
all’eternità: era il colore dell’oro, la materia di cui erano fatti i corpi
degli déi. Gli abitanti di Deir-el-Medina dovevano essersi detti che se quel
colore andava bene per i faraoni, sarebbe andato bene anche per loro. Con
Amenofi III l’arte raggiunse un livello tecnico mai visto prima, ma la sua
stessa precisione ne pregiudicò la capacità espressiva. Si ebbe un cambiamento
con il suo successore, il figlio Akhenaton, promotore di un nuovo stile
artistico che rappresentò una ventata di aria fresca in un’arte dominata da un
eccessivi accademismo. Le foreste di papiri e le spighe di grano, che fino ad
allora aveva obbedito alle leggi immutabili del parallelismo e della simmetria,
adesso ondeggiavano sinuose al vento.
Alla morte di Akhenaton e della
moglie Neferiti, l’arte ramesside – quella dei primi faraoni della XIX
dinastia, fondata da Ramses I – seppe conservare la delicatezza che aveva ereditato
dal periodo precedente. In ogni modo con questa tappa si concluse l’età
dell’oro della pittura egizia; tutto quanto venne dopo non fu che un simulacro
dei passati splendori. Né la pittura saita, né quella tolemaica e, meno ancora,
quella di epoca romana, avrebbero ritrovato la sensibilità che, salvo
sporadiche eccezioni, aveva caratterizzato i periodi precedenti.
SCENE
DELL’ALDILA’ PER NEFERTARI
Fu "grande sposa reale" di Ramesse II detto il Grande, faraone della XIX dinastia[3]. È una delle regine meglio conosciute della storia egizia, nonché una delle più potenti, con un'influenza comparabile a quella di Ahmose Nefertari[4], Hatshepsut, Tiy[5], Nefertiti e Cleopatra VII, pur non avendo regnato in modo autonomo[6]. È anche nota l'educazione eccezionale che le fu impartita: era in grado sia di leggere che scrivere i geroglifici egizi (abilità piuttosto rara per l'epoca). Mise le sue conoscenze a servizio della diplomazia, mantenendo una corrispondenza con gli altri sovrani del suo tempo[7].
La sua raffinatissima tomba, classificata come QV66, è tra le più grandi e spettacolari della Valle delle Regine[8][9]. Inoltre Ramesse costruì un tempio per lei nel complesso monumentale di Abu Simbel, il cosiddetto "Tempio minore"[10][11].
La tomba di Nefertari, Grande
sposa reale di Ramses II, situata nella Valle delle Regine, è una delle più
grandi mai costruite per una sovrana. Si distingue dal resto delle tombe della
XIX dinastia per la magnifica decorazione pittorica: contiene 5600 metri quadrati
di rappresentazione dei rituali magici necessari per raggiungere l’aldilà.
Le pitture della dimora eterna di
Nefertari costituiscono uno dei pochi tentativi di conferire volume ai volti
dei personaggi giocando con le sfumature cromatiche, in contrasto con la
generale tendenza dell’epoca a usare una tonalità uniforme. Scoperte nel 1904,
le pitture andarono incontro a un tale deterioramento che negli anni ottanta si
rese necessario un restauro.
Nefertari (anche Nefertari Meritmut) (Panopoli, 1295 a.C. – Abu Simbel, febbraio 1255 a.C.[2]) è stata una reginaegizia.
Fu "grande sposa reale" di Ramesse II detto il Grande, faraone della XIX dinastia[3]. È una delle regine meglio conosciute della storia egizia, nonché una delle più potenti, con un'influenza comparabile a quella di Ahmose Nefertari[4], Hatshepsut, Tiy[5], Nefertiti e Cleopatra VII, pur non avendo regnato in modo autonomo[6]. È anche nota l'educazione eccezionale che le fu impartita: era in grado sia di leggere che scrivere i geroglifici egizi (abilità piuttosto rara per l'epoca). Mise le sue conoscenze a servizio della diplomazia, mantenendo una corrispondenza con gli altri sovrani del suo tempo[7].
La sua raffinatissima tomba, classificata come QV66, è tra le più grandi e spettacolari della Valle delle Regine[8][9]. Inoltre Ramesse costruì un tempio per lei nel complesso monumentale di Abu Simbel, il cosiddetto "Tempio minore"[10][11].
Il suo nome, in geroglifici, è scritto:
L’USO DEI COLORI
Di solito i pittori tracciavano
il profilo delle figure in rosso, quindi apportavano le opportune correzioni in
nero e infine applicavano i pigmenti definitivi. La pittura egizia è sempre
stata piatta, lo spazio racchiuso dal disegno iniziale veniva dipinto con un
unico colore, senza usare sfumature (che avrebbero per esempio consentito di
mettere in risalto i tratti del viso). Il pennello era un semplice calamo, una
canna sottile simile a quella degli scribi, ma con la punta tagliata per
trattenere la tinta.
La tavolozza dei colori era molto
limitata. Se si esclude il nero, ottenuto dalla combustione parziale della
paglia di frumento, gli altri pigmenti erano di origine minerale. I blu e i
verdi erano minerali di rame carbonati, come l’azzurro o la malachite. I gialli
e i rossi si ottenevano dalle varie ocre, molto abbondanti nella regione di
Tebe; e i bianchi dal calcare, anche se la varietà più pura era l’huntite, un
carbonato di calcio e magnesio.
I pigmenti venivano sciolti in
acqua con un po’ di resina di acacia, che ne facilitava l’adesione alla superficie
dipinta; come fissatori si usavano l’albumina d’uovo e la cera. Si dipingeva su
pietra, stucco di gesso, papiro e legno. A causa del clima secco, gli egizi non
utilizzavano la pittura a fresco (che prevede di inumidire il supporto di gesso
per consentire ai pigmenti di penetrare più in profondità.
IL CANONE EGIZIO.
A partire dalla III dinastia
(2686-2613 a .C.)
gli egizi suddivisero la figura umana in diciotto quadrati, dalla pianta dei
piedi all’attaccatura dei capelli. Tale suddivisione è nota come canone egizio.
Durante l’epoca dell’eresia di Amarna, 1300 anni più tardi, il canone passò a
includere venti quadrati, che divennero poi ventuno nel Periodo tardo e in
quello tolemaico.
Nel corso della sua spedizione in
Egitto del 1842, l’egittologo tedesco Karl Richard Lepsius osservò a Saqqara
che già durante l’Antico regno i disegni delle tombe venivano realizzati su una
griglia sottostante. Fu il primo a studiare tale tecnica. Nelle
rappresentazioni dell’essere umano sia le gambe sia il volto veniva raffigurati
di lato, mentre il busto, le spalle e gli occhi frontalmente.
Alcuni artisti spiccavano per la
loro maestria. Le pitture incompiute sono quelle che meglio permettono di
apprezzare le diverse abilità tecniche dei realizzatori. Se gli artiginani meno
capaci utilizzavano la griglia, infatti, i più bravi eseguivano direttamente il
disegno iniziale e non apportavano più correzioni (gli storici dell’arte le
chiamano “pentimenti”). Una volta che il lavoro veniva completato non era più
possibile osservare con chiarezza come era stato realizzato perché o pentimenti
venivano coperti con degli strati di colore.
PICCOLI CAPOLAVORI.
Non sempre le opere migliori
della pittura egizia erano di grande formato. Oltre a eseguire prove dei loro
lavori principali (come d’altronde hanno sempre fatto gli artisti di tutte le
epoche) i pittori egizi realizzavano anche dei dipinti in formato ridotto, più
intimisti, che uscivano dagli schemi generali e che oggi consentono di
apprezzarne al meglio il talento. In genere gli artisti non potevano
permettersi di dipingere sui costosi papiri, che
erano monopolio dello stato. Quindi ricorrevano a materiali di scarto come gli
ostraka (frammenti di ceramica) o a delle piccole lamine di calcare. Se in
molti casi le immagini realizzate sugli ostraka erano semplici disegni, non
mancano esempi di autentici capolavori, variopinti e dai colori brillanti.
Uno degli esempi più famosi in
questo senso è la figura di una giovane danzatrice ritratta in posizione
acrobatica. Nonostante un certo convenzionalismo, colpisce la sicurezza del
tratto con cui è definito il corpo snello della ragazza e la grazia della
chioma di riccioli scuri (sebbene l’orecchino sembri sfidare le leggi di
gravità). Un’altra splendida testimonianza è quella di una donna dalla folta
capigliatura nera, rappresentata frontalmente – una prospettiva non abituale
per l’arte egizia – che sembra riposare accanto al suo liuto in una postura
suggestiva e insolita.
Akhenaton, talvolta anche Ekhnaton, Ikhnaton[1], Khuenaton o Khuniatonu[10][N 1], ma per i primi 5 anni di regno[4]Amenofi IV o Amenhotep IV (Tebe, 1375 a.C. circa – Akhetaton, 1334/1333 a.C. circa), è stato un faraone egiziodella XVIII dinastia. Regnò per 17 anni[11], morendo probabilmente intorno al 1334 a.C.
È celebre per aver abbandonato il tradizionale politeismo egizio a favore di una nuova religione di stampo enoteistico, monolatrico[12] (che mantenne, cioè, la credenza in più divinità pur adorandone una sola[13]) o pseudo-monoteistico[N 2], introdotta da lui stesso e basata sul culto del solo dio Aton, il disco solare[14]. La sua rivoluzione religiosa, duramente contrastata[15], si rivelò effimera. Pochi anni dopo la sua morte, i suoi monumenti furono occultati o abbattuti, le sue statue spezzate o riciclate e il suo nome cancellato dalle liste reali[16][17]. Le pratiche religiose tradizionali furono gradualmente restaurate e i sovrani che pochi decenni dopo fondarono una nuova dinastia, senza legami con la XVIII dinastia, screditarono Akhenaton e i suoi immediati successori (Neferneferuaton, Smenkhara,Tutankhamon e Ay), appellando lo stesso Akhenaton "il nemico di Akhetaton"[18] o "quel criminale"[19]. A causa di questa damnatio memoriae, Akhenaton fu completamente dimenticato fino alla scoperta, nel XIX secolo, del sito archeologico di Akhetaton (Orizzonte di Aton[20]), la nuova capitale che egli fondò e dedicò al culto di Aton, presso l'attuale Amarna. Gli scavi iniziati dall'archeologo inglese Flinders Petrie nel 1891, e terminati nel 1937, fecero nascere un grande interesse nei confronti di questo enigmatico faraone. Una mummia scoperta nel 1907 da Edward Ayrtonnella tomba KV55 della Valle dei Re potrebbe essere la sua[21]: recenti analisi del DNA hanno accertato che l'uomo scoperto nella KV55 era padre di re Tutankhamon[22], ma l'identificazione di tali resti con Akhenaton è assai dibattuta[5][23][24][25].
UN CAMBIO DI STILE
Il re Akhenaton e la moglie Nefertiti
sostituirono il culto della principale divinità egizia, Arnon, con quello di Aton,
il disco solare (Ra), in onore del quale fondarono una nuova capitale:
Akhetaton, l’attuale Amarna. Questa rivoluzione religiosa ebbe un impatto sulla
società a tutti i livelli, incluso quello artistico. A sorprendere non è tanto
il cambiamento di proporzioni nella figura umana, quanto il fatto che ad
apparire deformato sia lo stesso Akhenaton, rappresentato con un cranio oblungo
e stretto (una modifica che interessa anche la regina Nefertiti e le figlie) e
dei fianchi prominenti che gli davano un aspetto androgino. Oltre alla fama dei
suoi eccessi la sovrana lasciò ai posteri il suo splendido busto, oggi
conservato a Berlino i cui morbidi colori conferiscono un gran fascino al
volto.
Nel sito di Amarna gli archeologi
hanno scoperto alcune pitture del palazzo reale che permettono di osservare la
delicatezza dell’arte di quel periodo, come nella scena in cui le due giovani
principesse sembrano conversare animatamente tra tappeti e cuscini.
Un altro esempio di realismo è
visibile in varie porzioni di pavimento in gesso dipinto, nelle quali alcune
anatre svolazzano tra fiori di loto e papiro. Si tratta di composizioni piene
di vita, dai colori intensi ed estremamente luminose, come ci si potrebbe
aspettare da una cultura che adorava il sole.
« Gradevole a vedersi, bella come le Due Piume, signora di gioia, dispensatrice di grazia, che dona felicità a chi ode la sua voce. »
|
(Stele di confine di Akhenaton[3]) |
Nefertiti (per intero: Neferneferuaton Nefertiti) (ca. 1370 a.C. – Amarna, ca. 1330 a.C.?) è stata una regina egiziadella XVIII dinastia.
Grande sposa reale del faraone Akhenaton (1351 a.C. - 1334/3 a.C.[4]), affiancò il marito nella grande ma effimera rivoluzione religiosa che cercò di imporre il culto dell'unico dio Aton, il disco solare. Insieme, Akhenaton e Nefertiti furono responsabili della creazione di una nuova religione di stampo enoteistico che causò, per un ventennio, stravolgimenti all'interno della antica religione egizia e alcuni disordini politici. Il suo regno accanto ad Akhenaton ebbe inizio nel periodo di maggiore prosperità della storia egizia[5] (inauguratosi con Amenofi III, padre di Akhenaton[6]) per terminare in una momentanea disgregazione del Paese, con rivolte fomentate dal clero di Amon[7], e in un'imminente crisi dinastica[8]. Nessun'altra regina egizia appare saldamente legata al trono del marito quanto Nefertiti: le sue rappresentazioni al fianco di Akhenaton le conferirono onori fino ad allora ineguagliati[9], così come inedite furono le numerose scene di intimità e affettuosità della coppia reale giunte sino a oggi[9]. Alcuni egittologi ritengono che Nefertiti abbia regnato brevemente come Neferneferuaton dopo la morte di suo marito (ca. 1334 a.C.) e prima della ascesa al trono di Smenkhara e di Tutankhamon (ca. 1332 a.C.)[10]; comunque, l'identificazione di Neferneferuaton con Nefertiti è oggetto di un dibattito archeologico estremamente complesso[8][11][12].
BEN OLTRE LA PITTURA
Jean-Francois Champillon, lo
studioso francese che decifrò la scrittura egizia, affermava ce le pitture
tombali non erano altro che geroglifici colorati. Alcune immagini sembrerebbero
confermare quest’ipotesi, come nel caso delle decorazioni funerarie del visir
Ramose.
Nelletombe venivano deposito
offerte di cibo, bevande, unguenti e vestiti che permettevano all’essenza
vitale del defunto di sopravvivere all’aldilà. Il ka veniva rappresentato
tramite un geroglifico che in questa tomba è formato dai profili di varie
figure umane: le prefiche, ovvero le donne chi si affliggono per la more del
defunto. Se il pittore ha collocato la maggior pare delle donne rivolte verso
sinistra, ne ha disegnate anche tre orientate in senso contrario: in questo
modo l’intrecciarsi delle braccia compone il geroglifico ka. È una maniera
indiretta per indicare che quanto viene indicato nella tomba è destinato al ka
di Ramose.
In altri casi la pittura descrive
alcuni aspetti della vita degli antichi egizi. Nella tomba del funzionario
Nakht, per esempio, la scena di un banchetto illustra la complicità tra due
delle invitate, una delle quali offre un frutto di mandragora alla vicina.
Questa. Per non rifiutare, nasconde il
pomo che a sua volta ha in mano, mentre con gesto affettuoso accetta quello che
le viene offerto dall’amica.
Articolo in gran parte di Maite
Mascort Egittologa pubblicato su Storica National Geografic del mese di maggio
2018 altri testi e immagini da wikipedia.
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