SANGUE CRISTIANO AL COLOSSEO.
Per gli storici non c’erano
prove che i martiri fossero mandati a morte nell’Anfiteatro Flavio. Fino a
quando….
Il graffito rivelatore. Il graffito del
II secolo a.C. scoperto di recente nel Colosseo in una galleria di servizio tra
il II e il III ordine di gradinate. Vi si vede una piccola croce latina in
rosso, posta tra due grandi lettere T e S collegate da una linea. Secondo gli
ultimi studi le lettere stanno per taurus (toro) e il graffito rappresenta un
messaggio di compassione per un cristiano destinato ad essere travolto dai
tori. Questa sarebbe la prova che anche all’Anfiteatro Flavio furono
martirizzati i cristiani.
“Se il Tevere supera gli argini, se il Nilo
non si riversa nei campi, se dal cielo non scende la pioggia, se si verifica un
terremoto, se ci sono carestia o pestilenza, subito si grida: i cristiani al
leone”. Parole taglienti quelle scritte dal teologo romano Tertulliano
(II-III secolo), che lamentava la facilità con cui nei territori dell’Impero
romano, si tendeva a incriminare i cristiani di ogni sorta di disgrazia. Tra le
pene inflitte a loro, la più feroce era la condanna ad bestias spettacolo sanguinario di cui anche il Colosseo fu
teatro. Eppure, il fatto che anche la più celebre arena al mondo sia stata
luogo di martirio cristiano (tanto da essere consacrata dalla Chiesa ai “santi
martiri”, è stato a lungo messa in dubbio dagli storici.
MANCANZA DI PROVE. “Alcuni autori continuano a sostenere che i
cristiani subirono il martirio in ambienti diversi da quello del Colosseo, su
tutti il Circo Massimo e quello di Nerone, ma le cose stanno diversamente”
spiega Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa Pontificia Università
Lateranense di Roma. A indurre in errore molti storici, pronti ad attribuire la
teoria del martirio nel Colosseo a una sorta di “propaganda” cristiana, è stata
essenzialmente la carenza di fonti al riguardo. “Le attestazioni riguardanti il martirio dei cristiani sono piuttosto
limitate, anche perché al tempo delle persecuzioni non venne mai redatta alcuna
documentazione in merito. Inoltre i cristiani non venivano condannati a gruppi
‘omogenei’ bensì in modo anonimo all’interno di più ampi nuclei di prigionieri:
per i tribunali risultavano una massa di sconosciuti” spiega l’esperto. E
se è accertato che molti cristiani furono giustiziati negli anfiteatri (edifici
che più di altre strutture potevano garantire nel caso di condanne ad bestias, una maggiore sicurezza per
il pubblico), perché non credere che tali supplizi si svolgessero anche
nell’anfiteatro Flavio? Dopo l’accumularsi di tanti indizi, è oggi giunta una
prova concreta per rispondere a tale domanda.
CROCE DI SANGUE. Che il Colosseo, simbolo
universale della romanità antica, sia stato anche un teatro degli orrori è cosa
nota: in oltre 400 anni di attività sono state centinaia di migliaia le vite
sacrificate in spettacoli truculenti. A suggerire che tra il sangue versato
nell’arena vi fosse anche quello cristiano è un piccolo dettaglio emerso nel
corso degli interventi di restauro avviati nel 2012. Durante la pulitura di
alcune pareti interne sono riaffiorate porzioni di intonaco dipinto rimaste
nascoste sino ad allora da secoli di incrostazioni. Tra queste vi è un gran
numero di graffiti risalenti a varie epoche, uno dei quali, datato al III
secolo d.C. riporta il simbolo “rosso sangue” di una piccola croce latina. La
scoperta è avvenuta in una galleria di servizio posta tra il secondo e il terzo
livello delle gradinate, luogo storicamente destinato alla massa popolare
poiché portava ai piani alti dell’anfiteatro, i meno prestigiosi. “Non è certo un luogo adatto ad un simbolo
sacro, si tratta infatti di un ambiente anonimo, poco illuminato, che conduceva
fra l’altra agli orinatoi. È quindi da escludere che tale croce sia stata
dipinta per supportare le preghiere dei fedeli, i quali avevano in genere la
possibilità di pregare altrove nei pressi dell’arena”. Riprende il
professor Guiducci, che per primo ha individuato il valore celato del graffito,
interpretandone il possibile significato.
La croce ritrovata, presenta
inoltre una particolarità: : non è “isolata” ma raffigurata tra due grandi
lettere dello stesso colore una T e una S collegate fra loro da una sottile
linea. “La croce sembra avere in questo caso un specifico significato connesso
a tali due lettere, come se fosse una risposta aggiunta a chi a chi le aveva in
precedenza dipinte. Nessun fedele disegnava quindi una croce per puro
passatempo, senza una precisa motivazione”, puntualizza Guiducci, ma che
cosa indicherebbe quella scritta?
L’identità
cattolica del Colosseo.
Ritratto di Papa Benedetto XIV
Il ricordo del martirio
cristiano al Colosseo è sempre stato vivo nella memoria della Chiesa, tanto
che tra il 1490 e il 1539 ,
VIA CRUCIS. A salvare dalle
spoliazioni il simbolo della Roma antica fu proprio l’eco del “presunto”
martirio cristiano: nel 1749
Benedetto XIV dedicò infatti il Colosseo “alla passione di Cristo e ai
martiri cristiani”, disponendo la costruzione delle 14 stazioni della Via
Crucis e facendo erigere una grande croce al centro dell’arena. La prima via
crucis si tenne nell’anno giubilare 1750.
La tradizione fu poi interrotta con l’Unità d’Italia per tornare
definitivamente in auge con il pontefice Paolo VI.
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La damnatio ad bestias prevedeva che il condannato, a volte legato,
fosse lasciato in balia delle fiere.
Leopardo che divora un criminale nell'arena. Mosaico pavimentale, particolare (III secolo d.C.). Museo archeologico di Susa, Tunisia
Taurus, taurus, taurus! Dopo aver
vagliato varie ipotesi, lo storico ha ipotizzato che le due lettere siano la
prima e l’ultima della parola Taurus, toro, un animale molto presente negli
anfiteatri dell’epoca. Oltre che nelle venationes
(gli spettacoli di caccia) era spesso usato proprio nella damnatio ad bestias, tra le pene
capitali più cruente e scenografiche previste dal diritto penale romane. “La
T e la S
sono state disegnate da qualcuno che ha evidentemente voluto riferirsi alla
forza distruttrice del toro. Se si accetta tale lettura, le due lettere
esprimerebbero allora in modo sintetico l’esclamazione taurus, taurus, taurus,
urlata dagli spettatori – specie da quelli che sedevano sulle gradinate più
alte – che attendevano l’entrata di un toro nell’arena” prosegue Guiducci.
Annoverata tra le “summa supplicia”
(insieme alla crocefissione, la cremazione, i lavori forzati e l’esilio),
la condanna alle belve era riservata alle persone di rango sociale inferiore
(per esempio quelle prive di cittadinanza) e prevedeva che il condannato si
trovasse inerme – a volte con le mani legate dietro la schiena – faccia a
faccia con animali inferociti. Questi supplizi si trasformarono a volte in veri
spettacoli teatrali, con il damnatus
costretto a interpretare un personaggio della mitologia. Il poeta Marziale (I
secolo d.C) racconta per esempio della messa a morte di una donna al Colosseo
in cui la poverina dovette vestire i panni di Pasifae, la regina di Creta, che unitasi a un
toro diede alla luce il Minotauro. “Il
riferimento al toro assume ulteriore valore se si considera il fatto che a Roma
era diffuso il culto di Mitra, divinità spesso raffigurata che si batte proprio
contro questo animale”, aggiunge l’esperto.
Il mitraismo, popolare
soprattutto tra i bassi ranghi dell’esercito, raggiunse nell’Urbe la sua
massima espansione nel III secolo, proprio il periodo in cui risale il
graffito. In conclusione, la croce disegnata tra le due lettere rappresenta con
ogni probabilità un messaggio di compassione dedicato a un ignoto martire
cristiano, condannato appunto ad essere travolto da una carica di un toro.
SECONDA VITA. La “croce di sangue”
non è peraltro l’unico simbolo cristiano presente nell’anfiteatro. È nota da
tempo la presenza di altre croci (per un totale di 13) incise negli ambienti
interni prossimi all’arena, quindi ai piani bassi.
Queste sono state datate al
periodo medievale e sono opera di coloro che, nel corso del tempo, hanno
occupato l’edificio dopo che questo cadde in disuso (l’ultimo spettacolo risale
al 523 d.C.). Perdute le sue originarie
funzioni, l’anfiteatro entrò in una fase di abbandono fino al IX secolo, quando
iniziò una nuova vita. Grazie al riuso degli ambienti che si aprivano
sull’arena, sorsero botteghe, residenze e ricoveri, il tutto gestito da una
vicina chiesa (Santa Maria Nova). E le croce realizzate in questi anni avevano
un fine puramente devozionale, essendo figlie di un periodo ben diverso da
quello in cui i cristiani, anche al Colosseo, vedevano finire i loro giorni tra
le fauci delle belve.
articolo in gran parte di Federica Campanelli pubblicato su Focus Storia n. 138. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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