mercoledì 27 giugno 2018

Sangue cristiano al Colosseo

SANGUE CRISTIANO AL COLOSSEO.


Per gli storici non c’erano prove che i martiri fossero mandati a morte nell’Anfiteatro Flavio. Fino a quando….


Il graffito rivelatore. Il graffito del II secolo a.C. scoperto di recente nel Colosseo in una galleria di servizio tra il II e il III ordine di gradinate. Vi si vede una piccola croce latina in rosso, posta tra due grandi lettere T e S collegate da una linea. Secondo gli ultimi studi le lettere stanno per taurus (toro) e il graffito rappresenta un messaggio di compassione per un cristiano destinato ad essere travolto dai tori. Questa sarebbe la prova che anche all’Anfiteatro Flavio furono martirizzati i cristiani.

Se il Tevere supera gli argini, se il Nilo non si riversa nei campi, se dal cielo non scende la pioggia, se si verifica un terremoto, se ci sono carestia o pestilenza, subito si grida: i cristiani al leone”. Parole taglienti quelle scritte dal teologo romano Tertulliano (II-III secolo), che lamentava la facilità con cui nei territori dell’Impero romano, si tendeva a incriminare i cristiani di ogni sorta di disgrazia. Tra le pene inflitte a loro, la più feroce era la condanna ad bestias spettacolo sanguinario di cui anche il Colosseo fu teatro. Eppure, il fatto che anche la più celebre arena al mondo sia stata luogo di martirio cristiano (tanto da essere consacrata dalla Chiesa ai “santi martiri”, è stato a lungo messa in dubbio dagli storici.

MANCANZA DI PROVE. “Alcuni autori continuano a sostenere che i cristiani subirono il martirio in ambienti diversi da quello del Colosseo, su tutti il Circo Massimo e quello di Nerone, ma le cose stanno diversamente” spiega Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa Pontificia Università Lateranense di Roma. A indurre in errore molti storici, pronti ad attribuire la teoria del martirio nel Colosseo a una sorta di “propaganda” cristiana, è stata essenzialmente la carenza di fonti al riguardo. “Le attestazioni riguardanti il martirio dei cristiani sono piuttosto limitate, anche perché al tempo delle persecuzioni non venne mai redatta alcuna documentazione in merito. Inoltre i cristiani non venivano condannati a gruppi ‘omogenei’ bensì in modo anonimo all’interno di più ampi nuclei di prigionieri: per i tribunali risultavano una massa di sconosciuti” spiega l’esperto. E se è accertato che molti cristiani furono giustiziati negli anfiteatri (edifici che più di altre strutture potevano garantire nel caso di condanne ad bestias, una maggiore sicurezza per il pubblico), perché non credere che tali supplizi si svolgessero anche nell’anfiteatro Flavio? Dopo l’accumularsi di tanti indizi, è oggi giunta una prova concreta per rispondere a tale domanda.

 CROCE DI SANGUE. Che il Colosseo, simbolo universale della romanità antica, sia stato anche un teatro degli orrori è cosa nota: in oltre 400 anni di attività sono state centinaia di migliaia le vite sacrificate in spettacoli truculenti. A suggerire che tra il sangue versato nell’arena vi fosse anche quello cristiano è un piccolo dettaglio emerso nel corso degli interventi di restauro avviati nel 2012. Durante la pulitura di alcune pareti interne sono riaffiorate porzioni di intonaco dipinto rimaste nascoste sino ad allora da secoli di incrostazioni. Tra queste vi è un gran numero di graffiti risalenti a varie epoche, uno dei quali, datato al III secolo d.C. riporta il simbolo “rosso sangue” di una piccola croce latina. La scoperta è avvenuta in una galleria di servizio posta tra il secondo e il terzo livello delle gradinate, luogo storicamente destinato alla massa popolare poiché portava ai piani alti dell’anfiteatro, i meno prestigiosi. “Non è certo un luogo adatto ad un simbolo sacro, si tratta infatti di un ambiente anonimo, poco illuminato, che conduceva fra l’altra agli orinatoi. È quindi da escludere che tale croce sia stata dipinta per supportare le preghiere dei fedeli, i quali avevano in genere la possibilità di pregare altrove nei pressi dell’arena”. Riprende il professor Guiducci, che per primo ha individuato il valore celato del graffito, interpretandone il possibile significato.
La croce ritrovata, presenta inoltre una particolarità: : non è “isolata” ma raffigurata tra due grandi lettere dello stesso colore una T e una S collegate fra loro da una sottile linea.  “La croce sembra avere in questo caso un specifico significato connesso a tali due lettere, come se fosse una risposta aggiunta a chi a chi le aveva in precedenza dipinte. Nessun fedele disegnava quindi una croce per puro passatempo, senza una precisa motivazione”, puntualizza Guiducci, ma che cosa indicherebbe quella scritta?

L’identità cattolica del Colosseo.


Ritratto di Papa Benedetto XIV
Il ricordo del martirio cristiano al Colosseo è sempre stato vivo nella memoria della Chiesa, tanto che tra il 1490 e il 1539 , la Confraternita religiosa del Gonfalone vi organizzò delle sacre rappresentazioni. L’edificio era allora una specie di “multiproprietà” spartita tra Senato romano e autorità ecclesiastiche. In particolare i papi sfruttarono l’anfiteatro come cava da cui estrarre materiale da costruzione (nel solo 1451 partirono dal Colosseo 2522 carri di pietre).

VIA CRUCIS. A salvare dalle spoliazioni il simbolo della Roma antica fu proprio l’eco del “presunto” martirio cristiano: nel 1749 Benedetto XIV dedicò infatti il Colosseo “alla passione di Cristo e ai martiri cristiani”, disponendo la costruzione delle 14 stazioni della Via Crucis e facendo erigere una grande croce al centro dell’arena. La prima via crucis si tenne nell’anno giubilare 1750.
La tradizione fu poi interrotta con l’Unità d’Italia per tornare definitivamente in auge con il pontefice Paolo VI.

La damnatio ad bestias prevedeva che il condannato, a volte legato, fosse lasciato in balia delle fiere.

 
 Leopardo che divora un criminale nell'arena. Mosaico pavimentale, particolare (III secolo d.C.). Museo archeologico di Susa, Tunisia


Taurus, taurus, taurus! Dopo aver vagliato varie ipotesi, lo storico ha ipotizzato che le due lettere siano la prima e l’ultima della parola Taurus, toro, un animale molto presente negli anfiteatri dell’epoca. Oltre che nelle venationes (gli spettacoli di caccia) era spesso usato proprio nella damnatio ad bestias, tra le pene capitali più cruente e scenografiche previste dal diritto penale romane. La T e la S sono state disegnate da qualcuno che ha evidentemente voluto riferirsi alla forza distruttrice del toro. Se si accetta tale lettura, le due lettere esprimerebbero allora in modo sintetico l’esclamazione taurus, taurus, taurus, urlata dagli spettatori – specie da quelli che sedevano sulle gradinate più alte – che attendevano l’entrata di un toro nell’arena” prosegue Guiducci. Annoverata tra le “summa supplicia” (insieme alla crocefissione, la cremazione, i lavori forzati e l’esilio), la condanna alle belve era riservata alle persone di rango sociale inferiore (per esempio quelle prive di cittadinanza) e prevedeva che il condannato si trovasse inerme – a volte con le mani legate dietro la schiena – faccia a faccia con animali inferociti. Questi supplizi si trasformarono a volte in veri spettacoli teatrali, con il damnatus costretto a interpretare un personaggio della mitologia. Il poeta Marziale (I secolo d.C) racconta per esempio della messa a morte di una donna al Colosseo in cui la poverina dovette vestire i panni di Pasifae, la regina di Creta, che unitasi a un toro diede alla luce il Minotauro. “Il riferimento al toro assume ulteriore valore se si considera il fatto che a Roma era diffuso il culto di Mitra, divinità spesso raffigurata che si batte proprio contro questo animale”, aggiunge l’esperto.
Il mitraismo, popolare soprattutto tra i bassi ranghi dell’esercito, raggiunse nell’Urbe la sua massima espansione nel III secolo, proprio il periodo in cui risale il graffito. In conclusione, la croce disegnata tra le due lettere rappresenta con ogni probabilità un messaggio di compassione dedicato a un ignoto martire cristiano, condannato appunto ad essere travolto da una carica di un toro.
                                                         
                                                                
                                               
                                    Ricostruzione di un tempio mitraico al Museumpark Orientalis di Nijmege


SECONDA VITA. La “croce di sangue” non è peraltro l’unico simbolo cristiano presente nell’anfiteatro. È nota da tempo la presenza di altre croci (per un totale di 13) incise negli ambienti interni prossimi all’arena, quindi ai piani bassi.
Queste sono state datate al periodo medievale e sono opera di coloro che, nel corso del tempo, hanno occupato l’edificio dopo che questo cadde in disuso (l’ultimo spettacolo risale al 523 d.C.).  Perdute le sue originarie funzioni, l’anfiteatro entrò in una fase di abbandono fino al IX secolo, quando iniziò una nuova vita. Grazie al riuso degli ambienti che si aprivano sull’arena, sorsero botteghe, residenze e ricoveri, il tutto gestito da una vicina chiesa (Santa Maria Nova). E le croce realizzate in questi anni avevano un fine puramente devozionale, essendo figlie di un periodo ben diverso da quello in cui i cristiani, anche al Colosseo, vedevano finire i loro giorni tra le fauci delle belve.  




articolo in gran parte di Federica Campanelli pubblicato su Focus Storia n. 138. Altri testi e immagini da Wikipedia.

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