venerdì 30 novembre 2018

Gli uomini che non dimenticavano di “Osare Sempre”.

Gli uomini che non dimenticavano di “Osare Sempre”.
L’unità speciale della Regia Marina Italiana ha legato il suo nome a numerose azioni belliche. Ecco quali mezzi utilizzarono e chi furono i protagonisti di queste missioni.

Marina Militare - TG1 Storia Puntata dedicata all'impresa di Alessandria



In una notte di dicembre del 1941, un pugno di uomini super addestrati appartenenti a un corpo speciale della Marina italiana arrecarono un colpo durissimo alla flotta inglese, allora la più potente  del mondo. In una sola missione danneggiarono in modo consistente due corrazzate, un cacciatorpediniere e una petroliera: un bilancio degno di una battaglia navale e superiore a qualsiasi altro ottenuto dalla Regia Marina nel corso delle guerra. Churchill in persona riconobbe la gravità dello smacco subito, che aveva rovesciato di colpo i rapporti di forza nel Mediterraneo a favore dell’Italia. Passata alla storia come l’impresa di Alessandria, dal nome del porto egiziano ove ebbe luogo, quella missione fu condotta da un pugno di operatori della X Mas, comandata dal capitano di corvetta Junio Valerio Borghese. Imbarcati su un sottomarino, lo Sciré, sei di quegli uomini erano scivolati, silenziosi e invisibili, nelle acque del porto a bordo di tre siluri a lenta corsa (SLC), noti come “maiali”, fino a collocare cariche esplosive su alcune delle navi ormeggiate: le corazzate Valiant e Queen Elizabeth e la petroliera Sagona. Intorno alle 6 della mattina del 19 dicembre gli ordigni erano esplosi, rendendo inservibili le navi minate e anche il cacciatorpediniere HMS Jervis, ormeggiato a fianco della Sagona. I disastrosi effetti di quella missione rimasero ignoti per lungo tempo, anche perché gli inglesi approfittarono del basso fondale per farle sembrare intatte ai ricognitori aerei italiani. Inoltre tutti i sei uomini imbarcati sugli SLC erano stati catturati dal nemico, che li avrebbe trattenuti fino alla fine della guerra, peraltro facendoli oggetto della propria ammirazione per l’impresa compiuta. Basti dire che alcuni di loro, il tenente di vascello Luigi Durand de la Penne e il 2° capo palombaro Emilio Bianchi, furono catturati e portati a bordo della stessa nave che avevano minato, la Valiant, ma nonostante questo si rifiutarono di rivelare dove avevano collocato le cariche esplosive, nonostante il rischio di saltare in aria insieme all’imbarcazione.


La HMS Queen Elizabethcircondata da reti parasiluri nel porto di Alessandria prima dell'attacco.


PRIMI SUCCESSI. L’impresa di Alessandria è la più celebre e la meglio riuscita fra le tante tentate dalle flottiglie Mas nella Seconda guerra mondiale, però, furono messi a segno colpi formidabili ai danni della Marina asburgica questa volta con i motoscafi. Fu infatti durante la Grande Guerra che il cantiere veneziano SVAN fornì agli incursori della Regia Marina la prima motobarca armata SVAN, la cui sigla sarebbe poi stata fatta coincidere da D’Annunzio con il più aulico motto “memento audere semper”. Il concetto di tali imbarcazioni era tanto semplice quanto efficace: si trattava di un banale motoscafo, ma armato di mitragliatrici, un cannoncino e bombe antisommergibile. Un mezzo economico, facile da usare, piccolo e veloce, capace di arrecare danni seri ai navigli nemici e difficile da colpire. L’ammiraglio Paolo Thaon di Revek ed il capitano di vascello Costanzo Ciano intuirono presto che le potenzialità di questa barca armata andavano oltre gli scopi difensivi per cui era stata concepita: a bordo dei MAS, uomini debitamente addestrati potevano andare ad attaccare le navi austriache della flotta adriatica quando meno se lo aspettavano, cioè nei porti dov’erano ormeggiate. Fu Ciano a dotare i MAS di siluri: grazie a questo armamento, nel 1918, il capitano di corvetta Luigi Rizzo affondò al primo colpo la corazzata Szent Istvan al largo di Premuda. Negli ultimi giorni di guerra si tentarono con successo altre missioni da svolgere seguendo nuovi piani. Introducendosi di nascosto nei porti nemici, i MAS potevano sbarcare alcuni assaltatori addestrati per nuotare in superficie su lunghe distanze, al freddo e al buio, e muniti di cariche esplosive da attaccare, tramite magneti, alla chiglia delle navi. Lo stesso obiettivo poteva essere raggiunto con incursori preparati a operazioni subacquee, sbarcati da un sottomarino nei pressi del bersaglio. Dal canto suo, il capitano del genio navale Raffaele Rossetti mise a punto la “mignatta”, un siluro in grado di navigare e di essere guidato a pelo d’acqua: in questo caso la carica esplosiva poteva essere trasportata dallo stesso mezzo, sulla prua. Rossetti in persona, insieme al medico militare Raffaele Paolucci, sperimentò con successo la sua invenzione, affondando nel porto di Pola la corazzata Viribus Unitis e il piroscafo Wien. Anni dopo, nel 1935, gli ufficiali Teseo Tesei e Elios Toschi svilupparono l’idea della “mignatta” per realizzare un mini sommergibile a propulsione elettrica con due soli uomini di equipaggio. Era nato l’SLC il siluro a lenta corsa, destinato come si è visto a imprese gloriose, ma anche a drammatici fallimenti. Questi innovativi mezzi d’assalto erano in dotazione di un’apposita formazione della Marina, la Flottiglia MAS. L’anno seguente, l’ammiraglio Aimone di Savoia-Aosta aggiunse alla flotta i motoscafi da turismo modificati (MTM), in grado di trasportare fino a 3 quintali di esplosivi. In questo caso, il mezzo veniva spezzato in due da piccole cariche esplosive e, una volta affondato a pochi medi di profondità, innescava la carica principale, così da squarciare irrimediabilmente la carena della nave presa di mira.  



Ogame - Video ufficiale "Decima Flottiglia MAS" [X MAS]

Missioni svolte nella prima guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

La Szent István affonda dopo essere stata silurata dal MAS del comandante Rizzo
Le tonnellate sotto specificate sono tonnellate di stazza, quindi unità di volume, e non di peso.
  • Durazzo, 7 giugno 1916: - 2 MAS - Berardinelli, Pagano - affondamento piroscafo Lokrum (1.000 t)
  • San Giovanni di Medua, 16 giugno 1916: - 2 MAS - Berardinelli, Pagano - incursione nel porto che risultò privo di navi
  • Durazzo, 26 giugno 1916: 2 MAS - Berardinelli, Pagano - affondamento piroscafo Sarajevo (1.100 t)
  • Canale di Fasana, 2 novembre 1916: MAS 20 - Goiran - vengono lanciati due siluri, che però non superano le reti di protezione della nave presa come bersaglio
  • Trieste, Vallone di Muggia, 9-10 dicembre 1917: MAS 9 e 13 - Luigi Rizzo, Andrea Ferrarini - affondata corazzata Wien (5.600 t)
    • MAS 13: Ferrarini, Origoni, Volpi, Salvemini, Cassisa, Cabella, Dagnino, Piccirillo, Pessina
    • MAS 9: Rizzo, Battaglini, Martini, Foggi, Mazzella, Orsi, Poltri, Camini, Sansolini
  • Beffa di Buccari, febbraio 1918: MAS 94, 95, 96 - Gabriele D'AnnunzioCostanzo Ciano, Luigi Rizzo - azione dimostrativa di forzamento del porto
  • Durazzo, giugno 1918: 2 MAS - Pagano, Azzi - affondato il piroscafo Bregenz (3.900 t)
  • Pola, 13-14 maggio 1918: MAS 95 e 96, 1 barchino saltatore - Ciano, Berardinelli, Pellegrini - superate quattro delle cinque ostruzioni con perdita del barchino e del suo equipaggio
  • Impresa di Premuda, 10 giugno 1918: MAS 15 e 21 - Luigi Rizzo, Giuseppe Aonzo (MAS 21), Armando Gori (MAS 15) - affondata corazzata Szent István (Santo Stefano)
  • Impresa di Pola, 31 ottobre-1º novembre 1918: Raffaele RossettiRaffaele Paolucci - forzatura del porto a nuoto con una torpedine semovente e affondamento della corazzata Viribus Unitis (20.000 t) e il vicino piroscafo Wien (7.400 t)
     

Borghese ultimo capitano di ventura. 
Junio Valerio Borghese anni 40.jpg

Un’intera carriera militare trascorsa nel corpo di cui divenne comandante nel periodo più difficile della Seconda Guerra Mondiale. Molto si è discusso e ancora oggi si discute sulla figura di Junior Valerio Borghese, ma su un punto adulatori e detrattori concordano: il suo carisma, la forte personalità, una capacità quasi magnetica di attirare a sé volontari e di convincerli a compiere missioni quasi impossibili. E poi a combattere una guerra ormai persa. Queste doti contribuiscono a definirlo, più che un semplice comandante di un corpo speciale, quasi un condottiero, pronto a tutto pur di salvare l’unica cosa che era rimasta a quanti lo seguirono per mare e in terra dopo l’8 settembre: l’onore, “Al comunicato di Badoglio piansi. Questa nostra disgraziata nazione non aveva più amici, non aveva più alleati, non aveva più l’onore”, ricordò in seguito. Discendente di una nobile famiglia romana, Borghese entrò in Marina e allo scoppio della guerra, appena 34enne, era già comandante di sommergibili. Una pericolosa missione compiuta nell’autunno del 1940 gli valse la medaglia d’oro al valore militare per l’atto di eroismo così riassunto nella motivazione: “Incaricato di riportare nelle immediate vicinanze di una munitissima base navale nemica alcuni volontari, dopo aver superato con il più assoluto sprezzo del pericolo gli ostacoli posti dall’uomo e dalla natura, riusciva ad assolvere il compito affidatogli”. L’armistizio fu un duro colpo ai suoi valori, quali dignità e lealtà. Dopo aver raccolto intorno a sé migliaia di volontari, proseguì la guerra contro gli Alleati, contando sull’appoggio dei tedeschi più che su quello della Repubblica Sociale. Alla fine del conflitto si lasciò arrestare dal CLN a Milano, ma scampò alla fucilazione per intercessione degli americani. Imprigionato e processato, nel dopoguerra entrò nel Movimento Sociale e ne divenne presidente onorario. Le ombre di un colpo di Stato da lui tentato si allungano sugli ultimi anni della sua vita, conclusasi nel 1974 nella Spagna franchista, dov’era riparato.

Tra le due guerre mondiali: la 1ª Flottiglia MAS[modifica | modifica wikitesto]

I componenti della 1ª Flottiglia MAS nel 1939.
Da sinistra a destra sottotenente di vascello Luigi Durand de la Penne(medaglia d'oro), capitano (GNTeseo Tesei (medaglia d'oro), capitano Bruno Falcomatà (medaglia d'oro), capitano di fregata Paolo Aloisi (medaglia d'argento), tenente (GN) Gian Gastone Bertozzi (medaglia d'argento), tenente di vascello Gino Birindelli (medaglia d'oro), capitano (ANGustavo Maria Stefaniniguardiamarina Giulio Centurione.
Negli anni dopo la fine della prima guerra mondiale la Marina non dedicò molta attenzione ai motoscafi d'assalto, data l'ormai affermata potenza italiana in ambito marittimo e visti i pacifici rapporti esistenti con Gran Bretagna e Francia, i principali "avversari" presenti nel Mediterraneo[22]. L'inizio del grande sviluppo dell'incursione subacquea risale però al 1935, quando la guerra d'Etiopia sconvolse gli equilibri politici fino a quel momento esistenti. La Royal Navy, che rappresentava la più potente forza navale dell'epoca, in quel periodo era fortemente presente nel Mar Mediterraneo e per contrastarla fu costituita la 1ª Flottiglia MAS, comandata dal capitano di fregata Paolo Aloisi e incaricata di organizzare i mezzi d'assalto della Marina, cosa che ebbe inizio verso la fine dell'aprile 1939 in una tenuta della famiglia Salviati situata nei dintorni della foce del fiume Serchio[23]. Inoltre nel 1936 vennero realizzati i primi esemplari di barchini progettati da Aimone di Savoia-Aosta[24], comandante di GeneralMAS, dalla quale dipendevano sia la 1ª Flottiglia MAS sia le motosiluranti.
Inoltre, i due ufficiali Teseo Tesei ed Elios Toschi progettarono un nuovo mezzo di incursione subacquea, partendo dalle versioni rinnovate dei MAS e dei siluri. Nacque così l'SLC (siluro a lenta corsa):[25] siluri elettrici in grado di trasportare due uomini oltre alla testa esplosiva sganciabile, che veniva fissata dai due operatori alla chiglia della nave nemica.
Questo mezzo è meglio noto con il nomignolo di maiale: l'origine del soprannome è incerta e da una parte vi è la forma goffa del mezzo, dall'altra il fatto che erano mezzi lenti e poco agili. I maialierano portati sul luogo delle operazioni, generalmente nelle vicinanze di un porto nemico, per mezzo di sommergibili trasportatori, modificati per ospitare alcune di queste unità sul ponte. Inizialmente non era previsto l'utilizzo dei cassoni stagni contenitori dei mezzi d'assalto, ma solo delle staffe di ancoraggio al sommergibile stesso, questo però comportava un'immersione massima per il sommergibile trasportatore di soli 30 metri, quota massima operativa sperimentata per gli SLC. Per ovviare a questa limitazione, che tra l'altro rendeva il sommergibile più facilmente visibile da parte del nemico, si decise di montare sul ponte del sommergibile dei cassoni stagni di forma cilindrica, costruiti nei cantieri OTO Melara di La Spezia.
Oltre ai MAS e SLC vennero sviluppati anche gli MTM (Motoscafi da Turismo Modificati): i barchini esplosivi.
La ricerca venne interrotta con la fine della guerra d'Etiopia, per riprendere solo alla fine del 1938. Il 28 ottobre 1938 l'Ufficio piani e operazione della Marina propone la costituzione della "1ª Flottiglia MAS", con sede a Spezia. L'unità viene costituita il 23 aprile 1939 con comandante il capitano di fregata Aloisi [26]
Alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale la Marina decise di riprendere gli studi per l'impiego operativo del maiale e dei barchini. L'attività della flottiglia inizialmente fu tesa alla sperimentazione in segreto delle nuove armi della Marina; diventò quindi un'unità speciale, ad attività riservata.

Fronte tirrenico - Un'azione dei reparti antiparacadutisti della X MAS.



DAL MAR NERO ALL’ATLANTICO. Allo scoppio del Secondo conflitto mondiale l’Italia era l’unica a poter contare su questi assaltatori. A essi si erano aggiunti gli uomini “Gamma”, ovvero guastatori subacquei, selezionati e addestrati a camminare sul fondo marino con l’attrezzatura di un palombaro per collocare ordigni sotto le navi nemiche alla fonda.
Dopo l’entrata in guerra del nostro Paese, le Flottiglie della MAS (tre, poi divenute sei) compirono alcune delle imprese più ardite e meglio riuscite dell’intero conflitto, in particolare quella che assunse il nome di Xa Flottiglia MAS, dalle legione prediletta di Giulio Cesare, la Decima appunto. Dopo due tentativi falliti di forzare il porto di Alessandria e altri due in quello di Gibilterra, il 26 marzo 1941 questa Flottiglia mise a segno un colpo formidabile nella baia di Suda, a Creta, dove 6 MTM affondarono l’incrociatore pesante inglese York e danneggiarono la petroliera Pericles. A nulla valsero le tante protezioni, come mine, reti, posti di osservazione e altri sbarramenti posti dagli inglesi a salvaguardia della flotta ferma nella baia.
Ben altra sorte ebbe invece il tentativo effettuato il 26 luglio di forzare il porto della Valletta, a Malta, con numerose imbarcazioni fra cui 9 MTM, 2 SLC e 2 MAS. La miniflottiglia agli ordini del capitano Borghese incappò in un munito fuoco degli inglesi, allertati perché in grado di decodificare i messaggi cifrati della Marina tedesca  e dotati di radar. L’attacco si risolse così in un disastro: la Flottiglia perse in un colpo solo 36 uomini tra morti (16) e prigionieri, oltre ai MAS agli SLC e a quasi tutti gli MTM.  Pochi mesi dopo, un primo riscatto fu colto in quello che fino ad allora era sembrato un obiettivo imprendibile, ovvero Gibilterra. Il 20 settembre, 3 SLC colpirono altrettante petrolieri e tutti gli uomini della missione rientrarono incolumi. Seguì, in dicembre, l’eccezionale colpo messo a segno ad Alessandria d’Egitto, come già descritto all’inizio. Persino Gibilterra fu forzata, il 12 luglio del 1942, quando 12 uomini “Gamma” attaccarono il naviglio in rada, colpendo 4 piroscafi.  Un altro fallimento segnò invece, un mese dopo, il tentativo di forzare il porto di Haifa. Gli inglesi, che conoscevano in anticipo le mosse del nemico, tesero una trappola allo Scirè e il sommergibile colò a picco con tutto l’equipaggio e gli uomini Gamma imbarcati.

Tutto ciò non cambiò l’esecuzione di altre missioni, sempre studiate nei minimi particolari, che proseguirono l’anno seguente nel bacino del Mediterraneo e anche su altri fronti. Le Flottiglie della MAS si confrontarono con tutti i nemici dell’Asse. Loro uomini e mezzi furono schierati sul fronte orientale sul lago Ladoga, con compiti quali caccia alle navi sovietiche, infiltrazioni di spie oltre le linee nemiche, scorta delle navi finlandesi e tedesche, e nel Mar Nero, dove contribuirono con il blocco di Sebastopoli e affondarono quattro sommergibili russi. Rimase invece sulla carta l’attacco pensato da Borghese nientemeno che a New York, da effettuare con un sommergibile tascabile tipo C.A. portato nei pressi dell’obbiettivo dal sommergibile atlantico Leonardo da Vinci. L’affondamento di quest’ultimo nel maggio del 1943 e l’armistizio lasciarono irrealizzato il piano che, se fosse riuscito, avrebbe avuto effetti incalcolabili sul piano della propaganda e del morale, oltre a rappresentare l’unico attacco di tutta la guerra sulla sponda atlantica del continente americano.  Il bilancio di tre anni di guerra sui mari premiò la Xa Flottiglia – la cui esistenza, al pari delle altri, era coperta dal segreto militare – con l’affondamento o il grave danneggiamento di navi militari nemiche per un totale di circa 75mila tonnellate di dislocamento, pari a quasi il 40% del bilancio complessivo della Regia Marina. Bisogna però tenere conto che, attaccate dagli assaltatori e guastatori su bassi fondali, diverse delle navi colpite o affondate vennero poi recuperate. Il bilancio rimane peraltro assi lusinghiero se raffrontato con il numero dei caduti (20 in tutto se si esclude l’affondamento dello Scirè) e di prigionieri (53). Come accennato, nessun altro Paese disponeva di un corpo scelto come le Flottiglie italiane, mentre assai modesti furono i risultati ottenuti nel corso della guerra da altre Marine con mezzi simili, come i barchini tedeschi (Linse) e i maiali inglesi (Charlot).

Lo Scirè con i contenitori per tre mezzi d'assalto sul ponte di coperta
Nel maggio del 1942 fu tentato senza successo un secondo attacco al porto di Alessandria.[25]
Nello stesso periodo, su richiesta dei tedeschi, furono inviati altri incursori nei porti del Mar Nero e cinque barchini siluranti in Crimea. Altri barchini furono utilizzati nelle coste del nord Africa, a supporto delle operazioni terrestri.[25]
Il 27 luglio 1942 lo Scirè lasciò la Spezia con a bordo un gruppo di incursori, facendo tappa alla base italiana di Lero nel Dodecaneso per acquisire anche i risultati della ricognizione aerea. Ripartito il 6 agosto, non diede più notizie di sé. Si seppe solo in seguito che il 10 agosto 1942 era stato individuato e affondato dal peschereccio armato inglese HMS Islay proprio nei pressi di Haifa, senza alcun superstite. I corpi di due degli incursori, il tenente di vascello Egil Chersi e il capo Del Ben, furono recuperati sulla spiaggia e tumulati dagli inglesi con gli onori militari. Allo Scirè venne concessa una delle tre medaglie d'oro al valor militare conferite ad unità navali durante la guerra[47][79].



I MEZZI DELLA X MAS.

MAS.

Il primo motoscafo armato prodotto dall’azienda veneziana di motoscafi SVAN e in uso a una squadriglia MAS era armato di un cannone da 57 mm., 3 mitragliatori e bombe di profondità antisommergibile. Era stato concepito per meri scopi di difesa da attacchi sferrati dal nemico via mare.

MTM.

Dalla fine del 1941 il Motoscafo da turismo modificato divenne il barchino esplosivo standard della X MAS. Caricava 300-350 kg di esplosivo potenziato derivato dal tritolo (tritoli tal). Ne fu costruita anche una versione ridotta, l’MTR (motoscafi da turismo ridotti).

MTS.

Risultati immagini per mts motoscafo
Il motoscafo da turismo silurante (misure 6,5 x 2,2 m. altezza 1,75 m) sostituiva l’esplosivo con due siluri da 450 mm, appositamente ridotti a 3,2 m di lunghezza, espulsi da poppa. Ne furono prodotte due versioni più grandi, l’MTSM (motoscafo da turismo silurante modificato, che aveva fra le migliorie due motori anziché uno) e l’MTSMA (dove “A” sta per allargato), armato di un siluro, bombe di profondità e fumogeni.

SLC.

Esemplare di "Siluro San Bartolomeo" (altro tipo di "siluro a lenta corsa") della seconda guerra mondiale, esposto nel Submarine Museum, Gosport.

Il siluro a lenta corsa, detto maiale per la scarsa manovrabilità, era condotto da due operatori muniti di respiratori subacquei autonomi e munito a prua di un involucro pesante 68 kg con 260 kg di esplosivo all’interno: dopo aver collocato sull’obiettivo l’esplosivo, gli operatori dovevano raggiungere con l’SLC un punto prestabilito per il loro recupero. Il successivo SSB (siluro san Bartolomeo, dal nome della località spezzina dov’erano costruiti questi mezzi) rimediò ad alcuni difetti, come la posizione completamente immersa del secondo operatore durante il viaggio.

SOMMERGIBILE D’ASSALTO TIPO C.A.

Questo sommergibile tascabile, cioè di dimensioni ridotte (10 x 2 m, altezza 1,6 m fuori dall’acqua in immersione), dislocava 13,5 t in superficie e 16,4  t in immersione. L’armamento consisteva in due siluri da 450 mm. Per guidarlo erano sufficienti due uomini di equipaggio. Un altro vascello lo trasportava nei pressi dell’obiettivo, per poi calarlo in acqua e renderlo operativo.


Il relitto della HMS York ispezionato da una squadra di marinai della torpediniera Sirio dopo la resa di Creta

I MARO’ SULLE MONTAGNE. Dopo l’8 settembre mentre il resto della Regia Marina si consegnava agli Alleati, la Xa Flottiglia continuò la guerra a fianco dei tedeschi, non solo sul mare, ma formando anche truppe di terra. Fort delle migliaia di volontari che si presentarono nella sede della Flottiglia a La Spezia, Borghese formò alcuni battaglioni di fanteria di marina e gruppi di artiglieria. Mentre MTM e MTS proseguivano le missioni contro la flotta Alleata muovendo dalla base di Fiumicino, dopo lo sbarco di Anzio il primo battaglione schierato al fronte, il Barbarigo, entrò in linea a Nettuno (Roma), dove riportò la metà delle perdite fra caduti, feriti e dispersi a dimostrazione della sua volontà di combattere fino all’estremo sacrificio. Consapevoli che la guerra era orma compromessa, i combattenti della Xa fecero della fedeltà, dell’onore e della bella morte in battaglia la loro bandiera, nel tentativo di riscattare il nome dell’Italia dopo il voltafaccia del re e dello stato maggiore dell’esercito. Ma la guerra terrestre di questi soldati aveva anche uno scopo concreto: difendere il Nord della Penisola, in particolare le regioni orientali minacciate dall’esercito popolare di liberazione della Jugoslavia comandate da Tito. Fra le pagine più significative sotto il profilo militare di questa fase della guerra, rimane la battaglia di Tarnova, oggi in Slovenia, che alla fine del 1944 era rimasto l’ultimo presidio a difesa di Gorizia dalle truppe titine.
Qui, nel gennaio del 1945, il battaglione Fulmine  pagò un alto tributo di sangue per resistere contro forze nettamente superiori per numero, armamenti ed equipaggiamento fino all’arrivo dei rinforzi che ruppero l’accerchiamento.
Ideali e obiettivi minimi della Xa MAS, come salvare il salvabile di un Paese le cui supreme autorità nell’ora più difficile della sua storia si erano dissolte, si incrociarono con gli orrori e le  atrocità della guerra partigiana, fatta di rastrellamenti sulle montagne e spietate rappresaglie agli attacchi subiti. Episodi che restano come una macchia indelebile sulla storia gloriosa di questo straordinario corpo d’élite.
Fulmine a Tarnova della Selva.jpg

Un nido di mitragliatrici del "Fulmine" a Tarnova della Selva, gennaio 1945

L’altra metà della Xa: il SAF.
Il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli, comandante gernerale del Servizio Ausiliario Femminile, ritratta a fianco del Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, Ministro della Guerra della Repubblica Sociale Italiana

La decima Flottiglia MAS fu l’unico corpo militare italiano che arruolò personale femminile in tempo di guerra. Le donne, tutte volontarie, erano inquadrate nel Servizio ausiliario femminile (SAF) come dipendenti civili: come tali, non erano armate, ma erano riconosciute al pari dei militari dalle forze Alleate. Il SAF della Decima fu formato ufficialmente il 1° marzo 1944. Fra i requisiti per farne parte vi erano la moralità, l’idoneità fisica, la licenza elementare, il consenso dei genitori per le minorenni o quello del marito per le coniugate. Vennero arruolate nei centri affiancati a quelli maschili che la Decinma aprì nelle maggiori città della RSI. La loro formazione fu affidata ad un’apposita scuola, che ebbe sede a Sulzano (Brescia) e poi a Grandola (Como), Vittorio Veneto e Venezia: si tenevano corsi trimestrali formativi e di specializzazione, ai quali si iscrissero non più di duecento volontarie. Ad esse si aggiunsero le giovani che avevano frequentato i corsi dell’esercito, del parti e dell’Opera Barilla, oltre alle collaboratrici del servizio d’informazione  della Decima. In tutto formarono tre gruppi, denominati Nettuno, Anzio e Fiumicino. In ogni caso, il corpo femminile della Decima MAS fu esiguo, paragonato ai SAF del partito fascista repubblicano e alle donne arruolate nelle polizie e nei corpi paramilitari della RSI che furono 10mila. Diversamente da quanto previsto, alcune finirono per combattere in prima linea: così accadde per le donne del gruppo SAF della Decima aggregate al battaglione Barbarigo sul fronte di Nettuno e per quelle impegnate con i presidi della Decima dislocati sul fronte orientale, in Istria e Dalmazia, a Zara, Fiume e Pola. Di queste ultime la maggior parte furono massacrate dai partigiani titini negli ultimi giorni di guerra, mentre molte altre subirono violenze all’indomani del 25 aprile.

Articolo in gran parte di Andrea Corsi pubblicato su Storie di Guerre e Guerrieri Sprea editori n. 20. Altri testi e foto da wikipedia

mercoledì 28 novembre 2018

Quando c’era Napoleone.


Quando c’era Napoleone.
Tempo libero, lavoro e moda in Francia negli anni del primo impero, fra il 1804 e il 1814. Un decennio che ribaltò gerarchie sociali e modo di pensare.
 Napoleone alla battaglia delle piramidi
Il quattro maggio 1914 la nave inglese Undaunted approdò nella rada di Portoferraio. Il generale Dalesme, governatore generale dell’isola d’Elba, sapeva che a bordo un illustre personaggio stava per sbarcare. Finì così l’impero di Napoleone (anche se ci sarà la parabola dei 100 giorni e l’esilio definitivo), conquistato a una velocità inconcepibile, ma segnato da uno stato di guerra permanente. Lo scrittore Francois René Chateubriand, accanito oppositore di Bonaparte, stimava che nelle battaglie combattute dal Grande Corso fossero morti cinque milioni di soldati, anche se valutazioni più obbiettivi fanno oscillare la cifra fra i due e i tre milioni. Eppure questa carneficina, che spopolò le campagne, non provocò una flessione significativa della popolazione francese, che restò stabile a 30 milioni di abitanti. Perché? Era calata la mortalità: le condizioni di vita, nonostante tutto, erano e  migliorate.

La storica pasticceria Stohrer


VITA DI CAMPAGNA. In effetti, l’emorragia di forza lavoro dovuta alla guerra cambiò la vita quotidiana dierano diventati pr un Paese legato ad un’economia agricola, ma che viveva anche la transizione dalla Rivoluzione a una nuova organizzazione della società. I contadini avevano dalla loro i vantaggi acquisiti alla Rivoluzione del 1789: molti, grazie alla spartizione dei beni comunali e del clero e alle vendite di terre dei nobili ridotti in rovina, erano divenuti proprietari dei terreni che lavoravano. Si trovavano poi favoriti dall’alleggerimento delle tasse rispetto all’ancien regime e dall’aumento del prezzo del grano. I braccianti, che erano la massa della forza lavoro della campagna, furono quelli che trassero maggior vantaggio dal vuoto prodotto dalla Grand Armée: la forte richiesta e la scarsa offerta fecero lievitare i loro salari. Così la vita in campagna si ingentilì di piaceri prima sconosciuti: per esempio un’alimentazione più ricca e abiti meno dozzinali.

PIATTO RICCO. Anche se il pasto rimaneva frugale e il pane continuava a essere fatto di grano, segale e orzo mescolati insieme (la mouture), nella zuppa di verdura comparvero lardo, formaggio, più raramente carne di pollame, nelle zone costiere pesce. Scriveva nel 1805 lo statistico Jacques Peucher: “Oggi in Francia il campagnolo che conosceva solo un’alimentazione grossolana e bevande poco sane, dispone di carne, pane, grano, vino, buon sidro e birra”. Sopravvivevano però le vecchie, cattive, abitudini: il sale da cucina era mescolato con gesso, terra, salnitro ossido d’arsenico; c’era inoltre chi aggiungeva vetriolo all’aceto di vino e sali arsenicali alla birra. Anche gli spazi dove si consumavano i pasti migliorarono: nella stanza comune dove si viveva e si dormiva, fece la sua comparsa il tavolo. Un semplice oggetto grazie al quale i contadini smisero di mangiare davanti all’ingresso con la scodella sulle ginocchia. Poi arrivò anche l’armadio, a soppiantare la cassapanca (ma era ancora un bene di lusso) e la credenza. Quanto all’abbigliamento, gli uomini indossavano semplici abiti di tela, che portavano tutto il giorno (dormivano vestiti), mentre le donne gonne e corsetti di ruvido cotone. Tuttavia il dress code delle feste prevedeva capi più ricercati: giacche, gilet, vestiti e persino scarpe. Come scrisse nelle sue memorie l’abate Marchand, vicario parrocchiale di Rahay e Valennes (nella Sarthe) “I giovanotti che un tempo portavano scarpe piene di chiodi, ora non uscirebbero più la domenica senza le scarpe a una sola suola... e oggi la mussola più fine ricopre il capo delle nostre ragazze di campagna”.



MISERIA E NOBILTA’. E la vecchia aristocrazia come se la passava? Durante l’impero buona parte delle proprietà confiscate vennero piano piano restituite, ma l’abbandono successivo alla rivoluzione e il vandalismo le avevano ridotte in ben misere condizioni. Una parte della vecchia nobiltà di campagna cominciò ad occuparsi dei lavori dei campi, si diede al commercio delle pecore o creò vivai, ma la maggioranza dei signori dell’ancien regime si limitò a vivacchiare mediocremente, assistendo all’ascesa della borghesia entrata in possesso di gran parte dei possedimenti, tanto da essere proprietario del 50% dei castelli. Napoleone, intanto, alla vecchia aristocrazia del sangue sostituiva quella del merito (nel 1808 venne istituita la nobiltà imperiale): l’ultimo degli stallieri poteva diventare duca, il valore sui campi di battaglia portava ad alti ranghi: Gioacchino Murat, generale e fedelissimo di Napoleone, sposò Carolina, sorella di Napoleone, e fu re di Napoli. Eppure, era figlio di albergatori. Se la carriera militare sotto Bonaparte divenne il principale ascensore sociale (il 67% dei nuovi nobili veniva da lì), anche i funzionari e i prefetti ai quali era stato affidato il governo dei 130 dipartimenti dell’impero potevano aspirare a un titolo (rappresentavano il 22% dell’aristocrazia creata da Napoleone). Esecutori zelanti delle indicazioni che venivano da Parigi grazie ai corrieri ufficiali, i prefetti però non se la passavano poi così bene perché veniva loro richiesto un tenore di vita e spese di rappresentanza che non potevano permettersi con la loro modesta retribuzione. L’alloggio, per esempio, spesso lasciava a desiderare, come si evince dalle lamentele di un prefetto di Bordeaux che andò ad abitare nel palazzo dell’arcivescovado: “Mi sono sistemato da solo; c’erano, come unico mobilio qualche tavolo e delle sedie da ufficio... il governo forniva solo 2400 franchi per le spese di impianto, mentre ho speso, pur procedendo con la massima parsimonia, quattro volte di più”. A Tarbes, nei Pirenei, il senatore Péré commentava: “E’ tale il risparmio, che nella sala delle assemblee non c’è più né penna né inchiostro, e nel caminetto ci sono due sassi al posto degli alari”. A compensare queste ristrettezze nascevano nuovi divertimenti, come annotava Dartonne, sottoprefetto di Gien, nella regione della Loira: “Maestri di biliardi si sono stabiliti in quasi tutti i comuni; hanno abituato le classi contadine all’uso dei liquori e ai vari giochi inventati  dalla gente oziosa delle grandi città”.

Tuniche e preferenze.

Napoleone capì perfettamente l’importanza del lusso per dare un’impronta al suo tempo, e pur non essendo personalmente interrelato all’eleganza, finanziò il Journal des Dame et des Modes, un periodico con numerose tavole illustrate che contribuì alla diffusione della moda. Eliminati panier (impalcature che ampliavano il volume delle gonne), parrucche, damaschi, merletti, orpelli, il nuovo stile, denominato Impero, prevedeva la totale assenza di colore dagli abiti femminili, scelta che conferiva alle donne l’aspetto marmoree delle statue dell’antichità.
TRASPARENZE. Il capo per eccellenza era la tunica lunga fino alle caviglie, in tessuti impalpabili e leggeri, segnata da una cintura sotto il seno (e non più in vita). Nei salotti parigini le mogli e le amanti degli ufficiali e dei nuovi ricchi posavano languide in queste vesti bianche di mussola indiana trasparente, spesso ricamata. Unica copertura era un morbido scialle di cachemire proveniente dall’India, costosissimo, che diventò l’oggetto del desiderio di tutte le donne.
COSE TURCHE. Anche le conquiste napoleoniche influenzarono il gusto: la campagna d’Egitto, per esempio, contribuì a lanciare le turcherie, attraverso la diffusione di disegni e incisioni. Nacquero così abiti alla mamelucca, o alla sultana; mentre il turbante entrò a far parte dei copricapi femminili e, a volte, quelli maschili. La mode del nude look imperversò fino a quando Napoleone vietò l’importazione della mussola che proveniva dalle colonie inglesi cercando di far decollare, senza riuscirci, la produzione francese. Si diffusero allora tessuti spessi in raso o lana cui furono aggiunte guarnizioni ricamate. Le scollature si ridussero e fu abbinata una camicetta trasparente che terminava con un piccolo collo a gorgiera. Comparvero redingote e soprabiti foderati in pelliccia, soprannominati Douilettes, e lo Spencer, giacchettino in tessuto scuro.


Alla fine degli anni trenta del Novecento Emile Maurice Hermès iniziò a personalizzare le sciarpe stampate da donna con soggetti inediti e singolari


acconciature stile impero


VINO E NOTIZIE. Stando ai rapporti dei prefetti, l’alcolismo era un problema. Le autorità davano la colpa alla grande diffusione delle bettole, tanto che il prefetto del Mont-Blanc, con un decreto del 16 dicembre 1802, arrivò a proibire l’apertura di alberghi e caffè senza autorizzazione. Ma ci pensava l’esercito a tenere a bada gli alcolici: al Dipartimento della Gironda nel 1813 arrivò la richiesta di ben 866000 litri di acquavite per risollevare il morale dei soldati, un quantitativo enorme. Senza parlare della voragine delle derrate alimentari per le truppe, indennizzate spesso con notevole ritardo. Scriveva Féaz, sottoprefetto della Maurienne, in Savoia, dove nel 1806 sfilarono oltre 30000 soldati. “E’ una cosa abominevole vedere come tutta quella gente ha fatto raddoppiare il prezzo dei viveri. Si vende un bicchiere di vino per 24 soldi francesi d’argento, e a 6 soldi una libbra di pane”. La propaganda napoleonica cercava di risollevare l’umore del popolo francese; in tutte le città, villaggi e borghi arrivava il bollettino della Grande Armée che veniva letto dal sindaco o dal cancelliere del comune nelle piazze principali. La gente, chiamata dal suono delle campane e dal rullo dei tamburi, accorreva e ascoltava le gesta dell’imperatore. D’altro canto la circolazione delle notizie era inesistente, bloccata dal decreto del 17 gennaio 1800 che soppresse la maggior parte dei giornali (solo a Parigi ce n’erano un’ottantina), lasciandone in vita solo tredici, tutti sotto stretto controllo.

ALL’ULTIMO GRADINO: GLI OPERAI. Nelle città chi viveva meglio? Senz’altro la casta militare: ai generali spettavano titoli nobiliari e compensi pecuniari, molto variabili, però: si andava dai cinquemila al milione di franchi. Stava bene anche la borghesia composta, oltre che dai notai, dai proprietari di case arricchitisi grazie all’aumento degli affitti, dagli impiegati dello Stato (lo stipendio in media era di 3000 franchi, quando un operaio ne prendeva 90) e dai commercianti (nella sola Parigi in quegli anni furono rilasciate 30000 licenze). Su dieci botteghe, quattro erano pasticcerie e confetterie e tre negozi di modiste (la moda sotto Napoleone ebbe un grande impulso). Dolci e buona tavola andavano alla grande grazie ai cuochi che avevano lavoravano per le casate nobiliari ed erano rimasti disoccupati, in parte vennero ingaggiati dalla nuova borghesia, ma molti aprirono pasticcerie ristoranti, a cominciare dalla capitale e per tutte le tasche. Scendendo nella scala sociale, vista la scarsità di manodopera conseguente alla chiamata alle armi, i salari erano discreti, per gli artigiani, i portatori d’acqua, i tosatori di cani, i lustrascarpe, i facchini e per i domestici (solo per gli uomini, però: di donne c’era abbondanza!).
Ben diversa la situazione degli operai, per esempio quelli delle manifatture d’armi di Liegi o i setaioli di Lione: orari estenuanti, rischi, nessuna tutela erano le condizioni di lavoro standard. A Parigi gli operai meglio pagati guadagnavano dai 3 ai 4 franchi al giorno (in provincia la metà), con un potere d’acquisto molto modesto: una libbra (circa 500 grammi) di carne costa 0,55  franchi e un litro di vino quasi un franco. Una condizione ben triste che sarebbe rimasta immutata per molto tempo anche dopo la caduta di Napoleone in Francia come nel resto d’Europa.

Articolo in gran parte di Franca Porciana pubblicato su Focus Storia n. 143. Altri testi e immagini da wikipedia.


                                                                

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