La storia dello zio Sam.
All’inizio era solo un nome, scelto per caso. Poi le guerre lo
trasformarono nel simbolo degli USA.
Tutti ricordano
l’immagine dello Zio Sam, il dito puntato verso chi guarda mentre intima di
arruolarsi nell’esercito. Il poster “I want you for U.S Army”, stampato in
occasione della Prima guerra mondiale, è il più celebre manifesto per il
reclutamento militare di tutti i tempi. Eppure il suo protagonista, tra i
personaggi più famosi e longevi della storia degli Stati Uniti, non era certo
nuovo: aveva già oltre un secolo di vita alle spalle.
LE ORIGINI. Lo
Zio Sam nacque in maniera fortuita a pochi mesi dall’inizio della Guerra del
1812 con il Regno Unito, oggi una guerra dimenticata ma che allora non mancò di
infiammare il patriottismo degli americani. Con i militari impegnati sul fronte
canadese e accampati poco a sud di Troy, un villaggio nel Nord dello Stato di
New York, il contractor dell’esercito Elbert Anderson si era accordato con la
vicina impresa di famiglia di Samuel Wilson per la fornitura di alcune migliaia
di barili contenente carne sotto sale. Un giorno un lavoratore della fattoria
cominciò a chiedere come mai i barili fossero marchiati con le iniziali “E.A.”
e “U.S.”. Al tempo le iniziale “U.S:” non erano ancora entrate nell’uso come
abbreviazione di “United States”, il governo federale degli Stati Uniti che ne
era formalmente il destinatario. Perciò gli fu risposto che si riferivano a
Elbert Anderson, il contractor dell’esercito, e a Uncle Sam, il signor Wilson
che lo riforniva. Il signor Wilson era infatti un uomo benvoluto e conosciuto
lungo la valle del fiume Hudson semplicemente come Uncle Sam, invece che con il
suo vero nome. La storia si diffuse tra i militari dell’accampamento non
lontano, ma i soldati cominciarono a pensare a Uncle Sam come a qualcuno che
decideva anche della loro sorte, oltre che dei rifornimenti.
Grazie
ai militari, lo Zio Sam finì presto sulle pagine dei giornali locali, ma quel
nome non era più messo in relazione con il signor Wilson: era diventato un modo
nuovo con cui chiamare il Paese. Nello Stato del Vermont, il Bennington
News-Letter del 23 dicembre del 1812 riportò una lettera di lamentele di una
recluta che usava il nome di Uncle Sam per indicare il governo. L’anno dopo, il
Post della stessa Troy, e in seguito altri giornali del Nord-est fecero
altrettanto criticando l’andamento della guerra. Ma solo nel 1830 la Newy York
Gazette scriveva per la prima volta delle probabili origini del soprannome, che
nel frattempo si era diffuso negli Stati Uniti,.
Il manifesto del Regno Unito del 1914. La frase recita: Lord Kitchenervuole te. Britannici, arruolatevi nell'esercito del vostro paese!. Da questo poster deriva quello dello Zio Sam
I PRIMI PASSI. In America, al tempo c’erano già personaggi
maschili, come Yankee Doodle e Brother Jonathan, che in modo simile davano
un’espressione popolare alla vitalità del carattere nazionale. Brother
Jonathan, di frequente presente sulla stampa politica illustrata, fu il più
diretto precursore dell’immagine dello Zio Sam. Per la prima comparsa di Uncle
Sam tuttavia, rimasto per anni soltanto un nome, si dovette aspettare la
litografia del 1832 dal titolo “Uncle Sam in Danger”, in cui veniva attaccato
il presidente Andrew Jackson per la sua battaglia contro la Banca Nazionale.
Lo
Zio Sam, seduto al centro della scena con un volto stanco ed emaciato, del
tutto privo di barba, era circondato dal presidente e dai suoi falsi dottori
impegnati a cavargli il sangue. Indossava un’ampia veste a strisce che gli
arrivava ai piedi, un foulard scuro pieno di stelle un copricapo che ricordava
il berretto della libertà in auge durante la rivoluzione. A introdurre
cambiamenti decisivi fu un’illustrazione satirica del 1840 sempre sul tema
della Banca nazionale. Non solo lo zio Sam sembrava tornato in buona forma, ma
soprattutto inaugurava il cappello a cilindro, la giacca lunga con le code e i
pantaloni a righe, il vestito insomma con cui si sarebbe fatto conoscere dal
mondo intero.
RECLUTATO. Fu
la Guerra Civile a diffondere l’immagine dello Zio Sam che conosciamo oggi,
quando fu arruolato dalla causa unionista contro la ribellione del Sud. Con il
suo retaggio di uomo del Nord e del governo federale, finì per fondersi con la
longilinea figura dello stesso presidente Abrahm Lincoln, soprattutto dopo che
quest’ultimo si fece crescere la barba, la prima portata da un inquilino della
Casa Bianca. Nel dopoguerra, grazie all’artista Thomas Nast, il celebre
cartoonist dell’influente settimanale repubblicano Harper’s Weekly di New York,
lo zio Sam era ormai un uomo arrivato, che aveva trovato finalmente la sua
immagine stabile e definitiva. Fisicamente era asciutto e slanciato, aveva
l’aria intraprendente ma al contempo saggia, suggerita dal pizzetto e dai
capelli bianchi. Era entrato di fatto nel bagaglio simbolico a cui attingevano
i disegnatori politici della carta stampata, alla pari di personaggi come John
Bull, che indicava la Gran Bretagna, o l’elefante e l’asinello, che
rappresentavano il Partito repubblicano e quello democratico. Nella seconda metà
dell’Ottocento, i settimanali di satira politica resero lo Zio Sam familiare
nella sua vivace versione a colori, ma furono soprattutto i vignettisti dei
grandi quotidiani di fine secolo a renderlo onnipresente con i loro milioni di
lettori. Divenne sempre più ricorrente alle parate patriottiche, in cui
sfilavano personaggi vestiti come lui, così su spille e bandiere, cartoline e
pubblicità, salvadanai e giocattoli. I cartoon dei giornali in ogni modo
continuarono a essere il suo palcoscenico principale. Il geniale cartoonist
Homer Davenport (1867-1912) lo rese il protagonista di opere memorabili. Quando
Theodore Roosevelt decise di candidarsi alle presidenziali nel 1904, si
preoccupò personalmente di avere il sostegno di Davenport. L’artista rispose
con una vignetta passata alla storia, in cui Uncle Sam appoggiava la mano sulla
spalla del candidato repubblicano in segno di approvazione ed esclamava: “He’s
Good Enough for Me”. Il Partito repubblicano ne fu così entusiasta da
riprodurla subito su migliaia di manifesti elettorali.
La seconda
guerra contro gli inglesi.
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Mappa della battaglia di Queenston Heights.Data18 giugno 1812 - 17 febbraio 1815LuogoStati Uniti d'America (Nordest e Centronord), Oceani Pacifico, Indiano e AtlanticoEsitoTrattato di GandModifiche territorialistatus quo ante bellumSchieramenti Comandanti
James Madison Henry Dearborn Jacob Brown Winfield Scott Andrew Jackson William Henry Harrison | Lord Liverpool George Prévost Isaac Brock† Roger Hale Sheaffe Gordon Drummond Robert Ross Tecumseh† |
Esercito regolare: 35.800 uomini Rangers: 3.049 Milizia: 458.463 Nativi americani alleati: tra i 3.000 e i 5.000 uomini 8 Fregate 14 navi da guerra | Esercito regolare: 48.163 uomini Milizia: 4.000 uomini Shawnee: circa 3.500 uomini 11 Vascelli 34 Fregate 52 navi da guerra |
2.260 morti in battaglia 17.000 morti per malattia 500 civili uccisi 4.505 feriti 8 fregate catturate o distrutte 278 soldati catturati 1.400 navi mercantili catturate | 1.160 morti in battaglia[1] 3.321 morti per malattia 3.679 feriti[1] 4 fregate catturate ~1.150 navi mercantili catturate |
Una guerra
dimenticata forse perché finì con un pareggio e senza tante conseguenze. In
America non mancarono tuttavia i toni emotivamente accesi, che resero il
conflitto del 1812 contro il Regno Unito una sorta di seconda guerra per
l’indipendenza. Il presidente James Madison aveva deciso di reagire nel
giugno del 1812 alle prevaricazioni degli inglesi che ostacolavano il
commercio navale americano: violazioni delle acque territoriali, blocchi
navali, arruolamento coatto dei marinai di origine britannica. Inoltre gli
inglesi erano accusati di dare sostegno ai nativi dell’entroterra che si
opponevano all’espansione verso Ovest. Madison aveva immaginato un conflitto
breve, ma si trascinò fino al 1815.
SIMBOLI. Oltre
che per l’incendio di Washington, la guerra fu ricordata pere aver favorito
la nascita di più di un simbolo del Paese. Per esempio il diffondersi
dell’espressione Casa Bianca, dopo che la residenza fu imbiancata per coprire
i segni lasciati dalle fiamme; oppure la prima stesura del futuro inno
nazionale, ispirato dalla resistenza di Baltimora; e, infine, l’emergere
dell’icona dello Zio Sam.
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L’ESERCITO DELLO ZIO. Eppure
sarà proprio lo Zio Sam del manifesto stampato per la Prima guerra mondiale a
rimanere più di ogni altro nell’immaginario collettivo. Sembra che l’autore James
Montgomery Flagg (1877-1960) abbia cercato di dare le propri sembianze al suo
volto, ma l’idea del manifesto derivava da quello inglese, che immortalava il
generale Horatio Herbert Kitchener mentre incoraggiava il reclutamento dei
volontari nel Regno Unito. Il manifesto americano ridefiniva lo Zio Sam nei
panni di un uomo ben più prestante ed energico rispetto al passato. Non era
diventato anche lui un militare, ma poco ci mancava. Era ritratto a mezzo
busto, indossava una bella giacca blu, una camicia bianca con un farfallino rosso che completava il
tricolore nazionale, e le stelle si limitavano alla base del cilindro. Il volto
accigliato e lo sguardo implacabile rendevano uno Zio Sam dal sapore quasi
autoritario che puntava il dito mentre esclamava perentorio: “I want you fo U.S Army”. E le lettere
U.S, ora, non lasciavano più dubbi su
loro significato. Flag fece decine di manifesti per la propaganda bellica, ma
passò alla storia per quello Zio Sam distribuito dall’esercito in oltre quattro
milioni di copie. Nei tanti altri manifesti disegnati negli stessi anni, lo Zio
Sam era rimasto il benevolo signore in avanti con l’età. Nessuno riprese in
seguito l’aspetto più giovane e minaccioso di “I want you”, nemmeno lo stesso Flag. Fu tuttavia quel manifesto
che continuò ad essere stampato per decenni facendo di Uncle Sam un’icona
mondiale. In patria finì per avere persino più di una consacrazione
istituzionale. Non soltanto nel 1961 il Congresso riconobbe in Samuel Wilson il
progenitore del simbolo nazionale degli Stati Uniti, ma nel 1989 sancì
ufficialmente il 13 settembre come “Uncle Sam Day”. Era il giorno della nascita
dell’imprenditore di Troy, il vero Zio Sam in carne e ossa.
Articolo
in gran parte di Gian Domenico Iachini pubblicato su Focus Storia n. 142. Altri
testi e immagini da Wikipedia.
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