Quando il sud era
all’avanguardia.
Ci hanno insegnato che
la spedizione dei Mille sbarcò nel Mezzogiorno per affrancarlo da una
condizione di estrema arretratezza e insanabile malgoverno. Oggi, però, sono in molti a pensare che il regno
borbonico fosse, al contrario, un modello di efficienza. Dove sta la realtà?
L'Italia come disegnata dal Congresso di Vienna nel 1815
Passata
la bufera napoleonica, che aveva squassato il mondo per undici interminabili
anni, il ministro austriaco Klemes von Metternich propose di convocare a Vienna
un congresso al quale avrebbero partecipato tutti gli Stati europei. Il suo
scopo sarebbe stato l’impegno per un duraturo riassetto del continente europeo,
così da impedire il ripetersi di una situazione conflittuale come quella
scatenata da Napoleone. Iniziato nel 1814, il Congresso si concluse nel giugno
del 1815, sancendo il ritorno dell’Ancien Régime in tutto il continente, nella
convinzione in tutto il continente, nella convinzione di aver raggiunto un
solido equilibrio politico: in realtà, poco più di trent’anni dopo, nel 1848, la
rivoluzionaria primavera dei popoli avrebbe di nuovo rimesso tutto in
discussione. L’Italia tornava alla precedente frammentazione: il Regno di
Sardegna e i territori dell’ex Repubblica di Genova furono assegnati a Vittorio
Emanuele I di Savoia; il Lombardo-Veneto, con Venezia, fu ripreso dall’Austria
e amministrato da un viceré; il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu
assegnato come vitalizio alla moglie di Napoleone, Maria Luisa d’Austria, che
si era rifiutata di seguire il marito nel suo esilio all’isola d’Elba,
preferendo restare fedele agli Asburgo; il ducato di Modena e Reggio toccò a
Francesco IV d’Este; il granducato di Toscana fu attribuito a Ferdinando III
d’Asburgo-Lorena; la Repubblica di San Marino ottenne il riconoscimento della
sua secolare indipendenza; lo Stato Pontificio rimase sotto il contro del papa,
nella persona di Pio VII. Quanto al Mezzogiorno, l’atto finale del congresso,
l’articolo 104 decretava che: “Sua Maestà
il Fredinando IV è ristabilito per sé e per i suoi successori sul torno di
Napoli e riconosciuto dalle potenze come re del Regno delle Due Sicilie”.
Eppure, quel regno non era mai esistito, o perlomeno non esisteva ancora.
Sarebbe nato ufficialmente solo l’8 dicembre del 1816, quando Ferdinando di
Borbone, re di Napoli come Ferdinando IV e re di Sicilia e come Ferdinando III,
promulgò la legge fondamentale che istituiva il Regno delle due Sicilie,
unificando i due territori e diventandone sovrano con il nome di Ferdinando I.
Ferdinando I delle Due Sicilie Re delle Due Sicilie
Ferdinando I In carica12 dicembre 1816 – 4 gennaio 1825PredecessoreSe stesso come Re di Napoli e Re di SiciliaSuccessoreFrancesco IRe di Napoli
Ferdinando IVIn carica6 ottobre 1759 – 23 gennaio 1799
13 giugno 1799 – 30 marzo 1806
22 maggio 1815 – 12 dicembre 1816PredecessoreCarlo VII (I)
Repubblica Partenopea (II)
Gioacchino Murat (III)SuccessoreRepubblica Partenopea (I)
Giuseppe Bonaparte (II)
Se stesso come Re delle Due Sicilie (III)Re di Sicilia
Ferdinando IIIIn carica6 ottobre 1759 – 12 dicembre 1816PredecessoreCarlo III (V)SuccessoreSe stesso come Re delle Due SicilieNome completoFerdinando Antonio Pasquale Giovanni Nepomuceno Serafino Gennaro BenedettoAltri titoliInfante di SpagnaNascitaNapoli, 12 gennaio 1751MorteNapoli, 4 gennaio 1825Luogo di sepolturaBasilica di Santa Chiara, NapoliCasa realeBorbone di NapoliDinastiaCapetingiPadreCarlo III di SpagnaMadreMaria Amalia di SassoniaConsorteMaria Carolina d'Austria
Lucia MigliaccioFigliMaria Teresa
Luisa Maria Amalia
Francesco
Maria Cristina
Maria Amalia
Maria Antonietta
LeopoldoReligioneCattolicesimo
Ferdinando I di Borbone (Ferdinando Antonio Pasquale Giovanni Nepomuceno Serafino Gennaro Benedetto; Napoli, 12 gennaio1751 – Napoli, 4 gennaio 1825) è stato re di Napoli dal 1759 al 1799, dal 1799 al 1806 e dal 1815 al 1816 con il nome di Ferdinando IV di Napoli, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III di Sicilia. Dopo questa data, con il Congresso di Vienna e con l'unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno dal 1816 al 1825 con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie.
Ferdinando è il primo sovrano nato nel Regno della casata dei Borbone di Napoli, ma terzo Borbone a regnare sulle Due Sicilie dopo il padre Carlo di Borbone (primo Borbone a regnare sulle Due Sicilie indipendenti), nato a Madrid nel 1716, e il nonno Filippo V di Spagna, nato nel castello di Versailles nel 1683. Il suo regno, durato oltre sessantacinque anni, è uno dei più lunghi nella storia Italiana degli Stati Preunitari Italiani ed è al 44º posto nella classifica dei regni più lunghi della storia.
I LAZZARI.
Nel
luglio 1647 il pescatore Tommaso Aniello d’Amalfi, divenuto poi famoso come
Masianello, scatenò una rivolta a Napoli contro la pressione fiscale imposta
dal viceré spagnolo. La sollevazione popolare conclusasi con l’assassinio a
tradimento dello stesso Masianello, fu la miccia che innescò l’esplosione di
una serie di scontri violentissimi tra il popolo napoletano e gli spagnoli,
che soltanto un anno dopo riuscirono a riprendere il controllo della città.
Masianello e i suoi seguaci furono chiamati spregiativamente dagli spagnolo
lazaros, o lazzari, ossia straccioni, e il termine passò presto a indicare i
giovani appartenenti alla plebe più indigente, e quindi più facilmente
rivoltosa della città. sfaccendati, sempre scaltri, spesso violenti, i lazzari
costituivano una società nella società, strutturata secondo leggi proprie e
un proprio rigido codice d’onore. Tradizionalmente fedeli al re, chiunque
egli fosse, i lazzari furono protagonisti della difesa di Napoli contro gli
insorti della Repubblica Napoletana del 1799, finendo massacrati a migliaia
dalle truppe rivoluzionarie francesi.
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Carlo III di Borbone-Spagna Ritratto di Carlo III di Anton Raphael MengsRe di Spagna In carica10 agosto 1759 –
14 dicembre 1788PredecessoreFerdinando VISuccessoreCarlo IVDuca di Parma e Piacenza
Carlo IIn carica29 dicembre 1731 –
3 ottobre 1735PredecessoreAntonio FarneseSuccessoreImperatore Carlo VIRe di Napoli
Carlo VIIIn carica15 maggio 1734 –
10 agosto 1759PredecessoreCarlo VI
(Imperatore Carlo VI)SuccessoreFerdinando IVRe di Sicilia
Carlo VIn carica3 luglio 1735 –
10 agosto 1759PredecessoreCarlo IV
(Imperatore Carlo VI)SuccessoreFerdinando IIINome completoCarlos Sebastián
de Borbón y FarnesioAltri titoliInfante di Spagna (1716-1759)
Gran principe ereditario di Toscana (1732-1735)NascitaMadrid, 20 gennaio 1716MorteMadrid, 14 dicembre 1788
(72 anni)Luogo di sepolturaCripta reale del monastero dell'Escorial, San Lorenzo de El EscorialCasa realeBorbone di Spagna
Borbone di Napoli(capostipite)PadreFilippo V di SpagnaMadreElisabetta FarneseConsorteMaria Amalia di SassoniaFigliMaria Giuseppina
Maria Luisa
Filippo
Carlo IV
Ferdinando
Gabriele
Antonio Pasquale
Francesco SaverioReligioneCattolicaFirma
Carlo Sebastiano di Borbone (Carlos Sebastián de Borbón y Farnesio; Madrid, 20 gennaio 1716 – Madrid, 14 dicembre 1788) è stato Duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I dal 1731 al 1735, Re di Napoli e Re di Sicilia senza numerazioni[1] dal 1735 al 1759, e dal 1759 fino alla morte Re di Spagna con il nome di Carlo III.
LA TRAVAGLIATA STORIA DEL SUD. Nel corso dei
secoli, i territori dell’Italia meridionale avevano conosciuto numerosi
padroni: dopo l’Impero Romano, i Bizantini, poi i Normanni, nel XII secolo, con
Ruggero d’Altavilla; poi ancora, fra XIII e XVIII secolo, i tedeschi
Hohenstaufen, i francesi d’Angiò, gli austriaci Asburgo e i franco-piemontesi
Savoia (che per poco tempo vennero investiti del titolo di re di Sicilia, salvo
poi scambiare quella lontana isola con la più vicina Sardegna). Ma, in modo del
tutto inaspettato, fu la Guerra di successione polacca a determinare
stabilmente l’assetto del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli, che si erano
venuti a creare strutturando nei secoli. Uscito vittorioso dalla battaglia di
Bitonto, che nel 1734 aveva visto affrontarsi il Regno di Spagna e l’Impero
asburgico, Carlo di Borbone-Spagna, figlio del re di Spagna, fu incoronato re
di Napoli e Sicilia a Palermo, nel 1735; s’inaugurava, così, la dinastia dei
Borbone di Napoli, che avrebbe retto le sorti del Mezzogiorno fino al 1860.
Sotto Carlo III di
Borbone, fu soprattutto Napoli a beneficiare di un periodo di grandi riformi,
tra le più apprezzabili nell’Italia del tempo. La città partenopea vide un
fiorire d’ingegni: lo storico e giurista Pietro Giannone, gli economisti
Antonio Genovesi e Ferdinando Galiani, il giurista Gaetano Filangieri. Fu il
sovrano a dare inizio agli scavi di Pompei, i primi scavi archeologici in
assoluto al mondo, e nel 1737 fu ancora lui a volere il San Carlo, il primo
teatro d’opera italiano, verto tempoi della musica europea, tutt’ora attivo.
Carlo III decise anche di far confluire a Napoli moltissime delle splendide
opere d’are della collezione Farnese, appartenente alla famiglia della madre,
Elisabetta Farnese. Nel 1759, però, il fratellastro di Carlo III, Ferdinando VI
di Spagna, morì senza lasciare discendenza, e Carlo fu chiamato a succedergli
sul trono; il suo posto fu preso dal figlio Ferdinando, di appena 8 anni, che
assunse i titoli di re di Napoli con il nome di Ferdinando IV, e di Sicilia
come Ferdinando III. In realtà, non avrebbe dovuto essere lui l’erede al trono
del Mezzogiorno, ma il primogenito Filippo era stato escluso dalla successione
perché affetto da ritardo psichico ed epilessia, e il secondogenito, Carlo
Antonio, partì con il padre in qualità di erede del trono spagnolo.
Il teatro San Carlo in un'antica stampa.
Regina per caso.
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Maria Carolina d'Asburgo-Lorena Ritratto di Maria Carolina d'Austria,
dipinto di Anton Raphael Mengs, 1768Regina consorte di Napoli In carica12 maggio 1768 – 23 gennaio 1799
13 giugno 1799 – 30 marzo 1806PredecessoreMaria Amalia di SassoniaSuccessoreJulie ClaryRegina consorte di SiciliaIn carica12 maggio 1768 –
8 settembre 1814PredecessoreMaria Amalia di SassoniaSuccessoreTitolo soppressoNome completoMaria Karolina Luise Josepha Johanna AntoniaAltri titoliArciduchessa d'Austria
Principessa reale d'Ungheria, Boemia, Toscana, Croazia e SlavoniaNascitaHofburg, Vienna, 13 agosto 1752MorteCastello di Hetzendorf, Vienna, 8 settembre 1814Luogo di sepolturaCripta Imperiale, ViennaCasa realeAsburgo-LorenaPadreFrancesco I di LorenaMadreMaria Teresa d'AustriaConsorteFerdinando I delle Due SicilieFigliMaria Teresa
Maria Luisa
Francesco I
Maria Cristina
Maria Amalia
Maria Antonia
LeopoldoFirma
Maria Carolina Luisa Giuseppa Giovanna Antonia d'Asburgo-Lorena, nota semplicemente come Maria Carolina d'Austria(Vienna, 13 agosto 1752 – Vienna, 8 settembre 1814), nata arciduchessa d'Austria, divenne regina consorte di Napoli e Sicilia come moglie di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia.
Era la tredicesima dei figli dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria e dell'imperatore Francesco I. Per suggellare un'alleanza con i Borbone di Spagna, nel 1768 venne data in sposa al re Ferdinando IV di Napoli, figlio di Carlo III di Spagna. Dall'unione nacquero diciotto figli e, dopo la nascita del primo erede maschio nel 1775, in base ai termini del contratto nuziale, Maria Carolina ebbe accesso al consiglio privato della corona.
Appena salito al trono, Ferdinando
I dovette affrontare il problema cruciale della successione. Fu lui stesso a
ritenere utile un rinsaldamento dei legami con gli Asburgo, e in questa
prospettiva furono presi contatti con l’imperatrice Maria Teresa d’Austria.
La prima prescelta a sedere sul trono
di Napoli fu la giovanissima arciduchessa Maria Giovanna d’Asburgo-Lorena,undicesima
figlia dell’imperatrice, che purtroppo morì di vaiolo a soli 12 anni. Si
pensò allora all’arciduchessa Maria Giuseppina, sorella di Maria Giovanna; il
fidanzamento fu ufficializzato, e la partenza per Napoli decisa per l’autunno
del 1767.
Poco prima di partire,
l’arciduchessa si recò a pregare nella cripta imperiale per la cognata,
appena morta di vaiolo. Ma il sepolcro non era stato ben sigillato, e Maria
Giuseppina contrasse il morbo che la portò nella tomba in soli dieci giorni.
Restavano le arciduchesse Maria
Amalia e Maria Carolina, per volere di Carlo III, la scelta cadde su Maria Carolina,
che non ne fu affatto felice ma dovette piegarsi alla ragion di stato,
sposando Ferdinando I nell’anno 1768.
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L'inaugurazione della Ferrovia Napoli-Portici, di Salvatore Fergola
L’INTRAPRENDENTE FERDINANDO. Così Ferdinando, la cui
nascita non aveva suscitato particolare emozione a corte e per il quale era stata
immaginata una tranquilla carriera ecclesiastica, si ritrovò all’improvviso nei
panni di sovrano. Data la giovanissima età, gli fu affiancato un Consiglio di
reggenza, che lavorava di concerto con le direttive che Carlo III inviava da
Madrid. Al compimento dei 16 anni, nel 1767, Ferdinando divenne di fatto re di
Napoli e di Sicilia. L’anno seguente sposò l’arciduchessa Maria Carolina
d’Asburgo-Lorena, alla quale Ferdinando lasciò campo libero: infatti, non aveva
ricevuto l’educazione riservata agli eredi al trono e s’impegnò a continuare il
lavoro del padre, soprattutto per quanto riguardava lo sviluppo della cultura e
la valorizzazione delle attività artigianali tipiche del territorio. Tra le sue
prime iniziative spiccano il trasferimento della Real fabbrica napoletana di
arazzi, i cui prodotti erano apprezzati in tutto il mondo, nel Palazzo Reale di
Napoli, alla fine del 1778; e la fondazione, nel 1779, della manifattura di San
Leucio presso Caserta, che divenne ben presto assai rinomata nel campo della
produzione tessile. Sotto l’impulso dell’inglese John Acton, responsabile del
Ministero di Commercio e Marina, Ferdinando sviluppò la Real Marina,
approntando un’efficace flotta da guerra, e procedette a un’energica
ristrutturazione militare fondando, nel 1787, la prestigiosa Accademia militare
della Nunziatella (attiva ancora oggi). Nello stesso periodo si premurò di
completare l’acquisizione della collezione Farnese, iniziata anni prima dal
padre Carlo III.
Con lo scoppio della
Rivoluzione francese, nel 1779, i regni di Napoli e Sicilia furono travolti da
una serie di impressionanti eventi, che videro l’alternanza di regimi e
sovrani: sotto la spinta rivoluzionaria, nel gennaio del 1779 nacque la
Repubblica Napoletana, abbattuta sei mesi dopo; tornati sul trono, i Borbone ne
furono nuovamente cacciati nel febbraio 1806, quando Napoleone dichiarò
decaduta la loro dinastia, proclamando re di Napoli suo fratello Giuseppe
Bonaparte, che regno fino al 1808, quando Napoleone lo nominò re di Spagna e lo
sostituì con il cognato Gioacchino Murat, poi deposto e fuggiasco. Ferdinando
poté riprendere possesso del trono soltanto il 7 giugno 1815; un anno e mezzo
dopo, l’8 dicembre 1816, istituì il Regno delle due Sicilie assumendo il nome
di Ferdinando I. La denominazione è antica: risale al 1302, quando al termine
delle lotte tra Angioini e Aragonesi fu sancita la divisione formale tra Regno
di Sicilia al di qua del faro di Messina, e il Regno di Napoli al di là del
faro.
Da solo, con
un’estensione di 111 mila kmq e una popolazione di 8 milioni di abitanti, il
nuovo regno borbonico comprendeva quasi metà della penisola. Inoltre,
rappresentava il primo vero Stato unitario degno di questo nome. Era una
potenza in grado di preoccupare i suoi vicini, se mai avesse voluto o potuto
nutrire ambizioni espansionistiche.
Ferdinando II
Socialismo reale in salsa napoletana.
Durante il regno di Ferdinando IV ebbe luogo un
avanzato esperimento sociale nel feudo di San Leucio presso Caserta. Affascinato
dalle idee illuministiche il sovrano volle fondarvi una colonia modello
attraverso la creazione di una seteria e di una fabbrica di tessuti. Il nuovo
borgo si sarebbe chiamato Ferdinandopoli, ed era destinato a diventare una
comunità operaia autogestita, capace di un’autonomia economica in grado di
formare sudditi consapevoli e responsabili. Il re volle per la nuova realtà
una particolare organizzazione sociale, ricca di spunti straordinariamente
moderni che il giurista Gaetano Filangieri si preoccupò di sistematizzare nel
Codice Ferdinandeo.
Basata su principi di uguaglianza, solidarietà,
assistenza, previdenza sociale e diritti umani la colonia di San Leucio divenne
un polo manifatturiero di primaria importanza.
Dopo una sessantina d’anni l’avventura di
Ferdinandopoli si concluse con un fallimento, determinato anche col mutare delle
condizioni esterne. Di quell’esperienza rimase la manifattura, ancor oggi in
funzione con il nome di Antico Opificio Serico.
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I CAMBIAMENTI DEL RE BOMBA. Ferdinando I morì nel
1825, dopo oltre 65 anni di regno; gli succedette il figlio Francesco che, a
differenza del padre, fu educato come si conviene ad un erede al trono ma
questo non bastò a rafforzarne il carattere debole. Alla politica, Francesco
preferiva la botanica e l’agricoltura, tanto da impiantare in Sicilia una
tenuta agricola modello, in cui si sperimentavano innovativi metodi di cultura,
irrigazione e allevamento. Una volta insediato, proseguì la politica paterna
lasciando le cure del governo perlopiù nelle mani dei consiglieri. Il suo regno
durò soltanto sei anni, e fu caratterizzato da due aspetti contrastanti: da un
lato la lotta serrata contro le sette politiche segrete, che in quegli anni
proliferavano un po’ ovunque in tutta Italia, e dall’altro il varo di grandi
opere pubbliche come la costruzione
della rete stradale in Calabria o la bonifica di laghi e zone paludose. Morì
nel 1830 dopo una lunga malattia, lasciando il regno nelle mani del
primogenito, anche lui di nome Ferdinando.
Benché appena ventenne,
Ferdinando II diede subito prova delle doti di statista che avrebbero segnato i
suoi trent’anni di regno. Nel giro di pochi mesi portò a compimento il
programma di risanamento finanziario già avviato dal padre, diminuì
radicalmente il proprio appannaggio, abolì i cumuli retributivi, rese pubbliche
le secolari riserve di caccia dei Borbone, ridusse le imposte dimezzando
addirittura la famigerata tassa sul macinato; poi concesse amnistie, diede
impulso all’economia stipulando accordi commerciali con l’estero, costruì
strade e ferrovie, come la Napoli-Portici la prima ferrovia in Italia,
incrementò le infrastrutture. Volle proibire l’accattonaggio, istituendo
strutture nelle quali i mendicanti potevano imparare un lavoro, e potenziò
l’esercito e la Marina nella prospettiva di un rafforzamento dell’indipendenza
del Regno. Ebbe particolare cuore l’istruzione, le cui basi erano state gettate
nel 1806 da Giuseppe Bonaparte, durante
la breve parentesi francese in epoca napoleonica. L’ordinamento scolastico, che
prevedeva l’istruzione elementare gratuita e aperta a tutti, fu mantenuto,
provvedendo perfino a stipendiare i parroci dei paesi privi di strutture
scolastiche per contrastare la piaga dell’analfabetismo. Furono sviluppati
collegi, educandati, licei, università e accademie, elevando in maniera
significativa il livello culturale del Regno. In quel periodo tutta Italia
guardò con interesse al Regno delle Due Sicilie, che stava dimostrando
potenzialità inaspettate. Le cose, però, mutarono bruscamente con il 1848.
Benché Ferdinando avesse subito concesso la Costituzione, primo fra tutti i
sovrani italiani, un po’ per negligenza e un po’ per inesperienza non vennero
promulgate tutte le leggi necessarie all’applicazione della carta stessa. Nel
frattempo la Sicilia, che da sempre covava una sorda insofferenza nei confronti
dei Borbone e di Napoli, aveva dichiarato decaduto il sovrano nonostante che
Ferdinando avesse già concesso la piena autonomia all’isola. La secessione
siciliana fu durante repressa con le armi: il bombardamento di Messina fece
centinaia di morti e valse al sovrano il soprannome di Re Bomba. L’esperimento
costituzionale fallì e i disordini scoppiati ovunque nel Regno indussero
Ferdinando ad adottare provvedimenti fortemente illiberali, che comportarono
una netta caduta di prestigio della dinastia.
Nel 1851, il politico
inglese William E. Gladstone, che aveva soggiornato a Napoli per quattro mesi
al tempo della repressione, scrisse al primo ministro inglese George Gordon due
lettere in cui scriveva la terribile condizione del Regno delle Due Sicilie,
definendolo negazione di Dio. Le accuse non furono messe in discussione e
presero a circolare, benché più tardi lo stesso Galdstone ammettesse di averle
scritte senza avere una conoscenza diretta dei fatti denunciati. Ma ormai
l’idea che il Regno delle Due Sicilie fosse un cupo regime violento e
oscurantista, da combattere e abbattere, aveva fatto presa sull’opinione
pubblica europea.
La Rivoluzione siciliana del 1848 a Palermo in una stampa d'epoca
“il mio popolo non ha bisogno di pensare: io mi incarico di aver
cura del suo benessere e della sua dignità” Ferdinando II.
Re Franceschiello. Nel 1859, Ferdinando II
morì, lasciando il trono al figlio Francesco II, tanto timido e irresoluto
quanto lui era stato intraprendente ed energico. Salito al trono all’età di 23
anni, non aveva né la forza, né l’esperienza necessarie per affrontare la
difficile contingenza, che avrebbe messo in crisi anche regnanti più navigati
di lui. La cosa era talmente evidente che il giovane sovrano si vide subito
affibbiato il soprannome di Franceschiello. Eppure, nel suo brevissimo regno,
ebbe il tempo di varare diverse buone riforme: concesse maggiori autonomie ai
Comuni, migliorò le condizioni dei detenuti, dimezzò la tassa sul macinato,
ridusse i dazi doganali, distribuì gratuitamente grano agli indigenti. Ma orma
non c’era più nulla da fare. Il crollo del Regno fu rapido e inevitabile. Dopo
il colpo di grazia assestato dalla spedizione dei Mille. Assediato a Gaeta con
la moglie Maria Sofia di Baviera (sorella della più nota “Sissi”, sfortunata
moglie di Francesco Giuseppe d’Austria-Ungheria), dopo 102 giorni Francesco II
capitolò e lasciò il regno per ritirarsi in esilio a Roma, ospite del papa. Era
il 13 febbraio 1861. Il regno delle Due Sicilie non esisteva più: il
Mezzogiorno sarebbe stato annesso al nuovo Regno d’Italia, sotto i Savoia, e la
sua grandezza sarebbe rimasta soltanto un ricordo. La storiografia d’impronta
risorgimentale ci ha trasmesso l’idea di un Ottocento caratterizzato da due
elementi indiscutibili: l’esistenza di un radicato sentimento d’italianità, che
aveva fretta di giungere all’unificazione del Paese, e quella di una netta
frattura tra Nord e Sud Italia. Ma era proprio così? In realtà, ancora alla metà del XIX secolo i
piemontesi, quando dovevano uscire dai loro territori, dichiaravano di recarsi
“in Italia”; allo stesso modo la popolazione del Regno delle Due Sicilie
qualificava tutti gli altri abitanti della penisola come “forestieri”. La
lingua italiana come la conosciamo noi era parlata da meno del 10% della
popolazione e per lo più in Toscana. Tutti gli altri si esprimevano nel loro
dialetto locale. In Piemonte, accanto al dialetto, la lingua ufficiale era il
francese; i figli dei ricchi studiavano in scuole francesi e parlavano in
quella lingua (come Cavour, che restò sempre impacciato quando doveva
esprimersi in italiano); lo Statuto Albertino, promulgato nel 1848 da Carlo
Alberto di Savoia come costituzione del Regno di Sardegna, fu scritto in
francese e solo dopo tradotto in italiano. Non esisteva nemmeno un’economia
interna a livello nazionale: i commerci degli Stati preunitari erano diretti
verso gli altri Stati della penisola solo in ragione del 20%, mentre tutto il
resto andava a Paesi stranieri. In concreto soltanto le élite intellettuali
erano convinte della necessità di costruire una nazione italiana unitaria.
Quanto alla frattura tra
Nord e Sud, esisteva, ma non come siamo stati abituati a credere. Limitandosi
al solo ambito finanziario, al momento dell’Unità d’Italia la bilancia
commerciale del regno borbonico era in attivo di 35 milioni di ducati (circa
560 milioni di euro) a fronte di un disavanzo del Regno di Sardegna pari a
oltre 760 milioni di lire sabaude (circa 3miliardi e 600 milioni di euro).
Secondo la storica della finanza Stéphanie Collect, l’unico precedente
assimilabile al fenomeno degli Eurobond, le obbligazioni del debito sovrano dei
sette Stati preunitari che nel 1861, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela
di Francia e Inghilterra, diedero vita al Regno d’Italia; in pratica, all’epoca
il Regno delle due Sicilie era per l’Italia quello che oggi è la Germania per l’Eurozona.
Senza il sostanzioso apporto economico del Regno delle Due Sicilie alle
disastrate finanze del Regno di Sardegna l’Italia unita non sarebbe mai nata. Nel
1864, il piemontese Alessandro Bianco, conte di Saint-Jorioz, capo di stato
maggiore alla frontiera pontificia, diede alle stampe un rapporto sul
brigantaggio: “nonostante il duro
giudizio su queste misere popolazioni presso le quali si trovava tutto ciò che
di laido e riprovevole nella umane società, il 1860 trovò questo popolo del
1859, vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino
possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva
esattamente le gli affitti; con poco alimentava la famiglia. Tutti, in propria
condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto”.
La storia d’Italia forse non è stata completamente ancora scritta.
“non mi strapparono il Regno le discordie intestine, ma mi vince l’ingiustificabile
invasione d’un nemico straniero”.
Francesco II
«Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altr'aria, non ho veduti altri paesi, non conosco altro suolo, che il suolo natio. Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno: i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni mie ambizioni.»
(Francesco II delle Due Sicilie[1])
Francesco II di Borbone, battezzato Francesco d'Assisi Maria Leopoldo (Napoli, 16 gennaio 1836 – Arco, 27 dicembre 1894), fu l'ultimo re delle Due Sicilie, salito al trono il 22 maggio 1859 e deposto il 13 febbraio 1861 dopo l'annessione al Regno d'Italia.
Francesco II delle Due Sicilie in una foto dei fratelli D'Alessandri, Londra, National Portrait Gallery
Lo scandalo delle banche-usura.
moneta del regno delle Due Sicilie.
Subito dopo l’Unità d’Italia, la
difficile situazione economica di Napoli fu il terreno di coltura di uno dei
più grandi scandali finanziari nella storia del nostro Paese: le
banche-usura. Si trattava di un sistema ideato da un tale Gugliemo
Ruffo-Scilla, sedicente principe e socio d’affari della Banca Rothschild, che
dal 1866 riuscì a farsi affidare ingenti somme di denaro dalla piccola e
media borghesia napoletana, promettendo in cambio interessi favolosi
derivati, in realtà, dalla svalutazione delle banconote rispetto alla moneta
metallica. Fu imitato da molti, e in pochi anni Napoli arrivò a contare un
centinaio di analoghi istituti bancari, che prosperavano sulla credulità
della gente. Nel 1870 il sistema saltò dopo aver inghiottito interi
patrimoni, e migliaia di famiglie finirono sul lastrico senza potersi più
risollevarsi. Lo scandalo travolse anche come truffati o truffatori, anche
numerosi esponenti dell’alta società napoletana, producendo uno strappo
insanabile nel tessuto sociale cittadino.
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Articolo in gran parte di Alessandra Colla
pubblicato su Conoscere la Storia Sprea Editori bimestrale n. 45. Altri testi
e foto da Wikipedia.
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