venerdì 23 novembre 2018

Cristoforo Colombo ammiraglio e corsaro.


Cristoforo Colombo ammiraglio e corsaro.
Una vita piena di ombre. Soprattutto il periodo antecedente alla “scoperta”, è avvolto da un mistero su cui sono state fatte le ipotesi più diverse. Ma l’attività corsara di Colombo sembra certa, e vittima delle sue scorrerie fu la Spagna, che gli avrebbe data fama e ricchezza.


Ritratto postumo di Cristoforo Colombo eseguito da Sebastiano del Piombo, 1519
Firma di Cristoforo Colombo.
A sinistra la firma di Colombo prima del 1492, a destra la firma da ammiraglio al servizio della corona di Castiglia

Cristoforo Colombo (in latinoChristophorus Columbus, in spagnoloCristóbal Colón, in portogheseCristóvão ColomboGenova, fra il 26 agosto e il 31 ottobre 1451[1] – Valladolid20 maggio 1506) è stato un navigatore ed esploratore italiano, cittadino della Repubblica di Genova prima e suddito del Regno di Castiglia poi, famoso soprattutto per i suoi viaggi che portarono alla colonizzazione europea delle Americhe.

Una delle più tenaci nozioni scolastiche che tutti ci portiamo dietro riguarda l’evento epocale che ha cambiato l’assetto del pianeta: la scoperta del continente americano da parte del navigatore genovese Cristoforo Colombo, che vi sbarcò il 12 ottobre 1492, e del quale si sa che fu marinaio, esploratore, geografo, governatore per conto del governo spagnolo e scrittore. Ma non si sa, o almeno a scuola non lo si studia, che in gioventù Colombo fu anche corsaro.
La cosa non deve sorprendere, perché la guerra di corsa, come veniva chiamata nel Medioevo, rientrava a pieno titolo nelle attività economiche ufficiali degli Stati marittimi. Fin dai tempi più antichi, infatti, “correre” sulle tracce dei vascelli nemici per cacciarli, come si faceva con la selvaggina di terra, costituiva un elemento essenziale del conflitto: privare il nemico di approvvigionamenti via mare significava arrecargli un danno considerevole e, al contempo, rimpinguare le proprie casse, traendo così dall’attacco un doppio, utilissimo vantaggio.

Cristoforo Colombo sulla tolda della nave indica la via per il Nuovo mondo. Particolare di un manifesto illustrativo per l'esposizione italo-americana del 1892, tenuta in occasione del quattrocentenario della scoperta dell'America


IL DECLINO DI GENOVA E L’ASCESA DELLA SPAGNA. Nel corso del Quattrocento, Genova cominciava a essere in crisi: la sconfitta nella guerra contro gli Aragonesi prima (1350) e contro la repubblica di Venezia poi (1381) ne aveva ridimensionato la potenza, mentre l’irresistibile avanzata turca le sottraeva gradatamente i possedimenti orientali, costringendo la repubblica ligure a operare significativi mutamenti nell’assetto tradizionale del suo commercio marittimo. Lentamente, i circuiti economici e finanziari genovesi si volsero verso occidente, lungo un nuovo asse che da Spagna e Portogallo portava alle Fiandre e all’Inghilterra: Barcellona, Siviglia, Cadice, Lisbona, Southampton, Londra, Bruges e Anversa divennero così i nomi di spicco sulle carte geografiche, mentre cresceva il numero di genovesi pronti a mettersi al soldo delle potenze occidentali. Perduta la gloria d’Oriente, occorreva far di necessità virtù e tentare nuove rotte. Mentre Genova iniziava la fase discendente della sua parabola, da ovest sorgeva il nuovo astro attorno al quale sarebbero ruotati i destini d’Europa fino all’età napoleonica: la Spagna che stava portando a termine il difficile compito, durato 750 anni, di impadronirsi dei territori in mani islamiche per riunificare la penisola iberica sotto l’egida cristiana. La Reconquista era iniziata nel 722 con la battaglia di Covadonga, che aveva visto la prima grande vittoria dei cristiani, guidati dal condottiero asturiano Pelagio di Fafila, sulla penisola iberica dopo che i Mori, nel 711, si erano impadroniti di gran parte della Spagna; il lungo e faticoso recupero delle terre spagnole culminò nel 1469 quando il matrimonio di Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona riunì le corone cristiane.
Ma la situazione era tutt’altro che tranquilla: ci vorrebbe un libro intero per raccontare i complicati intrecci dinastici e le relative contese che in quel periodo travagliavano la corona aragonese insieme alle altre casate di Spagna, ma qui basterà dire che era in corso una guerra civile tra la Catalogna, che cercava di conquistare l’indipendenza, e il resto dell’Aragona; Renato d’Angiò era l’ultimo dei pretendenti al trono eletti dalla Generalitat de Catalunya per guidare la lotto contro Ferdinando d’Aragona e i suoi fedeli. È in questo clima rovente che s’inquadra l’attività corsaresca di Cristoforo Colombo. Nato nel 1451, Cristoforo batteva già il Mediterraneo occidentale a soli 16 anni e si era dedicato al commercio di lane e altri prodotti, imponendosi per abilità e spregiudicatezza. Fu così che nel 1471, Renato d’Angiò decise di affidargli, benché appena ventenne, il comando di una nave corsara. Forse gli conferì una vera e propria lettera di corsa, o forse soltanto un preciso incarico: catturare una Fernandina, una galeazza o galea, da guerra che incrociava nel canale di Sardegna per conto di Giovanni II d’Aragona. Ancora oggi non è chiaro quale fosse l’importanza di questa nave: si suppone che il fatto stesso di portare il nome del figlio del re, l’infante Ferdinando, la designasse come vascello ufficiale adibito a missioni diplomatiche; e se questo fosse vero sarebbe lecito pensare che la Fernandina stesse veleggiando verso gli stati barbareschi del Maghreb in cerca di una proficua alleanza antifrancese che consentisse all’Aragonese di mettere fuori gioco d’Angiò.
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Colombo Cristoforo


Pirata o corsaro: una differenza di vitale importanza.
Anche se nel parlare comune si tende si tende spesso a confondere corsaro o pirata, l’essere l’uno o l’altro faceva una differenza fondamentale: all’atto della cattura, infatti, i corsari venivano considerati prigionieri di guerra (avevano salva la vita e in cambio di un riscatto potevano essere rilasciati), mentre i pirati subivano una giustizia sommaria. Questo perché i pirati depredavano le altri navi per impossessarsi del carico o catturare l’equipaggio per poi rivenderne i membri come schiavi, o ancora sequestrare i passeggeri di rango per chiedere un riscatto in cambio della vita. Al contrario i corsari erano al servizio di un governo, cui cedevano parte del bottino ricavato dalle loro imprese, ottenendo in cambio lo status di combattente (lettera di corsa) e la bandiera, che li autorizzava a rapinare solo le navi mercantili nemiche, mentre era lecito uccidere gli avversari solo in combattimento.
Responsabile della confusione fra i due termini, almeno in Italia, fu probabilmente il predicatore domenicano Jacopo Passavanti, che nel suo “Specchio di vera Penitentia” parla appunto “di pirati, cioè corsari e rubatori di mare”. L’errore fu ripreso dallo scrittore Franco Sacchetti (1332-1400) nei suoi Sermoni Evangelici, in cui fornisce anche una curiosa etimologia: “Pirati sono li corsali, e sono dinominati da Pirro figliolo d’Achille, il quale fu il primo corsale, che con cento legni andava rubando, uccidendo e predando per tutto il mare”.

Stemma di Colombo istituito dai sovrani di Castiglia e Aragona il 20 maggio 1493[12]

A CACCIA DELLA FERNANDINA. Al di là delle supposizioni, resta il fatto che il giovane genovese si trovò a comandare una “saetta”, ossia un tipo di galea piccola e veloce molto utilizzata all’epoca sia dai corsari che dai pirati. A bordo di questa, Colombo raggiunse le acque della piccola isola di San Pietro, nella parte sud-occidentale della Sardegna, e qui venne a sapere che la sua preda si trovava a Tunisi insieme ad altre tre imbarcazioni. La faccenda si complicava: già affrontare da soli la galeazza, pesante e ben armata, era un rischio da non sottovalutare; ma pensare di attaccarla mentre era provvista di scorta era addirittura folle. Ben consapevoli di questo, gli uomini dell’equipaggio chiesero a gran voce al loro comandante di fare dietrofront e abbandonare la caccia.
È a questo punto che salta fuori l’indole di Colombo, quella stessa che vent’anni più tardi gli avrebbe permesso di portare a termine l’impresa che l’avrebbe reso immortale. Deciso a raggiungere ugualmente Tunisi, per verificare di persona la situazione, mise in atto un audace stratagemma: finse di acconsentire alle richieste dell’equipaggio e manipolò di nascosto la bussola invertendo i poli. Per quanto bizzarra possa sembrare la cosa, è lui stesso a narrarla, molti anni dopo, in una lettera ai suoi protettori Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona: il magnetismo delle bussole dell’epoca non era permanente, e la calamita doveva essere ricaricata di tanto in tanto, strofinandola per rinnovare le proprietà. Più probabilmente, suggeriscono alcuni studiosi, Colombo alterò in qualche modo la carta nautica, ma comunque siano andate le cose, resta il fatto che allo spuntar del sole piloti ed equipaggio ebbero la sorpresa (non si sa quanto gradita) di trovarsi in Africa, nelle acque antistanti Tunisi.  
Purtroppo non è dato sapere come andò a finire la caccia alla Fernanda, perché Colombo interrompe qui il suo racconto. Ma negli anni seguenti, la fama del navigatore genovese come abile corsaro non tardò a diffondersi, tanto che ne troviamo traccia in alcune delle più importanti cronache del Cinquecento. Una delle prime menzioni appare negli “Annali veneti” (1577) di Julio Faroldo, prete cremonese, che così riporta un famoso episodio accaduto nel 1485: in quell’anno quattro galee veneziane al comando del nobile Bartolomeo Minio, dirette in Inghilterra con un carico del valore di oltre 200mila ducati, furono assalite presso il capo di San Vincenzo, all’estremità sud-occidentale del Portogallo, “dal Colombo corsaro con 7 navi e dopo lungo contrasto prese, con morte di circa 300 veneziani”. Il Faroldo riferisce che secondo lo storico Marc’Antonio Sabellico, contemporaneo di Cristoforo Colombo, il corsaro era un suo parente, “ma noi riteniamo che fosse proprio il Cristoforo Colombo, genovese: il quale poi, nel 1492, navigando per ponente con naviglio del Re di Spagna, pervenne a isole e terre incognite” prosegue Faroldo.



I fratelli di Colombo.
In una lettera del 1° dicembre 1504 indirizzata al figlio Diego, Cristoforo Colombo scriveva: “io non ho mai trovato migliore amico alla mia destra e alla mia sinistra de’ miei fratelli”. Non era uno scivolone sentimentale: è davvero molto probabile che senza l’aiuto fraterno Colombo non avrebbe scoperto l’America. Le fonti non concordano sul numero dei fratelli di Cristoforo: l’esistenza di un Bartolomeo e di un Giacomo (detto Diego) è accertata; ma si parla anche di un Giovanni Pellegrino e di una Bianchinetta.  Di questi ultimi non si sa praticamente nulla, mentre è noto che Bartolomeo e Giacomo accompagnarono spesso Cristoforo nelle sue esplorazioni. Anzi, secondo il coevo notaio genovese Antonio Gallo (1400-1509), autore di un “Commentario sulla navigazione di Colombo” (1500 ca.)  fu proposto Bartolomeo, cartografo a Lisbona, a immaginare di poter raggiungere il continente indiano procedendo verso ovest. Nel 1493, in occasione del secondo viaggio per le Americhe, a Bartolomeo fu affidato il comando di tre navi con le quali giunse ad Haiti, dove Cristoforo lo nominò governatore dell’isola. Qui, Bartolomeo estese e consolido il dominio spagnolo in assenza del fratello, e nel 1496 fondò Santo Domingo. Divise poi fortune e sventure di Colombo fino alla morte, nel 1514.

          
INDAGINE CON IL DNA SULL’IDENTITA’ DEL CORSARO. Il dato più importante che emerge da questi resoconti è la confusione esistente già all’epoca sull’identità di questo Colombo corsaro: si pensa che sotto questo nome si celasse un certo Guillaume de Casenove o Cazeneuve, corsaro con patente del re di Francia; alcune fonti sostengono invece che fosse uno zio di Colombo, imbarcato al suo seguito in più di un’occasione. Ma esisteva anche un Vincenzo Colombo, anch’egli ligure e corsaro, la cui parentela con Cristoforo non è però mai stata provata.
Da ultimo, nel 2012, lo studioso portoghese Fernando Branco ha azzardato l’ipotesi che Colombo fosse in realtà il corsaro portoghese Pedro Ataide, dato per morto in una battaglia navale ne 1473, nella quale aveva combattuto al fianco di un corsaro francese chiamato Coulon o Culon; riuscito fortunosamente a salvarsi, Ataide cambiò il suo nome in Pedro Colon o Culon. Convinto della correttezza di questa teoria, nel 2017 Branco ha richiesto l’esame del Dna a un familiare di Pedro Ataide, per confrontarlo con quello di Fernando, figlio di Cristoforo, sequenziato in Spagna nel 2006. Bisognerà dunque aspettare i risultati di questo esame per sapere la verità sulla figura dell’ammiraglio Cristoforo Colombo, e conoscere finalmente la storia di un uomo diventato leggenda.

Articolo in gran parte di Alessandra Colla, giornalista e saggista di Storia pubblicato su BBC History del mese di settembre 2018. Altri testi e immagini da Wikipedia.


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