Cristoforo Colombo ammiraglio e corsaro.
Una vita piena di
ombre. Soprattutto il periodo antecedente alla “scoperta”, è avvolto da un
mistero su cui sono state fatte le ipotesi più diverse. Ma l’attività corsara
di Colombo sembra certa, e vittima delle sue scorrerie fu la Spagna, che gli
avrebbe data fama e ricchezza.
Cristoforo Colombo (in latino: Christophorus Columbus, in spagnolo: Cristóbal Colón, in portoghese: Cristóvão Colombo; Genova, fra il 26 agosto e il 31 ottobre 1451[1] – Valladolid, 20 maggio 1506) è stato un navigatore ed esploratore italiano, cittadino della Repubblica di Genova prima e suddito del Regno di Castiglia poi, famoso soprattutto per i suoi viaggi che portarono alla colonizzazione europea delle Americhe.
Una delle più tenaci
nozioni scolastiche che tutti ci portiamo dietro riguarda l’evento epocale che
ha cambiato l’assetto del pianeta: la scoperta del continente americano da
parte del navigatore genovese Cristoforo Colombo, che vi sbarcò il 12 ottobre
1492, e del quale si sa che fu marinaio, esploratore, geografo, governatore per
conto del governo spagnolo e scrittore. Ma non si sa, o almeno a scuola non lo
si studia, che in gioventù Colombo fu anche corsaro.
La cosa non deve sorprendere,
perché la guerra di corsa, come veniva chiamata nel Medioevo, rientrava a pieno
titolo nelle attività economiche ufficiali degli Stati marittimi. Fin dai tempi
più antichi, infatti, “correre” sulle tracce dei vascelli nemici per cacciarli,
come si faceva con la selvaggina di terra, costituiva un elemento essenziale
del conflitto: privare il nemico di approvvigionamenti via mare significava
arrecargli un danno considerevole e, al contempo, rimpinguare le proprie casse,
traendo così dall’attacco un doppio, utilissimo vantaggio.
Cristoforo Colombo sulla tolda della nave indica la via per il Nuovo mondo. Particolare di un manifesto illustrativo per l'esposizione italo-americana del 1892, tenuta in occasione del quattrocentenario della scoperta dell'America
IL DECLINO DI GENOVA E L’ASCESA DELLA SPAGNA. Nel
corso del Quattrocento, Genova cominciava a essere in crisi: la sconfitta nella
guerra contro gli Aragonesi prima (1350) e contro la repubblica di Venezia poi
(1381) ne aveva ridimensionato la potenza, mentre l’irresistibile avanzata
turca le sottraeva gradatamente i possedimenti orientali, costringendo la
repubblica ligure a operare significativi mutamenti nell’assetto tradizionale
del suo commercio marittimo. Lentamente, i circuiti economici e finanziari
genovesi si volsero verso occidente, lungo un nuovo asse che da Spagna e
Portogallo portava alle Fiandre e all’Inghilterra: Barcellona, Siviglia,
Cadice, Lisbona, Southampton, Londra, Bruges e Anversa divennero così i nomi di
spicco sulle carte geografiche, mentre cresceva il numero di genovesi pronti a
mettersi al soldo delle potenze occidentali. Perduta la gloria d’Oriente,
occorreva far di necessità virtù e tentare nuove rotte. Mentre Genova iniziava
la fase discendente della sua parabola, da ovest sorgeva il nuovo astro attorno
al quale sarebbero ruotati i destini d’Europa fino all’età napoleonica: la
Spagna che stava portando a termine il difficile compito, durato 750 anni, di
impadronirsi dei territori in mani islamiche per riunificare la penisola
iberica sotto l’egida cristiana. La Reconquista era iniziata nel 722 con la
battaglia di Covadonga, che aveva visto la prima grande vittoria dei cristiani,
guidati dal condottiero asturiano Pelagio di Fafila, sulla penisola iberica
dopo che i Mori, nel 711, si erano impadroniti di gran parte della Spagna; il
lungo e faticoso recupero delle terre spagnole culminò nel 1469 quando il
matrimonio di Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona riunì le corone
cristiane.
Ma la situazione era
tutt’altro che tranquilla: ci vorrebbe un libro intero per raccontare i
complicati intrecci dinastici e le relative contese che in quel periodo
travagliavano la corona aragonese insieme alle altre casate di Spagna, ma qui
basterà dire che era in corso una guerra civile tra la Catalogna, che cercava
di conquistare l’indipendenza, e il resto dell’Aragona; Renato d’Angiò era
l’ultimo dei pretendenti al trono eletti dalla Generalitat de Catalunya per
guidare la lotto contro Ferdinando d’Aragona e i suoi fedeli. È in questo clima
rovente che s’inquadra l’attività corsaresca di Cristoforo Colombo. Nato nel
1451, Cristoforo batteva già il Mediterraneo occidentale a soli 16 anni e si
era dedicato al commercio di lane e altri prodotti, imponendosi per abilità e
spregiudicatezza. Fu così che nel 1471, Renato d’Angiò decise di affidargli,
benché appena ventenne, il comando di una nave corsara. Forse gli conferì una
vera e propria lettera di corsa, o forse soltanto un preciso incarico: catturare
una Fernandina, una galeazza o galea, da guerra che incrociava nel canale di
Sardegna per conto di Giovanni II d’Aragona. Ancora oggi non è chiaro quale
fosse l’importanza di questa nave: si suppone che il fatto stesso di portare il
nome del figlio del re, l’infante Ferdinando, la designasse come vascello
ufficiale adibito a missioni diplomatiche; e se questo fosse vero sarebbe
lecito pensare che la Fernandina stesse veleggiando verso gli stati barbareschi
del Maghreb in cerca di una proficua alleanza antifrancese che consentisse
all’Aragonese di mettere fuori gioco d’Angiò.
Colombo Cristoforo
Pirata o corsaro: una differenza di vitale importanza.
Anche se nel parlare comune si tende
si tende spesso a confondere corsaro o pirata, l’essere l’uno o l’altro
faceva una differenza fondamentale: all’atto della cattura, infatti, i
corsari venivano considerati prigionieri di guerra (avevano salva la vita e
in cambio di un riscatto potevano essere rilasciati), mentre i pirati
subivano una giustizia sommaria. Questo perché i pirati depredavano le altri
navi per impossessarsi del carico o catturare l’equipaggio per poi rivenderne
i membri come schiavi, o ancora sequestrare i passeggeri di rango per
chiedere un riscatto in cambio della vita. Al contrario i corsari erano al
servizio di un governo, cui cedevano parte del bottino ricavato dalle loro
imprese, ottenendo in cambio lo status di combattente (lettera di corsa) e la
bandiera, che li autorizzava a rapinare solo le navi mercantili nemiche,
mentre era lecito uccidere gli avversari solo in combattimento.
Responsabile della confusione fra i
due termini, almeno in Italia, fu probabilmente il predicatore domenicano
Jacopo Passavanti, che nel suo “Specchio di vera Penitentia” parla appunto “di pirati, cioè corsari e rubatori di
mare”. L’errore fu ripreso dallo scrittore Franco Sacchetti (1332-1400)
nei suoi Sermoni Evangelici, in cui fornisce anche una curiosa etimologia: “Pirati sono li corsali, e sono dinominati
da Pirro figliolo d’Achille, il quale fu il primo corsale, che con cento
legni andava rubando, uccidendo e predando per tutto il mare”.
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Stemma di Colombo istituito dai sovrani di Castiglia e Aragona il 20 maggio 1493[12]
A CACCIA DELLA FERNANDINA. Al di là delle
supposizioni, resta il fatto che il giovane genovese si trovò a comandare una
“saetta”, ossia un tipo di galea piccola e veloce molto utilizzata all’epoca
sia dai corsari che dai pirati. A bordo di questa, Colombo raggiunse le acque
della piccola isola di San Pietro, nella parte sud-occidentale della Sardegna,
e qui venne a sapere che la sua preda si trovava a Tunisi insieme ad altre tre
imbarcazioni. La faccenda si complicava: già affrontare da soli la galeazza,
pesante e ben armata, era un rischio da non sottovalutare; ma pensare di
attaccarla mentre era provvista di scorta era addirittura folle. Ben
consapevoli di questo, gli uomini dell’equipaggio chiesero a gran voce al loro
comandante di fare dietrofront e abbandonare la caccia.
È a questo punto che
salta fuori l’indole di Colombo, quella stessa che vent’anni più tardi gli
avrebbe permesso di portare a termine l’impresa che l’avrebbe reso immortale.
Deciso a raggiungere ugualmente Tunisi, per verificare di persona la
situazione, mise in atto un audace stratagemma: finse di acconsentire alle
richieste dell’equipaggio e manipolò di nascosto la bussola invertendo i poli.
Per quanto bizzarra possa sembrare la cosa, è lui stesso a narrarla, molti anni
dopo, in una lettera ai suoi protettori Isabella di Castiglia e Ferdinando
d’Aragona: il magnetismo delle bussole dell’epoca non era permanente, e la
calamita doveva essere ricaricata di tanto in tanto, strofinandola per
rinnovare le proprietà. Più probabilmente, suggeriscono alcuni studiosi, Colombo
alterò in qualche modo la carta nautica, ma comunque siano andate le cose,
resta il fatto che allo spuntar del sole piloti ed equipaggio ebbero la
sorpresa (non si sa quanto gradita) di trovarsi in Africa, nelle acque
antistanti Tunisi.
Purtroppo non è dato
sapere come andò a finire la caccia alla Fernanda, perché Colombo interrompe
qui il suo racconto. Ma negli anni seguenti, la fama del navigatore genovese
come abile corsaro non tardò a diffondersi, tanto che ne troviamo traccia in
alcune delle più importanti cronache del Cinquecento. Una delle prime menzioni
appare negli “Annali veneti” (1577) di Julio Faroldo, prete cremonese, che così
riporta un famoso episodio accaduto nel 1485: in quell’anno quattro galee
veneziane al comando del nobile Bartolomeo Minio, dirette in Inghilterra con un
carico del valore di oltre 200mila ducati, furono assalite presso il capo di
San Vincenzo, all’estremità sud-occidentale del Portogallo, “dal Colombo corsaro con 7 navi e dopo lungo
contrasto prese, con morte di circa 300 veneziani”. Il Faroldo riferisce
che secondo lo storico Marc’Antonio Sabellico, contemporaneo di Cristoforo
Colombo, il corsaro era un suo parente, “ma
noi riteniamo che fosse proprio il Cristoforo Colombo, genovese: il quale poi,
nel 1492, navigando per ponente con naviglio del Re di Spagna, pervenne a isole
e terre incognite” prosegue Faroldo.
I
fratelli di Colombo.
In
una lettera del 1° dicembre 1504 indirizzata al figlio Diego, Cristoforo
Colombo scriveva: “io non ho mai
trovato migliore amico alla mia destra e alla mia sinistra de’ miei fratelli”.
Non era uno scivolone sentimentale: è davvero molto probabile che senza
l’aiuto fraterno Colombo non avrebbe scoperto l’America. Le fonti non
concordano sul numero dei fratelli di Cristoforo: l’esistenza di un
Bartolomeo e di un Giacomo (detto Diego) è accertata; ma si parla anche di un
Giovanni Pellegrino e di una Bianchinetta.
Di questi ultimi non si sa praticamente nulla, mentre è noto che
Bartolomeo e Giacomo accompagnarono spesso Cristoforo nelle sue esplorazioni.
Anzi, secondo il coevo notaio genovese Antonio Gallo (1400-1509), autore di
un “Commentario sulla navigazione di Colombo” (1500 ca.) fu proposto Bartolomeo, cartografo a
Lisbona, a immaginare di poter raggiungere il continente indiano procedendo
verso ovest. Nel 1493, in occasione del secondo viaggio per le Americhe, a
Bartolomeo fu affidato il comando di tre navi con le quali giunse ad Haiti,
dove Cristoforo lo nominò governatore dell’isola. Qui, Bartolomeo estese e
consolido il dominio spagnolo in assenza del fratello, e nel 1496 fondò Santo
Domingo. Divise poi fortune e sventure di Colombo fino alla morte, nel 1514.
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INDAGINE CON IL DNA SULL’IDENTITA’ DEL CORSARO. Il
dato più importante che emerge da questi resoconti è la confusione esistente
già all’epoca sull’identità di questo Colombo corsaro: si pensa che sotto
questo nome si celasse un certo Guillaume de Casenove o Cazeneuve, corsaro con
patente del re di Francia; alcune fonti sostengono invece che fosse uno zio di
Colombo, imbarcato al suo seguito in più di un’occasione. Ma esisteva anche un
Vincenzo Colombo, anch’egli ligure e corsaro, la cui parentela con Cristoforo
non è però mai stata provata.
Da ultimo, nel 2012, lo
studioso portoghese Fernando Branco ha azzardato l’ipotesi che Colombo fosse in
realtà il corsaro portoghese Pedro Ataide, dato per morto in una battaglia
navale ne 1473, nella quale aveva combattuto al fianco di un corsaro francese
chiamato Coulon o Culon; riuscito fortunosamente a salvarsi, Ataide cambiò il
suo nome in Pedro Colon o Culon. Convinto della correttezza di questa teoria,
nel 2017 Branco ha richiesto l’esame del Dna a un familiare di Pedro Ataide,
per confrontarlo con quello di Fernando, figlio di Cristoforo, sequenziato in
Spagna nel 2006. Bisognerà dunque aspettare i risultati di questo esame per
sapere la verità sulla figura dell’ammiraglio Cristoforo Colombo, e conoscere
finalmente la storia di un uomo diventato leggenda.
Articolo in gran parte
di Alessandra Colla, giornalista e saggista di Storia pubblicato su BBC History
del mese di settembre 2018. Altri testi e immagini da Wikipedia.
Fantastica ..complimenti !
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