Cuma anima greca.
Fu la prima città greca
in Italia: la fondarono nell’VIII secolo a.C. e diventò una culla della cultura
d’Occidente.
Cuma | |
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Acropoli di Cuma | |
Nome originale | Κύμη, Κύμαι, Κύμα, Cumae |
Cronologia | |
Fondazione | 740 a.C. |
Fine | 1207 |
Amministrazione | |
Dipendente da | Greci, Sanniti, Romani, Saraceni |
Territorio e popolazione | |
Lingua | greco, latino |
Localizzazione | |
Stato attuale | Italia |
Località | città metropolitana di Napoli |
Coordinate | 40°50′55″N 14°03′13″E |
Cartografia | |
Cuma (Cumae in latino) è un sito archeologico della città metropolitana di Napoli, nel territorio dei comuni di Bacoli e di Pozzuoli, localizzato nell'area vulcanica dei Campi Flegrei.
Il nome deriva dal nome greco Κύμη (Kýmē), che significa "onda", facendo riferimento alla forma della penisola sulla quale è ubicata.[senza fonte]
Là
dove profetizzava la Sibilla, dove cantavano le Sirene, dovere erano
imprigionati i Giganti. Là dove si incontrano leggende e archeologia. Cuma,
sulla costa campana, è forse la meno conosciuta tra le città della Magna
Grecia, eppure riveste un’importanza difficilmente eguagliabile. Innanzitutto
per un primato: è stata infatti la prima città greca fuori dalla Grecia,
modello per tutte le altre colonie. Ma è stata anche il luogo dove i miti di
Omero e di Esiodo sono stati rielaborati e ambientati, e da qui hanno plasmato
la cultura occidentale. “Cuma è la culla
del mito occidentale”, dichiara Filippo Demma, direttore Studi del Parco
Archeologico dei Campi Flegrei. Non solo. Il ruolo della città, oggi parte
dell’area metropolitana di Napoli, è stato cruciale nello stabilire gli
equilibri della penisola italica e nel permettere l’ascesa di Roma. Ecco come.
PRIMI PASSI. “Erano Eubei, della città di Calcide, i primi Greci che nel corso
dell’VIII secolo a.C. erano approdati nel golfo di Napoli, stanziandosi in
forma stabile prima nell’emporio commerciale sull’isola d’Ischia e poi nella
colonia di Cuma sulla terraferma. Di Cuma, che la tradizione indica come la
prima strutturata polis ellenica d’Occidente, conosciamo anche il nome dei
fondatori, Hippokles di Cuma (città omonima dell’isola di Eubea oppure
dell’Asia Minore) e Megasthenes di Calcide”, spiega Lorenzo Braccesi, già
docente di Storia greca a Torino, Venezia e Padova. Per trovare il giusto
approdo, si narrava, seguirono il volo di una colomba, uno dei simboli delle
monete romane dove è raffigurata mentre si guarda indietro per assicurarsi che
la flotta la segua. Questi due eroi fondatori non si limitarono a creare un fondaco,
ma istituirono una città, sul modello delle poleis della madrepatria. Per
espandere il loro potere, i Cumani fondarono a loro volta nuovi avamposti: un
primo insediamento a Zancle (l’odierna Messina), per controllare le vie
d’accesso al Tirreno, e poi a Palepolis e a Neapolis (i due nuclei originari di
Napoli), Pozzuoli e altre località della baia. È così che Cuma in età arcaica
divenne il punto di riferimento dei Greci d’Occidente. Era un avamposto
commerciale per scambiare beni con le popolazioni italiche, uno scalo da cui
partire per andarsi a procacciare i metalli nelle isole dell’arcipelago
toscano, la base da dove controllare le rotte del Mar Tirreno. Ma la città era
anche circondata da campi resi fertilissimi dalla natura vulcanica del territorio.
Ci si poté stanziare, dedicare all’agricoltura, costruire una nuova società che
non era più quella solo di pionieri lontani a casa: Cuma era casa.
DOVE TUTTO EBBE INIZIO. La città meritava il suo ruolo di
leadership: le testimonianze archeologiche mostrano quanto fossero colti i suoi
coloni, i quali già alla fine dell’VIII secolo a.C. sapevano scrivere e
conoscevano bene tanto i miti della creazione del mondo quanto i racconti
dell’epica omerica. Non era cosa da poco, considerando che probabilmente la
scrittura in Italia venne introdotta proprio attraverso i Cumani, e lo stesso
avvenne per la mitologia. “Furono loro a
identificare nei Campi Flegrei il luogo dove Zeus imprigionò i Giganti dopo
averli sconfitti e aver così posto fine al caos primordiale, permettendo la
nascita di un cosmo ordinato, e furono i marinai cumani a collocare lungo la
costa meridionale dell’Italia le avventure di Ulisse, che non ha caso da queste
parti, fino alla stessa Roma, era considerato il fondatore di molte località”,
racconta Demma. E c’è di più. Nello stretto di Messina (infestato dai pirati
cumani, secondo i racconti dello storico Tucilide) l’eroe omerico aveva dovuto
affrontare i mostri Scilla e Carridi per poter arrivare nel golfo campano, dove
lo aspettavano le Sirene, creature alate e terribili incantatrici il cui canto
faceva naufragare i navigli e che solo Ulisse riuscì ad ascoltare, facendosi
legare all’albero maestro. Superata la temibile trappola, si stagliava
all’orizzonte il promontorio del Circeo, residenza della maga Circe.
La svolta del tiranno.
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L'importanza storica di questa battaglia risiede nel suo valore di "preludio" del declino della potenza etrusca nell'Italia centro-meridionale (Serrao).[5]
Una veduta di Vallericcia, antico lago vulcanico prosciugato,[1] probabile sito della battaglia. Sullo sfondo, le alture dei Colli Albani con in primo piano gli abitati di Albano Laziale ed Ariccia, mentre dietro è Monte Cavo.
Il personaggio più
rilevante della storia di Cuma fu senz’altro Aristodemo, detto Malaco (il
molle, l’effeminato) probabilmente perché amava il lusso e vestirsi alla
maniera dei Persiani. Nonostante le origini modeste, si distinse come
condottiero conquistando la difficile vittoria del 524 a.C. contro gli
Etruschi di Capua. La sua fama e il suo potere crebbero nel tempo,
rafforzandolo a discapito della fazione degli aristocratici, che combatté con
tutti i mezzi.
PIAZZA PULITA. Nel
504 a.C. vinse anche ad Ariccia, dove i suoi avversari politici lo avrebbero
inviato con mezzi insufficienti sperando nella sua sconfitta: dopo questa
dimostrazione di forza, si sbarazzò dei nobili uccidendoli, esiliandoli o
costringendoli ai lavori forzati. Divenne così tiranno incontrastato, finché
ne. 492 a.C. le trame di oppositori forse aiutati dai Campani e dagli
Etruschi lo spodestarono e lo uccisero.
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(LA)
«Sibyllina responsa, quae, ut supra diximus, incertum est cuius Sibyllae fuerint, quamquam Cumanae Vergilius dicat, Varro Erythraeae. sed constat regnante Tarquinio quandam mulierem, nomine Amaltheam, obtulisse ei novem libros, in quibus erant fata et remedia Romana, et pro his poposcisse CCC. philippeos, qui aurei tunc pretiosi erant. quae contempta alia die tribus incensis reversa est et tantumdem poposcit, item tertio aliis tribus incensis cum tribus reversa est et accepit quantum postulaverat, hac ipsa re commoto rege, quod pretium non mutabat. 'tunc mulierem subito non apparuisse'. qui libri in templo Apollinis servabantur, nec ipsi tantum, sed et Marciorum et Begoes nymphae, quae artem scripserat fulguritarum apud Tuscos: unde adidit modo 'tuas sortes arcanaque fata'. et hoc trahit poeta.»
| (IT)
«I responsi Sibillini che, come prima abbiamo detto, è incerto da quale Sibilla siano stati scritti, sebbene Virgilio li attribuisca alla Cumana, Varrone, invece, all'Eritrea. Ma consta che sotto il regno di Tarquinio una donna, di nome Amaltea, abbia offerto al re stesso nove libri, nei quali erano scritti i fati e i rimedi di Roma, ed abbia preteso per questi libri trecento filippi, che allora erano preziose monete auree. Costei respinta, dopo averne bruciato tre, ritornò un altro giorno e chiese altrettanto, ed egualmente il terzo giorno, dopo averne bruciati altri tre, ritornò con gli ultimi tre e ricevette quanto aveva chiesto, poiché il re era stato impressionato da questa stessa vicenda, cioè dal fatto che il prezzo restava immutato. Allora la donna non apparve all'improvviso. Quei libri si conservavano nel tempio di Apollo, né soltanto quelli, ma anche quelli dei Marci e della ninfa Vegoe che aveva scritto presso gli Etruschi i libri fulgurales: per cui aggiunse solo tuas sortes arcanaque fata. E ciò riferisce il poeta.»
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(Servius Grammaticus, In Vergilii Aeneida[2]. trad.: Gennaro Franciosi) |
COSTOSA CONSULENZA. Una Sibilla
quindi che fu fondamentale per i Greci, ma che ancora più importante si rivelò
per i Romani. Nell’Eneide è lei l’unica che può indicare a Enea la sua
destinazione ed è sempre lei a guidare l’eroe troiano nell’Oltretomba
attraverso l’entrata presso il Lago d’Averno (nei dintorni di Cuma), un viaggio
nel quale a Enea sarà profetizzata la grandezza di Roma e la sua missione di
civilizzare il mondo. Non è però l’unica eredità trasmessa da Cuma a Roma:
furono infatti i re etruschi di Roma a raccogliere le profezie cumane nei Libri
Sibillini, che diventarono la guida sacra di Roma per tutta la durata della sua
storia. È a loro che il Senato ricorreva quando doveva essere interpretato un
evento misterioso e doveva essere adottata una contromisura. Alcune delle
scelte più importanti della storia di Roma e quindi del mondo antico furono
guidate dalla profetessa di Cuma, che secondo la leggenda aveva venduto lei
stessa i suoi oracoli al re Tarquinio (non è chiaro se Prisco o Superbo). Il
sovrano si era mostrato scettico a causa del prezzo esoso, ma la Sibilla
l’aveva convinto del valore dei responsi bruciando sei dei nove volumi in suo
possesso e continuando a chiedere lo stesso compenso.
(LA)
«Poscere fata / tempus, ait – deus, ecce deus!»
| (IT)
«è tempo, dice, / di chiedere i fati – il dio, ecco il dio!»
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(Virgilio, Eneide, VI 45-46) |
La Sibilla Cumana (gr. Σίβυλλα, lat. Sibylla), sacerdotessa di Apollo, è una delle più importanti Sibille, figure profetiche delle religioni greca e romana.
LA GLORIA MILITARE. Cuma nei primi
secoli della sua storia mostrò anche i muscoli. Alcune delle più antiche
battaglie d’Italia, decisive nell’assegnare l’aspetto della Penisola, la videro
protagonista. In Campania in tre si contendevano l’egemonia: Greci, Etruschi e
Italici di stirpe appenninica. Nel 524 a.C., un’alleanza fra Etruschi di Capua,
Dauni e Aurunci, minacciò la sopravvivenza di Cuma cercando di espellere i
Greci dalla Campania. Fu l’abilità tattica e strategica del tiranno cumano
Aristodemo Malaco a regalare ai Cumani una vittoria insperata. E fu sempre la
sua capacità di visione a far sì che i Cumani intervenissero più a Nord,
combattendo ad Ariccia al fianco dei Latini contro gli Etruschi del re
Porsenna.
La vittoria
cumana del 504 a.C. consolidò il predominio greco sulla Campania a scapito
degli Etruschi, e allo stesso tempo forse creò le condizioni perché Roma
guadagnasse la sua autonomia dai vicini settentrionali e cominciasse così la
sua ascesa. Nel 474, fu nelle acque di Cuma che si consumò l’ultimo tentativo
etrusco di estendere i propri domini sulla Campania: una flotta delle città
tosco-laziali, forse supportata da navi cartaginesi, sfidò i Greci guidata
allora da Ierone I di Siracusa. Fu la flotta campano-sicula ad avere la meglio
in una vittoria cantata da Pindaro e celebrata nell’antichità al pari di quella
ateniese sui Persiani a Salamina. E con ragione: l’anima greca del Sud Italia
era salva e anzi consacrata per sempre. Davanti a Cuma, dove aveva avuto
inizio. A Delfi è ancora conservato un elmo consacrato dal signore di Siracusa
a celebrazione di quello scontro cruciale.
Fedele amica di
Roma.
Nonostante Annibale
avesse scelto di risiedere nella vicinissima Capua per trascorrervi i suoi
ozi, Cuma mantenne solida la sua alleanza con Roma, anche durante la Seconda
Guerra Punica (218-202 a.C.) che aveva
messo alle corde l’esercito romano. Non solo non cedette alle lusinghe
cartaginesi nemmeno nelle ore più oscure, ma addirittura riuscì a far fronte
a un duro assedio.
RESISTENZA. Era il
215 a.C., l’anno successivo alla battaglia di Canne, e gran parte del
Meridione stava passando sotto le insegne di Annibale. I Campani provarono a
convincere i Cumani provarono a convincere i Cumani a tradire Roma, ma senza
successo. Anzi, questi ultimi chiamarono in aiuto il console Sempronio
Gracco, che con uno stratagemma fece strage di nemici inermi. Romani e
Cumani, ritiratisi sulla rocca, furono assediati da un esercito di Campani,
Capuani e Cartaginesi guidato da Annibale in persona. Al tentativo di assalto
i difensori resistettero finché Annibale preferì girare i tacchi e lasciare
in pace Cuma.
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IL DECLINO. Per
qualche decennio l’intera regione divenne nota come campagna di Cuma, eppure
per l’antica colonia i cambiamenti erano dietro l’angolo. E avevano il volto
dei Sanniti, gli aggressivi italici che tra il 438 e 421 a.C. riuscirono a
impadronirsi della città. Ne gestivano il potere, ma ormai l’anima culturale
greca era profondamente radicata e così fu conservata fino a quando Cuma finì
sotto il benevolo controllo dei Romani, cui rimase fedele anche quando
sopraggiunse Annibale. Cuma aveva fatto la sua scelta di campo: essere il seme
della cultura occidentale e trasmettere il testimone a Roma.
Articolo
in gran parte di Aldo Bucci pubblicato su Focus Storia n. 143. Altri testi e
foto da Wikipedia.
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