lunedì 19 novembre 2018

Più vero di Omero.


Più vero di Omero.
Recenti scoperte archeologiche hanno portato alla luce sbalorditive coincidenze linguistiche che possono essere considerate prove (almeno indiziarie) sulla fondamentale autenticità di quanto narra l’Iliade.


L’eco dei colpi inferti nel duello tra Ettore e Achille davanti alle mura di Troia risuona ancora nella nostra cultura, sia in quella accademica che in quella popolare. Dai tempi di Omero, tuttavia, un altro duello (certamente incruento, ma non meno sofferto di quello che oppose Achille a Patroclo) ha infuriato attorno all’Iliade e al suo cantore: fu storia o invenzione? Ciò che per gli antichi era un incontrovertibile dato di fatto, per i moderni è stato a lungo considerato il parto della fantasia di Omero o, se non vogliamo dar credito neppure all’esistenza del sommo vate, agli aedi che nei secoli rielaborano, stratificandoli, i canti del poema. Come sappiamo, alla fine dell’Ottocento il tedesco Heinrch Schliemann, un archeologo dilettante, portò alla luce le antiche rovine della collina di Hissarlik, in Turchia. Per lui non c’era dubbio: aveva trovato Troia. In realtà i suoi scavi non erano poi così pertinenti al teorema greco, e oggi sappiamo per certo che il formidabile tesoro di Priamo è di alcuni secoli più antico. Ma intanto Schliemann aveva rotto il muro dell’incredulità e, soprattutto, aveva riportato alla luce la civiltà micenea, fino ad allora negletta e che invece rappresentava il vero contesto storico dell’epica di Omero (vedi articolo le tombe di Micene su questo blog). Nuove conferme sono arrivate in seguito, ma non è mai emersa una prova schiacciante che Hissarlik fosse davvero Troia, e ancora oggi c’è chi mette seriamente in discussione l’identificazione. Si tratta, occorre dirlo, di una minoranza di studiosi: i più sono invece convinti dell’autenticità della corrispondenza indicata da Schliemann, anche per l’eccellente posizione strategica di Hssarlik, unico grande sito in quell’area per l’intero II° millennio a.C. e miglior punto di approdo per le navi che desiderassero stazionarvi prima d’imboccare il canale del Bosforo.




La processione del cavallo di Troia in un dipinto di Giandomenico Tiepolo


TROIA NON ERA UNA CITTA’ GRECA. Proviamo ad allontanarci dal dettaglio di quei pochi giorni evocati dall’Iliade, evitando, per una volta, di lasciarci ipnotizzare dai bronzi scintillanti delle armi e degli scudi. Cerchiamo, anzi, fonti diverse da Omero, che ci permettano di capire che cosa stesse accadendo nell’area egeo-anatolica alla fine del II millennio a.C., il periodo in cui viene collocata la Guerra di Troia (tradizionalmente fissata intorno al 1200 a.C.). A quei tempi in Grecia c’erano i regni micenei, città stato di tradizione guerriera, ma dotate di uno sviluppato sistema amministrativo. Esse governavano anche su Creta (dove la precedente età minoica si era esaurita) e su gran parte delle isole; di conseguenze risulta più che evidente l’interesse acheo verso la costa occidentale dell’Anatolia (l’attuale Turchia): dal Sud, dove alcune città come Miletoricadevano sotto la loro influenza, fino agli stretti del Nord, di cui Troia era appunto il guardiano.
Secondo i più recenti scavi, Troia non era una città greca, come può sembrare dal racconto di Omero, bensì un centro di stampo orientale, radicata nelle tradizioni del suo territorio e degli scambi culturali che, all’epoca, si incanalavano prevalentemente verso l’Oriente. Di grande importanza è il ritrovamento nel 1995 di un sigillo discoidale di bronzo, largo appena 2,5 cm, su cui sono incisi il nome di uno scriba e di una donna. Risale alla seconda metà del II millennio a.C., ed è l’unica traccia di scrittura a Hissarli; la sua lingua è il Luvio, parlato da una popolazione locale, quella cui forse appartenevano gli abitanti di Troia. Se confermata, si tratterebbe della scoperta dell’identità etnica di Priamo, Ettore, Paride o quantomeno dei loro sudditi. Aiuterebbe a capire meglio le dinamiche che muovevano gli interessi economici e militari di quell’area. La potenza egemone sull’Anatolia di allora era l’impero ittita alla cui presa talvolta cercavano di sottrarsi. Ed è proprio il racconto di queste vicende narrato nei testi ittiti risalenti al XIV-XII secolo a.C. e ritrovati nella capitale Hattusa, che può aiutare a gettare una luce nuova sulla Guerra di Troia. Una lettura degli avvenimenti capace di offrire una prospettiva storica realistica ma non per questo meno affascinante del mito. Tra i testi cuneiformi, alcuni citano l’importante città di Wilusa. Si trovava in Anatolia occidentale, e nel 1998 una tavoletta ittita ha rivelato la chiave pe collocarla sulla mappa, insieme ad altre città. Sono state identificate Efeso, Sardi, Mileto e la stessa Wilusa, che quasi certamente era il maggior centro della Troade (nei testi compare anche il nome geografico Truwisa). L’assonanza di Wilusa con Wilion/Ilion (Ilio è un altro nome di Troia) sembra rilevante. Insomma, Wilion era il nome arcaico di Ilio, cioè Troia. Wilusa sarebbe dunque Ilio e Truwisa la Troade: i due termini sono in relazione tra loro ed è lecito pensare che, usando tali parole,gli Ittiti stessero parlando proprio di Ilio-Troia. Una città, dunque, realmente esistita, collocata in una regione precisa, e che in quell’area rivestiva una certa importanza.

Porzione della cinta muraria di Troia VII, quella omerica.

Troia o Ilio (in greco anticoΤροία o Ἴλιον -Īlĭŏn- o Ίλιος -Īlĭŏs- e in latino Trōia o Īlium), è sia un antico sito storico dell'Asia Minore, posto all'entrata dell'Ellesponto (Stretto dei Dardanelli), nell'odierna Turchia, attualmente chiamata Truva e popolata da un centinaio di abitanti, sia una città mitica dei testi classici greci.

Wilusa, termine presente in più parti negli archivi reali Ittiti, secondo una ricerca condotta da Frank Starke nel 1996, ormai universalmente accettata dal mondo accademico[1], da J. David Hawkins[2] nel 1998 e da WD Niemeier nel 1999[3] era il nome, nella lingua luvia/ittita propria degli abitanti dell'area, della città poi passata alla storia come Troia.
Fu teatro della guerra di Troia narrata nell'Iliade, che descrive una breve parte dell'assedio (prevalentemente due mesi del nono anno di assedio, secondo la cronologia proposta dal poeta epico Omero, a cui viene attribuito il poema), mentre alcune scene della sua distruzione sono raccontate nell'Odissea. Dello stesso conflitto si canta in molti poemi epici greci, romani e anche medioevali.
Altri poemi ellenici arcaici notevoli sulla guerra di Troia sono i Canti Cipri, le Etiopide, la Piccola Iliade, la Distruzione di Troia e i Ritorni. Il poema latino Eneide inizia descrivendo l'incendio finale della città. Un inserto poetico, la Troiae Alosis (Presa di Troia), è contenuto nella Pharsalia del poeta latino Marco Anneo Lucano.
Il sito storico fu abitato fin dal principio del III millennio a.C. Si trova ora nella provincia di Çanakkale in Turchia, presso lo stretto dei Dardanelli, tra il fiume Scamandro (o Xanthos) e il Simoenta e occupa una posizione strategica per l'accesso al Mar Nero. Nei suoi dintorni vi è la catena del monte Ida e di fronte alle sue coste si può vedere l'isola di Tenedo. Le condizioni particolari dei Dardanelli, dove c'è un flusso costante di correnti che passano dal Mar di Marmara al Mar Egeo e dove è solito soffiare un forte vento da nord-est durante tutta la stagione che va da maggio a ottobre, suggerisce che le navi, le quali durante le epoche più antiche abbiano cercato di attraversare lo stretto, spesso abbiano dovuto attendere condizioni più favorevoli attraccate per lunghi periodi nel porto di Troia[4].
Dopo secoli di abbandono, le rovine di Troia sono state riscoperte durante gli scavi svolti nel 1871 dallo studioso tedesco di archeologia Heinrich Schliemann, a seguito di alcune indagini iniziali condotte a partire dal 1863 da Frank Calvert. Il sito archeologico di Troia è stato proclamato patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 1998[5].


I bellicosi Popoli del Mare.


Iscrizione di Medinet Habu - Ramesse III vittorioso sui Popoli del Mare
Popoli del Mare furono una confederazione di predoni del mare provenienti probabilmente dall'Europa meridionale, specialmente dall'Egeo[1], che, navigando verso il Mar Mediterraneo orientale sul finire dell'Età del Bronzo, invasero l'Anatolia (determinando il crollo dell'Impero ittita), la Siria, la PalestinaCipro e il Nuovo Regno egizio.[2]
Nonostante la loro origine e la loro storia rimanga in gran parte avvolta nel mistero, i "Popoli del Mare" sono documentati dalle fonti scritte egizie durante la tarda Diciannovesima Dinastia e in particolare durante l'ottavo anno di regno di Ramses III, della Ventesima Dinastia, quando tentarono di entrare in possesso del territorio egizio[3]. Nella Grande iscrizione di Karnak[4] il faraone egizio Merenptah parla di "nazioni (o popoli[5]) stranieri del mare" (in egiziano n3 ḫ3s.wt n<.t> p3 ym)[6][7].
Un elemento decisivo della geopolitica della fine dell’Età del Bronzo è incarnato dai cosiddetti Popoli del Mare. La dfurono efinizione è egizia e indica una coalizione di genti guerriere che arrivarono sulle coste egiziane e sconfitte, ma comunque riuscirono a insediarsi in Palestina, terra che dai Peleset (uno di quei popoli) prese il nome. Prima, però i priati avevano seminato terrore e distruzione in tutto il Mediterraneo orientale; gli archivi di città come Pilo nel Peloponneso e Ugarit in Fenicia raccontano dell’avvicinarsi di queste temibili flotte, che ebbero la meglio, tanto che quelle città furono cancellate. Lungo il cammino i Popoli del Mare misero a ferro e fuoco anche Cipro e l’Anatolia, e negli stessi anni crollò l’impero ittita, la cui capitale venne saccheggiata: non sappiamo esattamente da chi, così come non conosciamo le vere relazioni tra gli episodi citati. Quello però su cui concordano gli studiosi è che c’entri il mondo egeo-anatolico con i suoi popoli.
A questo punto, in molti non hanno resistito al fascino di collocare i Popoli del Mare con la caduta di Troia, con i suoi superstiti e anche con le flotte micenee e gli eroi di ritorno daTroia.,

     



COINCIDENZE LINGUISTICHE? I testi ittiti ci dicono molte cose riguardo a questa Wilusa. Citano spesso gli Ahhiyawa, una popolazione che regnava sull’Egeo: vale a dire (e anche qui l’assonanza è manifesta) gli Achei. Dunque che rapporto c’era fra Wilusa, gli Ahhiyawae gli Ittiti? Ce lo spiega il re ittita Hattusili III in una lettera a un sovrano degli Ahhiyawa, cui viene riconosciuto il titolo di grate re e fratello, mettendolo cioè sullo stesso livello dei re ittiti, assiri ed egiziani: “Ora noi siamo giunti a un accordi su Wilusa, per la quale ci trovammo in guerra”. Insomma, un conflitto tra Achei e asiatici per la città di Wilusa, che probabilmente è Ilio, ossia Troia. Non solo: la più antica delle tavolette riguarda la guerra di Tudkhalia II contro la coalizione di Assuwa, formata da 22 città, tra le quali Wilusa. Se non bastasse tutto questo, oltre ai ritrovamenti archeologici di spade achee a Hattusa e di raffigurazioni di guerrieri degli Ahhiyawa, ci sono altre assonanze molto evocative. Nelle intricate vicende che riguardano Wilusa vengono citati tutta una serie di personaggi, i cui nomi fanno sobbalzare. Un protagonista di primo piano è Piyama-Radu, che vuole diventare re di Wilusa: il richiamo Piyama-Radu/Priamo è evidente, anche se la storia narrata è differente da quella di Omero: questi si allea infatti con gli Ahhiyawa invece di combatterli. Il nome luvio Pari-Zitis, fa pensare a Paride, mentre nelle tavolette compare anche Alaksandu, re di Wilusa, divenuto vassallo degli Ittiti dopo aver respinto un’agressione degli Ahhiyawa: il giuramento di fedeltà viene compiuto in nome del dio Wilusa, che ricorda quel Cicno re di Colone nella Troade, ucciso da Achille nell’Iliade. Si ritrova anche Attarissya, che richiama da vicino Atreo (o per qualcuno Odisseo).
Insomma, non sappiamo se Agamennone e Achille sbarcarono a Troia alla tesa di un esercito greco, e se incrociarono le loro armi con Ettore, Enea e Paride proprio nel modo raccontato da Omero. Ma sappiamo che nella Troade c’era una città di cultura anatolica che era un’importante nodo strategico e commerciale, intorno al quale si svilupparono rilevanti e intricati confronti diplomatici e militari che coinvolgevano i potentati locali, i sovrani ittiti e i re degli Ahhiyawa, ossia gli Achei. È più di quanto sappiamo di molte altre storie e altri luoghi dell’antichità.

Non una. Ma 55 città di
Troia.
Sulla collina di HJissarlik, Schliemann individuò nove città, una sotto l’altra, ma per archeologici gli strati che si susseguono sono ben 55. Quelli che riguardano il momento culminante della città e s’intrecciano con le vicende ittite e omeriche sono catalogate come “Troia VI” e “VII”, e coprono il periodo dal 1700 al 1200 a.C. “TroiaVI h” fu gravemente danneggiata da un terremoto (tracce di questo evento possono forse essere lette fra le righe, tanto dei miti greci quanto dei testi ittiti), mentre è certo che “Troia VIIa” fu saccheggiata e distrutta da un attacco nemico, quantunque non si possa dimostrare che sia quello operato dagli Achei. Purtroppo gli strati archeologici riferiti alle epoche per noi più interessanti sono i più danneggiati: in parte dall’erosione e in parte dall’edificazione dei templi dell’età classica, oltre che dagli scavi approssimativi di Schliemann. La cittadella misurava circa 200 x 300 metri, metre di recente è stata scoperta la città bassa con le sue mura, la quale misurava circa 270mila mq e poteva ospitare circa 10000 abitanti: una cifra considerevole per l’Età del Bronzo.
   
Articolo in gran parte di Valerio Sofia, pubblicato su Conoscere la Storia n. 48 edizioni Sprea, altri testi e foto da Wikipedia. 

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