Più vero di Omero.
Recenti scoperte
archeologiche hanno portato alla luce sbalorditive coincidenze linguistiche che
possono essere considerate prove (almeno indiziarie) sulla fondamentale
autenticità di quanto narra l’Iliade.
L’eco
dei colpi inferti nel duello tra Ettore e Achille davanti alle mura di Troia
risuona ancora nella nostra cultura, sia in quella accademica che in quella
popolare. Dai tempi di Omero, tuttavia, un altro duello (certamente incruento,
ma non meno sofferto di quello che oppose Achille a Patroclo) ha infuriato
attorno all’Iliade e al suo cantore: fu storia o invenzione? Ciò che per gli
antichi era un incontrovertibile dato di fatto, per i moderni è stato a lungo
considerato il parto della fantasia di Omero o, se non vogliamo dar credito
neppure all’esistenza del sommo vate, agli aedi che nei secoli rielaborano,
stratificandoli, i canti del poema. Come sappiamo, alla fine dell’Ottocento il
tedesco Heinrch Schliemann, un archeologo dilettante, portò alla luce le
antiche rovine della collina di Hissarlik, in Turchia. Per lui non c’era
dubbio: aveva trovato Troia. In realtà i suoi scavi non erano poi così
pertinenti al teorema greco, e oggi sappiamo per certo che il formidabile
tesoro di Priamo è di alcuni secoli più antico. Ma intanto Schliemann aveva
rotto il muro dell’incredulità e, soprattutto, aveva riportato alla luce la
civiltà micenea, fino ad allora negletta e che invece rappresentava il vero
contesto storico dell’epica di Omero (vedi articolo le tombe di Micene su
questo blog). Nuove conferme sono arrivate in seguito, ma non è mai emersa una
prova schiacciante che Hissarlik fosse davvero Troia, e ancora oggi c’è chi
mette seriamente in discussione l’identificazione. Si tratta, occorre dirlo, di
una minoranza di studiosi: i più sono invece convinti dell’autenticità della
corrispondenza indicata da Schliemann, anche per l’eccellente posizione
strategica di Hssarlik, unico grande sito in quell’area per l’intero II°
millennio a.C. e miglior punto di approdo per le navi che desiderassero
stazionarvi prima d’imboccare il canale del Bosforo.
TROIA NON ERA UNA CITTA’ GRECA. Proviamo ad
allontanarci dal dettaglio di quei pochi giorni evocati dall’Iliade, evitando,
per una volta, di lasciarci ipnotizzare dai bronzi scintillanti delle armi e
degli scudi. Cerchiamo, anzi, fonti diverse da Omero, che ci permettano di
capire che cosa stesse accadendo nell’area egeo-anatolica alla fine del II
millennio a.C., il periodo in cui viene collocata la Guerra di Troia
(tradizionalmente fissata intorno al 1200 a.C.). A quei tempi in Grecia c’erano
i regni micenei, città stato di tradizione guerriera, ma dotate di uno
sviluppato sistema amministrativo. Esse governavano anche su Creta (dove la
precedente età minoica si era esaurita) e su gran parte delle isole; di
conseguenze risulta più che evidente l’interesse acheo verso la costa
occidentale dell’Anatolia (l’attuale Turchia): dal Sud, dove alcune città come
Miletoricadevano sotto la loro influenza, fino agli stretti del Nord, di cui
Troia era appunto il guardiano.
Secondo i più recenti
scavi, Troia non era una città greca, come può sembrare dal racconto di Omero,
bensì un centro di stampo orientale, radicata nelle tradizioni del suo
territorio e degli scambi culturali che, all’epoca, si incanalavano
prevalentemente verso l’Oriente. Di grande importanza è il ritrovamento nel
1995 di un sigillo discoidale di bronzo, largo appena 2,5 cm, su cui sono
incisi il nome di uno scriba e di una donna. Risale alla seconda metà del II
millennio a.C., ed è l’unica traccia di scrittura a Hissarli; la sua lingua è
il Luvio, parlato da una popolazione locale, quella cui forse appartenevano gli
abitanti di Troia. Se confermata, si tratterebbe della scoperta dell’identità
etnica di Priamo, Ettore, Paride o quantomeno dei loro sudditi. Aiuterebbe a
capire meglio le dinamiche che muovevano gli interessi economici e militari di
quell’area. La potenza egemone sull’Anatolia di allora era l’impero ittita alla
cui presa talvolta cercavano di sottrarsi. Ed è proprio il racconto di queste
vicende narrato nei testi ittiti risalenti al XIV-XII secolo a.C. e ritrovati
nella capitale Hattusa, che può aiutare a gettare una luce nuova sulla Guerra
di Troia. Una lettura degli avvenimenti capace di offrire una prospettiva
storica realistica ma non per questo meno affascinante del mito. Tra i testi
cuneiformi, alcuni citano l’importante città di Wilusa. Si trovava in Anatolia
occidentale, e nel 1998 una tavoletta ittita ha rivelato la chiave pe
collocarla sulla mappa, insieme ad altre città. Sono state identificate Efeso,
Sardi, Mileto e la stessa Wilusa, che quasi certamente era il maggior centro
della Troade (nei testi compare anche il nome geografico Truwisa). L’assonanza
di Wilusa con Wilion/Ilion (Ilio è un altro nome di Troia) sembra rilevante.
Insomma, Wilion era il nome arcaico di Ilio, cioè Troia. Wilusa sarebbe dunque
Ilio e Truwisa la Troade: i due termini sono in relazione tra loro ed è lecito
pensare che, usando tali parole,gli Ittiti stessero parlando proprio di
Ilio-Troia. Una città, dunque, realmente esistita, collocata in una regione
precisa, e che in quell’area rivestiva una certa importanza.
Porzione della cinta muraria di Troia VII, quella omerica.
Troia o Ilio (in greco antico: Τροία o Ἴλιον -Īlĭŏn- o Ίλιος -Īlĭŏs- e in latino Trōia o Īlium), è sia un antico sito storico dell'Asia Minore, posto all'entrata dell'Ellesponto (Stretto dei Dardanelli), nell'odierna Turchia, attualmente chiamata Truva e popolata da un centinaio di abitanti, sia una città mitica dei testi classici greci.
Wilusa, termine presente in più parti negli archivi reali Ittiti, secondo una ricerca condotta da Frank Starke nel 1996, ormai universalmente accettata dal mondo accademico[1], da J. David Hawkins[2] nel 1998 e da WD Niemeier nel 1999[3] era il nome, nella lingua luvia/ittita propria degli abitanti dell'area, della città poi passata alla storia come Troia.
Fu teatro della guerra di Troia narrata nell'Iliade, che descrive una breve parte dell'assedio (prevalentemente due mesi del nono anno di assedio, secondo la cronologia proposta dal poeta epico Omero, a cui viene attribuito il poema), mentre alcune scene della sua distruzione sono raccontate nell'Odissea. Dello stesso conflitto si canta in molti poemi epici greci, romani e anche medioevali.
Altri poemi ellenici arcaici notevoli sulla guerra di Troia sono i Canti Cipri, le Etiopide, la Piccola Iliade, la Distruzione di Troia e i Ritorni. Il poema latino Eneide inizia descrivendo l'incendio finale della città. Un inserto poetico, la Troiae Alosis (Presa di Troia), è contenuto nella Pharsalia del poeta latino Marco Anneo Lucano.
Il sito storico fu abitato fin dal principio del III millennio a.C. Si trova ora nella provincia di Çanakkale in Turchia, presso lo stretto dei Dardanelli, tra il fiume Scamandro (o Xanthos) e il Simoenta e occupa una posizione strategica per l'accesso al Mar Nero. Nei suoi dintorni vi è la catena del monte Ida e di fronte alle sue coste si può vedere l'isola di Tenedo. Le condizioni particolari dei Dardanelli, dove c'è un flusso costante di correnti che passano dal Mar di Marmara al Mar Egeo e dove è solito soffiare un forte vento da nord-est durante tutta la stagione che va da maggio a ottobre, suggerisce che le navi, le quali durante le epoche più antiche abbiano cercato di attraversare lo stretto, spesso abbiano dovuto attendere condizioni più favorevoli attraccate per lunghi periodi nel porto di Troia[4].
Dopo secoli di abbandono, le rovine di Troia sono state riscoperte durante gli scavi svolti nel 1871 dallo studioso tedesco di archeologia Heinrich Schliemann, a seguito di alcune indagini iniziali condotte a partire dal 1863 da Frank Calvert. Il sito archeologico di Troia è stato proclamato patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 1998[5].
I bellicosi Popoli del Mare.
|
I Popoli del Mare furono una confederazione di predoni del mare provenienti probabilmente dall'Europa meridionale, specialmente dall'Egeo[1], che, navigando verso il Mar Mediterraneo orientale sul finire dell'Età del Bronzo, invasero l'Anatolia (determinando il crollo dell'Impero ittita), la Siria, la Palestina, Cipro e il Nuovo Regno egizio.[2]
Nonostante la loro origine e la loro storia rimanga in gran parte avvolta nel mistero, i "Popoli del Mare" sono documentati dalle fonti scritte egizie durante la tarda Diciannovesima Dinastia e in particolare durante l'ottavo anno di regno di Ramses III, della Ventesima Dinastia, quando tentarono di entrare in possesso del territorio egizio[3]. Nella Grande iscrizione di Karnak[4] il faraone egizio Merenptah parla di "nazioni (o popoli[5]) stranieri del mare" (in egiziano n3 ḫ3s.wt n<.t> p3 ym)[6][7].
Un elemento decisivo della
geopolitica della fine dell’Età del Bronzo è incarnato dai cosiddetti Popoli
del Mare. La dfurono efinizione è egizia e indica una coalizione di genti guerriere
che arrivarono sulle coste egiziane e sconfitte, ma comunque riuscirono
a insediarsi in Palestina, terra che dai Peleset (uno di quei popoli) prese
il nome. Prima, però i priati avevano seminato terrore e distruzione in tutto
il Mediterraneo orientale; gli archivi di città come Pilo nel Peloponneso e
Ugarit in Fenicia raccontano dell’avvicinarsi di queste temibili flotte, che
ebbero la meglio, tanto che quelle città furono cancellate. Lungo il cammino
i Popoli del Mare misero a ferro e fuoco anche Cipro e l’Anatolia, e negli
stessi anni crollò l’impero ittita, la cui capitale venne saccheggiata: non
sappiamo esattamente da chi, così come non conosciamo le vere relazioni tra
gli episodi citati. Quello però su cui concordano gli studiosi è che c’entri
il mondo egeo-anatolico con i suoi popoli.
A questo punto, in molti non hanno
resistito al fascino di collocare i Popoli del Mare con la caduta di Troia,
con i suoi superstiti e anche con le flotte micenee e gli eroi di ritorno
daTroia.,
|
COINCIDENZE LINGUISTICHE? I testi ittiti ci
dicono molte cose riguardo a questa Wilusa. Citano spesso gli Ahhiyawa, una
popolazione che regnava sull’Egeo: vale a dire (e anche qui l’assonanza è
manifesta) gli Achei. Dunque che rapporto c’era fra Wilusa, gli Ahhiyawae gli
Ittiti? Ce lo spiega il re ittita Hattusili III in una lettera a un sovrano
degli Ahhiyawa, cui viene riconosciuto il titolo di grate re e fratello,
mettendolo cioè sullo stesso livello dei re ittiti, assiri ed egiziani: “Ora noi siamo giunti a un accordi su
Wilusa, per la quale ci trovammo in guerra”. Insomma, un conflitto tra
Achei e asiatici per la città di Wilusa, che probabilmente è Ilio, ossia Troia.
Non solo: la più antica delle tavolette riguarda la guerra di Tudkhalia II
contro la coalizione di Assuwa, formata da 22 città, tra le quali Wilusa. Se
non bastasse tutto questo, oltre ai ritrovamenti archeologici di spade achee a
Hattusa e di raffigurazioni di guerrieri degli Ahhiyawa, ci sono altre
assonanze molto evocative. Nelle intricate vicende che riguardano Wilusa
vengono citati tutta una serie di personaggi, i cui nomi fanno sobbalzare. Un
protagonista di primo piano è Piyama-Radu, che vuole diventare re di Wilusa: il
richiamo Piyama-Radu/Priamo è evidente, anche se la storia narrata è differente
da quella di Omero: questi si allea infatti con gli Ahhiyawa invece di
combatterli. Il nome luvio Pari-Zitis, fa pensare a Paride, mentre nelle
tavolette compare anche Alaksandu, re di Wilusa, divenuto vassallo degli Ittiti
dopo aver respinto un’agressione degli Ahhiyawa: il giuramento di fedeltà viene
compiuto in nome del dio Wilusa, che ricorda quel Cicno re di Colone nella
Troade, ucciso da Achille nell’Iliade. Si ritrova anche Attarissya, che
richiama da vicino Atreo (o per qualcuno Odisseo).
Insomma, non sappiamo
se Agamennone e Achille sbarcarono a Troia alla tesa di un esercito greco, e se
incrociarono le loro armi con Ettore, Enea e Paride proprio nel modo raccontato
da Omero. Ma sappiamo che nella Troade c’era una città di cultura anatolica che
era un’importante nodo strategico e commerciale, intorno al quale si svilupparono
rilevanti e intricati confronti diplomatici e militari che coinvolgevano i
potentati locali, i sovrani ittiti e i re degli Ahhiyawa, ossia gli Achei. È
più di quanto sappiamo di molte altre storie e altri luoghi dell’antichità.
Non
una. Ma 55 città di
Troia.
Sulla
collina di HJissarlik, Schliemann individuò nove città, una sotto l’altra, ma
per archeologici gli strati che si susseguono sono ben 55. Quelli che
riguardano il momento culminante della città e s’intrecciano con le vicende
ittite e omeriche sono catalogate come “Troia VI” e “VII”, e coprono il
periodo dal 1700 al 1200 a.C. “TroiaVI h” fu gravemente danneggiata da un
terremoto (tracce di questo evento possono forse essere lette fra le righe,
tanto dei miti greci quanto dei testi ittiti), mentre è certo che “Troia
VIIa” fu saccheggiata e distrutta da un attacco nemico, quantunque non si
possa dimostrare che sia quello operato dagli Achei. Purtroppo gli strati
archeologici riferiti alle epoche per noi più interessanti sono i più
danneggiati: in parte dall’erosione e in parte dall’edificazione dei templi
dell’età classica, oltre che dagli scavi approssimativi di Schliemann. La
cittadella misurava circa 200 x 300 metri, metre di recente è stata scoperta
la città bassa con le sue mura, la quale misurava circa 270mila mq e poteva
ospitare circa 10000 abitanti: una cifra considerevole per l’Età del Bronzo.
|
Articolo in gran parte
di Valerio Sofia, pubblicato su Conoscere la Storia n. 48 edizioni Sprea, altri
testi e foto da Wikipedia.
Nessun commento:
Posta un commento