sabato 30 giugno 2018

Agatha Christie e gli avori di Numrud.

AGATHA CHRISTIE E GLI AVORI DI NUMRUD.


In un viaggio in Iraq la maestra del giallo conobbe l’archeologo Max Mallowan, che accompagnò per anni nei suoi viaggi nei siti archeologici del Vicino Oriente. Christie partecipava attivamente alle spedizioni: restaurava, inventariava e fotografava i pezzi. A Nimud, gli scavi della squadra di Mallowan portarono alla luce dei magnifici avori, che oggi si possono ammirare al British Museum anche grazie a Christie.

La capitale di Assunasirpal II conosciuta dagli Assiri come Kalhu, Nimrud fu una delle quattro capitali dell’Impero assiro, sul Tigri. Nella foto sopra, la rielaborazione del palazzo di Nimrud di Austen Henry Layard. British Museum.
Abbiamo trovato una donna! Una donna nel pozzo . E la portarono dentro, adagiata su un pezzo di tela di sacco e ricoperta di fango”. Così inizia la storia degli avori di Nimrud nattata da Agatha Christie, la maestra del crimine. Il protagonista non è né l’arguto e scrupoloso detective belga Hércules Poirot né l’astuta anziana che si dedica a risolvere enigmi., Miss Jane Marple. Il misterioso ritrovamento nel fondo di un pozzo non è quello di una donna in carne e ossa, ma una maschera femminile delicatamente scolpita in avorio e policromata, che successivamente verrà conosciuta come la “Monna Lisa di Nimrud” per il suo bel volto e l’enigmatico sorriso. La protagonista di questa storia è la stessa Agata Christie, incaricata di pulire e recuperare il meraviglioso reperto orientale venuto alla luce nel 1952 nel sito archeologico dell’antica capitale assira di Kalhu o Nimrud. La grandiosa carriera leterraria di Agata Christie è ben nota: tradotta in più di cento lingue. è la scrittrice con il maggior numero di copie vendute di tutti i tempi, superata solo da Shakespeare tra gli autori e la Bibbia tra i libri. Molto meno conosciuta è, al contrario, la sua vita, lunga e intensa, come collaboratrice nelle missioni archeologiche in Mesopotamia. Quest’altra carriera, che potrebbe dirsi parallela, ebbe inizio a novembre 1928 in un modo del tutto imprevedibile. All’epoca Christie aveva 38 anni e attraversava un esaurimento nervoso dovuto a un divorzio infelice. Pertanto, decise che un viaggio da sogno, vero le soleggiate Indie Occidentali, l’avrebbe aiutata a recuperare la propria autostima. Ma due giorni prima di partire, a Londra, mentre si trovava a cena in casa di amici con una coppia appena rientrata da Baghdad, si lasciò sedurre dei racconti sulle molteplici meraviglie dell’Iraq. A occhi chiusi, passeggiò per i bazar di Mosul e Bassora e camminò fra le fascinose rovine dell’antica Ur., sito archeologico dove in quel periodo lavorata il compatriota Leonared Woolewy, le cui sensazionali scoperte venivano riportate dai giornali più importanti. Quando Agatha chiese se fosse possibile partire in nave, le risposero di sì, ma le prospettarono un’altra possibilità, ancora più affascinante: l’Orient Express! Milano, Belgrado, Instanbul… Christie aveva sempre sognato di viaggiare su quel treno. Il giorno dopo si presentò all’agenzia viaggi, cancellò i biglietti per la Giamaica e li cambiò per una destinazione altrettanto soleggiata, Baghdad.



1928
Dopo un divorzio traumatico e burrascoso, Agata Christie decide di trascorrere  un periodo in Iraq, e per raggiungerlo viaggerà sul mitico treno Orient Express.

1930
In un secondo viaggio in Iraq, nel sito archeologico di Ur, Agata Christie conosce il giovane archeologo Max Mallowan, assistente di Leonard Woolley e lo sposa pochi mesi dopo.
1932-33
Max Mallowan inizia la carriera di archeologo e, dopo gli scavi di Ninive, dirige varie spedizioni in Sira e Iraq, in particolare a Tell Arpachiyah dove lo accompagna Christie.
1935-1937
La coppia conduce scavi nei siti di Chagar Bazar e Tell Brak. Nel libro Viaggiare è il mio peccato, Agata Christie racconta le esperienze in quei luoghi.
1949-59
Max Mallowan assume la direzione degli scavi di Nimrud. Proprio in questo decennio viene scoperta l’imponente collezione di avori assiri.

UN INGLESE IN IRAQ. Al suo arrivo nella capitale irachena, l’autrice di Poirot a Styles Court si rese conto, suo malgrado, che la colonia britannica non le concedeva lo spazio che voleva: la attendevano gli abituali e tradizioni pomeriggi di bridge, tennis o cricket, anche in Iraq! Ma non avrebbe rinunciato così facilmente al suo progetto iniziale di allontanarsi dall’ambiente inglese. Pochi giorni dopo fece i bagagli, pronta a visitare l’antica Ur, nel sud del Paese da sola. Quell’escursione, ineludibile ma programmata in maniera improvvisa e spontanea, le cambiò la vita per sempre. Nelle sue memorie scrisse: “Mi innamorai di Ur per la bellezza dei suoi tramonti, per lo ziggurat che si innalzava lievemente nascosto dall’ombra e per l’ampio mare di sabbia dai colori pallidi, meravigliosi, giallo melocotogno, rosa, azzurro, malva, che mutavano ogni minuto. Mi piacevano i lavoratori, il caposquadra, i ragazzini che portavano i cesti, gli operai con il piccone. L’incanto del passato si impossessò di me. Era romantico vedere come appariva, lentamente, nella sabbia, un pugnale con i riflessi dorati. La cura impiegata nel recuperare la terra i vasi e gli altri oggetti mi incitava a diventare archeologa”. Fu così che la donna si innamorò dell’archeologia. Agata Christie strinse un buon rapporto di amicizia con i suoi anfitrioni a Ur, Leonard Woolley e ancor più con la moglie, Katharine, affascinata, come tanti altri lettori, dall’originale romanzo L’assassinio di Robert Ackroyd. Dopo quel primo incontro nel deserto iracheno, i Woolley accettarono con piacere l’invito di trascorrere un po’ di tempo con Agatha nella sua nuova casa nel quartiere londinese di Chelsea e le proposero, senza dover insistere troppo, di unirsi nuovamente a loro nella successiva spedizione.

LA VITA DURA DELL’ARCHEOLOGO
Agata Christie racconta le sue esperienze in Siria nel libro intitolato viaggiare è il mio peccato. In quelle pagine narra con grande senso dell humour i tanti disagi che la spedizione dovette affrontare per esempio, il fortunoso alloggio nel sito archeologico siriano di Chagar Bazar. Una volta arrivata con suo marito, trovò la casa che le avevano preso in affitto “non tinteggiata, sporca e abitata da sette famiglie armene”. Dopo un lungo dialogo avevano ottenuto che “donne, bambini, uccelli in gabbia, gatti e cani, piangendo, gridando, strillando, insultando, e latrando abbandonassero il recinto”. Tuttavia quella stessa notte, distesi sulle loro brande, sentirono orde di topi camminare tutto attorno. Dopo aver tappato i buchi in camera da letto, imbarcato e portato un gatto, il problema sembrava risolto. E invece peggiorò ulteriormente visto che a quel punto comparvero le pulci. Così riferisce la scrittrice: “i letti, cosparsi di acido fenico, non fanno altro che stimolare le pulci a un maggior spiegamento di forze. Prolungano lo loro instancabile energia e gli interminabili salti all’altezza della tua vita. Impossibile dormire quando praticano il loro passatempo preferito intorno al tuo corpo”.  


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Agata Christie e Marito. 


L’AMORE NELLE ROVINE DI UR. Nel 1930, durante la seconda visita al Woolley nella città di Ur, Agatha Christie conobbe Max Mallowan, assistente di Leonard. Pochi mesi dopo il giovane archeologo divenne il secondo marito della scrittrice. Da allora, e a eccezione dell’intervallo imposto dalla Seconda Guerra Mondiale, Agata Christie passò lunghi periodi dell’anno in Siria e in Iraq con il marito, partecipando attivamente alle varie spedizioni: restaurava pezzi di ceramica, inventariava reperti e fotografava oggetti. In determinate occasioni, aveva anche l’incarico di rassettare gli alloggi, di controllare e supervisionare sia la casa sia l’area di scavi. La vita austera e i disagi, tipici di ogni missione archeologica, non furono un ostacolo per la sua attività letteraria, che anzi si alimentava di esperienze lì vissute. Proprio nel giacimento di Tell Arpachiyah scrisse il celebre libro assassinio sull’Oriente Express pubblicato nel 1933, dedicato a Max e ispirato ai tanti viaggi sull’avventuroso treno. L’intestazione del prologo della sua voluminosa autobiografia recita: “Nimrud, Iraq. 2 aprile 1950”.


la stanza 441 dell'Hotel Pera Palas, dove la Christie scrisse il romanzo
il romanzo fu pubblicato a puntate dal settimanale statunitense The Saturday Evening Post nell'estate del 1933, mentre l'anno successivo fu raccolto in un unico libro dall'editore inglese Collins Crime Club; in Italia fece la sua comparsa nel 1935, edito da Mondadori col titolo Orient Express, in seguito denominato col titolo più fedele all'originale.



Tell Arpachiyah e Nimrud segnano rispettivamente l’inizio e la fine della folgorante carriera di Max Mallowen come direttore delle missioni archeologiche in Mesopotamia. Oltre ai due siti in Iraq, guidò due missioni in Siria: una a Chagar Bazar e l’altra a Tell Brak. Nelle sue memorie Agata Chtistie ricordava che a Ninive, durante la prima spedizione insieme, sotto la guida dell’assiriologo britannico Reginald Campell Thompson, Max l’aveva portata un giorno a vedere la zona di Nimrud e le aveva confessato che tra tutti i posti per scavare avrebbe scelto quel sito per scavare. Il suo sogno divenne realtà 18 anni dopo. Nominato nel 1949 primo direttore della British School of Archeology in Iraq, Max Mallowan riconobbe subito l’opportunità che gli offriva il destino e dedicò tutto il suo impegno per ottenere gli appoggi necessari. I suoi sforzi furono senz’altro ricompensati, anche grazie alla fama raggiunta da Hausten Henry Layard, scopritore britannico di Nimrud e dell’Assiria tra il 1845 e il 1851. Nel decennio successivo la coppia diresse quindi uno dei progetti di maggiore rilevanza nella storia dell’archeologia mesopotamica.
Tra il 1949 e il 1959 Nimrud divenne il fiore all’occhiello della carriera di Mallowen e la seconda residenza della scrittrice che, nella casa della missione, poté disporre per la prima volta di una piccola stanza riservata alla sua attività letteraria, come annunciava un cartellino, scritto in caratteri cuneiformi, appeso alla porta :”Villa Agata”.



I scenari della maestra del crimine
Agata Christie nel salone della sua casa di Devonshire

Christie ambientò alcuni dei suoi romanzi più famosi nei siti archeologici del Vicino Oriente. I viaggi che fece in Siria e in Iraq e le persone che conobbe in quel frangente furono di ispirazione nella scrittura dei romanzi Non C’è più scampo, pubblicato nel 1936. Nella trama l’autrice dimostra le conoscenze archeologiche acquisite durante i suoi due viaggi in quella che fu la città-stato sumera di Ur. Inoltre Katharine, moglie dell’archeologo Leonard Woolley, fu il modello per la protagonista Louise Leidner, suscettibile sposa dell’eminente archeologo Eric Leidner, direttore degli scavi. Christie scrisse altre tre storie a sfondo esotico come Poirot sul Nilo (1937), La domatrice (1938), c’era una volta (1945), unico suo romanzo ambientato nell’antichità classica e Il mondo è in pericolo (1954)


Non c'è più scamporoma
Titolo originale
Murder in Mesopotamia
romanzo di Agata Christie pubblicato nel 1936 che racconta particolari dei suoi viaggi a Ur dove conobbe il marito.



LA CREMA IDRATANTE PER GLI AVORI. I risultati degli scavi di Nimrud si rivelarono grandiosi, paragonabili a quelli di Woolley a Ur. Tra i numerosi ritrovamenti, spiccava la collezione di avori, unica nel suo genere e composta da migliaia di frammenti. Le pregevoli sculture in avorio dei secoli che vanno dal IX al VII a.C., provenivano per la maggior parte dai laboratori delle città siriane e fenicie. Alcune furono inviate dai principi dei regni mediterranei sottomessi al dominio assiro, come parte del loro tributo. Altre, probabilmente, furono requisite e portate nella capitale dopo le conquiste militare, come parte del bottino. Molti degli avori, di una ricchezza e di un valore artistico inestimabili, presentavano in origine intarsi con pietre semipreziose e incisioni in oro, selezionati con cura per mettere in risalto la bellezza delle scene figurative e le decorazioni vegetali o geometriche. Gli oggetti erano adoperati all’epoca per decorare parti della mobilia, contenitori, ornamenti e carri reali. Se ancora oggi è possibile ammirare i magnifici reperti nelle sale del British Museum di Londra e nel Museo Nazionale di Baghdad, restaurato di recente, ciò si deve in gran parte al lavoro di conservazione realizzato da Agatha Christie nell’area degli scavi.
Nelle sue memorie, la scrittrice riferisce: “Ricordo che pulii molto, e come tutti i professionisti avevo i miei strumenti preferiti:  un bastoncino d’arancio o un ago con la punto fine. Durante una spedizione usai uno strumento che mi aveva prestato, o meglio, regalato un dentista e un vasetto di crema per il viso che, a mio avviso, è molto utile per togliere la terra e la polvere dalle fessure senza danneggiare le fragili statue d’avorio. La realtà è che mi sono entusiasmata tanto a usarla, che nel giro di due settimane non ne è avanzata neanche un po’ per il mio povero viso.
L’archeologia, la scrittura e Max furono senza dubbio i grandi amori di Agatha Christie, la quale, con il suo spiccato senso dello humour, arrivò ad affermare: “un archeologo è il miglior marito che unadonna possa avere: più lei invecchia, più lui si interessa a lei”.





 La casa di Agata Christie nel Devonshire trasformata in museo









Il destino degli avori.
Nel prologo del libro di Agata Christie Viaggiare è il mio peccato la sua amica, l’archeologa scrittrice britannica Jacquetta Hawkes, ricorda i momenti trascorsi con la coppia Christie-Mallowan a Nimrud e l’estrema cura che la maestra del giallo aveva per gli avori che, a mano a mano, riaffioravano negli scavi: “Si alzava presto per fare le ronde con Max, catalogava, etichettava e si occupava della pulizia preliminare degli incantevoli avori che arrivavano da Forte Salmanassar (Nimrud). Ho un’immagina vivida di Agatha di fronte a una di quelle sculture, con il piumino per spolverare sospeso in equilibrio e la testa inclinata, che sorrideva con curiosità per i risultati del suo lavoro manuale”. Dopo il rinvenimento, molti dei reperti della collezione in avorio – circa 6.000 – furono inviati in Inghilterra e nel 1963 entrarono a far parte del fondo del British Institute for the Study of Iraq – istituzione che finanziava le missioni – dove furono conservati per anni. Nel 2011 l’istituto donò un terzo della collezione al British Museum, che ne acquistò un altro terzo con l’intento di esibire la collezione al pubblico per la prima volta. La parte rimanente è ancora in possesso dell’istituto nell’attesa che in futuro possa tornare in Iraq, suo Paese d’origine.


  1.  

LA MONNA LISA DI NIMRUD COSì FU RIBATEZZATA IL BUSTO IN AVORIO RINVENUTO NEL 1952. MUSIO NAZIONALE Baghdad








Foto sotto: migliaia di avori e frammenti di avorio appartengono alla collezione che il British Museum ha acqusito dal British Institute for the Study of Iraq e che è stata esposta al pubblica a marzo 2011 










Gli avori nascosti di Nimrud

Finemente lavorati i piccoli frammenti d’avorio rinvenuti nelle varie spedizioni archeologiche a Nimrud danno un’idea piuttosto approssimativa della ricchezza e dello splendore della corte assira. I reperti, che a quel tempo decoravano tavoli, sedie, troni o cassapanche, furono gettati in un pozzo da misteriosi nemici, forse coloro che sconfissero l’impero assiro nel 612 a.C. Fu così che, involontariamente, li preservarono per i posteri.

Grifone il leggendario animale fu un tema iconografico molto comune nel Vicino Oriente. A Nimrud Mallowen ritrovò due placche di grifoni alati databili alla fine dell’VIII secolo a.C.
Sfinge alata X-VII secolo a.C. British Museum Londra


Divorato da una leonessa: il pannello ritrovato nel palazzo di Assunasipal raffigura un giovane assalito da una leonessa. Probabilmente faceva parte di un trono. British Museum

Avori in stile egiziano. La scultura qui in basso rinvenuta a Nimrud raffigura una sfinge con il copricapo reale nemes e la corono atef, tipica di Osiride. Museo nazionale di Baghdad.



Articolo in gran parte di Ignacio Marquez Rowe Istituto lingue e culture del Mediterraneo e del Vicino Oriente – Centro Superiore della ricerca scientifica Madrid pubblicato su Storica del mese di aprile 2018. immagini e altri testi da Wikipedia. 






Anna d'Austria e lo scandalo dei diamanti - I veri quattro moschettieri la vera storia di D'Artagnan e compagni


Anna d’Austria e lo scandalo dei diamanti.
Nel 1625 la moglie spagnola di re Luigi XIII fu accusata dai suoi detrattori di aver avuto un idillio con il duca di Buckingham, ambasciatore inglese, cui avrebbe regalato dei gioielli.

Nella primavera del 1625 Anna d’Asburgo passeggiava nei giardini della residenza reale di Amiens in compagnia di un nobile inglese. Improvvisamente si udirono risuonare per il parco le grida allarmate della donna, diventata regina di Francia in seguito al matrimonio con Luigi XIII. La dama di corte Madame de Motteville , allora una bambina, racconterà nelle sue memorie che la regina “era stata turbata da qualche manifestazione troppo appassionata e aveva urlato per richiamare l’attenzione del suo stalliere”. Il nobile in questione era George Villers, duca di Buckingham, con cui la regina aveva un appuntamento segreto. Buckingham era arrivato alla corte francese per scortare in Inghilterra, dove si sarebbe unita in matrimonio con il re Carlo I, la principessa Enrichetta Maria, sorella di Luigi XIII. Anna d’Asburgo era alla guida del seguito che avrebbe accompagnato la cognata fino all’imbarco per le isole britanniche. Le voci di un presunto idillio tra il galante duca di Buckingham, di 33 anni, e la sovrana francese, di 24,circolavano a corte sin dall’arrivo del primo in Francia, alcuni mesi prima. I due si erano conosciuti in Spagna quando Anna, figli di Filippo III era un’adolescente. Già allora il passionale aristocratico aveva manifestato un debole per l’infanta, considerata una delle donne più belle dell’epoca: carnagione chiara, cappelli biondi, grandi occhi azzurri e aspetto formoso. Queste caratteristiche non le erano state d’aiuto al momento  di sposarsi con Luigi XIII. Il sovrano francese aveva ignorato la moglie fin dal primo giorno. Piuttosto, aveva continuato a preferire la compagnia dei giovani soldati della sua guardia e, soprattutto del suo primo ministro dell’epoca Charles-Albert de Luynes. Fu lui che, di fronte allo scarso interesse del re per le donne, lo aveva spinto verso il talamo nuziale con l’obiettivo di mettere a tacere le voci che avevano trasformato la consumazione del matrimonio reale in una faccenda di stato. Il tempo confermò la repulsione del sovrano di fronte ai suoi doveri coniugali e le conseguenti difficoltà a dare un erede alla corona. Una questione che l’entourage della sovrana era intenzionato a risolvere anche a costo di spingerla tra le braccia di un altro



La duchessa dietro all’intrigo.
 La vita di Marie de Rohan-Montbazon è un vero romanzo che la vide al centro di tutti gli intrighi volti a scardinare il potere reale nella Francia del XVII secolo.
Marie de Rohan, nota da giovane come Mademoiselle de Montbazon, era la figlia di Hercule de Rohan, duca di Montbazon, della potente e ricca Casa di Rohan, che possedeva grandi estensioni terriere in Bretagna e Angiò.
A 17 anni Marie sposò il gran Connestabile (comandante supremo dell'esercito francese) Carlo d'Albert, duca di Luynes, il più potente favorito di Luigi XIII: il marito formò il gusto di Marie per gli intrighi politici senza scrupoli, imponendola a corte nell’entourage della regina, al posto delle dame spagnole, al punto che Luigi XIII la nominò sovrintendente del seguito della regina.
La sua influenza nei confronti della regina consorte, Anna d'Austria, divenne quindi sempre maggiore.


Al suo arrivo alla corte francese, a soli 14 anni, Anna d’Asburgo strinse amicizia con alcune ragazze più o meno della sua età. Tra queste spiccava la duchessa di Chevreuse, una donna imprevedibile che fu al centro di diversi amori e intrighi. Di lei si diceva che disprezzasse gli scrupoli e i doveri come nessun’altra . nel 1624 si innamorò dell’ambasciatore inglese lord Holland. Sembra che i due avessero complottato per far nascere “una liason di interesse e corteggiamenti tra la regina e il Duca di Buckingham. 
   
La moda dei puntali.
 Risultati immagini per Anna Maria Maurizia d'Asburgo
Questi antichi e lussuosi finimenti, in voga nel XVII secolo,venivano realizzati con pietre preziose, smalti o diamanti incastonati. I nobili li portavano cuciti sulle spalle, mentre le dame li indossavano appesi alla cintura come nel caso di questo ritratto di Rubens.  

 IL CORTEGGIAMENTO DELLA REGINA. La sovrintendente del seguito della regina, Marie de Rohan-Montbazon, duchessa di Chevreuse, una dama nota per il suo atteggiamento frivolo .la cui compagnia non avrebbe giovato al buon nome della sovrana – diede un contributo decisivo in questo senso. Fu lei a presentare ad Anna il duca di Montmorency e, successivamente, a organizzarle l’incontro segreto con Buckingham ad Amiens. Forse la duchessa non si aspettava che il duca avesse un approccio così diretto o che, in quel caso, la regina lo rifiutasse. Abituata alla tranquilla corte spagnola, Anna d’Asburgo aveva scoperto con sorpresa, ma anche con piacere, la leggerezza dei costumi presso la corte francese. in ogni caso, sembra che non avesse intenzione di essere infedele al marito, ma comunque accolse di buon grado le attenzioni del duca e accettò il suo corteggiamento romantico. Tutto ciò è testimoniato dal fatto che non solo gli perdonò l’audacia dimostrata ad Amiens, ma quando il duca si apprestava a lasciare la corte francese lei gli regalò i puntali di diamante che indossava il giorno in cui si erano conosciuti.
Questo aneddoto sarebbe rimasto  circoscritto se non fosse giunto all’orecchio dell’acerrimo nemico della regina: il cardinale Richelieu, che in quel periodo era, per così dire, il padrone della Francia. Luigi XIII riponeva piena fiducia nel cardinale, e questi esercitava un controllo totale sulla vita di corte. “quello che non era soggetto alla sua volontà era esposto al suo odio”, scrisse di lui il moralista La Rochefoucauld. Valeva anche per la regina francese. Per mettere in cattiva luce Anna d’Asburgo agli occhi del marito, Richelieu organizzò l’intrigo che, nel XIX secolo, Alexander Dumas avrebbe trasformato in un’opera letteraria, ovvero il celeberrimo Tre moschettieri. Le vicende di D’Artagnan e dei suo compagni si svolgono su uno sfondo rigorosamente storico, anche se lo scrittore si concesse qualche licenza, soprattutto dal punto di vista cronologico. Una delle prove della veridicità dell’aneddoto sui puntali  .  è che Henri-Auguste de Loménie, conte di Brienne, lo menzionò nelle sue memorie. In qualità di segretario di stato e responsabile delle negoziazioni per il matrimonio di Enrichetta Maria di Borbone e di Francia con il futuro Carlo I d’Inghilterra, Brienne conosceva la questione in prima persona. 
Luis XIII, rey de Francia (Philippe de Champaigne).jpg
Luigi XIII re di Francia. 
Ritratto da Philippe de Champaigne

 Luigi XIII di Borbone, detto il Giusto (Fontainebleau, 27 settembre 1601  Saint-Germain-en-Laye, 14 maggio1643), è stato Re di Francia e Navarra dal 1610 alla sua morte.
Il suo regno, dominato dalla personalità del Cardinale Richelieu, suo primo ministro, venne segnato dalla lotta contro l'Austria e l'affermazione della predominanza militare francese in Europa e in particolare nella Guerra dei Trent'anni.
Il suo matrimonio con l'infanta Anna d'Austria diede alla luce due figli: Luigi XIV, il Re Sole successore del padre al trono di Francia e suo fratello Filippo, duca d'Orléans, fondatore della casata da cui poi discenderà anche il re Luigi Filippo I.
IL BALLO DI LONDRA.  A quanto riferisce il conte, la duchessa di Chevreuse si incaricò di far avere al duci di Buckingham i puntali di diamante, e lui si affrettò a esibirli a un ballo di corte a Londra. nella capitale inglese Richelieu aveva una buona alleata, Lucy Percy, contessa di Carlisle – Milady de Winter nel romanzo di Dumas – che lo mise al corrente del fatto. Durante il ballo la contessa riuscì a tagliare con discrezione dall’abito del duca qualche puntale, che inviò immediatamente al cardinale. Quando Buckingham si accorse della scomparse dei gioielli, capì cos’era successo e commissionò a un gioielliere londinese degli esemplari simili. Quindi rispedì i puntali a Madame de Chevreuse, pregandola, secondo quanto riferì il conte di Brienne, di “restituire alla regina il regalo frutto della sua munificenza e far sapere a sua Maestà che il motivo è il semplice timore che ne possa nascere qualche voce che possa pregiudicarla”. Non si sbagliava. Richelieu aveva convinto il re a interrogare la regina in merito ai famosi puntali, facendogli anche sapere che lei li aveva regalati a Buckingham. È a questo punto che storia e letteratura divergono: nella realtà sembra che, quando il re chiese con insistenza ad Anna di indossare i gioielli, questa si limitò a mostrargli il suo portagioie completo. Nel romanzo di Dumas, invece, la sovrana li sfoggia sulla sua tenuta da cavallerizza. In ogni caso Brienne riferisce “che in quell’occasione Anna ebbe la soddisfazione di sapere che il re rimproverò al cardinale la sua mancanza di fiducia

LA RIVINCITA DELLA REGINA. Negli anni seguenti l’animosità tra Anna d’Asburgo e Richelieu non fece che accentuarsi. Il punto di massima tensione arrivò nel 1635, quando Spagna e Francia entrarono in conflitto diretto nel contesto della Guerra dei Trent’anni. Il primo ministro accusò la regina di intrattenere una corrispondenza segreta con suo fratello, Filippo IV, con l’obbiettivo di passargli informazioni sui piani francesi. Isolata a corte e ignorata dal marito, Anna aveva preso addirittura la decisione di fuggire nei Paesi Bassi. Ciononostante, a quel punto una circostanza inaspettata cambiò la situazione. All’inizio del138 fu annunciato, fra lo stupore generale, che la regina era incinta. Di fronte alla perplessità della corte, che era perfettamente al corrente dell’inesistente relazione intima tra i coniugi, circolò la voce che un’improvvisa tormenta aveva costretto il re a rinunciare a una battuta di caccia e trovare rifugio nella stanza della regina.
Stranamente il futuro Luigi XIV nacque proprio dieci mesi dopo la presunta tempesta. I pensieri di tutti andarono all’avvenente ambasciatore della Santa Sede da poco giunto a corte, un certo Giulio Raimondo Mazzarino. Ma questa è un’altra storia.



La regina disposta a tutto.
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 George Villiers in un ritratto di Peter Paul Rubens conservato a Palazzo Pitti


« E sebbene il sig. Giorgio Villiers inglese tenga un'apparenza di modestia, affabilità, benignità, e cortesia molto grande [...] [li popoli] non possono tuttavia soffrire che egli nato semplice gentiluomo sia sola scala, porta della corte, unico mezzano della grazia [...]; ma con la rabbia e invidia universale contro non può far cosa che in ogni modo non disgusti, e sia lodata più fintamente che cordialmente, divenuto tanto grande che fa paura a tutti [...]. »
(Relazione d'Inghilterra di Girolamo Lando, ambasciatore ordinario a Giacomo I1622[1])
 (Brooksby28 agosto 1592 – Portsmouth23 agosto 1628), è stato unpolitico inglesefavorito di Giacomo I Stuart, nonché guida de facto dello stato negli ultimi anni del regno di Giacomo, suo grande protettore, e nei primi del figlio di questi e successore Carlo I Stuart. Si ritiene che la condotta disastrosa della politica inglese durante i suoi anni al potere abbia posto le premesse per lo scoppio della successiva guerra civile.
Nel dicembre del 1625, un emissario inglese scrisse da Parigi una lettera a Buckingham in cui la informava della situazione della corte francese. la lettera era in codice ma è facile dedurre che la corona si riferisce a Luigi XIII e il cuore ad Anna d’Asburgo.
“il re continua a nutrire sospetti, ne parla spesso e permette che alcune malelingue gli dicano che la regina dimostra infinite premure voi sapete bene per chi (…). Sappiate che siete allo stesso tempo il più fortunato e il più sfortunato tra gli uomini, perché la regina si è spinta oltre ogni vostra aspettativa ed è disposta a tutto pur di non rinunciare al suo desiderio”.

Articolo in gran parte di Maria Pilar Queralt del Hierro pubblicato su Storica National Geografic del mese di maggio 2019. Altri testi e immagini da Wikipedia.

I VERI QUATTRO MOSCHETTIERI

Non solo creature letterarie: i coraggiosi spadaccini di Dumas sono esistiti davvero. Ecco chi erano.

Tra duelli all’ultimo sangue, missioni segrete e avventure galanti, sono entrati nell’immaginario collettivo ispirando film, fumetti, cartoni. I loro nomi li conoscono tutti: Athos, Porthos, Aramis e d’Artagnan. A questi intrepidi quattro moschettieri lo scrittore francese Alessandro Dumas (1802-1870) dedicò una trilogia di romanzi (I tre moschettieri, vent’anni dopo, il visconte di Bragelonne),
ma forse non tutti sanno che furono uomini in carne e ossa, tra l’altro non troppo diversi dai loro omologhi letterari. Per ritrovare le loro origini storiche dobbiamo spostarci nell’estremità sud-occidentale della Francia, presso i territori della Guascogna e del Béarn.

COETANEI. Al principio del XVII secolo, fu proprio in questa parte della Francia che nacquero a poca distanza l’uno dall’altro Armand Athos (1615), Henri d’Aramitz (1620), Isaac de Portau (1617) e Charles de Batz de Castelmore, noto in seguito come D’Artagnan (1613), erano tutti figli della nobiltà locale e tutti coetanei, anche se le date di nascita in nostro possesso sono in molti casi approssimative. A proposito, il “il nome d’arte” di Charles è un omaggio alla nobile casata della madre, discendente dei D’Artagnan. Per quanto concerne gli altri tre, sappiamo che Isaac discendeva da una famiglia protestante e che Henri e Armand erano parenti alla lontana. Il primo era un rampollo dell’illustre casata Ugonotta d’Aramitz, mentre l’altro aveva tra i propri antenati un tale Johan d’Athos, medico del re Enrico II di Navarra. A dare una prima spintarella ai quattro giovanotti fu monsieur de Tréville, valoroso capitano dei moschettieri del re, compagnia di soldati scelti fondata nel 1622. Sarà lui, in forza con la parentela con Aramitz e d’Athos, nonché dell’amicizia della famiglia di d’Artagnan a premettere ai ragazzi di intraprendere in tempi diversi la carriera delle armi. I quattro raggiunsero dunque Parigi separatamente e lì si arruolarono.
“Per gentiluomo di campagna in cerca d’avventura, la capitale francese era all’epoca il centro del mondo, e non è affatto improbabile che qui d’Artagnan abbia conosciuto Ahos, Aramitz e Portau”, racconta lo storico Jean-Christian Petitfils, autore del libro La véritable d’Artagnan (Editions Tallander vedi locandina sotto).


 UN SOLO EROE. Squattrinati e inquieti, fuori dalla caserma i cadetti passavano le giornate tra le chiassose vie parigine in cerca di guai facili e amori, ed è verosimile che i nostri non abbiano fatto eccezione. Di certo, solo d’Artagnan riuscì a farsi strada, mentre per gli altri le cose andarono diversamente. Il destino peggiore fu quello di Athos che non diventò mai il malinconico veterano descritto da Dumas, ma morì a neanche trent’anni, probabilmente in seguito alle ferite riportate in un duello. Aramitz depose la spada a 31 anni in favore di una vita tranquilla nel suo villaggio natìo, dove si sposò ed ebbe tre figli (la data di morte è incerta ma è probabile che abbia superato i cinquant’anni ). Su Portau, le notizie sono ancora più scarne forse, ferito in battaglia, si sa solo che finì la sua carriera dimenticato nell’oscura guarnigione del forte di Navarrenx, in Guascogna. La vita di d’Artagnan fu dunque la più avventurosa, anche se compì le sue imprese una ventina d’anni dopo rispetto al suo alter ego letterario. Il giovane guascone non lottò infatti contro l’infido cardinale Richelieu, ma prestò i suoi servigi a un altro potentissimo prelato: Giulio Mazzarino, che a partire dal 1642 ne aveva preso il posto come primo ministro.

L’UOMO DEL CARDINALE. “Il ruolo di d’Artagnan era, tra gli altri, quello di staffetta e di agente politico, dovendo recapitare i dispacci più importanti a Mazzarino e guadagnare sostegni in suo favore”, riprende Petitfils. Gli inizi furono duri, giacché il cardinale era un autentico taccagno e pagava a malapena i suoi uomini. Non bastasse, nel gennaio 1946 il corpo dei moschettieri fu sciolto per i continui problemi di ordine pubblico causati dai suoi componenti. Ma anziché appendere al chiodo la casacca, d’Artagnan rimase al servizio di Mazzarino, anche quando le sue fortune parvero tramontare. In quegli anni, l’opposizione al cardinale era furiosa, e con Luigi XIV ancora bambino la monarchia era debole. In tale contesto, tra il 1648 e il 1653 la cosi detta “fronda” portata avanti dal parlamento e grandi nobili tentò di estromettere definitivamente il primo ministro, che lasciò Parigi. Pur lontano dalla capitale, il prelato continuò tuttavia a tessere le sue trame affidando numerose missioni segrete all’infaticabile d’Artagnan, grazie al cui supporto poté rientrare trionfante a Parigi sconfiggendo i frondisti.
Riconoscente, da allora favorì l’ascesa del suo agente nominandolo “Capitano della voliera reale”, ambito titolo onorifico. Uomo d’azione d’Artagnan non smise mai di battere i campi di battaglia, distinguendosi al seguito del visconte di Turenne in più episodi della Guerra franco-spagnola (1635-1659). E quando nel 1657 venne ricostruito il corpo dei moschettieri, vi rientrò assumendo il grado di sottotenente. Poi, morto Mazzarino nel 1661, passò al diretto servizio del giovane monarca Luigi XIV. Il sovrano si fidava ciecamente di lui tanto da affidargli la gestione di un caso scottante: l’arresto e la custodia del potente ministro delle finanze Nicolas Fouquet, che fu poi processato e rinchiuso a vita nella fortezza di Pinerolo, nell’attuale Piemonte. La missione era delicatissima e Charles non deluse le attese del futuro Re Sole, dimostrando fra l’altro grande umanità verso il prigioniero. Venerato dai suoi uomini per il coraggio e la generosità, il vero moschettiere d’Artagnan assomigliava molto all’eroe del nostro immaginario: uno dei pochi ritratti dell’epoca lo raffigura con i baffetti all’insù, lunghi ricci sulle spalle e il sorriso sornione.

MARITO ASSENTE.  Non sappiamo invece se fu un dongiovanni anche nella vita reale. “pur non provati storicamente, gli amori attribuiti al guascone dai romanzieri riflettono la vita sentimentale disordina dell’epoca”, Spiega Petitfil. Di certo, tra una batta e l’altra d’Artagnan ebbe il tempo di sposarsi, nel 1659 con una giovane vedova trentacinquenne di nome Charlotte Anne de Chanlecy, conosciuta durante un viaggio al seguito del re. Da lei ebbe due figli, che chiamerà entrambi Louis in onore del sovrano. L’amore però fu breve “La signora non aveva un carattere facile e non sopportò a lungo la vita turbolenta del marito: dopo qualche mese di matrimonio lasciò il domicilio familiare per ritirarsi nel suo feudo di Sante Croix (Borgogna), dove il consorte fece solo qualche breve apparizione”, spiega lo storico. Delusioni familiari a parte, sotto l’ala protettrice del Re Sole, tra le varie promozioni vi furono quelle a capitano dei moschettieri (1667) e a governatore della città di Lille (1672). Sempre in prima linea, come il personaggio del romanzo di Alexandre Dumas, l’intrepido guascone compì la sua ultima grande impresa durante l’assedio di Maastricht (1673), quando alla testa dei suoi soldati si gettò più volte nella mischia tra lo stupore di tutti. Una pallottola nemica lo colpì infine alla testa, lasciandolo senza vita. Ancora oggi, nei pressi di Maaastricht, dove fu sepolto, si trova una statua in suo onore.
“La devozione dei moschettieri per il loro capitano era tale che in molti si offrirono spontaneamente di vegliare sul suo corpo sotto il fuoco nemico”, conclude Petitfils. Tutta la corte lo pianse, e si dice che Luigi XIV abbia fatto celebrare una messa nella propria cappella privata per omaggiare la memoria del suo fedele servitore. D’Artagnan se ne era andato come era vissuto, senza sapere che sarebbe diventato una leggenda.





IL CARDINALE GIUSTO
Ritratto del cardinale Giulio Mazzarino, dipinto di Pierre Mignard (1658-1660)
Fu a lui  e al Re Sole che Il vero d’Artagnan prestò i suoi servigi.

IL CARDINALE SBAGLIATO
Ritratto del cardinale Richelieu, dipinto diPhilippe de Champaigne (1640), National Gallery, Londra
Nei tre moschettieri i quattro prodi combattono contro le trame dell’infido primo ministro di Luigi XIII

La scuola del moschetto.
Risultati immagini per Portrait du comte de Tréville par Le Nain.

Portrait du comte de Tréville par Le Nain.
Ce portrait orna longtemps le salon du château de Trois-Villesprès de Tardets. Il fut vendu vers 1950 à Paris et sa trace s'est perdue depuis.

Il corpo dei moschettieri del re fu costituito nel 1622 da Luigi XIII (1601-1643), che volle creare un’unità scelta alle sue dirette dipendenze, adibita a diverse mansioni: dalla scorta personale, alla tutela dell’ordine pubblico, fino all’utilizzo in battaglia come truppa d’élite. Vestisti con la casacca blu e le insegne reali, i moschettieri erano 250, selezionati tra la nobiltà ed entravano nel corpo a 14 anni per l’apprendistato, continuando poi la carriera come sottoufficiali o ufficiali. Il reparto fu sciolto nel 1646 e ricostruito sotto Luigi XIV, che formò “i moschettieri grigi” e “i moschettieri neri”, in base al colore delle cavalcature.
VALOROSI. Anche se nei film li mostrano come superbi spadaccini, la specialità di questi soldati era il moschetto, arma da fuoco ingombrate e lenta da caricare che loro maneggiavano con destrezza. Spavaldi e attaccabrighe, i moschettieri in guerra dimostrano un gran valore. Tra i più coraggiosi vi fu Jean-Armand du Peyer, (ritratto sopra) conte di Treville (1598-1672) fedelissimo di Luigi XIII: si distinse in numerose azioni, tra cui l’assedio della roccaforte ugonotta di La Rochelle.

Articolo in gran parte di Massimo Manzo pubblicato su Focus storia n. 138, altri testi e immagini da Wikipedia.



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