venerdì 3 maggio 2019

I Lanzichenecchi. Il braccio armato dell’impero.


I Lanzichenecchi. Il braccio armato dell’impero.
A partire dalla fine del Quattrocento i mercenari tedeschi furono la risposta degli Asburgo ai picchieri svizzeri, nerbo dell’esercito francese. La loro comparsa rappresentò la rivincita della fanteria sulla cavalleria, arma dominante durante tutto il Medioevo.

Un caratteristico costume dei lanzichenecchi

“Sentivansi i gridi e le urla miserabile delle donne romane e delle monache, condotte a forme da’ soldati per saziare la loro libidine. Udivansi per tutto infiniti lamenti di quegli che erano miserabilmente tormentati, parte per astringerli a fare la taglia parte per manifestare le robe nascoste. Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de’ santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de’ loro ornamenti, erano gittate per terra”. Francesco Guicciardini visitò Roma nei giorni successivi il 6 maggio 1527, data del terribile saccheggio cui l’Urbe fu sottoposta dalle truppe mercenarie al soldo dell’imperatore Carlo V, nella sua Storia d’Italia trascrisse il racconto agghiacciante ascoltato direttamente dalle vittime. È la cronaca indignata dell’azione più famosa, e insieme efferata, compiuta dai Lanzichenecchi, soldati di professione reclutati nelle province tedesche a partire dal XV secolo, che al di là di crudeltà ed eccessi, dal punto di vista strettamente militare rappresentarono un passaggio decisivo per il successivo sviluppo della fanteria.

Lanzichenecco con la moglie (una delle cosiddette vivandiere)

La tattica.
Combattimento tra picchieri in un'incisione di Hans Holbein il Giovane

Metodo di impiego della picca in combattimento
Il dispiegamento tattico dei Lanzichenecchi era organizzato su quadrati formati da  6000-8000 uomini, disposti generalmente a scalare su linee di tre: l’avanguardia, il corpo principale e più numeroso e la retroguardia. Il quadrato di picchieri e alabardieri era coperto sui lati o ai quattro angoli della formazione da unità di tiratori. Quando l’avanguardia entrava in contatto con il nemico, gli altri due contingenti potevano aspettare il momento opportuno per intervenire, sfruttando la propria velocità e sorprendendo l’avversario là dove l’attacco avrebbe ottenuto gli effetti decisivi sperati: di lato o alle spalle. La forza d’urto della formazione era data dalla “spinta delle picche” esercitata di norma dalle prime quattro file (una quinta rimaneva di riserva) che iniziavano ad affondare la propria arma contro il nemico con ripetute stoccate o semplicemente esercitando una pressione sui corpi degli avversari così da fare loro perdere l’equilibrio e obbligarli a indietreggiare. Le file posteriori tenevano la picca in posizione verticale e imprimevano all’arma un movimento ondeggiante in modo che i legni proteggessero la formazione dal lancio di oggetto. Nelle prime file operavano anche nuclei di alabardieri e soldati armati di grande spada a due mani che menavano fendenti e puntate con il preciso intento di falciare le picche nemiche e aprire squarci nei quadrati avversari in cui i picchieri potevano inserirsi per spezzare la formazione nemica.

Lanzichenecco con spada a due mani (Zweihänder)

IL SACCO DI ROMA. Con l’indebolirsi dei vincoli di servitù feudale le terre sovrappopolate della Germania meridionale (Svevia, Vorarlberg, Tirolo), e le regioni lungo l’alto corso del Reno (Foresta Nera, Alsazia), a partire dalla metà del Trecento diventarono fucina di milizia irregolari composte, almeno inizialmente, da ex servitori rimasti organi dei propri cavalieri (in tedesco Landsknecht, letteralmente “servitore del paese”), soldati addetti alla cavalcatura che camminavano alla staffa del signore. Questo gruppo primogenito di Lanzichenecchi andò via via irrobustendosi grazie all’afflusso di figli di contadini e artigiani, in fuga dalla fame e spesso dalla legge, ma anche di nobiltà terriera, questi ultimi alla ricerca più che altro di una vita d’avventura. Una soldataglia rozza e violenta, accecata dal facile guadagno, che nei periodi di disoccupazione, in assenza di conflitti e quindi della possibilità di fare bottino, non disdegnava dedicarsi al brigantaggio. A dare una forma istituzionale a queste milizie, seppur senza eliminare la caratteristica indisciplina delle origini, sul finire del Quattrocento pensò l’imperatore Massimiliano I, organizzandole in un corpo di fanteria da contrapporre a quello svizzero che, nel contesto dello scontro per il predominio europeo, costituiva il nerbo dell’esercito francese. Nacque così una sanguinosa rivalità che per due secoli fu protagonista sui campi di battaglia europei: da una parte i picchieri svizzeri, montanari al soldo del sovrano di Francia, dall’altra i tedeschi di pianura, i Lanzichenecchi furono spesso arruolati come mercenari. La contrapposizione sfociò ben presto in odio aperto e non di rado Svizzeri e Tedeschi durante gli scontri si cercavano per lanciarsi in combattimenti accaniti la cui posta non era tanto la vittoria del proprio campo, quanto la morte dei rivali. Episodi di brutale efferatezza si registrarono anche contro i soldati avversi caduti prigionieri.
Ultimi arrivati nel campo della fanteria rinascimentale, i Lanzichenecchi inizialmente dovettero subire cocenti sconfitte, ma non passò molto tempo prima che gli allievi si portassero al livello dei detestati maestri svizzeri, finendo anche per superarli. A paurose disfatte come quelle riportate durante la Guerra sveva del 1499, seguirono scontri più equilibrati nelle Guerre d’Italia dove i Lanzi (così vennero battezzati gli alabardieri tedeschi a guardia dei duchi di Toscana) riuscirono a colmare il divario e a contenere la furia svizzera, come nella battaglia di Marignano del 1515. Infine l’agognato sorpasso tedesco si ebbe nelle battaglie della Bicocca (1522) e di Pavia (1525) dove, seppur aiutati da un buon utilizzo di fanti archibugieri, i Lanzichenecchi massacrarono i rivali. La natura delle due milizie era simile, sia per quanto riguarda l’armamento che le tecniche di combattimento, perfino nella modalità d’arruolamento. Quando un signore della guerra – fosse un duca, una libera città, oppure l’imperatore – aveva bisogno di soldati per risolvere con la forza una questione dinastica o territoriale dava un incarico a un impresario, generalmente un uomo d’armi ben conosciuto nell’ambiente militare, di arruolare i mercenari necessari all’impresa. Ciò avveniva tramite la consegna di un “brevetto” che autorizzava il condottiero, un figura assimilabile ai contemporanei capitani di ventura operanti in Italia, a levare truppe in nome del signore, un vero e proprio contratto nel quale si faceva esplicito riferimento alle condizione e alla durata dell’ingaggio, alla paga spettante a ogni singolo soldato e all’armamento con il quale doveva presentarsi all’arruolamento. Tanto più l’impresario era conosciuto e ritenuto capace e affidabile – tanto più i mercenari accorrevano numerosi alla Masterpaltz, il luogo deputato al ritrovo del nascente esercito. Qui gli aspiranti combattenti dovevano superare una selezione basata sull’idonietà fisica e la compatibilità dell’armamento (che era a loro carico) e contemporaneamente verificare le condizioni dell’arruolamento, contratto a cui l’impresario e il suo signore, tanto quanto i soldati, si legavano attraverso un solenne giuramento.

Svizzeri e tedeschi: la diversa impugnatura della picca.
Svizzeri e tedeschi combattevano sostanzialmente alla stessa maniera, affidandosi per risolvere lo scontro tra quadrati di fanti all’abilità nel maneggio della picca, specialità nella quale non avevano pari, pur differenziandosi nell’impugnatura dell’arma. I Lanzi facevano passare l’asta sopra la spalla destra afferrandola con la mano sinistra e sorreggendola all’estremità posteriore con il braccio destro piegato all’indietro: questa tecnica detta deutschen Stoss permetteva un più facile “cambio della guardia”, ossia il passaggio della picca da un braccio all’altro. inoltre, consentiva di sfruttare in battaglia l’intera lunghezza dell’arma. Gli elvetici, invece, tenevano la picca afferrandola all’incirca nel baricentro, spostato all’indietro rispetto alla mezzeria, e reggendola all’altezza dell’anca o della spalla; una tecnica che permetteva ai picchieri confederati di giocare più facilmente con le parate laterali e gli affondo.

IL MESTIERE DELLE ARMI.  A questo punto per i mercenari ritenuti idonei era il momento di incassare il primo soldo, una sorta di anticipo sul trattamento assicurato durante il periodo d’ingaggio che, al netto dell’eventuale bottino di guerra, equivaleva al doppio di quanto percepito da un qualunque lavoratore salariato del tempo. Un lanzichenecco riceveva generalmente 4 fiorini al mese di paga; un sergente dai 10 ai 16, i veterani, gli archibugieri, gli uomini armati della grande spada a due mani, guadagnavano soldo doppio, cioè 8 fiorini al mese, ed erano per questo chiamati “Doppelsoldner”, categoria cui apparteneva anche l’alfiere, il portabandiera della compagnia. Una paga più alta veniva anche corrisposta a coloro che svolgevano uffici particolari, come lo scrivano, il tamburino, il furiere, il suonatore di piffero. Ai vertici della catena di comando l’impresario poteva spuntare un ingaggio di 400 fiorini al mese, mentre i suoi ufficiali andavano da un minimo di venti a un massimo di sessanta. A paragone di quanto guadagnava un artigiano di città o un contadino la condizione economica del lanzichenecco poteva apparire di favore, ma occorreva mettere in contro l’eventualità della morte in battaglia, o di una ferita invalidante che l’avrebbe condannato a una vita di stenti e, elemento non secondario, la scarsa solvibilità dei committenti che spesso induceva i soldati al saccheggio più per fame che per bramosia di ricchezza.
Di suo il mercenario tedesco, strappato dal mestiere delle armi a un’esistenza in molte casi miserabile, portava in dote forza fisica, coraggio, resistenza alla fatica e abilità, affinata anche nel tempo di riposo, di usare la picca, l’arma simbolo della nuova primavera della fanteria, capace di ribaltare i rapporti di forza con la cavalleria, incontrastata dominatrice delle guerre medievali. Contro l’impeto dei cavalieri muniti di pesanti armature nulla potevano, infatti, i poveri fanti dell’età di mezzo, dotati com’erano della sola spada, finché l’introduzione di un’arma semplice ma efficace come la picca – una punta metallica inastata su un’asta di legno lunga in taluni casi fino a sette metri – non cambiò radicalmente le prospettive di battaglia, non del singolo fante ma della formazione di picchieri (da 1500 fino a 6000 unità a formare un quadrato profondo anche decine di file) un’immensa siepe acuminata contro la quale i cavalli si rifiutavano di avanzare e la cavalleria per quanto corazzata, scoprì a sue spese di essere impotente. Queste formazioni traevano spunto dalla composizione delle falangi macedoni, alle quali aggiungevano una maggiore flessibilità e velocità di movimento, oltre alla possibilità del “quadrato” di picchieri di difendersi contemporaneamente su ogni lato, al contrario delle falange che invece risultava vulnerabile.
Lo scontro tra due “quadrati” contrapposti avveniva facendo avanzare il più rapidamente possibile i due fronti irti di picche, in modo che l’effetto perforante delle punte e la spinta dei compagni dalle file interne su quelli della prima fila, generalmente protetti da uno speciale corpetto, provocasse una pressione tale da far cedere il nemico, destinato poi a essere travolto e ad abbandonare il campo. Mentre i picchieri ingaggiavano il nemico con tanto di parate e affondi, agli alabardieri e agli uomini armati di grandi spade a due mani, spesso dalla lame a serpentino, posizionati nelle prime o ultime file del quadrato, spettava il compito di falciare le armi avversarie e aprire così un varco nello schieramento nemico, fosse esso di fanteria o cavalleria. A dar man forte al quadrato, gli eserciti rinascimentali introdussero anche piccole squadre di tiratori, armati prima di balestra poi, con l’evoluzione delle armi da fuoco, di archibugio e, infine, a parte dagli anni Venti del Cinquecento di moschetto. Dapprima il loro numero non superava il 10% degli effettivi e svolgevano azioni al di fuori dello schieramento, come “battitori liberi”, successivamente l’efficacia del tiro divenne così micidiale da consigliarne il raggruppamento in reparti appositi denominati “maniche”, posizionati agli angoli dei quadrati di fanteria. Per mantenere un fuoco continuo sugli avversari caricavano e sparavano a righe alternate; se minacciati dalla cavalleria trovavano pronto riparo sotto le picche del quadrato.
Le battaglie più famose.
CALLIANO 1487.
Nella battaglia del 10 agosto 1487 tra le truppe della Repubblica di Venezia e quelle trentine alleate dei conti del Tirolo per la prima volta un contingente di Lanzichenecchi si scontrò con un esercito italiano. Fatto costruire dai genieri di un ponte di barche sull’Adige, il comandante veneziano Roberto Sanseverino d’Aragona alle prime luci dell’alba portò le sue truppe all’attacco dei veneziani e lanciò l’allarme alle truppe tirolesi di stanza a Trento.
I Lanzichenecchi al comando di Friedrich Kappler piombarono sui fanti veneziani che, terrorizzati, si diedero alla fuga verso il ponte di barche. Sanseverino rimase a combattere con la cavalleria, ma un nuovo assalto di Lanzi indusse i veneziani alla definitiva rotta. Presi dal ponte di barche che non resse al peso: a centinaia morirono annegati e lo stesso Sanseverino cadde nella mischia.

RAVENNA 1512. La domenica di Pasqua del 1512, era l’11 aprile, nella campagna ravennate  si fronteggiarono l’esercito francese, comandato dal ventitreenne Gaston De Foix, e quello della “Lega Santa” formata da papa Giulio II, composto da spagnoli, italiani, e soldati del Regno di Napoli. Circa 5mila Lanzichenecchi condotti dall’ufficiale tedesco Jacob Empser combatterono tra le file francesi scontrandosi sanguinosamente con la fanteria spagnola. L’impatto fra i quadrati di fanteria fu talmente violento che le picche dei due schieramenti rimasero incastrate. I più agili spagnoli si incunearono tra le fila dei tedeschi e, armati di coltello, uccisero un gran numero di Lanzi. La lotta che ne seguì fu sanguinosa e incerta, ma il sacrificio dei fanti tedeschi contribuì a fiaccare gli spagnoli che, pur battendosi eroicamente, presero a indietreggiare. Dopo otto ore di scontri la battaglia si concluse con la vittoria francese.

NOVARA 1513. Il 6 giugno 1513 le truppe svizzere, parte della Lega Santa, sconfissero l’eercito francese guidato da Louis de la Trémoille, costringendo i transalpini a ritirarsi da Milano, dove venne restaurato il potere del duca Massimiliano Sforza. Fu una battaglia lampo, in sole quattro ore i francesi furono sconfitti e lasciarono sul campo oltre cinquemila morti. La furia dei picchieri svizzeri, la tremenda pressione dei loro quadrati, ebbe la meglio sui Lanzichenecchi al soldo del re di Francia.

MELEGNANO 1515. Combattuta il 13 e il 14 settembre del 1515 a Meregnano, antico nome di Melegnano, località a sud di Milano, la battaglia rappresentò la rivincita francese contro gli svizzeri, vincitori due anni prima a Novara. Scesero in campo a fianco di Francesco I re di Francia anche i Lanzichenecchi della cosiddetta Banda Nera: mercenari tedeschi che servirono sotto altri eserciti nonostante il divieto di Massimiliano d’Asburgo. Sospinti indietro dalla pressione dei quadrati elvetici, riuscirono comunque a mantenere compatta la loro formazione, sostenuti efficacemente dal fuoco dei cannoni francesi e dalle cariche reiterate della cavalleria pesante.

PAVIA 1525. Lo scontro combattuto il 24 febbraio 1525 segnò la netta vittoria degli imperiali Carlo V contro i francesi di Francesco I che cade prigioniero. i Lanzichenecchi del fronte imperiale furono protagonisti di uno scontro fratricida con i mercenari tedeschi al soldo francese che vennero distrutti a colpi di picca e alabarda. I Lanzi travolsero e catturarono anche parte dell’artiglieria transalpina.

GOVERNOLO 1526. Dodicimila Lanzichenecchi guidati dall’esperto condottiero Georg von Frundsberg furono spediti in Italia dall’imperatore Carlo V per punire papa Clemente, reo di aver stretto l’alleanza con la Francia. Lungo il tragitto verso la capitale, i tedeschi vennero intercettati dal condottiero Giovanni dalle Bande Nere che ingaggiò contro gli imperiali una furiosa battaglia tra il 24 e il 25 novembre a Governolo, nel mantovano. Lo scontro si concluse con il ferimento del capitano di ventura italiano, colpito a una gamba da un colpo di falconetto: nonostante l’amputazione dell’arto il giovane condottiero morì il 30 novembre.

IL SACCO DI ROMA 1527. Orfano del proprio condottiero Georg von Frundsberg, colpito da un infarto, i Lanzichenecchi penetrarono a Roma il 6 maggio del 1527 sottoponendo la città ad un tremendo saccheggio che si concluse con un tragico bilancio: 20mila cittadini assassinati, almeno diecimila fuggiti dall’Urbe e altri trentamila uccisi dalla peste portata dai mercenari tedeschi. L’occupazione di Roma segnò il declino dell’Italia e l’umiliazione della Chiesa. L’esercito imperiale responsabile del sacco non era composto soltanto da tedeschi, ma anche da italiani e spagnoli, i quali non si risparmiarono in crudeltà ed eccessi.

saccheggio di Roma di Benvenuto Cellini


LA FORZA DEL GRUPPO. La presenza dei Lanzichenecchi, come dei picchieri svizzeri, divenne una costante sui campi di battaglia rinascimentali e cambiò radicalmente l’arte della guerra, anche da un punto di vista culturale: all’ardimento del singolo cavaliere medievale si sostituì la disciplina del gruppo di soldati, il cui valore non risiedeva tanto nelle qualità individuali, quanto nella loro somma. Perché questo tipo di tattica risultasse efficace, infatti, era necessario che i Lanzi fossero in grado di formare velocemente un quadrato compatto e, una volta raggruppati, che gli uomini evitassero di ostacolarsi a vicenda e rispondessero prontamente agli ordini con assoluta disciplina. A questo scopo vennero introdotti sui campi di battaglia pifferi e tamburi capaci con il loro suono di levarsi sopra il canglore delle armi e coordinare i movimenti della truppa, scandire i ritmi dello scontro e assecondare le necessarie evoluzioni dello schieramento. Per lo stesso motivo, nacque la figura dell’ufficiale “basso”, del sergente che fungesse da collegamento tra gli alti graduati e la truppa, provvedendo all’immediata esecuzione degli ordini. Dalla velocità di formazione del quadrato, dai suoi movimenti e dalla sua tenuta quanto caricato dipendeva, infatti, la sopravvivenza del gruppo e ai sergenti toccava il compito di evitare che singole negligenze o indiscipline potessero mettere a repentaglio l’esito dello scontro. La catena di comando così completata comprendeva un capitano, da cui dipendeva in genere la “bandiera” (Fhanlein), l’unità tattica più piccola nella quale venivano inquadrati i Lanzi, formata dai 300 ai 500 uomini, più bandiere, andavano a costituire un reggimento al comando di un colonnello (Obrist) che il più delle volte corrispondeva alla figura dell’impresario responsabile dell’arruolamento per conto del signore di turno intenzionato a muovere guerra. Lo stato maggiore a disposizione del colonnello prevedeva oltre al suo luogotenente e alle guardie del corpo, alcune figure amministrative come scrivani, furieri, interpreti, addetti agli alloggi e alle salmerie. Ma al seguito delle milizie tedesche trovava posto una vera e propria comunità nomade, stipata su una lunga teoria di carriaggi, vi erano le famiglie dei soldati, mercanti e avventurieri, ragazzi e molte donne, le vivandiere ufficialmente addette alla cucina, ma non di rado anche prostitute, e poi barbieri e cappellani. La vastità del numero dei civili in marcia imponeva una figura responsabile (Trossweibel), pagato profumatamente per svolgere un compito tutt’altro che facile. Il Reggimento aveva anche un “prevosto” (Profoss), pubblico accusatore e contemporaneamente esecutore delle sentenze, mentre per i reati più gravi era istituita una giuria composta da 41 soldati. Questa assise popolare è soltanto uno degli esempi della gestione allargata che contraddistingueva, almeno agli inizi, l’organizzazione militare dei Lanzichenecchi. Anche l’ultimo fantaccino aveva diritto di voto all’interno dell’Assemblea che nominava dei propri rappresentanti (messi) per discutere con il reclutatore di ogni aspetto dell’ingaggio, dalla retribuzione fino alla tattica da tenere in battaglia. Una gestione democratica della vita militare in linea con la natura anomala di queste milizie, composte di mercenari che avevano scelto la guerra come mestiere, senza sposare idealmente nessuna causa, e che intendevano marcare questa mantenuta libertà partecipando alle decisioni dalle quali dipendeva, spesso, anche la pripria sopravvivenza. Libertà che con il tempo venne gradualmente compressa, a partire dal contratto che vincolava i soldati al signore, agli inizi oggetto di un vero e proprio mercanteggiamento, successivamente sempre più standardizzato e chiuso alla contrattazione; mentre la vita stessa dei Lanzi divenne sempre più disciplinata da regolamenti e venne allargandosi la distanza tra l’umile soldato e i suoi ufficiali. Un  richiamo all’ordine figlio della sempre maggiore specializzazione di questi fanti – tanto gli Svizzeri quanto i Tedeschi – che avevano sviluppato un sistema di combattimento così efficace da essere richiestissimi e lautamente compensanti da sovrani e principi di tutta Europa. Ebbe il loro periodo d’oro a partire dalla conquista della Lombardia da parte di Luigi XII di Francia nel 1500, quando le successive mire dello stesso sovrano sul regno di Napoli  scatenarono la lunga serie di conflitti per la supremazia nella Penisola (Guerre d’Italia), e per oltre un quarto di secolo nessun esercito in campo volle rinunciare alla forza d’urto garantita dalle milizie mercenarie. Le formazioni di picchieri resteranno in campo fino alla prima metà del Seicento, messe definitivamente in crisi dall’arrivo dalle artiglieri sempre più precise e potenti, a dispetto improvvisamente lenti e macchinosi, niente di più di un facile bersaglio.

Georg von Frundsberg, il padre dei Lanzi.

«Giorgio Fronspergh, affezionato alle cose di Cesare e alla gloria della sua nazione, e che due volte capitano di grosse bande di fanti era stato con somma laude in Italia per Cesare contro a' franzesi, deliberato con le facoltà private sostenere quello in che mancavano i príncipi, concitò con l'autorità sua molti fanti e col mostrare la occasione grande di predare e di arricchirsi in Italia, che, con ricevere da lui uno scudo per uno, lo seguitassino al soccorso di Cesare;....»
(Francesco Guicciardini - Storia d'Italia, lib. 17 cap. 14)
Georg von Frundsberg
Frundsberg.JPG
24 settembre 1473 – 20 agosto 1528
Dati militari
Paese servitoImpero Spagnolo
GuerreGuerra d'Italia del 1521-1526
Guerra della Lega di Cognac
BattaglieBattaglia di Pavia (1525)
Battaglia di Governolo (1526)
Comandante dilanzichenecchi
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Georg von Frundsberg (Mindelheim24 settembre 1473 – Mindelheim20 agosto 1528) è stato un condottiero tedesco e comandante-riformatore dei lanzichenecchi al servizio della dinastia imperiale austriaca degli Asburgo.
Fedelissimo all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo prima, poi al nipote di questi, Carlo V, Georg von Frundsberg (sotto in un ritratto), signore di Mindelheim (Baviera), convinto della necessità di dotare l’esercito imperiale di un corpo scelto di fanteria, contribuì alla nascita delle milizie dei Lanzichenecchi di cui divenne comandante per i paesi meridionali dell’Impero. Considerato uno dei più validi e crudeli capitani di ventura del Cinquecento, il nobile bavarese passò la vita in battaglia, al comando dei suoi Lanzichenecchi, che guidò anche nella spedizione in Italia, quella che si concluse con il sacco di Roma. Sacchi a cui il condottiero non partecipò perché, colpito da infarto, aveva già fatto ritorno nel suo castello in Baviera dove morì il 20 agosto del 1528.


Articolo in gran parte di Mario Galloni pubblicato  Storie di guerre e guerrieri n. 21 Sprea editori. Altri testi e immagini da Wikipedia.

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