Operazione Wintergewitter.
Tempesta invernale. L’offensiva di Natale.
Il 26 dicembre del 1944 truppe italo-tedesche misero in atto un
audace colpo di mano contro le linee nemiche nelle valle del Serchio, in
Garfagnana, al fine di allentare la pressione sulla Linea Gotica e impedire
l’avanzata degli alleati nel Nord Italia. Un’operazione coronata da un successo
iniziale, ma presto arenatasi per mancanza di rimpiazzi e mezzi corazzati.
Operazione Wintergewitter (1944) parte della campagna d'Italia della seconda guerra mondiale | |||
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Soldati della 92nd Infantry Division in combattimento nella zona di Massa | |||
Data | 26 - 28 dicembre 1944 | ||
Luogo | Garfagnana, nord della Toscana | ||
Esito | Vittoria tattica italo-tedesca strategicamente non decisiva | ||
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Operazione Wintergewitter, anche detta offensiva di Natale o battaglia della Garfagnana (in tedesco Unternehmen Wintergewitter, in inglese Battle of Garfagnana), era il nome in codicedi un attacco lanciato dalle forze tedesche e della Repubblica Sociale Italiana contro le posizioni Alleate nella regione della Garfagnana, tra il 26 ed il 28 dicembre 1944, nell'ambito della campagna d'Italia della seconda guerra mondiale.
L'operazione, l'unica azione offensiva lanciata congiuntamente dai reparti della Wehrmacht e dell'Esercito Nazionale Repubblicano nel corso della guerra, fu diretta contro i reparti statunitensi della 92nd Infantry Division, provocandone il ripiegamento e portando alla riconquista di alcuni villaggi della valle del Serchio; l'offensiva fu poi fermata dalla pronta reazione dei reparti Alleati e dalla mancanza di truppe di rinforzo, ed i reparti italo-tedeschi ritornarono sulle posizioni di partenza entro il 30 dicembre 1944.
Quando,
nel luglio 1943 le truppe angloamericane sbarcarono in Sicilia (operazione
Husky), nessuno avrebbe mai potuto
immaginare che la Campagna d’Italia si sarebbe trasformata, dopo i successi
iniziali (presa dell’isola e successivo passaggio sul Continente), in una lenta
e frustante avanzata verso nord, caratterizzata da un’accanita resistenza delle
truppe tedesche. Sul finire di dicembre del ’44, mentre l’Armata Rossa dilagava
sul fronte orientale e le truppe alleate sbarcate in Francia procedevano
spedite verso il cuore del Terzo Reich, le truppe angloamericane impegnate
nella Penisola erano ancora bloccate sulla Linea Gotica, un complesso sistema
di fortificazioni che, sfruttando la dorsale appenninica, si snodava dalla
costa tirrenica (Massa-Carrara) fino all’Adriatico, nel settore compreso tra
Fano e Rimini. Un ostacolo davvero impegnativo che a un certo punto sembrò
quasi insuperabile.
La linea gotica.
Nel 1944, il tanto sperato
sfondamento alleato del fronte tedesco nel corso della Campagna d’Italia non
si verificò. La tattica adottata dal Feldmaresciallo Albert Kesselring di una
resistenza attiva (finalizzata a rallentare al massimo il nemico o a
bloccarlo, infliggendogli il maggior numero di perdite), si dimostrò efficace
considerando le caratteristiche geografiche della Penisola (stretta e
montagnosa). Nonostante l’inferiorità di uomini e mezzi, i tedeschi infatti
riuscirono a mettere in difficoltà le armate angloamericane a più riprese.
Merito anche della Linea Gotica o Gotenstellung in tedesco, un complesso di
fortificazioni fisse e mobili,che sbarrava l’accesso al Nord Italia e si
estendeva dal litorale dell’alta Toscana (Massa-Carrara) fino alla costa
adriatica di Pesaro, seguendo un tracciato di trecento chilometri che si
snodava attraverso la Garfagnana, l’Appennino modenese e bolognese, l’alta
val d’Arno e l’Appennino forlivese. Chiamata in un primo tempo Gotica,
successivamente fu ribattezzata “linea verde” (nome che tuttavia non fu mai
realmente impiegato) per volontà di Hitler, non disposto ad accettare che un
sistema difensivo con un nome così altisonante potesse essere prima o poi
sfondato. Eppure, contro ogni pronostico, vista la sproporzione di forze in
campo, gli Alleati furono tenuti in scacco per quasi un anno prima di poterne
avere la meglio. Incredibilmente, la linea Gotica resistette fino agli ultimi
giorni del conflitto quando anche Berlino era ormai prossima a cadere. Un
primo tentativo di sfondamento infatti, l’Operazione Olive (agosto-ottobre
’44) nonostante una serie di successi alleati localizzati, non riuscì a
raggiungere gli obiettivi prefissati. L’Operazione Wintergewitter (dicembre ’44)
inoltre riuscì a bloccare ogni iniziativa alleata fino all’aprile del ’45, quando
prese il via l’Offensiva di primavera e la Gotica fu definitivamente
superata. Pochi giorni dopo le truppe tedesche in Italia avrebbero firmato la
resa incondizionata.
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UNA RESISTENZA INASPETTATA. Un primo tentativo di
sfondamento in grande stile nel settore adriatico – Operazione Olive (25 agosto
– 25 ottobre 1944) era stato bloccato dopo intensi combattimenti
dall’inaspettata combattività dei reparti tedeschi del Feldmaresciallo Albert
Kesselring e dalle continue piogge che avevano annullato la superiorità alleata
in termini di mezzi e uomini. Se Rimini era stata liberata, a costo peraltro di
forti perdite, l’obiettivo iniziale di penetrare in Emilia Romagna e puntare su
Bologna fu impossibile da portare a termine. Quanto complessa fosse la situazione
operativa lo si può capire da un appunto del generale britannico Oliver Leese: “Questa campagna è una brutta gatta da
pelare. Siamo nel Paese più difficile d’Europa e tuttavia ci sottraggono sempre truppe ed
equipaggiamenti destinati in qualche altro posto. Abbiamo sempre combattuto con
un margine di forze relativamente molto stretto … la battaglia di Rimini fu una
delle più dure battaglie dell’8a Armata. I combattimenti furono paragonabili a
quelli di El Alamein, di Mareth e della Linea Gustav (Cassino)”. Nel mese
di novembre pertanto, con il perdurare delle condizioni climatiche avverse lo
Stato Maggiore alleato decise di sospendere il grosso delle operazioni per
ricompattare i ranghi in attesa del momento migliore per riprendere i
combattimenti. Dopo un’attenta pianificazione, i generali Harold Alexander e
Mark Clark stabilirono di sferrare l’attacco alla vigilia di Natale. Tuttavia,
le loro intenzioni furono presto frustrate da una serie di dispacci dei servizi
d’informazione che riferivano di uno strano movimento di truppe tedesche nel
settore tirrenico difeso dalla 5a Armata americana. Fu pertanto inviato
l’ordine che ogni iniziativa fosse rimandata a data da destinarsi in attesa di
capire le mosse del nemico. Fu inoltre deciso che le unità in prima linea
venissero messe in stato d’allerta e l’8a Divisione di fanteria indiana del
generale Dudley Russel fosse fatta affluire nelle retrovie per fornire il
supporto necessario in caso di bisogno. In sostanza c’erano tutti i
presupposti, visto le condizioni di netta inferiorità in termini di uomini e
mezzi dei tedeschi, perché l’iniziativa avversaria fosse stroncata sul nascere.
Le forze in campo.
Nel corso dell’Operazione
Wintgergewitter, per espressa volontà di Mussolini, furono schierate in prima
linea reparti dell’ENR (Esercito Nazionale Repubblicano) a fianco di truppe
tedesche, dimostrando una buona capacità combattiva. Si trattava di reparti della
Divisione San Marco, due unità che insieme alla 1a Divisione Bersaglieri
Italia e alla 2a Divisione Granatieri Littorio erano state mandate in
Germania per una fase di addestramento e potenziamento (erano inquadrate
secondo il sistema tedesco: di fanteria di tre battaglioni ciascuno un
reggimento di artiglieria, più reparti di ricognizione, controcarro, ecc.).
Monterosa e San Marco furono le prime a tornare in Italia ed essere
raggruppate nella nuova Armata Liguria, adibita alla difesa del confine nord
occidentale della Penisola, insieme alle truppe tedesche. Altri protagonisti
dell’operazione furono i reparti di montagna tedeschi (Gebirgsjager) e sul
fronte opposto la 92a Divisione di fanteria americana.
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la mappa delle operazioni
L’OFFENSIVA PRENDE FORMA. Eppure, nella notte del
26 dicembre, le notizie arrivate dal settore occidentale della Linea Gotica
(area tirrenica) lasciarono di stucco lo Stato Maggiore americano: la 92a
Divisione di fanteria (composta per lo più di truppe di colore), posta a difesa
della valle del Serchio in Garfagnaan (a nord-ovest di Lucca), era sotto
attacco. E, cosa ancora più grave, era stata costretta a ripiegare in maniera
disordinata fin dalle prime battute. Com’era stato possibile? Le ragioni erano
piuttosto semplici: gli avversari avevano attaccato in un settore del tutto
secondario, fino a quel momento rimasto prevalentemente tranquillo. Iniziava in
questo modo l’Operazione Wintergewitter (Tempesta invernale), detta anche
offensiva di Natale, un piano elaborato dal generale Kurt von Tippelskirch,
comandante della 14a Armata tedesca, che aveva riscosso i favori di Mussolini e
del Maresciallo Rodolfo Graziani, capo delle forze armate della Repubblica
Sociale Italiana (a patto che potessero partecipare anche truppe italiane), per
alleggerire la pressione nemica nel settore adriatico e ritardare l’attacco su
Bologna. La scelta era caduta proprio su quel particolare settore della
Garfagnana, caratterizzato da un astretta valle incuneata in un anfiteatro di
montagne, che in base alle informazioni disponibili era presidiata da unità con
poca esperienza di combattimento in prima linea e per lo più da poco arrivate
nella Penisola.
Era stato deciso
pertanto di costruire un gruppo di combattimento misto, agli ordini del
generale Otto Fretter-Pico, composto da unità provenienti dalla 148a Divisione
di fanteria tedesca composta dal 1° e 2° Battaglione Gebirgsjager (truppe da
montagna), Battaglione Geborsjager “Mittenwald” e Battaglione mitraglieri
“Kesselring”, e dalla 4a Divisione alpina Monterosa composta dal 3° Battaglione
alpini “Brescia”, del 2° Reggimento alpini, 23° Reparto Esplorante, a cui si
deve aggiungere il 2° Battaglione del 6° Reggimento fanteria di marina della
Divisione San Marco. Si trattava del primo impiego operativo di reparti regolari
dell’ENR (Esercito Nazionale Repubblicano) a fianco di unità tedesche dopo una
fase di addestramento in Germania; fino ad allora infatti tali unità erano
state impiegate solo per compiti secondari: lotta anti partigiana, difesa
costiera e presidio delle frontiere. Nel complesso, si trattava di una forza
quantificabile in 9mila uomini (il 66% erano italiani) con un centinaio di
pezzi d’artiglieria – non erano previsti mezzi corazzati – che avrebbero dovuto
fronteggiare i 18mila uomini della 92a Divisione del generale Edward Almond
dotata di artiglieria (598° Battaglione di artiglieria da campagna), cannoni
semoventi, e una compagna del 760° Battaglione Carri: in totale 140 cannoni,
120 carri da combattimento e un supporto aereo fornito dal XXII Tactical Air Command.
ATTACCO SU TRE COLONNE. Non c’è bisogno di
sottolineare, considerando la sproporzione di forze in campo e il potenziale
bellico alleato nelle retrovie che un’operazione del genere avrebbe potuto
avere un minimo di successo solo se i preparativi fossero stati condotti nella
massima segretezza, in modo da non allertare le difese nemiche. Ogni
inconveniente, infatti, avrebbe potuto trasformarsi in un fallimento di
notevoli proporzioni.
Senza considerare che
gli Alleati, allarmati dall’offensiva lanciata dai tedeschi sulle Ardenne dieci
giorni prima, si aspettavano una simile operazione anche nel Nord Italia. Un
compito proibitivo, non c’è che dire, che tuttavia fu eseguito con estrema
determinazione. Intorno alla mezzanotte del 25 dicembre infatti, senza alcun
appoggio d’artiglieria, per garantire al massimo l’effetto sorpresa, le forze
italo-tedesche diedero il via all’attacco suddivise in tre colonne, seguendo un
piano preordinato che prevedeva l’avanzata verso Barga, Sommocolonia,
Vergemoli, Treppignana, Coreglia, Fornaci di Barga, Prominana, Castelvecchio e
Calomini, tutte località a nord ovest di Lucca. Il primo contatto con il nemico
avvenne sul lato orientale del Serchio quando la terza colonna, composta da
unità di Gebirgsjager e mitraglieri Kesselring, si scontrò con l’ala destra
della 92a Divisione, dando vita a furiosi combattimenti per il controllo del
villaggio di Sommocolonia, presidiato dal 336° Reggimento di fanteria e alcune
unità di partigiani che, dopo una strenua difesa, furono costrette a ritirarsi.
Nel frattempo, altri duecento uomini del Battaglio Mittenwald, dopo aver
occupato i villaggi di Bebbio e Scarpello e respinto i contrattacchi Alleati,
riuscirono a sfondare il fianco destro nemico, che dovette ripiegare a Barga e
Coreglia, senza tuttavia riuscire a tenerle: il mattino successivo, infatti,
furono conquistate dopo intensi scontri a fuoco dalle unità tedesche in
avanzata. Alle prime luci del 27 dicembre si misero in movimento anche i
reparti italiani inquadrati nella seconda colonna con l’obiettivo di farsi
strada verso Castelvecchio, sul lato ovest del Serchio, a sud di Castelnuovo di
Garfagnana. Si trattò di una mossa bene pianificata, perché le unità americane
già allarmate dalle notizie dello sfondamento sul fianco destro, non ressero
alla pressione, incominciando a ritirarsi disordinatamente verso sud, incalzate
a quel punto anche dai due battaglioni di fanteria nemici e i campi minati. Sul
lato orientale del Serchio i reparti tedeschi occuparono contemporaneamente anche
Fornaci di Barga, che nel frattempo era stata evacuata tedesca del 285°
Reggimento Granatieri, costituenti la prima colonna, che si erano mossi sulla
direttrice d’attacco di Vergemoli. In giornata si registrò la caduta di
Gallicano, Molazzana (presa dagli uomini della San Marco), Calomini e
Vergemoli, con perdite elevate per il fitto fuoco di sbarramento delle
artiglierie dalle forze americane ormai in forte crisi. Nel complesso, al calar
della sera l’intero fronte alleato era arretrato per una lunghezza di quasi
venti-venticinque chilometri e una profondità che nel punto centrale
raggiungeva i dieci.
Il piano d’attacco.
L’Operazione Wintergewitter prevedeva un attacco iniziale alle
posizione statunitensi della 92a Divisione di fanteria poste a difesa della
valle del Serchio, secondo uno sche a tre colonne: la Prima, composta dal 1°
e 2° Battaglione del 285° Reggimento Granatieri, avrebbe dovuto attaccare il
lato occidentale della valle puntando sui villaggi di Vergemoli e Calomini;
la Seconda, costituita dalle unità italiane della Divisione Monterosa e San
Marco, il centro, sul lato occidentale del fiume, con obiettivo
Castelvecchio; la Terza, con i reparti da montagna tedeschi, il lato
orientale della valle con obiettivo Sommocolonia e successivamente Barga. La
prima a muoversi, nella notte del 26 dicembre, fu la Terza colonna, mentre le
altre due iniziarono l’attacco alle prime ore del 27. L’offensiva diede
subito ottimi risultati: il nemico, colto di sorpresa e senza molta
esperienza, fu costretto a ritirarsi (a parte alcune eccezioni come
Sommocolonia) in maniera disordinata. Le perdite italo tedesche in questa
prima fase furono causate principalmente dai campi minati nella zona di
Calomini e Vergemoli e dal pesante fuoco di sbarramento delle artiglierie
americane.
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ORDINE DI RIPIEGAMENTO. I
combattimenti proseguirono anche nella mattinata del 28 dicembre: alcuni
reparti italiani si impossessarono del villaggio di Bolognana, quelli tedeschi
arrivarono a Calavorno, mentre le pattuglie più avanzate procedettero verso sud
fino alla periferia di Bagni di Lucca. L’offensiva, contando sull’effetto
sorpresa, aveva ottenuto brillanti risultati ma a quel punto lo Stato Maggiore
tedesco, conscio di non avere a disposizione altri rimpiazzi e unità corazzate
con cui inseguire il nemico in ritirata, diede ordine di fermarsi. Proseguire
verso sud sarebbe stato un vero e proprio suicidio, considerando che la
reazione americana non si era fatta attendere: l’8a Divisione di fanteria
indiana, infatti, con il supporto dalla 1a Divisione corazzate e della 34a
Divisione di fanteria americane, era stata fatta avanzare per chiudere la
breccia appena creatasi, potendo contare su un massiccio supporto aereo (tra il
27 e il 28 dicembre il XXII Tactical Air Command compì qualcosa come 4mila
missioni d’attacco al suolo). Sebbene Graziani propendesse per continuare –
inizialmente era stata avanzata la proposta piuttosto velleitaria di liberare
Lucca e Livorno – il generale Fretter-Pico ritenne di aver raggiunto gli
obiettivi preposti e la sera del 28 diede ordine di ripiegare sulle posizioni
di partenza. Nei due giorni successivi, i reparti italo-tedeschi riuscirono a
sganciarsi con relativa facilità, mettendo in atto puntuali azioni di
retroguardia. In un episodio, che vide come protagonisti gli uomini della San
Marco, alcune unità d’avanscoperta della Divisione indiana, con poca esperienza
di combattimento, furono attirare in un’imboscata che si concluse con la
distruzione di due mezzi blindati e diversi caduti. Si trattò comunque di
episodi marginali che non cambiarono il corso degli eventi. Il 30 dicembre
infatti le unità italo-tedesche si erano ritirate al sicuro dietro le linee
amiche. Nel complesso l’Operazione Wintergewitter non ebbe alcuna rilevanza
strategica – tutti i territori conquistati furono subito abbandonati – ma sul
piano tattico permise di allentare la morsa sulla Linea Gotica e paralizzare
l’iniziativa alleata fino a primavera inoltrata. Inoltre in mano italo-tedesca
caddero una notevole quantità di materiale bellico – diversi cannoni anticarro
da 57 mm, oltre a un centinaio di mitragliatrici Browning da 12,7 mm, mortai da
60 e 81 mm – e circa duecento prigionieri. Gli Alleati, tra morti, feriti e
dispersi contarono all’incirca un migliaio di perdite. Non mancarono inoltre le
critiche nei confronti della 92a Divisione di fanteria, accusata di aver
sbandato paurosamente nelle prime fasi dell’offensiva, anche se fu riconosciuto
da più parti che tale comportamento era dipeso principalmente dalla poca
esperienza di combattimento in prima linea e dall’addestramento approssimativo.
L’unità fu comunque spostata nelle retrovie e riorganizzata per poi essere
impiegata nell’offensiva finale che avrebbe portato alla caduta della Linea
Gotica nel settore di Massa e La Spezia, avvenuta però solo ad aprile inoltrato
dell’anno successivo, quando Berlino era già sotto assedio.
Articolo in gran parte
di Antonio Ratti pubblicato su Storie di Guerre e guerrieri n. 22 sprea
editori, altri testi e immagini da Wikipedia.
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