lunedì 27 maggio 2019

Operazione Wintergewitter.


Operazione Wintergewitter.
Tempesta invernale. L’offensiva di Natale.
Il 26 dicembre del 1944 truppe italo-tedesche misero in atto un audace colpo di mano contro le linee nemiche nelle valle del Serchio, in Garfagnana, al fine di allentare la pressione sulla Linea Gotica e impedire l’avanzata degli alleati nel Nord Italia. Un’operazione coronata da un successo iniziale, ma presto arenatasi per mancanza di rimpiazzi e mezzi corazzati.

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Operazione Wintergewitter (1944)
parte della campagna d'Italia della seconda guerra mondiale
92nd-Divisionmassaitaly1944.jpg
Soldati della 92nd Infantry Division in combattimento nella zona di Massa
Data26 - 28 dicembre 1944
LuogoGarfagnana, nord della Toscana
EsitoVittoria tattica italo-tedesca
strategicamente non decisiva
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
9.100 uomini18.000 uomini
Perdite
1.000 tra morti e dispersi1.000 tra morti e dispersi
250 prigionieri
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Operazione Wintergewitter, anche detta offensiva di Natale o battaglia della Garfagnana (in tedesco Unternehmen Wintergewitter, in inglese Battle of Garfagnana), era il nome in codicedi un attacco lanciato dalle forze tedesche e della Repubblica Sociale Italiana contro le posizioni Alleate nella regione della Garfagnana, tra il 26 ed il 28 dicembre 1944, nell'ambito della campagna d'Italia della seconda guerra mondiale.
L'operazione, l'unica azione offensiva lanciata congiuntamente dai reparti della Wehrmacht e dell'Esercito Nazionale Repubblicano nel corso della guerra, fu diretta contro i reparti statunitensi della 92nd Infantry Division, provocandone il ripiegamento e portando alla riconquista di alcuni villaggi della valle del Serchio; l'offensiva fu poi fermata dalla pronta reazione dei reparti Alleati e dalla mancanza di truppe di rinforzo, ed i reparti italo-tedeschi ritornarono sulle posizioni di partenza entro il 30 dicembre 1944.

Quando, nel luglio 1943 le truppe angloamericane sbarcarono in Sicilia (operazione Husky),  nessuno avrebbe mai potuto immaginare che la Campagna d’Italia si sarebbe trasformata, dopo i successi iniziali (presa dell’isola e successivo passaggio sul Continente), in una lenta e frustante avanzata verso nord, caratterizzata da un’accanita resistenza delle truppe tedesche. Sul finire di dicembre del ’44, mentre l’Armata Rossa dilagava sul fronte orientale e le truppe alleate sbarcate in Francia procedevano spedite verso il cuore del Terzo Reich, le truppe angloamericane impegnate nella Penisola erano ancora bloccate sulla Linea Gotica, un complesso sistema di fortificazioni che, sfruttando la dorsale appenninica, si snodava dalla costa tirrenica (Massa-Carrara) fino all’Adriatico, nel settore compreso tra Fano e Rimini. Un ostacolo davvero impegnativo che a un certo punto sembrò quasi insuperabile.

La linea gotica.
Nel 1944, il tanto sperato sfondamento alleato del fronte tedesco nel corso della Campagna d’Italia non si verificò. La tattica adottata dal Feldmaresciallo Albert Kesselring di una resistenza attiva (finalizzata a rallentare al massimo il nemico o a bloccarlo, infliggendogli il maggior numero di perdite), si dimostrò efficace considerando le caratteristiche geografiche della Penisola (stretta e montagnosa). Nonostante l’inferiorità di uomini e mezzi, i tedeschi infatti riuscirono a mettere in difficoltà le armate angloamericane a più riprese. Merito anche della Linea Gotica o Gotenstellung in tedesco, un complesso di fortificazioni fisse e mobili,che sbarrava l’accesso al Nord Italia e si estendeva dal litorale dell’alta Toscana (Massa-Carrara) fino alla costa adriatica di Pesaro, seguendo un tracciato di trecento chilometri che si snodava attraverso la Garfagnana, l’Appennino modenese e bolognese, l’alta val d’Arno e l’Appennino forlivese. Chiamata in un primo tempo Gotica, successivamente fu ribattezzata “linea verde” (nome che tuttavia non fu mai realmente impiegato) per volontà di Hitler, non disposto ad accettare che un sistema difensivo con un nome così altisonante potesse essere prima o poi sfondato. Eppure, contro ogni pronostico, vista la sproporzione di forze in campo, gli Alleati furono tenuti in scacco per quasi un anno prima di poterne avere la meglio. Incredibilmente, la linea Gotica resistette fino agli ultimi giorni del conflitto quando anche Berlino era ormai prossima a cadere. Un primo tentativo di sfondamento infatti, l’Operazione Olive (agosto-ottobre ’44) nonostante una serie di successi alleati localizzati, non riuscì a raggiungere gli obiettivi prefissati. L’Operazione Wintergewitter (dicembre ’44) inoltre riuscì a bloccare ogni iniziativa alleata fino all’aprile del ’45, quando prese il via l’Offensiva di primavera e la Gotica fu definitivamente superata. Pochi giorni dopo le truppe tedesche in Italia avrebbero firmato la resa incondizionata.


Il generale Otto Fretter-Pico, comandante della 148. Infanterie-Division tedesca

UNA RESISTENZA INASPETTATA. Un primo tentativo di sfondamento in grande stile nel settore adriatico – Operazione Olive (25 agosto – 25 ottobre 1944) era stato bloccato dopo intensi combattimenti dall’inaspettata combattività dei reparti tedeschi del Feldmaresciallo Albert Kesselring e dalle continue piogge che avevano annullato la superiorità alleata in termini di mezzi e uomini. Se Rimini era stata liberata, a costo peraltro di forti perdite, l’obiettivo iniziale di penetrare in Emilia Romagna e puntare su Bologna fu impossibile da portare a termine. Quanto complessa fosse la situazione operativa lo si può capire da un appunto del generale britannico Oliver Leese: “Questa campagna è una brutta gatta da pelare. Siamo nel Paese più difficile d’Europa e tuttavia  ci sottraggono sempre truppe ed equipaggiamenti destinati in qualche altro posto. Abbiamo sempre combattuto con un margine di forze relativamente molto stretto … la battaglia di Rimini fu una delle più dure battaglie dell’8a Armata. I combattimenti furono paragonabili a quelli di El Alamein, di Mareth e della Linea Gustav (Cassino)”. Nel mese di novembre pertanto, con il perdurare delle condizioni climatiche avverse lo Stato Maggiore alleato decise di sospendere il grosso delle operazioni per ricompattare i ranghi in attesa del momento migliore per riprendere i combattimenti. Dopo un’attenta pianificazione, i generali Harold Alexander e Mark Clark stabilirono di sferrare l’attacco alla vigilia di Natale. Tuttavia, le loro intenzioni furono presto frustrate da una serie di dispacci dei servizi d’informazione che riferivano di uno strano movimento di truppe tedesche nel settore tirrenico difeso dalla 5a Armata americana. Fu pertanto inviato l’ordine che ogni iniziativa fosse rimandata a data da destinarsi in attesa di capire le mosse del nemico. Fu inoltre deciso che le unità in prima linea venissero messe in stato d’allerta e l’8a Divisione di fanteria indiana del generale Dudley Russel fosse fatta affluire nelle retrovie per fornire il supporto necessario in caso di bisogno. In sostanza c’erano tutti i presupposti, visto le condizioni di netta inferiorità in termini di uomini e mezzi dei tedeschi, perché l’iniziativa avversaria fosse stroncata sul nascere.


Le forze in campo.
Nel corso dell’Operazione Wintgergewitter, per espressa volontà di Mussolini, furono schierate in prima linea reparti dell’ENR (Esercito Nazionale Repubblicano) a fianco di truppe tedesche, dimostrando una buona capacità combattiva. Si trattava di reparti della Divisione San Marco, due unità che insieme alla 1a Divisione Bersaglieri Italia e alla 2a Divisione Granatieri Littorio erano state mandate in Germania per una fase di addestramento e potenziamento (erano inquadrate secondo il sistema tedesco: di fanteria di tre battaglioni ciascuno un reggimento di artiglieria, più reparti di ricognizione, controcarro, ecc.). Monterosa e San Marco furono le prime a tornare in Italia ed essere raggruppate nella nuova Armata Liguria, adibita alla difesa del confine nord occidentale della Penisola, insieme alle truppe tedesche. Altri protagonisti dell’operazione furono i reparti di montagna tedeschi (Gebirgsjager) e sul fronte opposto la 92a Divisione di fanteria americana.

 
la mappa delle operazioni 

L’OFFENSIVA PRENDE FORMA. Eppure, nella notte del 26 dicembre, le notizie arrivate dal settore occidentale della Linea Gotica (area tirrenica) lasciarono di stucco lo Stato Maggiore americano: la 92a Divisione di fanteria (composta per lo più di truppe di colore), posta a difesa della valle del Serchio in Garfagnaan (a nord-ovest di Lucca), era sotto attacco. E, cosa ancora più grave, era stata costretta a ripiegare in maniera disordinata fin dalle prime battute. Com’era stato possibile? Le ragioni erano piuttosto semplici: gli avversari avevano attaccato in un settore del tutto secondario, fino a quel momento rimasto prevalentemente tranquillo. Iniziava in questo modo l’Operazione Wintergewitter (Tempesta invernale), detta anche offensiva di Natale, un piano elaborato dal generale Kurt von Tippelskirch, comandante della 14a Armata tedesca, che aveva riscosso i favori di Mussolini e del Maresciallo Rodolfo Graziani, capo delle forze armate della Repubblica Sociale Italiana (a patto che potessero partecipare anche truppe italiane), per alleggerire la pressione nemica nel settore adriatico e ritardare l’attacco su Bologna. La scelta era caduta proprio su quel particolare settore della Garfagnana, caratterizzato da un astretta valle incuneata in un anfiteatro di montagne, che in base alle informazioni disponibili era presidiata da unità con poca esperienza di combattimento in prima linea e per lo più da poco arrivate nella Penisola.
Era stato deciso pertanto di costruire un gruppo di combattimento misto, agli ordini del generale Otto Fretter-Pico, composto da unità provenienti dalla 148a Divisione di fanteria tedesca composta dal 1° e 2° Battaglione Gebirgsjager (truppe da montagna), Battaglione Geborsjager “Mittenwald” e Battaglione mitraglieri “Kesselring”, e dalla 4a Divisione alpina Monterosa composta dal 3° Battaglione alpini “Brescia”, del 2° Reggimento alpini, 23° Reparto Esplorante, a cui si deve aggiungere il 2° Battaglione del 6° Reggimento fanteria di marina della Divisione San Marco. Si trattava del primo impiego operativo di reparti regolari dell’ENR (Esercito Nazionale Repubblicano) a fianco di unità tedesche dopo una fase di addestramento in Germania; fino ad allora infatti tali unità erano state impiegate solo per compiti secondari: lotta anti partigiana, difesa costiera e presidio delle frontiere. Nel complesso, si trattava di una forza quantificabile in 9mila uomini (il 66% erano italiani) con un centinaio di pezzi d’artiglieria – non erano previsti mezzi corazzati – che avrebbero dovuto fronteggiare i 18mila uomini della 92a Divisione del generale Edward Almond dotata di artiglieria (598° Battaglione di artiglieria da campagna), cannoni semoventi, e una compagna del 760° Battaglione Carri: in totale 140 cannoni, 120 carri da combattimento e un supporto aereo fornito dal XXII Tactical Air Command.

ATTACCO SU TRE COLONNE. Non c’è bisogno di sottolineare, considerando la sproporzione di forze in campo e il potenziale bellico alleato nelle retrovie che un’operazione del genere avrebbe potuto avere un minimo di successo solo se i preparativi fossero stati condotti nella massima segretezza, in modo da non allertare le difese nemiche. Ogni inconveniente, infatti, avrebbe potuto trasformarsi in un fallimento di notevoli proporzioni.
Senza considerare che gli Alleati, allarmati dall’offensiva lanciata dai tedeschi sulle Ardenne dieci giorni prima, si aspettavano una simile operazione anche nel Nord Italia. Un compito proibitivo, non c’è che dire, che tuttavia fu eseguito con estrema determinazione. Intorno alla mezzanotte del 25 dicembre infatti, senza alcun appoggio d’artiglieria, per garantire al massimo l’effetto sorpresa, le forze italo-tedesche diedero il via all’attacco suddivise in tre colonne, seguendo un piano preordinato che prevedeva l’avanzata verso Barga, Sommocolonia, Vergemoli, Treppignana, Coreglia, Fornaci di Barga, Prominana, Castelvecchio e Calomini, tutte località a nord ovest di Lucca. Il primo contatto con il nemico avvenne sul lato orientale del Serchio quando la terza colonna, composta da unità di Gebirgsjager e mitraglieri Kesselring, si scontrò con l’ala destra della 92a Divisione, dando vita a furiosi combattimenti per il controllo del villaggio di Sommocolonia, presidiato dal 336° Reggimento di fanteria e alcune unità di partigiani che, dopo una strenua difesa, furono costrette a ritirarsi. Nel frattempo, altri duecento uomini del Battaglio Mittenwald, dopo aver occupato i villaggi di Bebbio e Scarpello e respinto i contrattacchi Alleati, riuscirono a sfondare il fianco destro nemico, che dovette ripiegare a Barga e Coreglia, senza tuttavia riuscire a tenerle: il mattino successivo, infatti, furono conquistate dopo intensi scontri a fuoco dalle unità tedesche in avanzata. Alle prime luci del 27 dicembre si misero in movimento anche i reparti italiani inquadrati nella seconda colonna con l’obiettivo di farsi strada verso Castelvecchio, sul lato ovest del Serchio, a sud di Castelnuovo di Garfagnana. Si trattò di una mossa bene pianificata, perché le unità americane già allarmate dalle notizie dello sfondamento sul fianco destro, non ressero alla pressione, incominciando a ritirarsi disordinatamente verso sud, incalzate a quel punto anche dai due battaglioni di fanteria nemici e i campi minati. Sul lato orientale del Serchio i reparti tedeschi occuparono contemporaneamente anche Fornaci di Barga, che nel frattempo era stata evacuata tedesca del 285° Reggimento Granatieri, costituenti la prima colonna, che si erano mossi sulla direttrice d’attacco di Vergemoli. In giornata si registrò la caduta di Gallicano, Molazzana (presa dagli uomini della San Marco), Calomini e Vergemoli, con perdite elevate per il fitto fuoco di sbarramento delle artiglierie dalle forze americane ormai in forte crisi. Nel complesso, al calar della sera l’intero fronte alleato era arretrato per una lunghezza di quasi venti-venticinque chilometri e una profondità che nel punto centrale raggiungeva i dieci.

                                                                     Il piano d’attacco.
L’Operazione Wintergewitter prevedeva un attacco iniziale alle posizione statunitensi della 92a Divisione di fanteria poste a difesa della valle del Serchio, secondo uno sche a tre colonne: la Prima, composta dal 1° e 2° Battaglione del 285° Reggimento Granatieri, avrebbe dovuto attaccare il lato occidentale della valle puntando sui villaggi di Vergemoli e Calomini; la Seconda, costituita dalle unità italiane della Divisione Monterosa e San Marco, il centro, sul lato occidentale del fiume, con obiettivo Castelvecchio; la Terza, con i reparti da montagna tedeschi, il lato orientale della valle con obiettivo Sommocolonia e successivamente Barga. La prima a muoversi, nella notte del 26 dicembre, fu la Terza colonna, mentre le altre due iniziarono l’attacco alle prime ore del 27. L’offensiva diede subito ottimi risultati: il nemico, colto di sorpresa e senza molta esperienza, fu costretto a ritirarsi (a parte alcune eccezioni come Sommocolonia) in maniera disordinata. Le perdite italo tedesche in questa prima fase furono causate principalmente dai campi minati nella zona di Calomini e Vergemoli e dal pesante fuoco di sbarramento delle artiglierie americane.


ORDINE DI RIPIEGAMENTO.  I combattimenti proseguirono anche nella mattinata del 28 dicembre: alcuni reparti italiani si impossessarono del villaggio di Bolognana, quelli tedeschi arrivarono a Calavorno, mentre le pattuglie più avanzate procedettero verso sud fino alla periferia di Bagni di Lucca. L’offensiva, contando sull’effetto sorpresa, aveva ottenuto brillanti risultati ma a quel punto lo Stato Maggiore tedesco, conscio di non avere a disposizione altri rimpiazzi e unità corazzate con cui inseguire il nemico in ritirata, diede ordine di fermarsi. Proseguire verso sud sarebbe stato un vero e proprio suicidio, considerando che la reazione americana non si era fatta attendere: l’8a Divisione di fanteria indiana, infatti, con il supporto dalla 1a Divisione corazzate e della 34a Divisione di fanteria americane, era stata fatta avanzare per chiudere la breccia appena creatasi, potendo contare su un massiccio supporto aereo (tra il 27 e il 28 dicembre il XXII Tactical Air Command compì qualcosa come 4mila missioni d’attacco al suolo). Sebbene Graziani propendesse per continuare – inizialmente era stata avanzata la proposta piuttosto velleitaria di liberare Lucca e Livorno – il generale Fretter-Pico ritenne di aver raggiunto gli obiettivi preposti e la sera del 28 diede ordine di ripiegare sulle posizioni di partenza. Nei due giorni successivi, i reparti italo-tedeschi riuscirono a sganciarsi con relativa facilità, mettendo in atto puntuali azioni di retroguardia. In un episodio, che vide come protagonisti gli uomini della San Marco, alcune unità d’avanscoperta della Divisione indiana, con poca esperienza di combattimento, furono attirare in un’imboscata che si concluse con la distruzione di due mezzi blindati e diversi caduti. Si trattò comunque di episodi marginali che non cambiarono il corso degli eventi. Il 30 dicembre infatti le unità italo-tedesche si erano ritirate al sicuro dietro le linee amiche. Nel complesso l’Operazione Wintergewitter non ebbe alcuna rilevanza strategica – tutti i territori conquistati furono subito abbandonati – ma sul piano tattico permise di allentare la morsa sulla Linea Gotica e paralizzare l’iniziativa alleata fino a primavera inoltrata. Inoltre in mano italo-tedesca caddero una notevole quantità di materiale bellico – diversi cannoni anticarro da 57 mm, oltre a un centinaio di mitragliatrici Browning da 12,7 mm, mortai da 60 e 81 mm – e circa duecento prigionieri. Gli Alleati, tra morti, feriti e dispersi contarono all’incirca un migliaio di perdite. Non mancarono inoltre le critiche nei confronti della 92a Divisione di fanteria, accusata di aver sbandato paurosamente nelle prime fasi dell’offensiva, anche se fu riconosciuto da più parti che tale comportamento era dipeso principalmente dalla poca esperienza di combattimento in prima linea e dall’addestramento approssimativo. L’unità fu comunque spostata nelle retrovie e riorganizzata per poi essere impiegata nell’offensiva finale che avrebbe portato alla caduta della Linea Gotica nel settore di Massa e La Spezia, avvenuta però solo ad aprile inoltrato dell’anno successivo, quando Berlino era già sotto assedio.

Articolo in gran parte di Antonio Ratti pubblicato su Storie di Guerre e guerrieri n. 22 sprea editori, altri testi e immagini da Wikipedia.

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