L’Eldorado.
Sogno e incubo dei
Conquistadores.
L’America
centromeridionale del Cinquecento fu il teatro della prima corsa all’oro
dall’avidità, si lasciarono sedurre dalle favole.
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L'El Dorado (abbreviazione spagnola di El indio Dorado) è un luogo leggendario in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre a conoscenze esoteriche antichissime.
In questo luogo, situato al di là del mondo conosciuto, i bisogni materiali sono appagati e gli esseri umani vivono in pace tra loro godendo della vita. Spesso viene associato al paradiso terrestre o all'Eden situato agli antipodi.
Partito
alla fine del 1533 da Panama, il galeone Santa Maria del Campo attraccò nel
porto spagnolo di Siviglia il 9 gennaio 1534. Portava un carico favoloso, che
suscitò stupore in tutta Europa: circa 10 tonnellate d’oro e 70 d’argento. Era l’immenso
bottino di guerra che il conquistador Francisco Pizzarro aveva in parte
saccheggiato e in parte estorto agli Inca peruviani, come riscatto per la vita
del loro sovrano Atahualpa (che sarebbe poi stato ucciso ugualmente dagli
spagnoli). I lingotti dei preziosi metalli erano stati ottenuti dalla fusione
di tutti gli oggetti e i gioielli requisiti dai conquistadores, per facilitarne
il trasporto, ma l’operazione significò la perdita irreparabile di un
patrimonio culturale e artistico di valore incalcolabile. Queste straordinarie
ricchezze alimentarono le voci sull’esistenza di un paese meraviglioso, in cui
oro e argento affioravano dal terreno tanto da poter essere raccolti senza
fatica: l’Eldorado, il paese dell’oro.
Dal 1534 iniziano le
spedizioni alla volta del mirabolante “paese dell’oro”. Ce ne restano
pittoreschi racconti, come quello dell’esploratore Pedro Fernandez de Lugo, che
all’età di 60 anni organizzò una spedizione nell’attuale Colombia, raccogliendo
uomini e fondi per la sua impresa e servendosi di un banditore che così
allettava l’auditorio: “Giovanotti,
poiché senza dubbio avete sentito parlare del paese della città dorata, è in
America, che dovette andare, se intendete scoprire la terra della ricchezza.
Volete oro e diamanti? I selvaggi li raccoglieranno per voi. Di gemme sono
pavimentate le strade. Il loro capo se ne va in giro soprauna portantina
foderata d’oro; e ornamenti tempestati di smeraldi gli pendono dalle labbra e
dalle orecchie”.
L’UOMO TUTTO D’ORO. Non fu l’unico. Le
spedizioni si susseguirono a ritmo serrato, talora con qualche successo, perché
oggetti d’oro e pietre preziose si trovavano realmente presso le popolazioni
amerindie; ma il favoloso Eldorado restava irraggiungibile. Oggi sappiamo il
perché almeno originariamente quel nome non indicava un luogo, bensì una
persona, el hombre dorado ovvero l’uomo d’oro, e si riferiva a un antichissimo
rito praticato degli indios Chibcha, una popolazione stanziata sugli altopiani
della Colombia. Lo scoprì Gonzalo Jeménez de Quesada, che nel 1536 giunse con
la sua spedizione nei pressi del lago Guatavita, sulla cordigliera delle Ande.
Qui gli indios gli narrarono del rito che si svolgeva sulle sponde del lago e
che aveva come protagonista l’erede al trono: “Il primo viaggio che dovette intraprendere fu alla grande laguna di
Guatavita, dove rese offerte e sacrifici al demone che essi adoravano come loro
dio e signore. Durante la cerimonia alla laguna costruirono una zattera di
giunchi, abbellendola e orandola con i loro con i loro oggetti più belli. A
quel punto spogliarono l’erede al trono dei suoi abiti e lo unsero poi di
polvere d’oro, ricoprendogli così tutto il corpo con il metallo. Lo sistemarono
a bordo della zattera su cui egli restò immobile, e poggiarono ai suoi piedi un
gran mucchio d’oro e di smeraldi affinché ne facesse offerta al suo dio. Insieme a lui,
salirono sull’imbarcazione quattro influenti personaggi interamente abbigliate
con piume, corone, braccialetti, ciondoli e orecchini in oro puro. Anch’essi
erano nudi e ciascuno reggeva un’offerta. Quando la barca raggiunse il centro
della laguna, essi alzarono la bandiera per imporre il silenzio. L’indio
ricoperto d’oro fece allora la sua offerta, gettando tutto l’oro in mezzo al
lago e i capi che lo scortavano fecero lo stesso con i loro doni. Con questa cerimonia il
nuovo governante fu accolto come signore e re”.
Preziosa Colombia.
Il Museo dell’oro di Bogotà è uno
dei più prestigiosi al mondo e sicuramente il più bello di tutta la Colombia.
Fu istituito nel 1939, quando il Banco della Repubblica di Colombia acquisì
un pezzo di straordinaria rarità: il porporo quimbaya, un recipiente per la
calce in polvere che i nativi usavano masticare insieme alle tradizionali
foglie di coca.
Ma il museo aprì le porte al
grande pubblico solo nel 1959, dopo aver acquisito numerosi manufatti della
cultura precolombiana. Il museo, ingrandito e rinnovato nell’ottobre 2008,
ospita oggi la più importante collezione mondiale di gioielli preispanici: circa
34mila pezzi d’oro e di tombacco, una lega di rame e zinco. Probabilmente
questo materiale, malleabile e di facile lavorazione, utilizzato anche per la
realizzazione di filati da ricamo e di false dorature, fu scambiato per oro
dai conquistadores, alimentando il mito dell’Eldorado.
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SMERALDI GRANDI COME UOVA. Questo resoconto,
fornito da un anziano testimone di quel rito ormai caduto in disuso, era
decisamente suggestivo e scatenò la fantasia di molti avventurieri. Fu il caso,
per esempio, di Sebastian del Belalcazar, capitano di Pizzaro al tempo della
conquista dell’Impero degli Inca nel 1535: nel 1537 arrivò a disertare per
condurre il suo esercito tra le montagne, alla ricerca della leggendaria e
ricchissima città di Eldorado.
Per tutto il resto del
secolo il miraggio dell’Eldorado abbagliò un’infinità di disperati, imbarcati
per un viaggio senza ritorno in cerca di una ricchezza di tanto facile quanto
impossibile, finché nel 1580 un imprenditore di Bogotà, Antonio de Sepulveda,
decise di svelare una volta per tutte il mistero dell’Eldorado. Già molto prima
di lui, i conquistadores, dopo essersi impossessati dei tesori appartenuti agli
indigeni, avevano provato a dragare il lago, convinti che sul fondo si trovasse
chissà quale tesoro. Ma Sepulveda andò oltre: sul bordo del bacino d’acqua fece
scavare una sorta di canale per svuotare gradualmente l’invaso. Dopo mesi di
lavoro, quando ormai il livello del lago si era abbassato di una ventina di
metri, le pareti del canale crollarono improvvisamente, provocando una rovinosa
frana che travolse e uccise molti operai indigeni. Il progetto fu abbandonato,
ma dalla fanghiglia erano emersi alcuni oggetti preziosi, tra un enorme
smeraldo grosso come “un uovo di gallina”, che fu inviato in dono a Filippo II
re di Spagna. Il valore totale dei reperti venne stimato in circa 12mila pesos,
ma Sepulveda aveva ormai dato fondo a tutti i suoi averi e morì in assoluta
povertà, senza essere riuscito a scoprire né il tesoro né la verità sulla
leggenda dell’Eldorado. Fu sepolto nei prezzi della chiesa di Guatavita, dove
le sue spoglie riposano ancora.
Oltre i monti della Luna.
Il mito dell’Eldorado si è
ritagliato un posto anche nella letteratura. Nel 1579 il filosofo illuminista
francese Voltaire pubblicò il romanzo Candido, nel quale descriveva un paese
immaginario, chiamato El Dorado, in cui le strade erano “lastricate di pietre
preziose” e tutti i bisogni materiali erano prodigiosamente appagati,
cosicché i suoi abitanti potevano vivere in pace e in armonia, godendosi la
vita.
Quasi un secolo più tardi, nel
1849, anche lo scrittore americano Edgard Allan Poe celebrava l’Eldorado, ma
con toni assai diversi. Nell’omonima poesia, collocava il favoloso paese
“oltre i monti della Luna, nella bruna valle” definendolo minacciosamente “baratro
dell’ombra”, in riferimento a quanti erano andati incontro alla rovina nella
ricerca di un’impossibile ricerca.
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LA MALEDIZIONE FINANZIARIA. Eppure il mito del
paese di sogno, in cui “anche le pentole erano d’oro”, non accennò a sbiadire.
Sul finire del Cinquecento, anche l’inglese Walter Raleigh raccolse la sfida
dell’Eldorado per tornare nelle grazie della Regina Elisabetta I d’Inghilterra
(e nel frattempo fronteggiare una difficile situazione finanziaria). Il 5
febbraio 1595, Raileigh salpò da Plymouth, convinto che avrebbe trovato, lungo
il fiume Orinoco, “città più ricche e più
belle e templi più adorni d’oro di quelli che trovarono Cortés in Messico e
Pizarro nel Perù e il trionfo sfavillante di questa conquista eclisserà tutte
quelle della nazione spagnola”. Rientrata in patria senza alcun tesoro, nel
1617 ripartì per la foresta amazzonica insieme al figlio, che morì uccise dai
nativi. Tornato in Inghilterra, cadde in disgrazia e fu condannato alla
decapitazione.
Il fascino del mitico
luogo traboccante di ricchezze, celato nelle valli e negli altopiani delle Ande
o nella folta vegetazione dell’Amazzonia, fu offuscato da secoli di oblio. A
cavallo tra Sette e Ottocento l’esploratore tedesco Alexander von Humboldt
percorse tutto il Sudamerica e raggiunse Guatavita, decretando una volta per
tutte che non esisteva nessun Eldorado. Nonostante questo, ancora nel 1898 fu
creata una società anglo colombiana, la Company for the Exploitation of the
Lagoon of Guatavita, che si proponeva appunto di prosciugare il lago per
recuperare i tesori giacenti sul fondo. L’operazione riuscì in pieno, e agli
occhi avidi dei ricercatore comparve finalmente uno strato di fanghiglia spesso
poco più di un metro, all’interno del quale dovevano celarsi le sospirate ricchezze.
Ma una volta esposto all’aria il fango si solidificò velocemente in zolle
compatte simili a cemento, rendendo estremamente delicato il processo di
estrazione dei reperti.
A fatica furono
recuperati pochi pezzi, valuti nel loro insieme circa 500 sterline e messi poi
all’asta da Sotheby’s, a Londra. La società fece bancarotta, chiudendo definitivamente i battenti nel 1929, e questo
sembrò confermare un’ulteriore leggenda sorta attorno al favoloso Eldorado:
quela della maledizione che avrebbe colpito chiunque fosse venuto a profanare
le sacre acque del lago di Guatavita. Dopo di allora, più nessuno si lasciò
ammaliare dalla chimera di un paese traboccante di ori e ricchezze, e
l’Eldorado venne consegnato per sempre al regno incantato del mito.
Articolo in gran parte
di Riccardo Mazzoni pubblicato su Conoscere la storia n. 49 Sprea editori.
Altri testi e foto da wikipedia.
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