Guerra ai negrieri.
Gli inglesi furono i
primi ad approvare nel 1807 una legge che proibiva la deportazione e il
commercio di schiavi dall’Africa. Ecco come ci arrivarono.
La tratta atlantica degli schiavi africani si riferisce al commercio di schiavi di origine africana attraverso l'Oceano Atlantico fra il XVI e il XIX secolo. La pratica di deportare schiavi africani verso le Americhe, talvolta con la collaborazione di mercanti locali, fu un elemento fondamentale della nascita e dello sviluppo delle colonie europee del Sud e Centro-America prima e del Nord-America poi.
Nella sua storia delle tratte negriere dal titolo "Les traites negrières. Essai d' histoire globale", Olivier Pétré-Grenouilleau ricorda che, oltre alla tratta atlantica, vi furono una tratta africana e una tratta orientale.
A causa della tratta e delle sue conseguenze morirono da due a quattro milioni di africani; molti afroamericani e africani chiamano questo fenomeno black holocaust oppure olocausto africano o si riferiscono a questo olocausto con il nome maafa (in lingua swahili: «disastro», o "avvenimento terribile", "grande tragedia")[1].
L’Impero
britannico fu una delle principali potenze schiaviste dell’Età moderna, eppure
fu grazie alle sue temute cannoniere se, nel corso dell’Ottocento, la schiavitù
venne progressivamente abolita in tutto il mondo. Durante il XIX secolo,
infatti, mentre diventava la prima superpotenza globale, l’Inghilterra adottò
la causa abolizionista come uno dei pilastri della propria politica estera. Fu
una vera crociata internazionale per la libertà a cui partecipò anche la Royal
Navy, sostenuta dal Palamento e da una vasta mobilitazione popolare che partì
dai quaccheri inglesi e nordamericani.
Medaglione ufficiale della Società Britannica contro lo Schiavismo, 1795
LA TRATTA ATLANTICA. Nel 1772 l’economista
Adama Smith calcolò che su una popolazione mondiale di 775 milioni di individui
solo 33 milioni erano liberi. Nel continente europeo la schiavitù era stata a
poco a poco abolita nel Medioevo, ma con l’estendersi delle piantagioni nelle
Americhe era diventata un nuovo business internazionale. Ne fecero le spese
donne, uomini e bambini africani, prima catturati da razziatori arabi, o da
tribù nemiche, e poi venduti ai negrieri europei. La tratta atlantica durò tre
secoli, da metà Cinquecento a metà Ottocento, durante i quali furono deportate
11 milioni di persone.
Il sistema raggiunse il
suo apice nel Settecento e vide la partecipazione di Inghilterra, Francia,
Olanda, Spagna, Portogallo e persino Svezia e Danimarca. Un sistema simile era
in uso da secoli nei regni arabi e turchi. Solo a fine 700, con la diffusione
delle idee di libertà e uguaglianza dell’illuminismo francese e del protestantesimo
inglese, si formò la concezione che la schiavitù fosse un crimine esecrabile.
«"E queste cose vengono commesse e sono giustificate da uomini che professano di amare il loro prossimo come se stessi, che credono in Dio e pregano che la sua volontà sia fatta sulla terra! Fa bollire il sangue e tremare il cuore pensare che noi inglesi e i nostri discendenti americani con il loro millantato grido di libertà, siamo stati e continuiamo ad essere tanto colpevoli"»
|
(Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo (1839)[1].) |
I numeri della tratta:
9,6 milioni di Africani deportati
nelle Americhe sopravvissuti al viaggio per mare.
11 milioni imbarcati sulle navi.
20 milioni di prigionieri dei
razziatori.
27233 spedizioni negriere.
18 mesi di lavoro: questo il
valore di uno schiavo nelle piantagioni ai Caraibi.
3 secoli la durata della tratta
atlantica, da metà Cinquecento a metà Ottocento.
…………
La tratta orientale: 17 milioni di
Africani schiavi nei regni aravi e turchi.
…………
La tratta africana: 14 milioni di
Africani schiavi di altri africani
…………
Gli schiavisti: Spagnoli,
Olandesi, Inglesi (fino al 1808), Francesi, Portoghesi.
…………
La crociata contro la schiavitù:
9 navi da guerra impiegate contro
i negrierià1635 spedizioni negriere intercettate.
160mila prigionieri liberati, 1.8%
del Pil investimenti pubblici nella lotta alla schiavitù dal 1806 al 1863.
20 milioni di sterline: indennizzi
ai proprietari inglesi per la liberazione degli schiavi.
|
MOVIMENTO DI OPINIONE. Protagonisti di questa
presa di coscienza furono i quaccheri, una setta cristiana puritana attiva in
Inghilterra e in Nord America: già a metà secolo avevano imposto ai loro 90mila
fedeli di liberare i propri schiavi. Tra il 1775 e il 1787 le associazioni
abolizioniste nelle colonie americane e in Inghilterra si moltiplicarono, e
iniziarono ad aprire anche ad altre confessioni. Il centro del movimento era
Clapham, un quartiere di Londra, da cui il soprannome dato ai primi
abolizionisti “santi di Clapham”. Fra questi, i più famosi furono il politico
William Wilberforce e gli intellettuali Thomas Clarkson e Granville Sharp. Come
prima mossa chiesero la messa al bando del commercio degli schiavi. Ma
l’obiettivo richiedeva tanto l’appoggio dell’opinione pubblica quanto quello
della politica. Fu così che prese forma il primo movimento per i diritti umani
della Storia, basato su tre attività principali: i comizi pubblici, la raccolta
di firme per le leggi di iniziativa popolare e il boicottaggio dei prodotti
coloniali. Nel 1787 le petizioni raccolsero 60mila adesioni, nel 1792 ben
390mila. Furono pubblicate memorie di ex schiavi, affissioni di manifesti con
immagini choc di navi negriere e distribuiti medaglioni con l’effige di un
africano in catene e lo slogan “Non sono anch’io un uomo e un fratello?”. Poi,
nel 1791, grazie al boicottaggio commerciale, il consumo dello zucchero crollò
del 50%, e finalmente gli abolizionisti ebbero il sostegno del Parlamento. Nel
1807 fu approvata una legge che proibiva alle navi e ai sudditi inglesi di
commerciare schiavi: dal 1° gennaio 1808 l’Inghilterra era fuori dalla tratta
(in realtà era stata preceduta dalla Danimarca nel 1792, ma il ruolo danese era
comunque marginale). Passo successivo: fare rispettare il divieto. Nel 1808
venne creato il West African Squadron: una flotta della Royal Navy con il
compito di pattugliare le coste africane e intercettare i trafficanti. La base
era Freetown, nell’attuale Sierra Leone,
colonia fondata dai britannici proprio per ospitare gli africani liberati. E
qui aveva sede anche il tribunale internazionale dove si processavano i
negrieri arrestati.
Secondo il lavoro di
ricostruzione dello storico inglese David Eltis, dal 1808 al 1867 furono
intercettate 1635 navi e liberati 160mila prigionieri, 96mila dei quali si
stabilirono in Sierra Leone. Le operazioni navali furono integrate anche da
sbarchi di Marines: uno dei più celebri fu quello che distrusse il forte del
negriero spagnolo Pedro Blanco sul Rio Gallinas, nell’attuale Liberia, che
permise la liberazione di oltre 800 schiavi.
Verso la libertà.
1775 I quaccheri nordamericani
fondano la Pennsylvania Abolition Society.
1787 I quaccheri inglesi fondano
la Society for the Abolition of the Slace Trade.
1792 La Danimarca abolisce la
tratta.
1793 La Francia rivoluzionaria
abolisce la schiavitù nelle colonie ai Caraibi.
1802 Napoleone la ripristina.
1807 L’Inghilterra abolisce la
tratta nell’Atlantico.
1808 Creazione del West Africa
Squadron.
1826 Gli Stati Uniti equiparano la
tratta a un atto di pirateria.
1826 L’Olanda abolisce la tratta.
1833 L’Inghilterra abolisce la
schiavitù.
1815-1839 Il Portogallo abolisce
la tratta.
1841 La tratta diventa illegale
anche nell’oceano Indiano.
1845 Potenziamento del West
African Squadron.
1848 Francia e Danimarca
aboliscono la schiavitù.
1857 L’impero ottomano abolisce la
tratta a eccezione dell’Hijaz (La Mecca e Medina)
1862 Gli Stati Uniti escono
definitivamente dalla tratta.
1863 L’Olanda abolisce la
schiavitù.
1865 Gli Usa aboliscono la
schiavitù.
1845-1866 La Spagna abolisce la
tratta.
1867 Intercettata l’ultima nave
negriera nell’Atlantico, diretta a Cuba.
1869 Il Portogallo abolisce la
schiavitù.
1886 La Spagna abolisce la
schiavitù.
1888 Il Brasile abolisce la
schiavitù, ultimo paese occidentale a farlo.
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Incendio di un villaggio africano e cattura dei suoi abitanti (12 febbraio del 1859)[45
IL PREZZO DA PAGARE. La lotta alla schiavitù
portata avanti dall’Inghilterra ebbe un costo considerevole: in quarant’anni,
dal 1808 al 1848, spese circa 21 milioni di sterline. Lo storico americano
Seymour Drescher ha calcolato che dal 1806 al 1863 venne investito allo scopo
l’1,8% del Prodotto interno lordo del Regno Unito. Per fare un confronto, in
tempi più recenti gli aiuti ai Paesi in via di Sviluppo da parte dell’Ocse –
dal 1975 al 1996 – sono stati solo lo 0,33% del Pil.
Ovviamente queste spese
scatenarono le proteste dei contribuenti, visto che in quel periodo
l’Inghilterra aveva un debito pubblico del 225% del Pil. Ma ebbero da ridire
anche i regni schiavisti africani. Ecco, per esempio, cosa scriveva nel 1820
uno scoraggiato Osei Bonsus, re degli Ashanti, al funzionario britannico Joseph
Dupuis: “Fino a qualche tempo fa al
grande re d’Inghilterrra piaceva commerciare molto più di adesso; allora
giungevano tante navi, ed esse comperavano avorio, oro e schiavi ma oggi
arrivano meno navi e i mercanti comprano soltanto oro e avorio. Ciò mi
preoccupa, così ti prego di dirmi sinceramente, amico mio, perché mai il re
d’Inghilterra adesso si comporta in questo modo”.
AL CUORE DEL PROBLEMA. La messa al bando della
tratta fu un passo fondamentale nella lotta abolizionista. Ma c’era ancora
molto lavoro da fare. Prossima mossa: ottenere la cancellazione della
schiavitù. Il movimento si rimise in moto con i soliti strumenti e, nel 1833,
inondò il Parlamento con 5mila petizioni diverse per un totale di 1 milione e
500mila firma, fra cui una lunga 800 metri firmata da 350 mila donne. Fu l’affondo
decisivo: la legge che liberava tutti gli schiavi delle colonie britanniche fu
approvata e i proprietari costretti a lasciare andare la loro manodopera
ricevettero dal governo un risarcimento di 20 milioni di sterline. Il più
potente impero coloniale era uscito dal sistema schiavistico. Ora toccava agli altri Paesi. Oltre alla Marina,
l’Inghilterra schierò la sua altrettanto potente diplomazia per spingere gli
altri Stati a firmare trattati per l’abolizione, offrendo cambio ricompense
milionarie. Fu una fase complessa che durò decenni, ma alla fine le navi
inglesi ottennero il diritto di ispezionare quelle degli altri paesi.
Arrivarono persino a minacciare i porti di Rio e Bahia, roccaforti della
tratta.
Gli sforzi inglesi
furono ripagati: nell’arco di 80 anni tutte le potenze coloniali abolirono la
schiavitù. Un risultato incredibile, di cui però gli africani beneficiarono
poco: nel Continente nero il commercio
di esseri umani continuava per conto dei re locali.
La
corsa all’Africa.
Ai
tempi della tratta atlantica il Continente nero era ancora largamente
inesplorato, temuto per le malattie, il clima e le bestie feroci, i contatti
con gli europei si limitavano ad avamposti commerciali sulla costa, tra cui i
più solidi erano i forti portoghesi fondati nel Quattrocento. Trainata dalle
rotte delle spezie, l’espansione coloniale europea aveva privilegiato Asia e
Americhe. Ma a fine 800 le potenze cominciarono a guardare all’Africa come a
una terra di opportunità. Ogni Paese finanziò spedizioni nell’entroterra,
risalendo i fiumi a bordo di piroghe. In breve si creò una “corsa
all’Africa”, i cui principali sfidanti erano Francia e Inghilterra. E per non
arrivare alla guerra, nel 1890 i sovrani europei si riunirono nella
Conferenza di Berlino, dove pianificarono la divisione a tavolino del
territorio africano in sfere d’influenza. Uno dei pretesti per questo nuovo
piano di conquista fu proprio l’impegno contro la schiavitù, endemica in
Africa.
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PARADOSSI. La marcia trionfale
dell’abolizionismo inglese non fu priva di effetti collaterali. Il primo è che
lo Slave trade fu sostituito dal Coolie trade, e cioè dall’importazione di
lavoratori a contratto da India, Cina e altri Paesi: volontari, certo, ma
spinti dall’estrema povertà. La seconda è che la lotta alla schiavitù finì per
diventare una giustificazione alla rush for Africa c’erano almeno 10milioni di
schiavi, più di quanti ve ne fossero mai stati in tre secoli nelle Americhe:
interi regni si basavano sulla cattura e la vendita di prigionieri. Gli
occidentali erano inorriditi, fra questi l’esploratore David Livingstone che,
nel 1873, invocò l’intervento di “chiunque fosse in grado di sanare questa
piaga del mondo”. Le potenze europee non si fecero attendere e, dietro il
nobile intento di voler esportare la civiltà (e meno nobilmente attratti dalle
enormi ricchezze del continente), sottomisero e si spartirono i regni africani.
Articolo in gran parte
di Giorio Zerbinati pubblicato su Focus storia n. 145 – altri testi e articoli
da wikipedia.
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