sabato 4 maggio 2019

Cesare contro Vercingetorige.


Cesare contro Vercingetorige.
Il duello che cambiò il mondo.
Da una sfida lunga ed estenuante, che oppose due fra i più grandi capi militari della loro epoca, uscì vincitore il futuro dittatore di Roma che con la sottomissione della Gallia si preparò a conquistare l’Italia.

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Statua equestre di Vercingetorige, opera di Bartholdi, in Place de Jaude, a Clermont-Ferrand. L'iscrizione recita: J'ai pris les armes pour la liberté de tous (Ho preso le armi per la libertà di tutti)
Vercingetorige (latinoVercingetorix, "Il grandissimo re dei guerrieri"; 80 a.C.[1] – Roma26 settembre 46 a.C.) è stato un principe e condottiero gallo.
Particolare della statua a lui dedicata ad Alesia (Alise-Sainte-Reine)
Figlio del nobile Celtillo, fu re degli Arverni, influente popolo gallico insediato nell'attuale regione dell'Alvernia. Nel suo disegno di respingere l'invasione romana, riuscì a coalizzare la maggioranza dei popoli gallici e dei loro comandanti. Fu uno dei primi capi in grado di federare una parte importante dei popoli gallici, vincendo le tradizionali divisioni storiche. Di fronte ad uno dei più grandi strateghi di sempre, mise in mostra i suoi eccellenti talenti militari. Nel 52 a.C. fu sconfitto nell'assedio di Alesia. Consegnatosi, fu imprigionato a Roma per 5 anni. Nel 46 a.C. fu trascinato in catene per ornare la celebrazione del trionfo di Cesare. Immediatamente dopo fu mandato a morte nel carcere Mamertino.
Nei secoli XVIII e XIX la sua figura, similmente a quella di Ambiorige in Belgio, conobbe in Francia una riscoperta in chiave nazionalista. Con Napoleone III,[2] la sua figura di rappresentante della civiltà gallo-romana fu largamente messa in rilievo. In seguito, nel clima revanscista della rivalità franco-tedesca, ha incarnato la figura mitica di eroe nazionale per una parte importante della storiografia francese del XIX secolo. Negli anni dal 1870 al 1950, l'insegnamento della storia per generazioni di studenti lo presenterà come il primo capo dei francesi.

“Similmente, Vercingetorige, figlio di Celtillo, arverno, giovane di grande influenza, il cui padre era stato l’uomo più autorevole della Gallia e, aspirando al regno, era  stato giustiziato con pubblico decreto, convoca i suoi e facilmente li infiamma. Aggiunge alla massima diligenza anche la massima severità del comando, e costringe i dubbiosi a seguirlo”. Con queste parole, tratte dal De Bello Gallico, Cesare descrive il suo avversario: Vercingetorige, principe degli Arverni. Un uomo fiero e risoluto, grazie alla figura (tramandata ai posteri attraverso la prosa asciutta del resoconto di guerra di Cesare) la statura del geniale condottiero romano che lo sconfisse rifulge in tutto il suo splendore. Alla metà del I secolo a.C. l’esercito di Roma, guidato dall’ambizioso Gaio Giulio Cesare, era impegnato nella conquista della Gallia Transalpina. Nativo della Suburra, benché di origini patrizie, il condottiero si era fatto largo con l’astuzia e il denaro fino a stipulare, nel 61 a.C. , un accordo con altri due politici in ascesa, Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso. Era il famigerato triumvirato, che non aveva le caratteristiche della magistratura classica, ma consegnava, di fatto, a tre privati cittadini la gestione dello Stato, a riprova dell’agonia in cui versava l’antica, e un tempo gloriosa, repubblica oligarchica.

II De bello Gallico di Cesare in un'edizione del 1783

Vercingetorige: titolo o nome proprio?
Statere d'oro, con legenda del suo nome ( [...]NGETORIXS, e probabile effigie del dio ApolloCabinet des Médailles della Bibliothèque nationale de France

Non è facile stabilire se Vercingetorige fosse un nome proprio o, come nel caso altrettanto celebre di Brenno (colui che nel 390 a.C., umiliò Roma con un saccheggio divenuto proverbiale), rappresentasse piuttosto un semplice titolo. Dall’analisi linguistico del nome, infatti, emerge che Ver è una forma di superlativo, cingeto vuol dire combattente è il suffisso rix sta per capotribù. Vercingetorix (da pronunciarsi “Uerkinghètorix”) significherebbe quindi “re supremo dei guerrieri”. Tuttavia la scoperta, avvenuta nel 1852 a Trésor de Pionsat nel dipartimento del Puy-de-Dome, di varie monete con la scritta Vercingetorixs (emesse a metà del I secolo a.C) sembrerebbe provare che si tratti di nome proprio.
 
La confederazione edua alleata di Roma a fronte di Arverni e Sequani.

AMBIZIONE SCONFINATA. L’anno successivo. Cesare aveva assunto il comando proconsolare in Gallia Cisalpina e Illiria, provincie cruciali per la difesa dei confini e sottoposte alle pressioni, rispettivamente di Galli e Daci. Il Senato aveva deciso di affidargli il difficile in carico per mantenerlo il più lontano possibile dall’Urbe, ma il generale aveva capito che si trattava di un’occasione per guadagnare prestigio e puntare al comando della stessa Roma. Scongiurata la minaccia delle tribù daciche, intimorite dalle legioni romane radunate ad Aquileia, Cesare poté concentrare tutte le sue forze sulla Gallia, la zona meridionale (la Gallia Narbonese), già in mano romana, era stata invasa dalla tribù celtica degli Elvezi. La campagna militare iniziò con la distruzione del ponte sul Rodano, allo scopo di tagliare le comunicazioni al nemico. Poi Cesare richiamò le legioni da Aquileia e reclutò uomini in loco per far fronte all’inferiorità numerica dei suoi. Quando ebbe le truppe necessarie, attaccò gli Elvezi e li sconfisse a Bibracte. Fu poi il turno dei Germani di Ariovisto, che avevano attraversato il Reno. Passato ai piedi dei Vosgi, Cesare fortificò il fiume per coprirsi le spalle, poi mosse verso il nord della Gallia per sedare la coalizione dei Belgi e dei loro alleati (Nervi, Viromandui, Atrebati), che nel frattempo si erano sollevati sotto la guida di Boduognato: li sconfisse, nel luglio del 57 a.C., sul fiume Sambre. Ormai padrone di quasi tutta la Gallia, alla fine dell’anno successivo diresse i suoi uomini verso le coste atlantiche, obbedendo alla sconfinata ambizione che lo spingeva a tentare un approdo in Britannia, dove nessun esercito romano aveva mai messo piede. La conquista dell’isola, avviata con successo, fu interrotta dalla notizia di una nuova grande rivolta che stava infiammando la Gallia.



Ricostruzione grafica delle fortificazioni di Cesare ad Alesia (52 a.C.).

L’ULTIMA RIVOLTA DEI CELTI. Ad animare la sommossa era Vercingetorige, un condottiero arverno che era riuscito a superare le tradizionali rivalità che serpeggiavano tra le tribù galliche, raccogliendole intorno a sé in una grande coalizione. La strategia da lui messa in campo, pur a costo di enormi sacrifici, aveva dato presto i suoi frutti: i Romani, fiaccati dalla guerriglia nemica, erano stati ricacciati da quasi tutti gli avamposti. La mossa vincente era la terra bruciata che Vercingetorige aveva creato attorno a loro. Il principe arverno, come riporta laconicamente Cesare, aveva infatti esortato i suoi a impedire con ogni mezzo che i nemici potessero foraggiarsi e rifornirsi di viveri. Avevano cominciato aggredendo le truppe nemiche che, divise in piccoli gruppi, si addentravano nei casolari alla ricerca di cibo e vettovaglie, poi si erano messi a incendiare i villaggi e le case. I Galli, infatti, grazie al supporto delle popolazioni locali, avevano scorte sufficienti, mentre ai Romani mancava tutto e non potevano far fronte alla penuria di viveri. In un moto d’orgoglio, Vercingetorige aveva anche ordinato di incendiare tutte le città dei Biturigi (tribù cje abitava il centro della Gallia) che, per mancanza di fortificazioni o per la posizione poco portetta, non erano sicure: voleva impedire che vi si annidassero disertori o che il nemico potesse entrarvi per approvvigionarsi. Era stata una decisione sofferta, ma ai Galli bastava considerare il destino che sarebbe toccato ai vinti (la schiavitù dei figli e mogli, e la loro stessa morte) per comprendere che il sacrificio era l’unica via per garantirsi la salvezza. Soltanto una città fu risparmiata: Avarico (l’odierna Bourges), la capitale dei Biturigi. I suoi abitanti avevano implorato di non incendiare “la più bella città della Gallia” e la cosa era stata concessa, a patto che il luogo venisse fortificato e difeso nel miglior modo possibile.
Se Vercingetorige fosse mosso da sincera pietà oppure da un freddo calcolo strategico, volendo attirare Cesare nell’unica piazzaforte della regione rimasta in piedi per poi attaccarlo in forze, ma non lo sapremo mai. Ma una cosa è certa: tornato precipitosamente dalla Britannia, nel 52 a.C., il generale romano puntò proprio su Avarico e, dopo un lungo ed estenuante assedio, ne ottenne la capitolazione e il massacro degli abitanti. La bruciante sconfitta rappresentò per Vercingetorige uno smacco, ma fiaccò anche le legioni romane, già provate dalla penuria di cibo.
 
Le fortificazioni romane ad Alesia, nella ricostruzione dell'Archéodrome de Beaune, sull'A6 a Merceuil.

La riscoperta di un mito.
Fino all’Ottocento, Vercingetorige ei Galli rimasero avvolti dall’oblio. La loro riscoperta avvenne in epoca romantica, quando storici, letterati e intellettuali francesi iniziarono a indagare il passato alla ricerca delle origini del loro popolo. Decisiva fu nel 1828, l’Histoiredes Gaulais depuis les temps les plus reculés  di Amédée Thierry, in cui si celebravano i Galli e la figura del loro capo. Convinto fautore della rivalutazione celtica come componente essenziale dell’identità francese fu Napoleone III che, pur ammirando Cesare, nel 1866 fece realizzare sul sito di Alesia una statua di Vercingetorige alta ben 7 metri.
Il sentimento che le imprese del rix degli Arverni suscitava negli animi del tempo è sintetizzato in questa frase di Ernest Lavisse, pubblicata nell’Histoire de France (1884)  “La Gallia fu conquista dai Romani, malgrado la valida difesa del gallo Vercingetorige, primo eroe della nostra storia”. Seguì la strumentalizzazione del personaggio in funzione antitedesca e revanchista durante la Terza repubblica. Nel Novecento, l’analisi critica delle figura di Vercingetorige ha contribuito a una sua rilettura più equilibrata, a volte non priva di ironia, come mostra la sua apparizione, mentre getta le armi ai piedi di Cesare, nelle strisce di Asterix.  


Vercingetorige getta le sue armi ai piedi di Cesare, dipinto di Lionel Royer1899, Musée Crozatier, Le Puy

SCONTRO ALL’ULTIMO SANGUE. Ciò diede coraggio alle tribù che ancora tardavano ad aderire alla coalizione, così che tutte, compresa quella degli Edui, fino a qual momento rimasti fedeli all’Urbe, passarono dalla parte dei ribelli. Dopo aver battuto Cesare una prima volta a Gergovia (vicino all’odierna Clermont-Ferrand), Vercingetorige, ormai leader indiscusso dei suoi, scalpitava per combattere ancora; Cesare, invece, attendeva i rinforzi guidati dal suo luogotenente, Labieno, certo di riuscire, pur trovandosi in campo avverso e in inferiorità numerica, ad avere la meglio sull’avversario. Dalla sua aveva non solo la proverbiale organizzazione dell’esercito romano e il suo potente genio militare, ma anche le voci (alimentate ad hoc) che volevano Vercingetorige in cerca di un abboccamento con il nemico romano per diventare capo supremo delle Galli, sacrificando all’ambizione personale la libertà del suo popolo.
Lo scontro decisivo avvenne nel 52 a.C. ad Alesia, oppidum (cittadella) dei Mandubi. Il sito era posto in cima a un colle, alla confluenza tra due fiumi, Ose e Oseraom. Dpve sarebbe sorta l’odierna Alise-Sainte-Reine. Di fronte aveva un pianoro della lunghezza di tre miglia, con i lati protetti da colline, Cesare decise di cingerlo d’assedio, dando prova di eccezionale abilità strategica e dispiegando una quantità impressionante di forze. Fece costruire un fossato profondo 20 piedi (circa 6 m) e poi, a circa 800 m di distanza, una circonvallazione di 10 miglia (oltre 15 km) tutt’intorno all’oppidum. All’esterno di questa prima fortificazione ne fece erigere un’altra (la controvallazione), ampia circa 21 m. entrambe erano protette da una palizzata al 3,5 m. Lo spazio tra i due valli fortificati fu colmato con un terrapieno alto 4 m, su cui scierò moltissime macchine da guerra ed eresse decine di torri di guardia, vigilate notte e giorno da sentinelle. Davanti al vallo più interno che guardava verso Alesia, cesare fece scavare altri fossati e disseminare una serie infinta di trappole. Vercingetorige chiamò in soccorso altre tribù, che inviarono un esercito accampatosi su un colle a circa un miglio dalle fortificazioni romane; in tal modo il comandante romano si trovò nell’inedita situazione di dover affrontare, contemporaneamente, due attacchi, uno da assediante e uno da assediato. I Romani riuscirono a respingere le numerose sortite della cavalleria celtica, infliggendo loro gravi perdite. Il consiglio di guerra gallico guidato da Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige che circondò i Romani, mentre lo stesso Vercingetorige  usciva con i suoi a impegnare il nemico su più fronte. Sulle prime, lo scontro vide Cesare in difficoltà, soprattutto sul lato settentrionale, più scosceso, dove i Galli tempestarono i legionari con una pioggia di dardi. Per togliersi dall’impaccio, il comandante romano decise una sortita, per attaccare il nemico alle spalle. La mossa si rivelò vincente, i Galli furono sopraffatti dalla cavalleria, che ne fece strage. La sconfitta, per Vercingetorige, era chiara. A quel punto il consiglio di guerra doveva decidere che cosa fare: sacrificare il capo per ingraziarsi i vincitori, oppure consegnarlo vivo, come prigioniero,e risparmiare il popolo. L’assemblea scelse la seconda strada. Sulle circostanze e sui motivi della resa, però, le fonti antiche sono discordi.

Vercingetorige si arrende a Cesare nel dipinto di Henri-Paul Motte.

Tre assedi leggendari.
Diorama dell'assedio di Avarico
Quello gallico fu una guerra ricca di episodi militari, ma gli scontri più importanti si consumarono tutti in occasione di assedi. Il primo, vinto dai Romani, fu quello di Avaricum (l’odierna Bruges), nel marzo del 52 a.C. L’oppidum dei Biturgi era stato risparmiato dalla distruzione preventiva per attirare Cesare in trappola. Spingendolo ad assediarlo. Tuttavia, i Galli non avevano fatto i conti con l’intraprendenza del comandante romano che, nonostante il clima freddo e i continui temporali, fece erigere un imponente terrapieno stracolmo di macchine da guerra. L’assedio durò qualche settimana e si concluse con il massacro di quasi 40mila Galli (solo 800, pare, riuscirono a salvarsi).
Il secondo assedio, stavolta favorevole a Vercingetorige, fu quello di Gergovia (Clemont-Ferrand), capitale degli Arverni, avvenuto pochi mesi dopo. Le cause della sconfitta romana vanno ricercate nella scelta di nascondersi nella boscaglia. Nonostante un primo successo, infatti, i legionari furono circondati e decimati. L’assedio alla città fu levato quando Cesare ebbe notizia della rivolta degli Edui.
L’ultimo episodio, destinato a rivelarsi decisivo, fu quello di Alesia, vero capolavoro strategico e tattico di Cesare, coronato dalla resa definitiva e incondizionata di Vercingetorige.

Mura dell'oppidum sull'altopiano di Gergovia.

EROE O TRADITORE? Dai resoconti, scritti in tempi diversi e con differenti finalità ideologiche, dipende anche l’immagine di Vercingetorige giunta ai posteri. Plutarco (46-125 d.C.) sostiene che questi, “indossate le armi migliori, bardò il cavallo e uscì dal campo: compiuto in giro attorno a Cesare seduto, sceso da cavallo, si spogliò delle armi che indossava e, postosi ai suoi piedi, se ne stesse immobile”. Floro, morto nel 130 d.C., aggiunge che egli ammise la socnfitta e riconobbe la superiorità dell’avversario, sentenziando: “hai vinto un uomo valoroso, o tu che sei un uomo valorosissimo”. L’intento di queste fonti è quello di mostrare un capo sopraffatto che, con dignità, si rimette alla proverbiale clemenza romanza nei confronti dei venti. Entrambi gli storici, del resto avevano descritto l’arverno come un eroe in grado di tenere testa alla grandezza di Cesare.
Dione Cassio (125-235 d.C.), il cui ritratto di Vercingetorige è invece negativo, descrive l’epilogo in maniera antieroica. L’arverno appare al cospetto di Cesare appiedato e non a cavallo, lasciando intendere che si sia intrufolato furtivamente, sfruttando un momento di distrazione dei suoi. Annota che Vercingetorige avrebbe potuto fuggire, non essendo stato catturato o ferito, ma invece si presentò “davanti a Cesare, mentre quello era seduto sul suo scranno, tanto che alcuni ne rimasero impressionati; era imponente e si stagliava nello splendore delle sue armi. Non disse nulla, ma cadde alle sue ginocchia (di Cesare) e stringendo le mani lo supplicava”. Il comportamento di Vercingetorige è attribuito da Dione Cassio al fatto che egli sperava di aver salva la vita “in virtù dell’antica amicizia” con il generale romano, che avrebbe dovuto muoverlo a pietà nei suoi confronti. Invece, accadde il contrario: mentre i legionari rimasero colpito dall’atteggiamento remissivo del principe, per Cesare egli era soltanto un nemico che si era arreso, sacrificando la libertà del suo popolo, nella speranza di salvarsi. Insomma, un traditore. La sua punizione doveva essere esemplare: “Non ebbe pietà di lui nemmeno per un attimo, ma lo fece gettare in catene e, dopo averlo trascinato nel corte di trionfo, lo fece uccidere”.

IL TOCCO DEL GENIO. Cesare aveva vinto ad Alesia con 50mila legionari contro 60mila Galli assediati, cui erano giunti in sostegno altri 240mila uomini. La ragione del suo successo va cercata nel suo carisma e nel suo genio militare, ma anche nel fatto che sapeva motivare le truppe, ricevendo in cambio dedizione totale. I Galli, invece, al di là del valore dimostrato dal loro capo, non avevano un simile spirito di corpo. I contrasti tra le tribù erano insanabili, alimentati da sospetti e inimicizie. Inoltre, molte di esse avevano un rapporto ambiguo con Roma, oscillante tra ostilità e alleanza. A seguito della sconfitta, stroncate le ultime resistenze, nel 51 a.C. l’intera Gallia fu riorganizzata in quattro province (alla Narbonese si aggiunsero l’Aquitania, la Galli Lugdunense e la Gallia Belgica) e andò via via romanizzandosi, grazie alla costruzione di città, strade, infrastrutture e acquedotti. Dal sincretismo nacque la peculiare e fiorente cultura gallo-romana, destinata a influenzare profondamente i Franchi, e dalle cui basi sarebbe nato, con Carlo Magno, il Sacro Romano Impero. Le figure di Cesare e Vercingetorige passarono direttamente dalla Storia al mito.

Articolo in gran parte di Elena Percivaldi pubblicato su Civiltà Romana n. 3 Sprea editore. Altri testi e immagini da wikipedia.    


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