Madame de Pompadour.
Regina senza corona.
Bella e scaltra, colta e
affascinante, opportunista e fedele: erano queste le doti di Jeanne-Antoinette
Poisson, nata borghese e morta duchessa, amante del re Luigi XV e autentica
padrona di Versailles.
Jeanne Antoinette Poisson | |
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Madame de Pompadour ritratta da François Boucher nel 1756, Alte Pinakothek-Monaco di Baviera | |
Marchesa di Pompadour | |
Nascita | Parigi, Francia, 29 dicembre 1721 |
Morte | Castello di Versailles, Francia, 15 aprile 1764 |
Luogo di sepoltura | Convento dei Cappuccini, Parigi |
Padre | François Poisson |
Madre | Madeleine de La Motte |
Consorte | Charles Guillaume Le Normant d'Étiolles |
Religione | cattolica romana |
«La ragazza era ben educata, saggia, amabile, piena di grazia e di talento, nata con del buon senso e del buon cuore. Io la conoscevo bene; fui anche confidente dei suoi amori. Mi confessò di aver sempre avuto il segreto presentimento che sarebbe stata amata dal re e che, senza rendersene conto, si era sentita crescere dentro una violenta passione per lui»
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(Voltaire, Mémoires) |
Dal
balcone del suo appartamento, in una grigia giornata dell’aprile 1764, il re di
Francia Luigi XV restò lungamente a osservare un corteo funebre che procedeva
mesto sotto la pioggia. Il feretro conteneva le spoglie dell’unica donna che
avesse mai contato davvero qualcosa per lui, ma che le convenienze gli avevano
imposto di ignorare negli estremi momenti del trapasso: la grande favorita del
re, la marchesa di Pompadour.
Si chiamava
Jeanne-Antoniette Poisson, e non era nata nobile. Era venuta al mondo il 29
dicembre 1721, a Parigi, in una famiglia borghese di origini provinciali che
godeva tuttavia di una certa notorietà. La madre, tuttavia di una certa
notorietà. La madre, Louise-Maddeleine de la Motte, era figlia del fornitore
ufficiale di viveri per l’Hotel des Invalides, la struttura istituita dal Re
Sole a beneficio dei soldati anziani o invalidi delle sue armate. Ma a renderla
famosa nella capitale erano l’avvenenza e la disinvoltura con cui elargiva le
sue grazie al di fuori delle mura domestiche, approfittando delle frequenti
assenze del marito, Francois Poisson, scudiero del duca d’Orléans e fornitore
di viveri per l’esercito. Del padre naturale di Jeanne non si sa molto: si dice
che fosse Charles-Francois-Paul Le Normant de Tournehem, intendente generale
delle imposte, con il quale Louise-Madeleine intratteneva una relazione.
Nel 1726, uno scandalo
travolse la famiglia Poisson. In seguito a un rimpasto di governo che comportò
il cambiamento di appalti e fornitori, Francois Poisson fu riconosciuto colpevole
di abusi e appropriazione indebita e per questo condannato all’impiccagione;
riuscito a fuggire in Germania, ad Amburgo, rimase in contatto con la famiglia
ma non poté più occuparsene. L’anno dopo, Louise-Madeleine si separò dal
marito, e fu proprio de Tournehem a farsi carico della donna e dei suoi figli,
la piccola Jeanne e il fratellino minore Abel-Francois.
Charles François Paul Le Normant de Tournehem, probabilmente il vero padre della futura Madame de Pompadour.
Dipinto di Louis Tocqué, 1750
Dipinto di Louis Tocqué, 1750
Affascinante
come una dea.
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Il
fascino intenso e irresistibile della marchesa di Pompadour era leggendario.
Così la descrive un contemporaneo, Charles-Georges Leroy, luogotenente di
caccia e amministratore dei boschi di Versailles.
“La marchesa di Pompadour era di una
statura al di sopra dell’ordinario, svelta, spigliata, agile, elegante; il
suo viso si combinava bene con l’altezza, un ovale perfetto, dei bei capelli
castano chiaro piuttosto che biondi, degli occhi abbastanza grandi, ornati da
belle sopracciglia dello stesso colore, il naso perfettamente formato, la
bocca affascinante, i bellissimi denti, e il più delizioso sorriso; la più pelle
del mondo donava a tutti i lineamenti grande freschezza. I suoi occhi avevano
un fascino particolare, dovuto forse all’incertezza del colore; non avevano
fatto la vivida lucentezza degli occhi neri, il tenero languore degli occhi
azzurri, la finezza particolare di quelli grigi; il loro colore indeterminato
sembrava renderli adatta a ogni genere di seduzione e a esprimere tutte le
impressioni di un animo nobile. Anche il gioco della fisionomia era
infinitamente vario, ma senza mai lasciare trasparire disarmonia nei tratti
del volto. Ogni cosa contribuiva allo stesso obiettivo, il che lascia
supporre un’anima abbastanza padrona di sé; i movimenti erano in accordo con
il resto, e l’insieme della persona sembrava una sfumatura tra l’ultimo
livello dell’eleganza e il primo della nobiltà”
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LA CARRIERA DELLA REGINETTA. La bambina ricevette
un’educazione di prim’ordine nel prestigioso convento delle Orsoline di Poissy,
da cui uscì nel 1730 per essere seguita da precettori privati che le
impartirono un’istruzione marcatamente artistica, insegnandole dizione,
recitazione, canto, musica, danza e disegno. La sua bellezza, la sua grazia e
la sua amabilità le avevano già valso il soprannome di Reinette, reginetta, e
la deliziosa adolescente s’impose ben presto all’attenzione dei salotti
parigini, facendo strage di cuori. Di lei s’invaghì il giovane Charles-Guillame
Le Normant d’Etiolles, nipote di Le Normant de Tournehem, che la sposò nel
1741. Il giovanotto era di bassa statura, brutto di viso e sgraziato nella
persona: ma a Jeanne-Antoniette non importava, poiché aveva appreso dalla madre
a sfruttare i suoi doni per arrivare sempre più in alto, e nel povero
d’Etoiles, innamorato non corrisposto, vedeva un utile trampolino. Cancellato
per sempre il disonore di essere la figlia di un ex ricercato, e ora ammirata
moglie di un giovane destinato ad ereditare un capitale immenso, la signora
d’Etoiles salì di gradino in gradino la scala sociale, passando da un salotto
all’altro fino ad arrivare nei palazzi del potere. intanto il marito, uomo mite
e prudente, attaccato più alle rendite dei propri affari che all’orgoglio del
talamo, e soprattutto già pago di aver potuto impalmare quella bellezza contesa
da molti, stava a guardare.
Ancora oggi, il modo in
cui Jeanne arrivò ai piedi del trono resta un mistero: forse fu l’intrigante
valletto di camera del Delfino e parente della stessa Jeanne, Georges-René
Binet de Marchais, a buttarla tra le braccia del re. L’occasione fu il gran
ballo in maschera della domenica di carnevale, il 28 febbraio 1745, organizzato
per festeggiare il matrimonio dell’erede al trono con l’Infantoa di Spagna,
celebrato il 23 febbraio.
Durante la serata,
Madame d’Etoilles, travestita da Diana cacciatrice, fu vista intrattenersi con
uomo bizzarramente camuffato da cespuglio di tasso, e monopolizzarne la
compagnia: era Luigi XV. Prima incuriosito e poi affascinato, il sovrano volle
rivederla, e il 22 aprile 1745 ebbe luogo un secondo incontro. La cena si
protrasse fino alle cinque del mattino una e la “divina Etiolles”, come l’aveva già
soprannominata Voltaire, non tornò più a casa. Jeanne chiese e ottenne la separazione
dal marito, presto ricompensato da molti vantaggi economici che trasformarono
in proficua una situazione imbarazzante; e nell’estate di quell’anno fu
insignita del titolo di marchesa di Pompadour, che le dava diritto a un feudo
con castello annesso e una rendita annua di duecentoquarantamila lire. Il 14
settembre, fu presentata ufficialmente a corte.
La nuova favorita del
re non fu subito ben accettata a Versailles: tradizionalmente, le amanti dei
sovrani venivano scelte tra la migliore nobiltà di Francia, mentre Jeanne era
di origini borghese, per di più figlia di genitori alquanto chiacchierati. La
dichiarata ostilità dei cortigiani indusse a credere, per qualche tempo, che il
nuovo capriccio del sovrano avrebbe avuto vita breve. Ma la marchesa de
Pompadour era scaltra, oltre che bella. Seppe lasciare da parte alterigia e
arroganza, mettendosi devotamente al servizio del suo re, facendogli compagnia,
divertendolo, rispettandolo e soprattutto amandolo teneramente. Sapeva che il
suo destino a corte dipendeva quasi esclusivamente dall’umore del sovrano più
lunato d’Europa. Luigi XV era infatti un uomo dal carattere difficile,
instabile, spesso preda di crisi depressive, che l’arguta Madame de Pompadour
sapeva dissolvere con battute di spirito, giochi avvincenti e spettacoli grandiosi.
Appassionata di canto e recitazione , la marchesa fece costruire due sale teatrali a i lati della Cappella
reale di Versailles, dove esibirsi lei stessa insieme agli artisti più popolari
del momento, e divenne ben presto l’artefice incontrastata delle feste più
divertenti del regno, a cui tutti, detrattori compresi, ambivano partecipare.
Il
gusto della marchesa.
Dotata
di grande gusto artistico e di uno spiccato senso estetico, Madame de
Pompadour fu una squisita collezionista d’arte, una protettrice d’artisti,
un’ispiratrice di mode. Fu lei a spingere il sovrano a incentivare, nel 1753,
le manifatture di porcellana di Sèvres, che si rivelarono una vera fortuna
commerciale per la Francia. Brevettò addirittura una particolare sfumatura di
rosa che prese il suo nome: “rosa Pompadour”. E fu sempre lei a sostenere
un’altra fabbrica destinata al successo internazionale, quella dei
pregiatissimi arazzi Gobelins. Ma alla marchesa si deve anche la diffusione
di un’altra deliziosa novità, introdotta a corte e subito apprezzata: lo
champagne, “l’unico vino che rende le donne belle anche dopo averlo bevuto”,
amava dire. Il primo fornitore di champagne fu la ditta Moet & Chandon,
che proprio nel 2018 ha creato uno speciale champagne rosé per rendere
omaggio al gusto squisito di questa donna straordinaria.
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Suo ritratto commemorativo finito nel 1764, dopo la sua morte, ma cominciato, quando era ancora viva, dal suo pittore preferito François-Hubert Drouais.
INTRIGHI INTERNAZIONALI. Tuttavia, si mormorava
che al letto Madame non fosse tanto brillante quanto sul palcoscenico; ma Luigi
XV, lungi dall’essere l’amante instancabile che voleva far credere, non
sembrava curarsene. Per lui, Jeanne era anche e forse soprattutto un’amica
fidata, una compagnia fedele e una confidente leale. Probabilmente già nel 1751
i due non erano più amanti di fatto, ma solo ottimi amici. Astuta e
comprensiva, la Pompadour installò nel Parco dei cervi, l’antica riserva reale
di caccia, un padiglione in cui alloggiavano giovani bellezze senza cervello,
da lei accuratamente selezionate, in grado di garantire al sovrano gli svaghi
carnali che lei non era più in grado di offrigli. Con la stessa astuzia, Jeanne
aveva anche evitato scrupolosamente di mettersi in urto con la regina, la pia e
devotissima Maria Leszczynska, con la quale riuscì a instaurare un delicato
rapporto di pubblico rispetto, benché venato di reciproca diffidenza. Ma Jeanne
seppe conquistarsi un ruolo anche in politica, spronata dall’indolenza cronica
di Luigi XV. Con lo stesso impegno profuso nell’arredamento dei suoi lussuosi
appartamenti e con la stessa tenacia con cui animava la vita culturale della
corte (pur restando sempre dietro le quinte), fu lei a imporre la sfortunata
alleanza con l’Austria, storico nemico della Francia, contro la Prussia,
guadagnandosi un posto di spicco nella vita politica di quegli anni, e, al
tempo stesso, la diffidenza di molti.
Giunta al culmine del
potere, Madame de Pompadour aveva sotto controllo la vita della corte, godendo
in modo sempre più conclamato dei favori del re. Il quale, nel 1752, non sapendo
più come omaggiare l’amica, le regolò un tabouret, ossia uno sgabello: una
sciocchezza, se non fosse che solo alle duchesse era permesso sedersi in
presenza della regina della regina durante il pranzo regale. Lo sgabello
implicava dunque la promozione di Madame a duchessa. Cominciarono a circolare
contro di lei feroci libelli che l’attaccavano senza pietà, accusandola di
essere al centro di forze occulte che si agitavano dietro il trono. A
confermare, in apparenza, questa impressione contribuì la grande benevolenza
che Madame accordava agli enciclopedisti; suoi ospiti abituali erano infatti
Diderot, d’Alembert e Voltaire, che non facevano mistero delle loro posizioni a
dir poco critiche nei confronti della monarchia. Di sicuro, però, nessuno
poteva ancora immaginare che, proprio grazie a questi raffinati intellettuali,
un quarto di secolo dopo sarebbe scoccata. Nel 1763, Madame de Pompadour volle
farsi ritrarre da Francois-Hubert Drouasi: la ragazza fresca di un tempo aveva
lasciato il posto a una donna di 43 anni precocemente invecchiata. Malata,
affranta dalla perdita della figlia Alexandrine e ancora traumatizzata
dell’attentato che aveva messo in serio pericolo la vita del sovrano, lei era
sempre vicina al suo Luigi, che la chiamava affettuosamente “amica necessaria”.
Il 15 aprile 1764, prima che il ritratto fosse finito, Jeanne si spense a
Versailles, dove soltanto ai membri della famiglia reale era concesso morire.
Ma lei ne era stata per un ventennio la vera regina: e fu questo, commentò
amaramente Luigi XV, “l’unico omaggio che io abbia potuto renderle”.
Dopo vent'anni di vita e d'intrighi a corte, la sua salute vacilla: a Versailles, si lamentava costantemente dell'aria fredda e umida dei suoi grandi appartamenti, rimpiangendo il piccolo attico del lato nord - più facile a riscaldarsi - che aveva occupato nei primi cinque anni della sua permanenza.
Morì di edema polmonare acuto, all'età di 43 anni, il 15 aprile 1764 a Versailles, ultimo privilegio accordatole, visto che era severamente vietato ai cortigiani di morire nel luogo in cui risiedeva il re e la sua corte.
Si narra che, considerato il maltempo al momento della partenza della salma per Parigi, Luigi XV abbia commentato: «La marchesa non avrà bel tempo per il suo viaggio» e vedendo il corteo allontanarsi senza aver potuto rendere ufficialmente omaggio a colei che così a lungo era stata la sua confidente, abbia mestamente dichiarato: «Ecco l'unico omaggio che ho potuto renderle».[19]
Jeanne-Antoinette fu sepolta a Parigi, nella cappella del convento dei Cappuccini.
Madame de Pompadour in letteratura[modifica | modifica wikitesto]
Madame de Pompadour è oggetto di versetti satirici che Thomas Mann fa recitare al poeta di Lubecca, Jacques Hoffstede, uno dei personaggi del suo primo romanzo, I Buddenbrooks:
(DE)
«Als Sachsens Marschall einst die stolze Pompadour
Im goldnen Phaeton – vergnügt spazierei fuhr, Sah Frelon dieses Paar - o, rief er, seht die beyde! Des Köenigs Schwerdt – und seine Scheide!» | (IT)
«Quando una volta il Maresciallo di Sassonia,[20] la fiera Pompadour
conduceva a spasso divertita su una dorata Phaeton[21] - Frelon vide questa coppia - oh, esclamò, guardali entrambi! La spada del Re – e il suo fodero!» |
(Thomas Mann, I Buddenbrooks, Parte Prima, cap. 8) |
L'ironia dei versetti non è percepibile in lingua italiana, poiché si basa sul doppio senso del termine tedesco Scheide, che in quella lingua ha il significato di "fodera" o "guaina", ma anche, volgarmente, di "vagina".
Articolo in gran parte
di Enrico Ercole pubblicato su Conoscere la Storia n. 49 – altri testi e
immagini da wikipedia.
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