L’impero sassanide.
Dopo aver sconfitto
l’ultimo re dei parti, Artabano, il nobile Ardashir diventò il primo re di una
nuova dinastia, quella dei sassanidi. I quattro secoli di splendore dell’impero
sasanide finirono di colpo con l’invasione araba.
Impero Sasanide
Ērānshahr
(dettagli) |
L'Impero sasanide, noto anche come secondo impero persiano per distinguerlo dal primo impero persiano (Impero achemenide),[1][2] fu un'entità politica costituitasi nel 224 con Ardashir I in seguito alla caduta dell'Impero partico e alla sconfitta dell'ultimo re della dinastia arsacide, Artabano V.
Noto ai suoi abitanti come Ērānshahr e Ērān in Persiano Medio e come Iranshahr e Iran in Persiano Nuovo,[3] fu l'ultimo impero persiano preislamico, governato dalla dinastia sasanide dal 224 al 651;[4][5] rappresentò una delle potenze maggiori in Asia Occidentale, Meridionale e Centrale, insieme con l'Impero romano/bizantino, nella tarda antichità.[6]
Nel corso del tempo, l'Impero giunse a comprenderne interamente gli odierni Iran, Iraq, Afghanistan, Siria orientale, il Caucaso (Armenia, Georgia, Azerbaijan, e Dagestan), Asia Centrale sudoccidentale, parte della Turchia, alcune regioni costiere della penisola arabica, la regione del golfo persico e alcune regioni del Pakistan occidentale. Il nome nativo dell'Impero sasanide in Persiano Medio è Eran Shahr che significa Impero ariano.[7] Secondo la leggenda, la bandiera dell'Impero sasanide era la Derafsh Kaviani.[8]
Il periodo sasanide è considerato uno dei periodi più importanti della storia della Persia, in quanto costituì l'ultimo grande impero iraniano prima della conquista musulmana e dell'adozione dell'Islam.[9] In molti modi, il periodo sasanide rappresentò il picco dell'antica civiltà persiana. La Persia influenzò considerevolmente la civiltà romana nel corso del periodo sasanide.[10]L'influenza culturale dei Sasanidi si estendeva anche oltre i confini territoriali dell'Impero, raggiungendo persino l'Europa Occidentale,[11] Africa,[12] Cina e India.[13] Giocò un ruolo fondamentale nella formazione dell'arte medievale sia europea sia asiatica.[14]
Evoluzione territoriale dell'Impero sasanide.
Guerre romano-sasanidi (224-363)
parte Guerre romano-persiane
L'impero sasanide al tempo di Sapore I (nel 260)Data224 - 363LuogoAsia Minore, Caucaso, Armenia, Mesopotamia, Egitto, Partia e PersiaEsitoNulla di fattoModifiche territorialiPassaggio della Armenia e della Mesopotamia dall'uno e l'altro impero, e viceversa.Schieramenti
Comandanti
Voci di guerre presenti su Wikipedia
Per guerre romano-sasanidi dal 224 al 363 si intende quel complesso di ostilità a bassa o alta intensità che oppose l'Impero romano ai Sasanidi. Per circa un secolo e mezzo, dal 229, in seguito all'avvento della dinastia sasanide, fino alla campagna sasanide di Giuliano (del 363), i due imperi si combatterono principalmente in Mesopotamia, nel deserto palmireno ed in Siria romana, per il predominio del Vicino Oriente.
Alcuni imperi nascono sulle rovine di altri, il dominio sasanide nacque
sull’altopiano iraniano intorno al 224 d.C. con la sconfitta dell’ultimo
sovrano dell’impero partico, Artabano V, per mano dell’allora sconosciuto
Ardashir I. Il fondatore della dinastia – il cui nome proviene da Sasan, il
nonno di Ardashir – fu figlio di Papak, un capo locale che unificò gran parte
della provincia di Fars. I re sasanidi diedero sempre risalto al legame con
questa provincia, così da sottolineare il forte vincolo tra la loro stirpe e
quella dei re achemidi, sovrani dell’Iran, il cui impero fu tra i più
importanti dell’antichità. Come questi ultimi, i sovrani sasanidi adottarono il
titolo di Re dei Re (sahansah). Per questo aggiunsero nuovi rilievi in loro
onore a Naqsh – i Rustam, necropoli reale dell’antico impero achemenide, non
solo per legittimarsi rispetto ai governi precedenti, che consideravano
invasori, ma soprattutto per recuperare un passato glorioso di cui di cui si
sentivano eredi.
L’espansione militare sasanide mirava al controllo di un territorio
vasto quanto quello degli acheminidi. Ovviamente ciò causò spesso relazioni
tese con i vicini, soprattutto con romani, armeni, unni eftaliti (conosciuti
come unni bianchi) e arabi: ne seguirono numerose guerre e rivolte dalle quali
non sempre i sasanidi uscirono vittoriosi. Eppure rappresentavano una delle più
terribili minacce per l’espansione territoriale dell’impero romano e per le sue
strutture dei potere. Ne fu chiara dimostrazione quando il re Sapore I – Shahpur
in persiano medio – tenne in scacco l’intero impero nella famosa battaglia di
Edessa (verso il 260), in cui fece prigioniero l’imperatore romano Valeriano. E
proprio uno dei rilievi di Naqsh – i Russtam rappresenta Valeriano in ginocchio
davanti al vincitore, il Re dei Re.
Gli ultimi re della Persia.
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224
Ardashir vince l’ultimo re dei parti, Artabano V e
inaugura la monarchia sasanide, l’ultima dinastia di re persiani.
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260 circa.
Nella battaglia di Edessa Sapore I fa prigioniero
l’imperatore Valeriano, che si pensa sia stato giustiziato crudelmente.
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274-277
Diffusione della dottrina manichea grazie a Mani, che
verrà torturato e condannato a morte dal re sasanide Cosroe I
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339-420
Yazdgird I si apre alla tolleranza religiosa e interrompe
le persecuzioni dei cristiani. Firma la pace con i romani.
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636
Gli eserciti arabi conquistano Ctesifonte, la capitale
amministrativa dell’impero sasanide, dopo la battaglia di al-Qadisiyya
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651
L’ultimo re sasanide Yazdgir III, fugge dagli invasori
arabi ed è ucciso a Merv. Il figlio si trasferisce in India.
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Bassorilievo sasanide a Naqsh-e Rostam raffigurante Sapore I (a cavallo) mentre fa prigioniero l'imperatore romano Valeriano (in piedi) e Filippo l'Arabo (in ginocchio)
UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE. Nell’impero sasanide la
società era organizzata in modo gerarchico. Alla sommità si trovava il sovrano,
che delegava le mansioni di governo a una sorta di primo ministro, dal grande
potere. I consigli, o ministeri, e i governi delle province completavano la burocrazia, che garantiva il
funzionamento dello stato. sotto vi erano quattro classi, in ordine decrescente
di prestigio: i sacerdoti (asrovan), i guerrieri (arteshtaran) e gli artigiani
(hutukhshan). I membri della corte – composta da parenti del re, altri nobili e
notabili del regno, i quali ricoprivano le cariche di una complessa
amministrazione – provenivano soprattutto dai primi due ceti, e in particolar
modo dall’aristocrazia militare, e vivevano in un ambiente lussuoso e sofisticato,
che raggiunse uno splendore leggendario durante il regno di Cosroe I (Khusraw
I), tra il 531 e il 579.
Spesso crediamo che le
culture antiche siano uniformi: niente di più lontano dalla realtà. La società
sasanide era plurilingue, multietnica e multi religiosa, come ci si potrebbe
immaginare in un territorio così esteso quale quello controllato dai loro re. I
sasanidi dominavano gran parte della Via della Seta, dettaglio che gli
garantiva introiti immensi, ma per questo dovevano salvaguardare la sicurezza
dei cammini. Carovane con ogni sorta di prodotti e persone provenienti da Cina,
Asia centrale, India, penisola Arabica, Egitto, Mediterraneo orientale,
Caucaso, Grecia o Roma, attraversano la regione sasanide tramite una complessa
rete di comunicazioni. Le élite sasanidi parlavano il medio persiano o pahlavi,
una lingua imparentata con l’antico persiano – la lingua dei re achemidi – sia
con il moderno persiano, e potenziarono l’impiego della lingua materna non solo
a corte, nell’amministrazione, nelle leggi e nel conio delle monete, ma anche
in ambito letterario e religioso. Tuttavia, la poliedrica popolazione
dell’impero parlava pure altre lingue iraniche, quali il partico, il battriano,
il sogdiano, il corasmiano o chvarezmio, così come le lingue di diversi ceppi
linguistici.
Bahram V favorì la fioritura della poesia e nella letteratura persiana. "Bahram e la principessa indiana nel padiglione nero", dipinto di una Khamse (Quintetto) del grande poeta di lingua persiana Nizami, metà XVI secolo, epoca safavide.
ZOROATRISMO, LA RELIGIONE DEI RE. La diversità
regnava anche in ambito religioso. I re e la maggior parte dell’élite dominante
professavano lo zoroastrismo, il cui nome viene di Zoroastro (adattamento greco
della parola avestica Zarathustra), considerato dai credenti come il profeta.
Il dio principale è il dio della saggezza (Ahura Mazda in avestico, Ohrmazd in
pahlavi), creatore del mondo e delle sue creature, e ha come antagonista
principale lo spirito del male (Angra Mainyu in avestico, Ahrima in pahlavi).
Tuttavia, lo zoroastrismo non è una religione monoteista. Dall’antichità i suoi
fedeli hanno venerato altri dei immateriali e materiali, associati soprattutto
a elementi naturali come il fuoco, le stelle, la terra, l’acqua, i metalli e le
piante. Non dimentichiamo che Sasan, eponimo della dinastia sasanide, fu
sacerdote della dea delle acque Anahita nel tempio di Istakhr, a Fars.
Lo zoroastrismo fu la
religione principale dell’epoca sasanide, ma non l’unica a diffondersi
nell’impero. Comunità sempre più numerose di ebrei, cristiani, maniche, mandei
e buddisti convivevano grazie a una politica di tolleranza religiosa,
nonostante persecuzioni mirate di alcune autorità zoroastriane che temevano di
perdere il potere a corte.
Per esempio, il Talmud,
uno dei più importanti testi del giudaismo rabbinico, fu redatto nelle versioni
di Gerusalemme e di Babilonia durante la dominazione sasanide. Non solo: il
massimo rappresentante della Chiesa orientale cristiana – che nella variante
nestoriana si separò dall’occidentale nel V secolo – risiedeva a Ctesifonte
sotto la protezione del re sasanide. Ciononostante, alcuni sovrani cercarono di
imporre lo zoroastrismo quale religione ufficiale nelle zone ribelli a
maggioranza cristiana, come per esempio in Armenia e Georgia, per paure che i
re vicini, convertitosi al cristianesimo, li attrassero nella loro orbita.
Sempre in quel periodo il manicheismo si
espanse sino ai confini dell’Asia, malgrado la condanna a morte del profeta e
fondatore Mani, tra il 274 e 277, durante il regno di Wahram I. Mani compose in
pahlavi lo Shahpuhragan, compendio della dottrina manichea, e lo dedicò al re
sasanide Sapore I (Shahpuhr, 240-270 circa), causando risentimento nel clero
zoroastriano. Il sacerdote zoroastriano Kartir fu il principale istigatore
della condanna a morte di Mani e della persecuzioni dei suoi seguaci e di altre
minoranze religiose.
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Vedi anche |
Lo zoroastrismo (definito anche zoroastrianesimo o mazdeismo, in avestico mazdayasna, cioè "adorazione di (Ahura) Mazda" o "culto di Mazda") è la religione basata sugli insegnamenti del profeta Zarathuštra (o Zoroastro) ed è stata in passato la religione più diffusa dell'Asia centrale.
Essa si sviluppò e si diffuse come religione principale, questo sia teologicamente, che demograficamente e politicamente, nelle regioni iraniche e dell'Asia centrale tra il VI secolo a.C. e il X secolo d.C.[1].
Questa fede è chiamata dai fedeli zarathushti din (religione zoroastriana) dal nome del suo fondatore Zarathuštra (derivato dal tardo medio-persiano, o lingua pahlavi, Zardukhsht anche Zardusht; anche dalla lingua fārsì: Zardosht). I fedeli sono chiamati "zoroastriani" (lingua fārsì: zartoshti, zardoshti; lingua gujarati: jarthushti).
Lo zoroastrismo è indicato tradizionalmente anche con il termine Mazdayasna daēnā (medio-persiano dēn ī Māzdēsn, religione degli adoratori di Mazdā) e loro stessi come mazdayasna (adoratori di Mazdā, medio-persiano māzdēsn), indicandosi quindi come seguaci del dio creatore denominato Ahura Mazdā ("Saggio signore" o "Signore che crea con il pensiero"). Da qui la sua denominazione corrente di mazdaismo o mazdeismo ritenuta come l'unica corretta da alcuni iranisti[2].
Lo zoroastrismo è stato per secoli la religione dominante in quasi tutta l'Asia centrale, dal Pakistan all'Arabia Saudita, fino alla nascita e diffusione della religione islamica nel VII secolo. Tuttavia non si estinse, e piccole comunità zoroastriane permangono ad oggi in Iran, Tagikistan, Azerbaigian e India (i cosiddetti Parsi, comunità fuggite dall'Iran nel periodo della sua islamizzazione e rifugiatesi in India)
IL CROLLO DELL’IMPERO. Alla fine del V secolo
il sacerdote zoroastriano Mazdak promosse una riforma religiosa e sociale che
scatenò una grave crisi nell’impero. Con l’appoggio iniziale del re Kawadh I.
Mazdak avviò la spartizione comune della ricchezza e, soprattutto, della
produzione agricola tra i lavoratori dei campi, con la convinzione che nessuno
doveva possedere più del necessario. Nella sua organizzazione, i figli
diventavano responsabilità di tutta la comunità e perfino le donne erano
condivise, come biasimavano gli esponenti del conservatore clero zoroastriano.
La riforma di Mazdak fu un palese attacco sia al potere delle élite
aristocratiche, che si accaparravano possedimenti e donne, sia a diverse
autorità religiose dell’epoca, che temevano il mazdachesimo per quel pericoloso
libero amore. La risposta a questa prima forma storia di comunismo non si fece
attendere; nel 496 i nobili e il clero deposero il re Kawadh I, che poté
tornare sul trono grazie all’aiuto straniero e solo dopo aver sconfessato
quelle idee. Fu il figlio Cosroe I che, prima di succedere al padre, sterminò
Mazdak e i suoi seguaci.
Nel 636, dopo la
vittoria nella battaglia di al-Qadisiyya, gli arabi, latori della nuova
religione mussulmana, conquistarono Ctesifonte, capitale amministrativa
dell’impero sasanide. Negli anni seguenti caddero pure altre regioni. Il crollo
dell’impero culminò nel 651 con la sconfitta del re Yazdgird III, ultimo della
sua dinastia, che, dopo la fuga, venne assassinato a Merv, nell’attuale
Turkmenistan.
Gli arabi sono passati
alla storia come gli annientatori dell’impero sasanide, ma anche come i suoi
eredi, dal momento che ne hanno trasmesso il sapere. Non dimentichiamo che
nella letteratura, nell’architettura, nei giardini e nelle arti plastiche e
tessili del periodo islamico rimangono elementi del mondo sasanide, senz’ombra
di dubbio una delle culture più affascomamto e spfostocate deòòa tarda
antichità.
Gli
scacchi, un gioco di origine indiana, furono importanti in Iran durante il
dominio sasanide. Secondo il testo pahlavi Spiegazione degli scacchi e
invenzione del nard, il re indiano Dewisharm mandò il gioco al re sasanide
Cosroe I a condizione che, se non fosse stato capace di decifrarne il
significato, avrebbe dovuto pagargli un tributo. Il saggio sasanide
Wuzurgmihr I Bokhtagan riuscì a capirlo e mandò a sua volta il nard,
corrispondente all’attuale backtagan, a Dewisharm che, invece, fu incapace di
decifrarlo e fu costretto a pagare il tributo al re sasanide.
La
parola scacchi proviene dal provenzale escac, che a sua volta deriva dal
persiano sah’re’. In pahlavi corrispondeva al ermine catran, “di quattro
membri”, con cui nell’antica India era indicato un esercito formato dalla
fanteria (pedoni), cavalleria, elefanti (alfieri) e carri (torri). Parte
della terminologia degli scacchi deriva, infatti dal pahlavi. Per esempio,
alfiere proviene dall’arabo al-fil, che a sua volta deriva dal pahlavi pil,
elefante, e scacco matto viene dal pahlavi sah mat o re morto.
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Il diamante Darya-ye Noor.
Corone
per il Re dei Re.
C’è
chi cambia abito. I re sasanidi, invece, cambiavano corona. Come dimostrano i
rilievi e soprattutto la numismatica sasanide, ogni re era solito usare una o
più corone diverse da quelle dei suoi predecessori, mettendo così in risalto
il proprio carattere.
Le
corone erano considerate il simbolo più importante della regalità ed erano
decorate con motivi diversi, che spesso rappresentavano divinità
zoroastriane. Così per esempio, Wahram I (271-274) incluse nella propria
corona i raggi solari, simbolo del dio Mitra o Mihr, Wahram II (276-293) le
ali di un corvo, che rappresentavano il dio della guerra Verethragna o
Wahram, da cui prendeva il nome lo stesso re. Le corone sasanidi divennero di
una tale complessità e avevano una decorazione talmente lussuosa e carica che
i re non riuscivano a portare sulla testa.
Secondo
alcune fonti, proprio per la loro pesantezza erano appese a catene d’oro sul
trono, sul luogo della residenza temporale del monarca o perfino sul letto di
morte. L’usanza sasanide di sospendere le corone fu poi ripresa dai re
bizantini, e annessa come cerimoniale di corte.
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Articolo in gran parte
di Miguel Angel Andres Toledo Università di Salamanca pubblicato su National
Geographic del mese ottobre 2018 – altri testi e immagini da Wikipedia.
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