mercoledì 3 ottobre 2018

Cleomene il re più famoso di Sparta


Cleomene il re più famoso di Sparta.
Fece di Sparta ima grande potenza, ma le sue ambizioni politiche e la disonestà mostrata corrompendo gli oracoli spinsero i concittadini ad allontanarlo dal potere e a incatenarlo a un ceppo, fino alla fine dei suoi giorni.

moneta raffigurante Cleomene I

A Sparta i re avevano un ruolo più simbolico che politico. Sparta i re avevano un ruolo più simbolico che politico. Sparta i re avevano un ruolo più simbolico che politico. Nel sistema amministrativo della città, infatti, i compiti del sovrano si limitavano soprattutto al comando dell’esercito. Tuttavia, grazie alla sua grande personalità e al suo valore, Cleomene riuscì a lasciare una forte impronta nella storia di Sparta.
Durante il suo lungo regno, durato più di trent’anni, dal 520 al 488 a.C., la città divenne la prima potenza della Grecia. Eppure, le fonti antiche gli sono avverse e lo presentano come un uomo collerico, crudele e mentalmente instabile, che disprezzava non solo le norme umane, ma anche quelle divine. A quanto scrisse Plutarco, Cleomene aveva una sola regola: “Il danno che puoi infliggere ai nemici è più importante della giustizia”.
Sparta ruins.PNG

resti della polis di Sparta, non aveva mura perché confidava nel valore dei suoi guerrieri

Una vita per la guerra.

520 a.C. Cleomene sale al trono di Sparta. Nel 510 a.C, espelle da Atene il tiranno Ippia
491 a.C. Si libera dell’altro re, Demarato, che accusa di essere figlio illegittimo.
494 a.C. Cleomene sconfigge Argo a Sepeia ed elimina gli opliti nemici con l’inganno.
488 a.C. Al ritorno dell’esilio in Arcadia, è vittima di un raptus di follia e finisce per suicidarsi.


EREDE PER ERRORE. Perfino le circostanze della sua nascita furono insolite. Suo padre, il re Anassandrida, era sposato con una nipote e non riusciva ad avere figli. Questo fatto generava somma preoccupazione fra gli efori, i cinque uomini eletti annualmente che a Sparta avevano il potere supremo e svolgevano varie funzioni, tra cui il controllo del sovrano. Gli efori vegliavano sula continuità dinastica e perciò proposero ad Anassandrida di ripudiare la moglie in favore di una donna che potesse dargli un erede. Ma il re amava profondamente la consorte e si rifiutò. Secondo Erodoto, gli efori gli fecero una nuova e singolare proposta: “Poiché ti sappiamo legato a tua moglie, non ti chiediamo di ripudiarla, ma di prenderne pure un’altra che ti dia dei figli”. Anassandrina acconsentì e così si ritrovò con due famiglie. Ben presto la nuova moglie diede alla luce un figlio, Cleomene, ma poco dopo la prima moglie ne ebbe altri tre. Stando alle di Sparta, la successione ricadeva sul primo maschio nato dopo l’ascesa al trono del padre, e quindi Cleomene fu considerato il legittimo erede. Sebbene il giovane avesse mostrato sin da giovane i sintomi di un malessere mentale, alla morte di Anassandrida gli spartani ne accettarono la guida e lo proclamarono re.
Il suo primo intervento fuori dalla patria ebbe luogo nel 510 a.C., quando guidò l’esercito spartano contro Atene per destituire il tiranno Ippia. Gli spartani volevano interrompere le buone relazioni di Atene con Argo, la loro grande nemica. Tali rapporti risalivano al padre di Ippia, Pisistrato, che aveva come concubina una donna argiva. Inoltre Ippia stava dando prova di benevolenza verso i persiani, e ciò impensieriva gli spartani, che ne temevano l’espansione in Occidente. Cleomene invase la regione di Atene, l’Attica e vinse Ippia. Entrò in città e assediò il tiranno, che aveva cercato riparo nell’Acropoli, protetta da mura difensive. Gli spartani evitavano sempre di combattere sulle mura, perché in tal modo sarebbero potuti morire senza gloria. Questa volta, però, la fortuna fu dalla loro parte, riuscirono a fermare i figli del tiranno mentre questi ultimi fuggivano dall’Acropoli in gran segreto. Ippia trattò la ritirata assieme alla famiglia e lasciò Atene.
L’espulsione di Ippia, avvenuta grazie a Cleomene, consolidò la fama di Sparta come nemica della tirannia. Due anni più tardi, Cleomene tornò in un’Atene dilaniata dalla lotta politica tra Clistene e Isagora. Il primo proponeva riforme politiche che concedessero maggiore partecipazione al popolo, al contrario di Isagora, che proponeva di mantenere il potere nelle mani dell’aristocrazia. Durante il precedente soggiorno ad Atene, Cleomene si era legato a Isagora (le malelingue dicevano che era stato l’amante della moglie). Quindi quando Clistene affidò il potere al popolo, Isagora chiamò il potente amico. Cleomene si presentò con pochi soldati, a indicare che si trattava di una questione privata, ed entrò ad Atene.     

UMILIATO DUE VOLTE. Il re di Sparta consegnò a Isagora il comando della città ed espulse i sostenitori di Clistene, all’incirca 700 famiglie. Il popolo, però, si rifiutò di obbedire, e nella rivolta che ne seguì Clemene, Isagora e i loro fedeli dovettero rifugiarsi sull’Acropoli. Dopo due giorni di assedio, pattuirono una tregua per uscire indenne, ma comunque, narra Erodoto, gli ateniesi favorevoli a Isagora vennero giustiziati. Clistene e le 700 famiglie furono richiamati in patria, Cleomene si sentì umiliato e volle vendicarsi degli ateniesi. Reclutò quindi un esercito tra gli alleati del Peloponneso e invase l’Attica. Stavolta la spedizione era autorizzata ufficialmente da Sparta, e al suo comando vi erano entrambi i re della città: Cleomene e Demarato, membro di un’altra casa reale. Gli alleati degli spartani ignoravano che lo scopo ultimo dell’impresa fosse imporre Isagora come tiranno. Quando, ormai ad Atene, vennero a conoscenza del piano, alcuni di loro (come i corinzi si ritirarono). Se ne andò anche Demarato, contrario all’audace politica estera del collega Cleomene. Alla ritirare del re, pure gli altri alleati partirono. Cleomene penò allora di reintegrare Ippia in qualità di tiranno ateniese. Nel 504 a.C. convocò gli alleati a Sparta per una riunione cui anch’egli era presente. Cleomene usò la scusa di aver saputo dagli oracoli che gli spartani avrebbero patito molto per colpa di Atene (quando era stato lì, aveva portato con sé gli oracoli dell’Acropoli). Ciononostante gli alleati, e in particolare Corinto, che veniva da una lunga tirannide, si rifiutarono di appoggiare i piani del re. Ippia non venne quindi rimesso sul trono e tornò al suo esilio. 

L’oracolo di Clistene.
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santuario di Apollo a Delfi.
L’atenise Clistene, nemico del tiranno di Ippia, fece sì che la pizia, la profeta di Apollo a Delfi, corrotta a furia di denaro, offrisse a qualsiasi spartano la medesima risposta: la volontà degli dei era di liberare Atene.
Alla fine, poiché ricevevano sempre la stessa risposta, gli spartani obbedirono a quello che credevano fosse il volere di Apollo e Cleomene marciò contro Ippia e lo depose. Così narra Erodoto.
Sacrilegio ad Argo.
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il teatro di Argo
Quando Cleomene sconfisse l’esercito di Argo nel 494 a.C., i sopravvissuti si rifugiarono in un bosco sacro dedicato all’eroe che dava il nome alla città. Cleomene non volle entrarvi e ucciderli per paura di commettere un sacrilegio. Preferì ingannarli: gli fece sapere da un messaggero che era arrivato il riscatto e che potevano uscire senza timore appena sentivano il loro nome (che lo spartano aveva saputo dai disertori). E così ne uccise cinquanta, finché gli altri che si trovavano ancora nel bosco capirono. Comandò allora agli iloti, gli schiavi degli spartani, di ammucchiare legna attorno al bosco e di appicare il fuoco. Gli argici furon sterminati e gli iloti si presero la colpa del sacrilegio. 
Gorgo la brillante figlia del re.
Cleomene ebbe una sola figlia, Gorgo, che sin da piccola dimostrò una vivace intelligenza. Quando Aristagvora cercò di corrompere il padre perché aiutasse i ribelli ioni contro la Persia, Gorgo, che aveva otto anni, esclamò: “Padre se te non te ne vai di qui, il forestiero di corromperà!, in un'altra occasione, quando una donna le chiese come mai solo a Sparta le donne comandassero gli uomini, rispose: “Perché solo le donne di Sparta generano veri uomini”.

IL MASSACRO DEGLI ARGIVI. Poiché non era riuscito a piegare Atene, Cleomene concentrò la sua politica estera sull’egemonia spartana nella penisola del Peloponneso. Per questo nel 494 a.C. attaccò Argo, l’acerrima nemica. I due eserciti si accamparono molto vicini, in attesa della battaglia decisiva. Secondo Erodoto, gli argivi si limitava a copiare ogni ordine dato all’araldo spartano al suo esercito. Quando se ne accorse, Cleomene comandò all’araldo di dare il segnale del pasto. Gli argivi si apprestarono a fare lo stesso e Cleomene li colse alla sprovvista, massacrandoli. I sopravissuti si rifugiarono in un bosco sacro all’eroe Argo, ma Cleomene li sterminò lo stesso: atto empio che avrebbe comportato una maledizione.
In seguito il re sciolse l’esercito e con mille uomini scelti si diresse all’Heraion, il santuario più importante per gli argivi, dove  offrì un sacrificio solenne alla dea Era. Fu però fermato da un sacerdote che lo accusò di empietà in quanto era proibito agli stranieri compiere sacrifici sugli altari, ma Cleomene lo fece frustare ed eseguì il rito. Quindi, pur avendo Argo alla sua mercé tornò a Sparta. I detrattori, tra i quali molto probabilmente stava il colle Demarato, lo accusarono di aver accettato denaro pur di ritirarsi, ma Cleomene ribatté sostenendo che, mentre rendeva il sacrificio sull’Heraion, le fiamme risplendenti sul petto della statua l’avevano convinto a non espugnare la città. A quanto pare, i devoti spartani presero per valida quella spiegazione. In realtà è probabile che Cleomene ritenesse che a Sparta sarebbe convenuta una Argo decimata, ma non distrutta: altrimenti le altre città del Peloponneso, come Corinto, avrebbero accresciuto il proprio potere sulle spalle di Argo. Quello che è certo è che Argo rimase senza uomini. Erodoto fissa in seimila il numero degli argivi morti mentre un altro storico, Pausania, parla di cinquemila perdite. La città impiegò del tempo per riprendersi dal massacro e avrebbe giustificato con la mancanza di uomini la neutralità nella futura guerra contro i persiani.
Nel 491 a.C., il re persiano Dario I mandò messaggeri in tutta la Grecia per chiedere terra e acqua, un gesto di solito indice di sottomissione. Gli ateniesi gettarono i messi in una vecchia cava, e gli spartani li scagliarono in un pozzo consigliandogli con scherno di prendere da lì l’acqua e la terra. Tuttavia, l’isola di Egina, nemica di Atene, accettò di sottomettersi al re persiano. Gli ateniesi si rivolsero a Sparta e accusarono gli egineti di tradimento. Cleomene si presentò a Egina per chiedere degli ostaggi, ma gli egineti glieli negarono con il pretesto che non erano venuti entrambi i re di Sparta, come stabiliva la legge. Gli egineti erano ammaestrati da Demarato che, intanto, secondo Erodoto, diffamava Cleomene a Sparta. Di sicuro Demarato doveva essere il portavoce di molti spartani, ostili a Cleomene. Si erano opposti a Ippia, amico dei persiani, e non gradivano il comportamento sempre collerico e vendicativo del re, che creava tensione tra gli alleati di Sparta nel Peloponneso. La fazione avversa a Cleomene mandava sempre avanti Demarato, come a Egina. Cleomene se ne risentì e, prima di castigare gli egineti, volle liquidare Demarato.

Le ragioni di un suicidio.
La terribile fine di Cleomene, esempio della resistenza al dolore tipica degli spartani, incontrl diverse spiegazioni. Nella versione locale, Cleomene impazzì per il vizio di bere vino puro (non mischiato ad acqua); altri lessero la sua morte come un castigo divino per il sacrilegio commesson le bosco di Argo, e si pensò pure che fosse il culmine di un disturbo mentale già manifestatosi in gioventù.

TRIONFO E CADUTA. Il sovrano approfittò di certi sospetti sulla legittimità del collega e suggerì di consultare l’oracolo di Delfi. Cleomene aveva corrotto i capi di Delfi e così, alla formulazione della domanda, la pizia dichiarò che i dubbi erano fondati (vedi riquadro sotto). Dematrio fu deposto e per un certo tempo rimase a Sparta, vittima delle beffe, finché scappò in Asia e si rifugiò alla corte di Dario. Al suo posti Cleomene insediò Leotichida. Entrambi si recarono a Egina e presero degli ostaggi. Come speciale vendetta nei confronti degli egineti, Cleomene li lasciò nelle mani degli ateniesi, i loro peggiori nemici. Poco dopo la corruzione della pizia scoperta e Cleomene cadde in disgrazia. Temendo rappresaglie fuggì in Arcadia, dove cercò di riunire i popoli nella lotta contro Sparta. Gli spartani lo lasciarono allora rientrare, ma appena tornato, in preda a un raptus di follia cominciò a prendere a bastonate chiunque gli capitasse a tiro.
I familiari lo legarono a un ceppo finché un giorno che era rimasto sotto la sorveglianza di un servo ilota, Cleomene gli chiese un pugnali. L’iliota si rifiutò, ma Cleomene lo minacciò di vendicarsi una volta libero. L’ilota cedette, e a quanto narra Erodoto, Cleomene “cominciò a straziarsi le gambe, fendendosi le carni nel senso della lunghezza passò dalle gambe alle cosce, dalle cosce alle anche e ai fianchi, fino a raggiungere il ventre e morì così, sbudellandosi completamente e tagliando a pezzi la carne come liste”. Altre fonti aggiungono che rideva con un smorfia di dolore mentre si lacerava il corpo. Oggi gli storici credono che furono gli spartani a giustiziarlo quando divenne un pericolo per lo stato: la sua politica personalistica e ambiziosa metteva a rischio l’equilibrio delle forze nel Peloponneso, e quindi la stessa Sparta.

La storia di Demarato, il ripudiato.
Nelle storie (libro VI, 61-72) Erodoto racconta l’origine di Demarato, che Cleomene accusa di essere figlio illegittimo e che per questo lascia il trono.

«Δημάρητος, ἔλεγε τάδε. ‘[...] πρῶτα μὲν ὅτι οὐκ ἔστι ὅκως κοτὲ σοὺς δέξονται λόγους δουλοσύνην φέροντας τῇ Ἑλλάδι, αὖτις δὲ ὡς ἀντιώσονταί τοι ἐς μάχην καὶ ἢν οἱ ἄλλοι Ἕλληνες πάντες τὰ σὰ φρονέωσι. ἀριθμοῦ δὲ πέρι, μή πύθῃ ὅσοι τινὲς ἐόντες ταῦτα ποιέειν οἷοί τε εἰσί: ἤν τε γὰρ τύχωσι ἐξεστρατευμένοι χίλιοι, οὗτοι μαχήσονταί τοι, ἤν τε ἐλάσσονες τούτων ἤν τε καὶ πλεῦνες.’»
(IT)
«Demarato parlò così [a Serse]: "[...] Prima di tutto, non accadrà mai che [gli Spartani] accettino le tue proposte di schiavitù. In secondo luogo, si opporranno a te in battaglia, anche se tutti gli altri Greci si dovessero schierare dalla tua parte. Quanto al numero, non chiedere mai quanti sono: anche se sono mille, pronti a combattere, o anche meno di mille, questi qui ti daranno comunque battaglia."

Un re senza eredi. Aristone, re di Sparta, si è sposato già due volte, ma non ha figli. Non ammette che sia sua la colpa della mancanza di eredi e vuole sposarsi ancora: inganna quindi l’amico Ageto. Quest’ultimo ha una moglie molto bella, e Aristone ne è innamorato. Pur di averla, Aristone dice ad Aceto che gli farà un regalo e che, in cambio, potrò scegliere una delle sue proprietà. Entrambi suggellano l’accordo con un giuramento.
Il figlio prematuro. Ageto non si è preoccupato del fatto che Aristone gli possa prendere la moglie, in quanto ne ha già due, e sceglie quello che più gli piace dei bene di Aristone. A sua volta, Arisotne gli chiede la moglie e Ageto non può rifiutarsi, perché ha giurato e quindi la bella moglie, di cui ignoriamo il nome, sposa Aristone. Prima del compimento del non mese di gravidanza la donna partorisce un figlio, cui danno il nome di Demarato. 
Un figlio ripudiato. Mentre Aristone è riunito con gli efori (i magistrati più importanti di Sparta), un servo gli comunica che è diventato padre. Inizia a contare i mesi trascorsi dalle nozze ed esclama: “non può essere mio), convinto che la moglie in realtà era incinta di Ageto. Gli efori lo sentono. Con il tempo Aristone si persuade che il figlio è suo. Demorato riceve questo nome perché gli spartani avevano augurato al sovrano la nascita di un erede maschio.
La risposta del Dio. Quando Aristone muore, Demarato diventa uno dei re di Sparta e si scontra con l’altro re, Cleomene, per disfarsi del rivale, Cleomene si basa su qunato sentito dagli efori e denuncia l’illegittimità di Demarato. Se il figlio Ageto, infatti, Demarato non piuò aspirare al trono. Gli spartani consultano l’oracolo di Apollo, ma Cleomene ha corrotto la pizia, la quale afferma che ffettivamente Demarato non è figlio di Aristone.
La verità della madre. Un altro nobile, Leotichide, sostituisce Demarato e lo schernisce per la sua origine illegittima. Deciso a chiarire la propria provenienza, Demarato sacrifica un bue a Zeus, chiama la madre e le mette in mano parte delle viscere, cosicché non possa peccare con una bugia. Quindi, le chiede chi sia suo padre. La madre gli racconta che, la prima notte di nozze, un’apparizione identica ad Aristone ha giacuto con lei e le ha lasciato due corone.
La liberazione. Poi, continua a raccontare la madre, è venuto Aristone e le ha chiesto chi avesse lasciato le corone. Alla risposta di lei, Aristone nega di aver giaciuto con la donna. La madre, invece, giura di aver detto la verità. Si scopre che le corone vengono da un tempietto vicino alla porta di casa dedicato all’eroe Astrabaco. Perciò “tuo padre è Aristone o Astrabaco”, gli dice la madre. Sollevato, Demarato va in Asia, dove Dario lo prende al suo servizio.

Articolo in gran parte di Francisco Javier Murcia Ortuno, filologo classico, pubblicato su Storica National Geographic del mese di agosto 2018. Altri testi e immagini da Wikipedia.


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