Cleomene il re più famoso di Sparta.
Fece di Sparta ima grande potenza, ma le sue ambizioni politiche
e la disonestà mostrata corrompendo gli oracoli spinsero i concittadini ad
allontanarlo dal potere e a incatenarlo a un ceppo, fino alla fine dei suoi
giorni.
moneta raffigurante Cleomene I
A
Sparta
i re avevano un ruolo più simbolico che politico. Sparta i re avevano un ruolo
più simbolico che politico. Sparta i re avevano un ruolo più simbolico che
politico. Nel sistema amministrativo della città, infatti, i compiti del
sovrano si limitavano soprattutto al comando dell’esercito. Tuttavia, grazie
alla sua grande personalità e al suo valore, Cleomene riuscì a lasciare una
forte impronta nella storia di Sparta.
Durante il suo lungo
regno, durato più di trent’anni, dal 520 al 488 a.C., la città divenne la prima
potenza della Grecia. Eppure, le fonti antiche gli sono avverse e lo presentano
come un uomo collerico, crudele e mentalmente instabile, che disprezzava non
solo le norme umane, ma anche quelle divine. A quanto scrisse Plutarco,
Cleomene aveva una sola regola: “Il danno
che puoi infliggere ai nemici è più importante della giustizia”.
resti della polis di Sparta, non aveva mura perché confidava nel valore dei suoi guerrieri
Una
vita per la guerra.
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520
a.C. Cleomene sale al trono di Sparta. Nel 510 a.C, espelle da Atene il
tiranno Ippia
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491
a.C. Si libera dell’altro re, Demarato, che accusa di essere figlio illegittimo.
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494
a.C. Cleomene sconfigge Argo a Sepeia ed elimina gli opliti nemici con
l’inganno.
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488
a.C. Al ritorno dell’esilio in Arcadia, è vittima di un raptus di follia e
finisce per suicidarsi.
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EREDE PER ERRORE. Perfino le circostanze
della sua nascita furono insolite. Suo padre, il re Anassandrida, era sposato
con una nipote e non riusciva ad avere figli. Questo fatto generava somma
preoccupazione fra gli efori, i cinque uomini eletti annualmente che a Sparta
avevano il potere supremo e svolgevano varie funzioni, tra cui il controllo del
sovrano. Gli efori vegliavano sula continuità dinastica e perciò proposero ad
Anassandrida di ripudiare la moglie in favore di una donna che potesse dargli
un erede. Ma il re amava profondamente la consorte e si rifiutò. Secondo
Erodoto, gli efori gli fecero una nuova e singolare proposta: “Poiché ti sappiamo legato a tua moglie, non
ti chiediamo di ripudiarla, ma di prenderne pure un’altra che ti dia dei
figli”. Anassandrina acconsentì e così si ritrovò con due famiglie. Ben
presto la nuova moglie diede alla luce un figlio, Cleomene, ma poco dopo la
prima moglie ne ebbe altri tre. Stando alle di Sparta, la successione ricadeva
sul primo maschio nato dopo l’ascesa al trono del padre, e quindi Cleomene fu
considerato il legittimo erede. Sebbene il giovane avesse mostrato sin da
giovane i sintomi di un malessere mentale, alla morte di Anassandrida gli
spartani ne accettarono la guida e lo proclamarono re.
Il suo primo intervento
fuori dalla patria ebbe luogo nel 510 a.C., quando guidò l’esercito spartano
contro Atene per destituire il tiranno Ippia. Gli spartani volevano
interrompere le buone relazioni di Atene con Argo, la loro grande nemica. Tali
rapporti risalivano al padre di Ippia, Pisistrato, che aveva come concubina una
donna argiva. Inoltre Ippia stava dando prova di benevolenza verso i persiani,
e ciò impensieriva gli spartani, che ne temevano l’espansione in Occidente.
Cleomene invase la regione di Atene, l’Attica e vinse Ippia. Entrò in città e
assediò il tiranno, che aveva cercato riparo nell’Acropoli, protetta da mura
difensive. Gli spartani evitavano sempre di combattere sulle mura, perché in
tal modo sarebbero potuti morire senza gloria. Questa volta, però, la fortuna
fu dalla loro parte, riuscirono a fermare i figli del tiranno mentre questi
ultimi fuggivano dall’Acropoli in gran segreto. Ippia trattò la ritirata
assieme alla famiglia e lasciò Atene.
L’espulsione di Ippia,
avvenuta grazie a Cleomene, consolidò la fama di Sparta come nemica della
tirannia. Due anni più tardi, Cleomene tornò in un’Atene dilaniata dalla lotta
politica tra Clistene e Isagora. Il primo proponeva riforme politiche che
concedessero maggiore partecipazione al popolo, al contrario di Isagora, che
proponeva di mantenere il potere nelle mani dell’aristocrazia. Durante il
precedente soggiorno ad Atene, Cleomene si era legato a Isagora (le malelingue
dicevano che era stato l’amante della moglie). Quindi quando Clistene affidò il
potere al popolo, Isagora chiamò il potente amico. Cleomene si presentò con
pochi soldati, a indicare che si trattava di una questione privata, ed entrò ad
Atene.
UMILIATO DUE VOLTE. Il re di Sparta
consegnò a Isagora il comando della città ed espulse i sostenitori di Clistene,
all’incirca 700 famiglie. Il popolo, però, si rifiutò di obbedire, e nella
rivolta che ne seguì Clemene, Isagora e i loro fedeli dovettero rifugiarsi
sull’Acropoli. Dopo due giorni di assedio, pattuirono una tregua per uscire indenne,
ma comunque, narra Erodoto, gli ateniesi favorevoli a Isagora vennero
giustiziati. Clistene e le 700 famiglie furono richiamati in patria, Cleomene
si sentì umiliato e volle vendicarsi degli ateniesi. Reclutò quindi un esercito
tra gli alleati del Peloponneso e invase l’Attica. Stavolta la spedizione era
autorizzata ufficialmente da Sparta, e al suo comando vi erano entrambi i re
della città: Cleomene e Demarato, membro di un’altra casa reale. Gli alleati
degli spartani ignoravano che lo scopo ultimo dell’impresa fosse imporre
Isagora come tiranno. Quando, ormai ad Atene, vennero a conoscenza del piano,
alcuni di loro (come i corinzi si ritirarono). Se ne andò anche Demarato,
contrario all’audace politica estera del collega Cleomene. Alla ritirare del
re, pure gli altri alleati partirono. Cleomene penò allora di reintegrare Ippia
in qualità di tiranno ateniese. Nel 504 a.C. convocò gli alleati a Sparta per
una riunione cui anch’egli era presente. Cleomene usò la scusa di aver saputo
dagli oracoli che gli spartani avrebbero patito molto per colpa di Atene
(quando era stato lì, aveva portato con sé gli oracoli dell’Acropoli).
Ciononostante gli alleati, e in particolare Corinto, che veniva da una lunga
tirannide, si rifiutarono di appoggiare i piani del re. Ippia non venne quindi
rimesso sul trono e tornò al suo esilio.
L’oracolo di
Clistene.
santuario di Apollo a Delfi.
L’atenise
Clistene, nemico del tiranno di Ippia, fece sì che la pizia, la profeta di
Apollo a Delfi, corrotta a furia di denaro, offrisse a qualsiasi spartano la
medesima risposta: la volontà degli dei era di liberare Atene.
Alla fine,
poiché ricevevano sempre la stessa risposta, gli spartani obbedirono a quello
che credevano fosse il volere di Apollo e Cleomene marciò contro Ippia e lo
depose. Così narra Erodoto.
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Sacrilegio ad
Argo.
il teatro di Argo
Quando
Cleomene sconfisse l’esercito di Argo nel 494 a.C., i sopravvissuti si
rifugiarono in un bosco sacro dedicato all’eroe che dava il nome alla città.
Cleomene non volle entrarvi e ucciderli per paura di commettere un
sacrilegio. Preferì ingannarli: gli fece sapere da un messaggero che era
arrivato il riscatto e che potevano uscire senza timore appena sentivano il
loro nome (che lo spartano aveva saputo dai disertori). E così ne uccise
cinquanta, finché gli altri che si trovavano ancora nel bosco capirono.
Comandò allora agli iloti, gli schiavi degli spartani, di ammucchiare legna
attorno al bosco e di appicare il fuoco. Gli argici furon sterminati e gli
iloti si presero la colpa del sacrilegio.
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Gorgo la
brillante figlia del re.
Cleomene ebbe
una sola figlia, Gorgo, che sin da piccola dimostrò una vivace intelligenza.
Quando Aristagvora cercò di corrompere il padre perché aiutasse i ribelli
ioni contro la Persia, Gorgo, che aveva otto anni, esclamò: “Padre se te non
te ne vai di qui, il forestiero di corromperà!, in un'altra occasione, quando
una donna le chiese come mai solo a Sparta le donne comandassero gli uomini,
rispose: “Perché solo le donne di Sparta generano veri uomini”.
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IL MASSACRO DEGLI ARGIVI. Poiché non era riuscito
a piegare Atene, Cleomene concentrò la sua politica estera sull’egemonia spartana
nella penisola del Peloponneso. Per questo nel 494 a.C. attaccò Argo,
l’acerrima nemica. I due eserciti si accamparono molto vicini, in attesa della
battaglia decisiva. Secondo Erodoto, gli argivi si limitava a copiare ogni
ordine dato all’araldo spartano al suo esercito. Quando se ne accorse, Cleomene
comandò all’araldo di dare il segnale del pasto. Gli argivi si apprestarono a
fare lo stesso e Cleomene li colse alla sprovvista, massacrandoli. I
sopravissuti si rifugiarono in un bosco sacro all’eroe Argo, ma Cleomene li
sterminò lo stesso: atto empio che avrebbe comportato una maledizione.
In seguito il re
sciolse l’esercito e con mille uomini scelti si diresse all’Heraion, il
santuario più importante per gli argivi, dove
offrì un sacrificio solenne alla dea Era. Fu però fermato da un
sacerdote che lo accusò di empietà in quanto era proibito agli stranieri
compiere sacrifici sugli altari, ma Cleomene lo fece frustare ed eseguì il rito.
Quindi, pur avendo Argo alla sua mercé tornò a Sparta. I detrattori, tra i quali
molto probabilmente stava il colle Demarato, lo accusarono di aver accettato
denaro pur di ritirarsi, ma Cleomene ribatté sostenendo che, mentre rendeva il
sacrificio sull’Heraion, le fiamme risplendenti sul petto della statua
l’avevano convinto a non espugnare la città. A quanto pare, i devoti spartani
presero per valida quella spiegazione. In realtà è probabile che Cleomene
ritenesse che a Sparta sarebbe convenuta una Argo decimata, ma non distrutta:
altrimenti le altre città del Peloponneso, come Corinto, avrebbero accresciuto
il proprio potere sulle spalle di Argo. Quello che è certo è che Argo rimase
senza uomini. Erodoto fissa in seimila il numero degli argivi morti mentre un
altro storico, Pausania, parla di cinquemila perdite. La città impiegò del
tempo per riprendersi dal massacro e avrebbe giustificato con la mancanza di
uomini la neutralità nella futura guerra contro i persiani.
Nel 491 a.C., il re
persiano Dario I mandò messaggeri in tutta la Grecia per chiedere terra e
acqua, un gesto di solito indice di sottomissione. Gli ateniesi gettarono i
messi in una vecchia cava, e gli spartani li scagliarono in un pozzo consigliandogli
con scherno di prendere da lì l’acqua e la terra. Tuttavia, l’isola di Egina,
nemica di Atene, accettò di sottomettersi al re persiano. Gli ateniesi si
rivolsero a Sparta e accusarono gli egineti di tradimento. Cleomene si presentò
a Egina per chiedere degli ostaggi, ma gli egineti glieli negarono con il
pretesto che non erano venuti entrambi i re di Sparta, come stabiliva la legge.
Gli egineti erano ammaestrati da Demarato che, intanto, secondo Erodoto,
diffamava Cleomene a Sparta. Di sicuro Demarato doveva essere il portavoce di
molti spartani, ostili a Cleomene. Si erano opposti a Ippia, amico dei
persiani, e non gradivano il comportamento sempre collerico e vendicativo del
re, che creava tensione tra gli alleati di Sparta nel Peloponneso. La fazione
avversa a Cleomene mandava sempre avanti Demarato, come a Egina. Cleomene se ne
risentì e, prima di castigare gli egineti, volle liquidare Demarato.
Le
ragioni di un suicidio.
La
terribile fine di Cleomene, esempio della resistenza al dolore tipica degli
spartani, incontrl diverse spiegazioni. Nella versione locale, Cleomene
impazzì per il vizio di bere vino puro (non mischiato ad acqua); altri
lessero la sua morte come un castigo divino per il sacrilegio commesson le
bosco di Argo, e si pensò pure che fosse il culmine di un disturbo mentale
già manifestatosi in gioventù.
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TRIONFO E CADUTA. Il sovrano approfittò
di certi sospetti sulla legittimità del collega e suggerì di consultare
l’oracolo di Delfi. Cleomene aveva corrotto i capi di Delfi e così, alla
formulazione della domanda, la pizia dichiarò che i dubbi erano fondati (vedi
riquadro sotto). Dematrio fu deposto e per un certo tempo rimase a Sparta,
vittima delle beffe, finché scappò in Asia e si rifugiò alla corte di Dario. Al
suo posti Cleomene insediò Leotichida. Entrambi si recarono a Egina e presero
degli ostaggi. Come speciale vendetta nei confronti degli egineti, Cleomene li
lasciò nelle mani degli ateniesi, i loro peggiori nemici. Poco dopo la corruzione
della pizia scoperta e Cleomene cadde in disgrazia. Temendo rappresaglie fuggì
in Arcadia, dove cercò di riunire i popoli nella lotta contro Sparta. Gli
spartani lo lasciarono allora rientrare, ma appena tornato, in preda a un
raptus di follia cominciò a prendere a bastonate chiunque gli capitasse a tiro.
I familiari lo legarono
a un ceppo finché un giorno che era rimasto sotto la sorveglianza di un servo
ilota, Cleomene gli chiese un pugnali. L’iliota si rifiutò, ma Cleomene lo
minacciò di vendicarsi una volta libero. L’ilota cedette, e a quanto narra
Erodoto, Cleomene “cominciò a straziarsi
le gambe, fendendosi le carni nel senso della lunghezza passò dalle gambe alle
cosce, dalle cosce alle anche e ai fianchi, fino a raggiungere il ventre e morì
così, sbudellandosi completamente e tagliando a pezzi la carne come liste”.
Altre fonti aggiungono che rideva con un smorfia di dolore mentre si lacerava
il corpo. Oggi gli storici credono che furono gli spartani a giustiziarlo
quando divenne un pericolo per lo stato: la sua politica personalistica e
ambiziosa metteva a rischio l’equilibrio delle forze nel Peloponneso, e quindi
la stessa Sparta.
La storia di
Demarato, il ripudiato.
Nelle storie
(libro VI, 61-72) Erodoto racconta l’origine di Demarato, che Cleomene accusa
di essere figlio illegittimo e che per questo lascia il trono.
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Un re senza
eredi. Aristone,
re di Sparta, si è sposato già due volte, ma non ha figli. Non ammette che
sia sua la colpa della mancanza di eredi e vuole sposarsi ancora: inganna quindi
l’amico Ageto. Quest’ultimo ha una moglie molto bella, e Aristone ne è
innamorato. Pur di averla, Aristone dice ad Aceto che gli farà un regalo e
che, in cambio, potrò scegliere una delle sue proprietà. Entrambi suggellano
l’accordo con un giuramento.
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Il figlio
prematuro. Ageto
non si è preoccupato del fatto che Aristone gli possa prendere la moglie, in
quanto ne ha già due, e sceglie quello che più gli piace dei bene di
Aristone. A sua volta, Arisotne gli chiede la moglie e Ageto non può
rifiutarsi, perché ha giurato e quindi la bella moglie, di cui ignoriamo il
nome, sposa Aristone. Prima del compimento del non mese di gravidanza la
donna partorisce un figlio, cui danno il nome di Demarato.
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Un figlio
ripudiato. Mentre
Aristone è riunito con gli efori (i magistrati più importanti di Sparta), un
servo gli comunica che è diventato padre. Inizia a contare i mesi trascorsi
dalle nozze ed esclama: “non può essere mio), convinto che la moglie in
realtà era incinta di Ageto. Gli efori lo sentono. Con il tempo Aristone si
persuade che il figlio è suo. Demorato riceve questo nome perché gli spartani
avevano augurato al sovrano la nascita di un erede maschio.
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La risposta
del Dio. Quando
Aristone muore, Demarato diventa uno dei re di Sparta e si scontra con
l’altro re, Cleomene, per disfarsi del rivale, Cleomene si basa su qunato
sentito dagli efori e denuncia l’illegittimità di Demarato. Se il figlio
Ageto, infatti, Demarato non piuò aspirare al trono. Gli spartani consultano
l’oracolo di Apollo, ma Cleomene ha corrotto la pizia, la quale afferma che
ffettivamente Demarato non è figlio di Aristone.
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La verità
della madre. Un
altro nobile, Leotichide, sostituisce Demarato e lo schernisce per la sua
origine illegittima. Deciso a chiarire la propria provenienza, Demarato
sacrifica un bue a Zeus, chiama la madre e le mette in mano parte delle
viscere, cosicché non possa peccare con una bugia. Quindi, le chiede chi sia
suo padre. La madre gli racconta che, la prima notte di nozze, un’apparizione
identica ad Aristone ha giacuto con lei e le ha lasciato due corone.
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La
liberazione. Poi,
continua a raccontare la madre, è venuto Aristone e le ha chiesto chi avesse
lasciato le corone. Alla risposta di lei, Aristone nega di aver giaciuto con
la donna. La madre, invece, giura di aver detto la verità. Si scopre che le
corone vengono da un tempietto vicino alla porta di casa dedicato all’eroe Astrabaco.
Perciò “tuo padre è Aristone o Astrabaco”, gli dice la madre. Sollevato,
Demarato va in Asia, dove Dario lo prende al suo servizio.
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Articolo in gran parte
di Francisco Javier Murcia Ortuno, filologo classico, pubblicato su Storica
National Geographic del mese di agosto 2018. Altri testi e immagini da
Wikipedia.
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