Petra: a casa dei
Nabatei.
Storia del popolo
nomade che oltre duemila anni fa diventò stanziale, fondando Petra e
difendendola fino all’ultimo re.
Petra
El Deir a Petra.CiviltàNabatei, romaniLocalizzazioneStato GiordaniaCittàWadi MusaAltitudine800 m s.l.m.DimensioniSuperficien,d, m²Mappa di localizzazione
Bene protetto dall'UNESCO | |
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Patrimonio dell'umanità | |
Petra (EN) Petra | |
Tipo | Culturali |
Criterio | (i)(iii)(iv) |
Pericolo | Non in pericolo |
Riconosciuto dal | 1985 |
Scheda UNESCO | (EN) Scheda (FR) Scheda |
Petra (da πέτρα, roccia in greco) è un sito archeologico della Giordania, posto a circa 250 km a sud della capitale Amman, in un bacino tra le montagne ad Est del Wadi Araba, la grande valle che si estende dal Mar Morto fino al Golfo di Aqaba del Mar Rosso. Il suo nome semitico era Reqem o Raqmu («la Variopinta»), attestato anche nei manoscritti di Qumran.
“Se le mie congetture sono esatte, è
Petra, capitale dell’Arabia Petrea”. Lo disse nel 1812
l’esploratore Johann Ludwig Burckhardt dopo essersi imbattuto in una
meravigliosa città rupestre nel bel mezzo del deserto giordano. Sepolcri
monumentali, abitazioni scavate nella roccia, eleganti colonnati: nonostante
l’abbandono, lo splendore dei luoghi tradiva un’antica grandezza. Che da quelle
parti solo la capitale di un regno fiorente, come fu Petra, poteva esibire. E
infatti si trattava proprio della città rosa (dal colore dell’arenaria), tanto
maestosa da lasciare di stucco persino un esperto come Burckhardt. Chi l’aveva
costruita? Il merito era dei Nabatei, una civiltà ricca, raffinata e
soprattutto ingegnosa, capace di resistere a qualunque invasore fino alla
conquista romana del 106 a.C.
Ma da dove venivano
questi Nabatei? Certezze non ce ne sono, o quasi. Nella Genesi viene menzionata
la tribù di Nebaioth, un figlio di Ismaele, e della parola “nabayati” sono
rimaste tracce in alcune iscrizioni assire, ma l’identificazione dei Nabatei di
cui parliamo resta dubbia. Sappiamo invece che in origine erano nomadi arabi e
che già prima del IV secolo a.C. iniziarono a insediarsi in Giordania, nei
territori degli Edomiti, una tribù tradizionalmente ostile agli Ebrei. Come
altre genti arabe, furono attirati probabilmente dal via vai delle carovane
cariche di oro, incenso, aromi e pietre preziose che transitavano nella regione.
NOMADI PER PASSIONE. A fornirci un primo
ritratto dei Nabatei di fine IV secolo a.C. è Diodoro Siculo, nella sua
Biblioteca storica (I secolo a.C.): durante le sanguinose guerre seguite alla
morte di Alessandro Magno (323 a.C.), Antigono Monoftalmo, uno dei diadochi,
inviò una spedizione contro il popolo nabateo nel 312 a.C., ma ne uscì
sconfitto. All’epoca i Nabatei, racconta Diodoro, erano ancora orgogliosamente
nomadi: hanno poche regole ma guai a contraddirle: “Non seminano e non piantano alberi da frutto, non bevono vino e non
costruiscono case. Ognuno che tradisce queste regole di vita è condannato a
morte”. Ancora più del nomadismo i Nabatei amavano l’indipendenza e
sapevano anche come difenderla: in caso di emergenza salivano su una “montagna molto massiccia con un solo
accesso”, Petra, una roccaforte imprendibile. Tuttavia era infatti uno
snodo fondamentale nelle rotte carovaniere tra Egitto, Mediterraneo, Siria,
Arabia e Estremo Oriente, motivo per cui nell’area circolavano beni di lusso di
ogni tipo, dalla seta cinese alle spezie pregiate, dal bitume estratto nel Mar
Morto alle piante aromatiche dello Yemen. Così, invece di saccheggiarli, controllarono
quei flussi commerciali e imposero salate tasse doganali. Non appena
maneggiarono un po’ di denaro, dimenticarono il nomadismo.
ACCERCHIATI. La loro prosperità cominciò a far
gola ai regni ellenistici vicini: anzitutto ai Tolomei in Egitto, gelosi delle
rotte nel Mediterraneo e nel Mar Rosso e irritati dalla pirateria nabatea
contro le navi egizie; poi ai Seleucidi in Siria, che volevano accaparrarsi
territori strategici in ottica antitolemaica. Il primo re nabateo che
conosciamo, Areta I, arrivò a sfidare il seleucide Antioco IV appoggiando gli
Ebrei nella rivolta dei Maccabei del 168 a.C. Meno di un secolo dopo a.C. Ciò
permise al re Areta III di occupare la Celesiria e arrivare fino a Damasco.
A furia di combattere
contro Tolomei e Seleucidi, i Nabatei si innamorarono dell’arte e della cultura
ellenica. Lo si vede bene dalla fioritura nel I secolo a.C. della loro
capitale, Petra, definita dallo storico Federico Arborio Mella, “forse il più originale e interessante
impianto dell’arte ellenistica in un ambiente orientale”. Prima ancora che
un capolavoro artistico, la città era però una superba opera di ingegneria
idraulica: uno dei problemi principali dei Nabatei infatti era reperire
l’acqua. Grazie alla ‘Ayn Musa, la sorgente di Mosè (da cui scorreva il Wadi
Musa, letteralmente il fiume di Mosè), e a un tentacolare sistema di dighe,
canali e cisterne, l’acqua non mancava mai. Con sommo beneficio per
l’agricoltura, se è vero che, come scrisse lo storico e geografo dell’epoca
Strabone, la città abbondava anche di campi coltiva oltre che di denaro.
AMBIZIOSI. Passando attraverso il Siq, lo
stretto e ben difendibile canyon di entrata a Petra, si apriva una meravigliosa vallata dove la vita
e la morte andavano a braccetto: in mezzo a spettacolari edifici privati,
pubblici e religiosi si ergevano tombe ellenistiche scavate nella roccia, come
quella de re deificato Obodas I, alta 50 metri e detta “il Monastero”. Ma il
monumento forse più impressionante era al-Khazneh, Il Tesoro, che ancora oggi
accoglie con la sua maestosa facciata chi usciva dal Siq. La costruzione,
scolpita nella roccia nel I secolo a.C. come tomba per un re nabateo (forse
Areta III) e probabilmente utilizzata in seguito come tempio, certificava le
aspirazioni dei Nabatei a diventare un potente regno ellenizzato.
A ogni modo, il peso
della cultura greca non finiva qui. Già la corte di Petra era tutta un omaggio
alla grecità. Non era infatti un segreto che i sovrani nabatei volessero
apparire monarchi ellenistici: dopo Areta III, detto appunto il Filellenico,
adottarono titoli regali greci come “amico del popolo” o “salvatore del
popolo”. A fianco del re governavano la sorella, ossia la moglie, e il
fratello, cioè il primo ministro, ma figure importanti a corte erano anche lo
stratega e l’ipparco (comandante della cavalleria), termini e cariche
tipicamente ellenici. Quello che accadeva ai piani alti rifletteva una tendenza
più diffusa. All’apogeo del regno nabateo, vale a dire sotto Areta IV (9 a.C.-
40 d.C.), quasi tutte le antiche tradizioni erano superate. A cominciare dalla
scrittura, visto che nei documenti si usava sempre più il greco e sempre meno
l’amaraico. Inoltre le élite nabatee presero l’abitudine di adottare nomi
ellenici, riempirono le case di affreschi, statue e mosaici e impararono ad
amare i simposi e il teatro. Nenache la religione sfuggì all’ondata
occidentale: Dushara, il dio protettore della dinastia reale, si confuse con Zeus
e la dea al-Uzza con Afrodite (ma anche con la Iside egizia). Questi Nabatei
non si sottomisero a nessuno, se non alla cultura greca.
Mosaico bizantino di una chiesa di Petra
VENDUTI. Lo stesso può dirsi di Roma, come
sottolinea la massima di Orazio: “La
Grecia soggiogata conquistò il rozzo vincitore”. Il comune amore per il
mondo ellenico però non salvò i Nabataei dalla macchina da guerra romana. Un
primo scontro non fu poi così tragico: quando nel corso della Terza guerra
mitradica (73-63 a.C.) Pompeo penetrò in Siria e si spinse fino a Gerusalemme,
inviò contro il regno nabateo un suo luogotenente, Marco Emilio Scauro, per
porre fine ai conflitti nella regione. Areta III non ebbe scelta: “L’arabo acconsentì di versare 300 talenti e
a queste condizioni Scauro ritirò l’esercito dall’Arabia”, scrive lo
storico di origine ebraica Giuseppe Flavio (I secolo d.C.). dove non arrivano
le armi, arrivano i quattrini.
Ma la fortezza naturale
di Petra e il denaro non tennero lontani i Romani a lungo. Durante il I secolo
d.C., Roma aumentò infatti la sua presenza militare sul confine orientale,
soprattutto a causa della minaccia dei Parti. E alla fine il Regno nabateo
divenne più un fastidio che altro: perciò alla morte del re Rabbel II, nel 106
d.C., l’imperatore Traiano annetté i territori dei Nabatei alla provincia
d’Arabia Petrea. Roma si espandeva ancora: niente di nuovo sotto il sole.
Johann Ludwig Burckhardt
La vita di Petra dopo i Natabei.
Sotto la dominazione romana, Petra
conservò un ruolo non trascurabile nella regione. Sebbene infatti capitale
dell’Arabia Petrea fosse Bosra e le principali rotte commerciali si fossero
spostate più a nord (a Palmira per esempio), Petra rimase un centro fiorente,
tanto che la visitarono sia Traiano sia Adriano. Un tremendo terremoto
tuttavia devastò la città nel 363 d.C., altro duro colpo per l’antica
capitale nabatea prima del suo definitivo declino a seguito della conquista
musulmana nel VII secolo. In epoca medievale e moderna gli unici a
frequentare Petra, ormai un villaggio dimenticato, furono i beduini, che la
utilizzarono più che altro come rifugio.
LA SCOPERTA. Nel 1812, dopo secoli di
oblio, l’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt trovò la città rosa
dando agli europei un motivo in più per amare l’Oriente. Nel 1985, il sito
archeologico è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
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Articolo in gran parte di Giulio Talini pubblicato
su Focus storia n. 142. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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