mercoledì 11 luglio 2018

Il vero medioevo - terza parte

SANTO SCIENZIATO.



La mente geniale di Alberto Magno si interessò di tutto. La curiosità, in lui era più forte dei dogmi.



Alberto Magno in un affresco di Tommaso da Modena, Treviso, 1352
Filosofia, astronomia, teologia, scienze naturali:  nulla sfuggiva all’insaziabile curiosità di Alberto di Bollstadt, il vescovo tedesco che per l’ingegno e la sua somma erudizione si guadagnò l’appellativo di Magno, da morto il titolo di santo patrono degli scienziati. Insomma, fu una vera autorità e dispensò il suo sapere nell’Europa dei cosiddetti secoli bui. Forze era troppo avanti per l’epoca, e su di lui cominciarono a circolare strane leggende che lo dipingevano comeun abile mago esperto di occultismo,  in grado addirittura di animare diabolici marchingegni.

BRILLANTE CARRIERA.  Il futuro luminare nacque nella cittadina sveva di Lauingen, nel Sud della Germania, intorno al 1200. discendeva da una famigliari tradizioni militari, ma dimostrò ben presto di essere più incline a impugnare la penna che la spada. Si dedicò con passione allo studio delle arti liberali (che nel Medioevo comprendevano materie come astronomia e aritmetica, oltre a filosofia e retorica-9 e, nel 1223 lasciò la sua terra per Padova, sede di una prestigiosa università. Lì, dopo l’incontro con il domenicano Giordano di Sassonia, prese i voti ed entrò nell’ordine di San Domenico. Fu l’inizio di una brillante carriera accademica, che nei trent’anni successivi lo portò a girare l’Europa in città come Colonia, Ratisbona, Hildesheim, Strasburgo, Friburgo e Parigi, dove insegnò raccogliendo intorno a sé una moltitudine di allievi. Uno di questi fu Tommaso d’Aquino (1225-1274), destinato a diventare il suo discepolo prediletto e a superarlo per fama. Non mancarono inoltre i riconoscimenti politici, dalla carica di priore provinciale dei domenicani della Germania alla dignità di vescovo di Ratisbona (1260) “Il profilo di Alberto fu quello di filosofo e teologo che riuscì a fare politica con la cultura. Forte della sua levatura di studioso internazione, nel 1248 fondò a Colonia una prestigiosa scuola che fu luogo di insegnamento basato sulla riflessione sui testi filosofici e scientifici della tradizione aristotelica e araba”, racconta Nadia Bray, ricercatrice dell’Università del Salento ed esperta in filosofia medievale.

De animalibus (1450-1500 ca., cod. fiesolano 67,Biblioteca Medicea Laurenziana)

Alberto Magno avrebbe lasciato in eredità a Tommaso d’Aquino le sue “ricette” alchemiche.

ALCHIMISTA E INVENTORE.  Il domenicano disse la sua su tutto: botanica, astronomia, biologia, mineralogia e persino arte alchemica. Ben presto, accanto al profilo ufficiale si affiancò così la figura del negromante. Si raccontava che fosse uno dei pochissimi alchimisti a possedere la formula segreta per trasformare i metalli in oro. Del resto, nel suo trattato “de mineralibus (sui minerali)”, affermava di conoscere una pietra utilizzata dai maghi in grado di evocare gli spettri. “Ai suoi tempi, i poteri occulti delle pietre e delle erbe erano molto discussi, e, al pari della magia, l’alchimia medievale era teorizzata e sperimentata”continua l’esperta. Per alcuni tali segretissime ricette sarebbero state trasmesse in eredità al fedele Tommaso d’Aquino. Il celebre allievo compare nel ruolo di guastafeste in uno degli aneddoti più curiosi su Alberto, riportato dal filosofo Enrico di Langenstein (1325-1397). Secondo il racconto, dopo svariati anni di lavoro in cui applicò arcani meccanismi derivate dall’astrologia, il domenicano costruì un sofisticato automa dalla forma umana, forgiato con metalli misteriosi. Una sorta di robot ante litteram, in grado di muoversi da solo e di parlare agli ospiti come un ligio inserviente. Scosso dai poteri del diabolico manufatto ed esasperato dalla sua voce stridula, in un raptus di rabbia Tommaso l’avrebbe fatto a pezzi, beccandosi un’epica sgridata dal maestro.

INCANTESIMI. Invenzioni a parte, ad Alberto furono attribuiti prodigi di stregone,  come quando, avendo ospite il conte d’Olanda Guglielmo II (1227-1256), ordinò di apparecchiare il pranzo all’aperto, nonostante il giardino del convento fosse ricoperto di neve.
Appena il banchetto fu pronto, come per miracolo le neve scomparve. “L’episodio, narrato dall’umanista Giovanni di Tritemio nella Cronaca di Sponheim (scritta tra il 1495 e il 1509), dice che Guglielmo e la sua comitiva assistettero esterrefatti: non solo la neve e il ghiaccio non c’erano più, ma la vite si adornò di grappoli rubicondi, l’orto di fiori e alberi verdeggianti e il cielo fu allietato dal canto degli uccelli per la durata dell’intero convito, dopo il quale il grigiore dell’inverno prese nuovamente il suo posto” racconta Bray.
La leggenda attribuisce ad Alberto incantesimi ben più azzardati. In un testo del XVI secolo, per esempio, si dice che durante il suo soggiorno a Parigi come studente sarebbe arrivato a teletrasportare la figlia del re di Francia direttamente nel suo lett. Condannato a morte per tale azione, si sarebbe poi arrampicato in cielo con l’aiuto di un gomitolo di lana, riuscendo in tal modo a sfuggire al proprio destino. Non bastasse, stando a una cronaca quattrocentesca, nel periodo in cui era vescovo di Ratisbona il domenicano addomesticò un diavolo che lo dotò di poteri paranormali.


Opere.
Sono state pubblicate due edizioni dell’Opera Omnia di Alberto, la prima a Lione nel 1651 a cura di Padre Pietro Jammy, O.P., l'altra a Parigi (Louis Vivès) nel 1890-99, sotto la direzione dell'Abate Auguste Borgnet dell'Arcidiocesi di Reims.
Una nuova edizione critica (Editio Coloniensis) è in corso di pubblicazione a cura dell'Albertus-Magnus-Institut; sono previsti 41 volumi, di cui 29 sono già stati pubblicati.
La cronologia delle opere fu stilata da Paul von Loë nella sua Analecta Bollandiana (De Vita et scriptis B. Alb. Mag., XIX, XX e XXI). La sequenza logica, invece, fu estrapolata da Padre Mandonnet, O.P., nel Dictionnaire de théologie catholique. L'elenco che segue indica gli argomenti dei vari trattati, i numeri si riferiscono ai volumi dell'edizione Borgnet.
·                    Logica:
·                                Vol. 1:
·                                Super Porphyrium De V universalibus
·                                De praedicamentis
·                                De sex principiis
·                                Peri hermeneias
·                                Analytica priora
·                                Vol. 2:
·                                Analytica posteriora
·                                Topica
·                                De sophisticis elenchis
·                    Scienze fisiche:
·                                Physicorum (3);
·                                De Coelo et Mundo ("Il cielo e il mondo") (4);
·                                De Generatione et Corruptione ("La generazione e la corruzione") (4);
·                                Meteororum (4);
·                                De Mineralibus ("I minerali") (5);
·                                De Natura locorum (9);
·                                De passionibus aeris (9).
·                    Biologia:
·                                De vegetabilibus et plantis ("I vegetali e le piante") (10);
·                                De animalibus ("Gli animali") (11-12);
·                                De motibus animalium ("I moti degli animali") (9);
·                                De nutrimento et nutribili ("Il nutrimento e il nutribile") (5);
·                                De aetate ("L'età") (9);
·                                De morte et vita ("La morte e la vita") (9);
·                                De spiritu et respiratione ("Lo spirito e la respirazione") (9).
·                    Psicologia:
·                                De Anima ("L'anima") (5);
·                                De sensu et sensato ("Il senso e il sensato") (5);
·                                De Memoria, et reminiscentia (5);
·                                De somno et vigilia (5);
·                                De natura et origine animae (5);
·                                De intellectu et intelligibili ("L'intelletto e l'intelligibile") (5);
·                                De unitate intellectus contra Averroistas ("L'unità dell'intelletto contro gli Averroisti") (9).
·                    Philosophia pauperum ("Filosofia dei poveri") (21):
·                                Morale e Politica:
·                                           Ethicorum (7);
·                                           Politicorum (8).
·                                Metafisica:
·                                           Metaphysicorum ("Metafisica") (6);
·                                           De causis et processu universitatis (10).
·                                Teologia:
·                                           Commentario su Dionigi l'Areopagita (14);
·                                           Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo (25-30);
·                                           Summa Theologiae (31-33);
·                                           Summa de creaturis (34-35);
·                                           De sacramento Eucharistiae ("Il sacramento dell'Eucaristia") (38);
·                                           Super evangelium missus est (37).
·                                Esegesi:
·                                           Commentari sui Salmi e sui Profeti (15-19);
·                                           Commentari sui Vangeli (20-24);
·                                           Sull'Apocalisse (38).
·                                Sermoni:
·                                           De quindecim problematibus ("Su quindici problemi"), edito dal Mandonnet nel suo Siger de Brabant (Friburgo, 1899).
Opere dubbi e spurie: I volumi 13, 15, 16, 17, 36 e 37 dell'edizione Borgnet contengono solo opere non autentiche.
·                    De apprehensione (5);
·                    Speculum astronomiae ("Specchio di astronomia") (5);
·                    De alchimia (38);
·                    Scriptum super arborem Aristotelis (38);
·                    Paradisus animae (37);
·                    Liber de Adhaerendo Deo ("Il dover accostarsi a Dio") (37);
·                    De Laudibus Beatae Virginis (36);
·                    Biblia Mariana (37);
·                    Compendium theologicae veritatis ("Compendio della verità teologica");
·                    De causis et proprietatibus elementorum ("Le cause e le proprietà degli elementi");
·                    De erroribus philosophorum ("Gli errori dei filosofi");
·                    De fato ("Il fato");
·                    De lapidibus ("Le pietre");
·                    De praedicabilibus ("Le cose lodevoli");
·                    De praedicamentis ("Le categorie");
·                    In categorias Aristotelis ("Nelle categorie di Aristotele");
·                    Super geometriam Euclidis ("Sulla geometria di Euclide").

La piazza parigina di Maubert porta il nome del grande santo domenicano. Maubert deriva da Magnus Albert, Alberto il Grande, che, per la grande affluenza di studenti alle sue lezioni presso l'università francese, fu costretto a insegnare sulla pubblica piazza, che porta tuttora il suo nome


L’Arte oscura.
Tra alambicchi e filtri, l’alchimia medievale, una disciplina a metà strada fra scienza, magia e filosofia, ebbe il merito di gettare le basi della chimica.
L’alchimia è una disciplina antichissima considerata un mix di nozioni filosofiche, astrologiche, mediche e chimiche. Essa affonda le sue radici nell’Egitto ellenistico e nel mondo arabo (il termine deriverebbe infatti dal greco Khymeia, chimica, arabizzato in al-kimiya, per giungere in Europa in epoca medievale, proprio grazie alla traduzione dei testi del sapere arabo. Oltre a promuovere un percorso di conoscenza e crescita spirituale, gli scopi degli alchimisti furono la ricerca della pietra filosofale (sostanza in grado di trasformare i metalli in oro) e la creazione della panacea (elisir capace di curare tutte le malattie).
BOLLATA. L’arte alchemica fu ufficialmente contrastata dalla Chiesa nel 1317, anno in cui Papa Giovanni XXII emise la bolla Spondent Pariter (che prevedeva severe mule per chi la praticava). Ciononostante continuò a diffondersi fino alle soglie del XVIII secolo e tra le schiere degli alchimisti celebri, assieme a umanisti e scienziati, figurano anche molti religiosi. Confusa nell’immaginario comune con la magia per via del suo linguaggio criptico e ricco di simbolismo, l’arte alchemica fu a lungo considerata un’autentica scienza.
Stregoni o scienziati?
Quello che cercavano, non lo trovarono mai. Non riuscirono né a tramutare i metalli in oro, con la pietra filosofale, né a prolungare l’esistenza umana, con l’elisir di lunga vita. Ma gli alchimisti del Medioevo ebbero comunque il merito di sviluppare, con le loro ricerche, tecniche di laboratorio ed acquisire conoscenze scientifiche che diedero basi alla chimica moderna.
Alchimisti di professione…
RUGGERO BACONE (1214 circa – 1294). Il frate francescano inglese vissuto nel Duecento fu uno dei primi alchimista della Storia. Aveva studiato a Oxford ed è considerato uno degli uomini più colti del suo tempo, tanto da guadagnare il soprannome di Doctor Mirabilis.
PARACELSO. (1493-1541). L’alchimista svizzero, precursore della farmacologia moderna, era convito che il corpo umano fosse un sistema in cui giocavano un ruolo fondamentale zolfo e mercurio. Introdusse così le medicine chimiche, basate sui minerali.
JOHN DEE. (1527-1609). Matematico, navigatore e astronomo alla corte di Elisabetta I. si dedicò anche all’occultismo e nel 1551 fu accusato di stregoneria, ma fu scagionato e non perse mai il favore della sovrana.
…O per passione.
ISAAC NEWTON (1642-1727). Pare che lo scopritore della legge di gravitazione universale e ideatore dei fondamenti della meccanica classica, abbia passato la maggior parte della vita a studiare l’alchimia. Con quali risultati, però non lo sapremo mai.
CARL GUSTAV JUNG (1872-1961). Il simbolismo dell’alchimia fu studiato anche da importanti psichiatri, primo tra tutti Jung (discepolo e poi rivale di Sigmund Freud) che a questa disciplina dedicò numerosi scritti nel corso della sua carriera a partire dal 1944 fino al 1956.
CERCATORI D’ORO

La pietra filosofale doveva esser il risultato dello sforzo degli alchimisti: una materia capace di trasformare in oro i metalli vili e assicurare lunga vita a chine avesse ingerito un frammento.
Ricostruzione ad uso cinematografico della pietra filosofale: secondo la tradizione, se la pietra è rossa ha il potere di trasformare i metalli in oro, grazie al semplice tocco; se bianca in argento.


TRA MITO E SCIENZA. Le leggende su Alberto Magno mago si diffusero mentre era ancora in vita, ma il domenicano avrebbe sempre contestato con forza le accuse di magia nera. Persino sul letto di morte, a Colonia, nel 1280. nei secoli successivi fu erroneamente indicato come l’autore di alcuni scritti esoterici di successo. Tra questi vi fu un celebre grimorio, ovvero un manuale di stregoneria con tanto di formule per incantesimi e pozioni, che si sarebbe rivelato però un clamoroso falso del XVIII secolo. “Gli aneddoti citati non sono affatto documentabili nei testi di Alberto, ma a ben vedere  non furono casuali. Per l’episodio dell’automa, per esempio esiste un suo commento al De anima di Aristotele in cui descrive una Minerva di legno capace di cantare, fabbricata da Dedalo. Studi recenti attestano inoltre che si interessò a testi di scienza naturale con grande libertà”,  precisa l’esperta. L’interpretazione maliziosa di certi spezzoni delle sue opere e l’immagine di un intellettuale di ampie vedute furono insomma fatali ad Alberto, trasformandolo in diabolico negromante. Una nomea che ancora oggi non si è riusciti a cancellare, ma lontanissima dalla verità. “Alberto fu anzitutto uno dei maggiori intellettuali del Medioevo. Con i suoi studi sulle opere di Aristotele restituì alla cultura dell’Occidente latino una delle più importanti tradizioni filosofiche del passato, indagando inoltre con passione i fenomeni naturali” afferma Bray. Beatificato nel 1622, proclamato dottore della chiesa e canonizzato nel 1931, il domenicano ottenne un riconoscimento ufficiale in tal senso quando nel 1941 papa Pio XII lo insignì del titolo di “protettore dei cultori delle scienze naturali”. Dopo quasi sette secoli di calunnie, finalmente Alberto si prendeva la sua rivincita. 

articolo in gran parte di Massimo Manzo pubblicato su Focus Storia n. 139 altri testi e immagini da Wikipedia

Chi ha paura del Medioevo?

Retrograda e bacchettona. Per secoli ce l’hanno raccontata così. Ma l’età di mezzo fu anche allegra e progressista. Ecco alcuni pregiudizi che l’hanno segnata.

  1. FURONO SECOLI BUI PER L’EUROPA. Nient’affatto. L’idea che il Medioevo fosse un’interruzione del luminoso cammino dell’umanità nacque tra la fine del ‘400 e l’inizio del 500 quando gli eruditi contrapposero quel periodo all’età d’oro di greci e romani, e si rafforzò con l’illuminismo nel ‘700. In realtà, tra la metà dell’XI secolo e la fine del XIII in Europa ci fu una congiuntura particolarmente favorevole. Il clima consentiva una buona produzione agricola, la politica era piuttosto stabile, e le guerre (le Crociate) si combattevano abbastanza lontano da non ostacolare gli scambi commerciali. La mazzata arrivò nella metà del ‘300 quando si diffusero epidemie, carestie e guerre. Fu anche un’epoca festaiola: tante sono le manifestazioni del folcore italiane che hanno radici medievali, come la Festa della Sensa (l’Ascensione) a Venezia e la Corsa dei Ceri a Gubbio, ma anche il carnevale, una sorta di guerra ritualizzata in cui ci si affrontava con bastoni e sassi (a Ivrea, per esempio, oggi convertiti in arance)

  1. AVEVANO TUTTI PAURA DELL’ANNO MILLE. Furono gli umanisti del Rinascimento a diffondere questa diceria, per denigrare il Medioevo. Ma le persone non sapevano nemmeno di vivere nell’anno Mille, visto che le annate si contavano in base agli anni di degno dei sovrani. Movimenti di penitenti e millenaristi (il termine si riferisce ai mille anni del regno di Cristo sulla Terra prima del Giudizio universale annunciato nell’Apocalisse) si diffusero in effetti dopo il Mille (e non prima della data fatale), ma non ci sono prove storiche di un panico collettivo. Esiste solo una testimonianza in questa direzione, quella di un monaco dell’abbazia di Saint-Benoit-sur-Loire (Francia), il quale scrisse: “Mi è stato raccontato che nell’anno 994, a Parigi, alcuni preti annunciavano la fine del mondo. Ma erano pazzi”.

  1. I MEDIEVALI ERANO SESSUFOBI. Nel mondo cristiano la morale sessuale era decisa da papi, vescovi e monaci. Conseguenza: la prostituzione, come tutto il sesso al di fuori del matrimonio era considerata peccaminosa. Di fatto, però, venne tollerata. All’inizio del Medioevo le prostitute erano escluse dalla società al pari di ebrei e lebbrosi (e costrette a girare con un nastrino di riconoscimento) . Carlo Magno fu costretto a regolamentare il loro via vai all’interno dello stesso palazzo imperiale di Aquisgrana con leggi severissime: nel 809 stabilì che le meretrici dovevano girare per 40 giorni nude fino alla cintola o essere fustigate in pubblica piazza. Successivamente però, fu considerata una sorta di male necessario sia come strumento di controllo sulle pulsioni sessuali, (gli stupri erano all’ordine del giorno e anche giustificati, specie se la donna violentata era di umili origini) sia di come svago per i mariti, visto che anche il sesso all’interno del matrimonio era condizionato da un calendario pieno di divieti e giorni no. tra il ‘300 e il ‘400 ci fu una capillare diffusione dei bordelli, spesso camuffati da bagni pubblici. A condizioni che fossero lontani dagli istituti religiosi e, ancora meglio, fuori dalle mura della città.

  1. LA PRATICAMolti pensano che il feudatario avesse il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con le moglie dei propri sudditi. Sbagliato: lo ius primae noctis molto probabilmente era una tasse chiesta dal signore in cambio del suo assenso al matrimonio.

  1. LA TERRA Anche se l’alessandrino Cosma Indicopleuste, nel VI secolo d.C., l’aveva descritto trapezoidale, la maggior parte degli eruditi medievali sapeva benissimo che il nostro pianeta era sferico. A mettere in giro la diceria che diceva il contrario furono nel ‘500 gli umanisti che avevano preso in mano le mappe medievali di forma circolare (proprio come i planisferi di oggi): per loro questa era la prova che per i dotti del tempo il mondo era un disco. Ma era scritto persino sul manuale di astronomia più diffuso dell’università, il liber de sphaera (trattato della sfera) redatto nella prima metà del XIII secolo dall’inglese Giovanni i Sacrobosco.

  1. ERANO TUTTI ANALFABETI. Pochi sapevano leggere e scrivere, è vero, ma le novità in quei secoli non mancarono. Carlo Magno (742-814) fece aprire scuole pubbliche in mezza Europa. E, più tardi, la nascita della stampa (quella a caratteri mobili fu inventata alla metà del ‘400 da Johann Gutenberg, tipografo di Magonza) e la diffusione del libro composto con fogli separati fece da traino alla diffusione delle università che erano nate un paio di secoli prima. La circolazione delle conoscenze antiche e la formazione dei figli dei nobili (e, talvolta, dei mercanti più ricchi) era invece garantita dai monasteri. Ultima ciliegina: di invenzione medievale furono gli occhiali, per molti supporto fondamentale alla lettura.

  1. BRUCIAVANO LE STREGHE. In realtà, i famigerati roghi delle streghe furono un fenomeno successivo, del XVI e del XVII secolo. A dirlo sono i numeri e le date: circa 3000 donne furono arse vive nel Nord Italia nei primi decenni del Cinquecento, 10mila nella sola Polonia del Seicento. L’inquisizione fu si un’invenzione medievale, ma più che di streghe si occupava di eretici.

  1. VIVEVANO NELL’ANARCHIA. Dimenticato il diritto romano, mancavano le leggi? Al contrario: nel Medioevo infatti ne furono emanate molte. Il codice giustinianeo, per esempio, una raccolta delle costituzioni  imperiali, riordinate tra il 529 e il 534 dall’imperatore romano d’Oriente. Ma anche l’Editto di Rotari, promulgato dall’omonimo re dei Longobardi nel 643, che codificava, per la prima volta per iscritto, il diritto longobardo. Più tardi, nel XII secolo, il monaco Graziano raccolse nel suo Decretum le fonti del diritto canonico e il sovrano inglese Giovanni Senza Terra concesse ai baroni la Magna Charta libertatum (1215). Questo fu il primo e fondamentale passo verso il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini. Nasceva, cioè l’antenata delle costituzioni di oggi.
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Articolo in gran parte di Massimo Manzo, altri testi e foto da  Wikipedia.


VITE AI MARGINI
Mendicanti, attori, usurai, spazzini, chirurghi, malati… Erano tanti gli indesiderabili al tempo delle cattedrali

a cura di Roberto Roveda

Essere anticonformisti nel Medioevo non andava di moda. Tutti avevano, infatti, il loro posto, nella codificazione della società fatta da Adalberone, vescovo di Leon  nell’XI secolo. Si trattava di una divisione in tre ordini separati e organizzati in modo gerarchico: in cima alla piramide stavano sacerdoti e monaci (gli oratores, coloro che pregano) poco sotto l’aristocrazia dei cavalieri (i bellatores, coloro che combattano), alla base la grande massa di quanti garantivano la sopravvivenza di tutti con oli loro lavoro (i laboratores). Oggi sappiamo che questa visione del mondo non sempre corrispondeva alla realtà, ma per secoli fu usata come bussola sociale. Chi non rientrava in queste categorie era guardato con sospetto, messo ai margini e considerato una minaccia per la stabilità della comunità. Perché, come ha scritto il grande storico Jacques Le Goff, per l’uomo medievale “negli emarginati era all’opera il nemico del genere umano: il diavolo” . Insomma, si faceva presto a finire alla gogna o su un rogo quando non si era facilmente incasellabili. E di “non incasellabili” ce n’erano parecchi.

CHI NON AVEVA UN LAVORO UTILE E DEGNO E UNA RESIDENZA STABILE, IN CASO DI CATTIVI RACCOLTI O EPIDEMIE DIVENTAVA UN CAPRO ESPIATORIO.

Poveri e malati, vade retro…
Ai mendicanti si doveva fare la carità per obbligo cristiano, ma in realtà erano mal sopportati e venivano spesso considerati degli oziosi che vivevano alle spalle degli altri. Nei trattati dell’epoca erano definiti “pesi inutili al mondo” e il passo dalla compassione al ribrezzo per le deformità fisiche che i malcapitati mettevano in mostra per ottenere l’elemosina era breve. Bastava un cattivo raccolto o un’epidemia perché la rabbia popolare esplodesse contro questi poveri disgraziati e nelle vie cittadine scattasse la caccia al mendicante o allo storpio. A esasperare tanta intolleranza c’era il fatto che per l’uomo mediovale la malattia, soprattutto se deformava il corpo, era segno dei peccati commessi. Ha scritto Le Goff: “vigeva la nozione di purezza, radicata nella credenza dell’unione indissolubile di corpo e anima e nella credenza che la corruzione del cropo fosse una espressione dello stato dell’anima”.



La malattia fisica era il segno di aver commesso peccato 


La Parabola dei ciechi è un dipinto a tempera su tela di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1568 circa e conservato nel Museo nazionale di Capodimonte di Napoli. Wikipedia
Dimensioni: 85 cm x 1,54 m
Supporti: Colore ad olio, Pittura a tempera
  


Macellai e banchieri lavori sporchi.
molti lavori, per quanto necessari, erano considerati infamanti. Macellai, barbieri, boia e chirurghi erano guardati con disprezzo perché erano spesso in contatto con il sangue, e il sangue era un tabù che la società medioevale ereditò dalla Bibbia e dal mondo ebraico. Anche la sporcizia suscitava disprezzo in una società che dava importata alla purezza.  Per questo netturbini, tintori, lavandai e becchini erano evitati come la peste, e la stessa condanna si estendeva ai loro figli. Tanto che le corporazioni, tra le condizioni per ottenere i diritti corporativi, esigevano che i canditati non fossero figli illegittimi o di genitori non liberi oppure provenienti da famiglie dove si volgevano professioni infamanti. Ed emarginati furono a lungo banchiere e affini. Perché la Chiesa considerava il denaro lo sterco del diavolo: guadagnare maneggiandolo e prestandolo significava essere degli usurai e l’usura era un peccato gravissimo. Così questi mestieri erano lasciati agli ebrei, altri celebri “esclusi” del tempo (e capri espiatori per tutte le occasioni). Fino a quando i guadagni non fecero più gola dei divieti.



Serie di ritratti di coppie mal assortite. Le prostitute vendevano il corpo, dove per l’uomo medioevale si annidava più facilmente il male.



Donne pubbliche e pubblicani.
Le prostitute? Additate ed escluse, ovviamente. E i motivi erano più di uno:avevano condotta immorale e facevano commercio del corpo in cui, nella concezione medioevale, si annidava più facilmente il peccato, e quindi il Male. L’ostracismo verso di loro era ancora più forte perché si trattava di donne che non svolgevano il ruolo socialmente designato, quello di mogli e madri. Per comprendere un tale clima basta leggere alcuni brani del teologo Giovanni di Salisbury, vissuto nel XII secolo. A sentir lui le prostitute erano mostri con corpo umano e bisognava sterminarle. I suoi contemporanei la pensavano però diversamente e il mestiere più antico del mondo non conobbe crisi neppure in quei tempi.






Giocolieri, attori e musicanti erano giramondo e condannati dalla Chiesa. Sant’Agostino proibiva loro i sacramenti.


Pastori e saltimbanchi.
Città e villaggi erano piccole realtà e ci si conosceva tutti. Solitari e vagabondi venivano quindi considerati tipi strani, folli, o peggio ancora servi del demonio da cui stare alla larga il più possibile. Un sospetto, questo, che si estendeva anche ai pastori, come ha scritto lo storico Bronislaw Geremek: “la pastorizia richiedeva un ritmo di vita migratoria, quindi l’allontanamento dalle fisse dimore lunghi periodi di solitudine, il vivere a lungo insieme agli animali, lontano da casa e dalla collettività, significava tirarsi addosso vari sospetti (tra l’altro bestialità e sodomia)”. Fare i giramondo non portava bene neanche ad attori, giocolieri e saltimbanchi guardati con sospetto dalla Chiesa che li considerava alleati del diavolo al pari delle prostitute. I guitti passavano poi di città in città, quindi erano anche loro degli estranei, e il loro lavoro era considerato “inutile”.



Lebbrosi: morti viventi
Nella tendenza tutta medioevale di escludere i malati, i lebbrosi erano emarginati fra gli emarginali. Nel millecentosettantanove il III Concilio Lateranense stabilì con il canone De leprosis, che a causa del pericolo del contagio (oggi sappiamo che in realtà non sono così pericolosi), i lebbrosi non potevano stare a contatto con le persone. Questa esclusione si concretizzava con l’espulsione dalla comunità, sancita da un iter ben preciso. Chiunque fosse sospettato di aver contratto la malattia era esaminato da una commissione composta da medici e da ecclesiastici. Se il responso era sfavorevole, il malato doveva essere internato in un lebbrosario, fuori dalle mura. E da allora era considerato una specie di morto vivente: per consacrare questa condizione, il distacco dalla società era accompagnato da una macraba cerimonia, durante la quale veniva celebra una messa funebre.  I lebbrosi erano costretti a portare una campanella per segnalare la sua presenza da londa quando era fuori dal lebbrosario.






Il terrificante uomo-belva
Nella mentalità medioevale l’iovo che viveva inselvatichito nelle boscaglie, soggetto solo alle regole della macchia, diveniva una sorta di “uomo-lupo”, dunque un non uomo, o quanto meno l’antitesi del buon cittadino. Questa figura non del tutto umana, estranea alla comunità e abituata a sopravvivere nella natura selvaggia e inospitale, era protagonista di racconti leggendari che variavano da luogo a luogo. Un esempio è quello del cosiddetto “uomo selvatico”, che la tradizione popolare voleva vivesse del tutto solitario nei boschi di alta montagna. Nelle narrazioni giunte fino a noi è in genere ricoperto di pelo così folto, tra barba e capelli incolti, da rendere superfluo l’uso degli abiti. È dotato di forza, robustezza e fiuto eccezionali, per inseguire la preda, e ovviamente non si lava. Per questo era una figura terrificante, esaltata dalla pelle di caprone con cui si ammantava nelle sue raffigurazioni.


articolo in gran parte di Roberto Roveda altri testi e immagini da Wikipedia



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