lunedì 30 luglio 2018

bombardamento porto di Bari: la nave segreta

LA NAVE SEGRETA.
Nel porto di Bari, occupato dalle forze inglesi, i primi di dicembre del 1943 alcuni aerei tedeschi bombardarono le navi da rifornimento, in rada. Tra queste ce n’era uno che non avrebbe dovuto essere lì.




Bombardamento di Bari (1943) - 5.jpg

Il porto visto da una postazione antiaerea dopo l'attacco

La sera del 2 dicembre 1943, 105 bombardieri Junkers Ju 88 appartenenti alla Luftflotte 2 tedesca bombardarono lenavi da trasporto ancorate alla fonda del porto; l'attacco causò grosse perdite per gli alleati, che non subivano un'incursione aerea a sorpresa di tale efficacia a un proprio porto dall'attacco giapponese di Pearl Harbor[1



Il 2 dicembre 1943, in piena Seconda guerra mondiale ai soccorritori accorsi al porto di Bari, appena bombardato, si presentò una scena da inferno dantesco: fumo e fiamme, morti che galleggiavano in acqua feriti e mutilati con indosso un salvagente e strazianti grida di aiuto. Un testimone, imbarcato sulla nave Vulcan, riferì che “sembrava che tutto il mondo andasse a fuoco”. Un attacco della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, aveva infatti appena colpito alcuni cargo inglesi presenti in rada. L’attacco, che qualcuno chiamò la Pearl Harbour italiana, fu compiuto da dai bombardieri durante le operazioni di carico e scarico delle navi. Le vittime, soprattutto militari, secondo lo storico e giornalista americano Rick Atkinson, furono più di mille. Si stima che morirono 186 civili, normali cittadini che passavano di lì per caso o che abitavano nei dintorni del porto.

Risultati immagini per immagini junkers ju 88

junker ju88


PORTO STRATEGICO. Dall’11 settembre (3 giorni dopo che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli Alleati9 la città pugliese, considerata strategica per gli approvvigionamento delle forze inglesi dell’8a Armata britannica, era sotto il controllo delle forze inglesi. E lo scopo dei bombardamenti tedeschi era proprio quello di ostacolare i rifornimenti delle truppe in zona. L’obbiettivo era l’affondamento di 17 navi e il danneggiamento di altre 7, fu raggiunto. Un successo per i nazisti, che fu usato soprattutto a fini propagandistici, per compensare le numerose sconfitte subite nel corso di quell’anno. Tra le imbarcazioni colpite vi fu anche la USS John Harvey, che aveva un carico speciale. Il cargo americano trasportava un migliaio di ordigni e soprattutto, ma questo i tedeschi non lo sapevano, 100 tonnellate di iprite, un gas altamente tossico, che sotto i colpi fuoriuscì, contaminando acqua e aria.

SS John Harvey on fire 12-2-1943, Italian port of Bari.JPG

SS John Harvey on fire
on 2 December 1943 at Bari

INTOSSICATI.  Gli effetti del gas non tardarono a manifestarsi. Qualche ora dopo l’attacco tedesco si sparse nell’aria un forte odore acre, simile a quello dell’aglio, che faceva bruciare gli occhi, e iniziarono a manifestarsi sintomi apparentemente inspiegabili per i medici. Nelle corsie dell’ospedale i primi feriti accusarono improvvisi abbassamenti di pressione e qualcuno cadde in uno stato di quasi letargia, ma soprattutto nessuna delle terapie somministrate dai sanitari sembrava dare risultati apprezzabili sui malati. Quando poi alcuni feriti da poco arrivati, che avevano ancora indosso ancora i vestiti inzuppati d’acqua, morirono all’improvviso, i medici capirono che erano stati intossicati. L’iprite era un gas tristemente noto ai sanitari perché usato già nella Prima guerra mondiale. Nonostante i vertici militari minimizzassero, non vi erano dubbi: all’insaputa di tutti una nave “tossica” era stata ormeggiata al porto. Ma perché e per quale motivo?

TRASPORTI ECCEZIONALI. Questo carico speciale aveva alle spalle una storia complessa. Gli americani dicevano di essere in possesso di alcune intercettazioni e di documenti attestanti il fatto che Hitler, pur di frenare l’avanzata degli Alleati, fosse disposto ad usare le armi chimiche. Sospetto che secondo lo stato maggiore americano era stato confermato durante gli interrogatori anche da alcuni ufficiali tedeschi fatti prigionieri. Per questo motivo a Washington fu deciso di inviare in Italia un grosso quantitativo di gas da usare per un’eventuale rappresaglia. Fondati o meno che fossero i sospetti, una cosa è certa: la scelta metteva gli Usa in una situazione imbarazzante, dal momento che erano tra i Paesi firmatari della convenzione dell’Aia del 1899, che bandiva l’uso di armi chimiche in guerra, non solo per l’attacco ma anche per la rappresaglia.

SEGRETO DI STATO. Alla Harvey quindi non restò che partire dagli States in gran segreto, solo il comandante della nave e i suoi ufficiali erano a conoscenza dello scottante contenuto del cargo. Quando poi la bomba tedesca colpì l’imbarcazione, causando la morte di tutti i 41 membri dell’equipaggio, e la conseguente fuoriuscita del gas, lo stato maggiore statunitense decise che era necessario nascondere l’accaduto all’opinione pubblica. Non solo per i morti provocati dai gas, ma anche per non dare a Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, una buona occasione per denigrare gli Alleati. Il silenzio sull’accaduto calò fin dai giorni immediatamente successivi al bombardamento. L’8 dicembre un comunicato del quartier generale alleato specificava che, per motivi legati alla sicurezza nazionale e alla segretezza delle operazioni militari in corso, i decessi strani sarebbero stati classificati genericamente come causati da una “dermatite non meglio identificata”. La censura funzionò alla perfezione anche sui giornali, il quotidiano Washington Post, in un editoriale di metà dicembre, trattò ampiamente l’episodio del porto pugliese senza tuttavia fare il minimo cenno alla nave carica di sostanze tossiche. Nei mesi successivi alla tragedia però, per volere del generale Dwight Eisenhower, comandante in capo delle truppe americane in Europa, fu istituita una commissione militare con il compito di indagare sui fatti e sulle morti sospette. L’inchiesta si basò soprattutto sui referti medici, in cui si affermava che, non sapendo inizialmente della presenza in porto del materiale tossico, il personale sanitario non era preparato e non aveva adottato le misure indispensabile per salvare i feriti in questi casi, come togliere immediatamente i vesti e lavare gli intossicati.

Iprite.

Il tioetere del cloroetano, più noto come iprite, è uno dei gas impiegati per la guerra chimica; è conosciuto anche come gas mostarda per il suo caratteristico odore[1][2].


Caratteristiche chimiche

Chimicamente è il tioetere del cloroetano, un liquido di color bruno-giallognolo dal caratteristico odore di aglio osenape, abbastanza stabile all'aria, con elevato punto di ebollizione e bassa tensione di vapore; anche il punto di fusione è basso; si tratta perciò di una sostanza assai persistente. L’Iprite è un vescicante d'estrema potenza, possedendo la spiccata tendenza a legarsi a molte e diverse molecole organiche costituenti l'organismo.



NELL’OMBRA. Tutto questo fu fatto ma quando ormai era troppo tardi, molti uomini avevano purtroppo respirato per ore le esalazioni tossiche provenienti dai loro indumenti e non erano sopravvissuti. Nel marzo del 1944 la commissione concluse che parte delle vittime erano morte a causa della contaminazione da iprite. L’episodio del bombardamento del porto pugliese e delle esalazioni del gas, comunque, è rimasto a lungo nell’ombra, perché gli Usa decretarono tutti i documenti, rendendoli consultabili solo 15 anni dopo la fine del conflitto, nel 1959. Nel 1971 un esperto di storia militare, Glenn B. Infield, scrisse il primo saggio sull’argomento: Disastro a Bari- soltanto negli anni ’80 il governo britannico riconobbe ufficialmente che i militari erano stati colpiti dall’iprite, e ritoccò di conseguenza le pensioni dei sopravvissuti ai bombardamenti di Bari.


Articolo in gran parte di Riccardo de Rosa pubblicato sul numero 141 di Focus Storia. Altri testi e immagini da Wikipedia.   

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