Nel porto di Bari,
occupato dalle forze inglesi, i primi di dicembre del 1943 alcuni aerei
tedeschi bombardarono le navi da rifornimento, in rada. Tra queste ce n’era uno
che non avrebbe dovuto essere lì.
Il porto visto da una postazione antiaerea dopo l'attacco
La sera del 2 dicembre 1943, 105 bombardieri Junkers Ju 88 appartenenti alla Luftflotte 2 tedesca bombardarono lenavi da trasporto ancorate alla fonda del porto; l'attacco causò grosse perdite per gli alleati, che non subivano un'incursione aerea a sorpresa di tale efficacia a un proprio porto dall'attacco giapponese di Pearl Harbor[1
Il 2 dicembre 1943, in piena Seconda
guerra mondiale ai soccorritori accorsi al porto di Bari, appena bombardato, si
presentò una scena da inferno dantesco: fumo e fiamme, morti che galleggiavano
in acqua feriti e mutilati con indosso un salvagente e strazianti grida di
aiuto. Un testimone, imbarcato sulla nave Vulcan, riferì che “sembrava che tutto il mondo andasse a
fuoco”. Un attacco della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, aveva
infatti appena colpito alcuni cargo inglesi presenti in rada. L’attacco, che
qualcuno chiamò la Pearl Harbour
italiana, fu compiuto da dai bombardieri durante le operazioni di carico e
scarico delle navi. Le vittime, soprattutto militari, secondo lo storico e
giornalista americano Rick Atkinson, furono più di mille. Si stima che morirono
186 civili, normali cittadini che passavano di lì per caso o che abitavano nei
dintorni del porto.
junker ju88
PORTO STRATEGICO. Dall’11 settembre
(3 giorni dopo che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli Alleati9 la
città pugliese, considerata strategica per gli approvvigionamento delle forze
inglesi dell’8a Armata britannica, era sotto il controllo delle forze inglesi.
E lo scopo dei bombardamenti tedeschi era proprio quello di ostacolare i
rifornimenti delle truppe in zona. L’obbiettivo era l’affondamento di 17 navi e il danneggiamento di altre 7,
fu raggiunto. Un successo per i nazisti, che fu usato soprattutto a fini
propagandistici, per compensare le numerose sconfitte subite nel corso di
quell’anno. Tra le imbarcazioni colpite vi fu anche la
USS John Harvey, che aveva un carico
speciale. Il cargo americano trasportava un migliaio di ordigni e soprattutto,
ma questo i tedeschi non lo sapevano, 100 tonnellate di iprite, un gas
altamente tossico, che sotto i colpi fuoriuscì, contaminando acqua e aria.
SS John Harvey on fire
on 2 December 1943 at Bari
on 2 December 1943 at Bari
INTOSSICATI. Gli
effetti del gas non tardarono a manifestarsi. Qualche ora dopo l’attacco
tedesco si sparse nell’aria un forte odore acre, simile a quello dell’aglio,
che faceva bruciare gli occhi, e iniziarono a manifestarsi sintomi
apparentemente inspiegabili per i medici. Nelle corsie dell’ospedale i primi
feriti accusarono improvvisi abbassamenti di pressione e qualcuno cadde in uno
stato di quasi letargia, ma soprattutto nessuna delle terapie somministrate dai
sanitari sembrava dare risultati apprezzabili sui malati. Quando poi alcuni
feriti da poco arrivati, che avevano ancora indosso ancora i vestiti inzuppati
d’acqua, morirono all’improvviso, i medici capirono che erano stati
intossicati. L’iprite era un gas tristemente noto ai sanitari perché usato già
nella Prima guerra mondiale. Nonostante i vertici militari minimizzassero, non
vi erano dubbi: all’insaputa di tutti una nave “tossica” era stata ormeggiata
al porto. Ma perché e per quale motivo?
TRASPORTI ECCEZIONALI. Questo carico speciale aveva alle spalle una storia
complessa. Gli americani dicevano di essere in possesso di alcune
intercettazioni e di documenti attestanti il fatto che Hitler, pur di frenare
l’avanzata degli Alleati, fosse disposto ad usare le armi chimiche. Sospetto
che secondo lo stato maggiore americano era stato confermato durante gli
interrogatori anche da alcuni ufficiali tedeschi fatti prigionieri. Per questo
motivo a Washington fu deciso di inviare in Italia un grosso quantitativo di
gas da usare per un’eventuale rappresaglia. Fondati o meno che fossero i
sospetti, una cosa è certa: la scelta metteva gli Usa in una situazione
imbarazzante, dal momento che erano tra i Paesi firmatari della convenzione
dell’Aia del 1899, che bandiva l’uso di armi chimiche in guerra, non solo per
l’attacco ma anche per la rappresaglia.
SEGRETO DI STATO. Alla Harvey quindi non restò che partire dagli
States in gran segreto, solo il comandante della nave e i suoi ufficiali erano
a conoscenza dello scottante contenuto del cargo. Quando poi la bomba tedesca
colpì l’imbarcazione, causando la morte di tutti i 41 membri dell’equipaggio, e
la conseguente fuoriuscita del gas, lo stato maggiore statunitense decise che
era necessario nascondere l’accaduto all’opinione pubblica. Non solo per i
morti provocati dai gas, ma anche per non dare a Joseph Goebbels, ministro
della Propaganda del Terzo Reich, una buona occasione per denigrare gli
Alleati. Il silenzio sull’accaduto calò fin dai giorni immediatamente
successivi al bombardamento. L’8 dicembre un comunicato del quartier generale
alleato specificava che, per motivi legati alla sicurezza nazionale e alla
segretezza delle operazioni militari in corso, i decessi strani sarebbero stati
classificati genericamente come causati da una “dermatite non meglio
identificata”. La censura funzionò alla perfezione anche sui giornali, il
quotidiano Washington Post, in un editoriale di metà dicembre, trattò
ampiamente l’episodio del porto pugliese senza tuttavia fare il minimo cenno
alla nave carica di sostanze tossiche. Nei mesi successivi alla tragedia però,
per volere del generale Dwight Eisenhower, comandante in capo delle truppe
americane in Europa, fu istituita una commissione militare con il compito di
indagare sui fatti e sulle morti sospette. L’inchiesta si basò soprattutto sui
referti medici, in cui si affermava che, non sapendo inizialmente della
presenza in porto del materiale tossico, il personale sanitario non era
preparato e non aveva adottato le misure indispensabile per salvare i feriti in
questi casi, come togliere immediatamente i vesti e lavare gli intossicati.
Iprite.
Il tioetere del cloroetano, più noto come iprite, è uno
dei gas impiegati
per la guerra chimica; è conosciuto anche come gas mostarda per il suo caratteristico odore[1][2].
Caratteristiche
chimiche
Chimicamente è il tioetere del cloroetano, un liquido di color
bruno-giallognolo dal caratteristico odore di aglio osenape, abbastanza stabile all'aria, con
elevato punto di ebollizione e bassa tensione di vapore;
anche il punto di fusione è basso; si tratta perciò di una sostanza
assai persistente. L’Iprite è un vescicante d'estrema potenza, possedendo la
spiccata tendenza a legarsi a molte e diverse molecole organiche costituenti
l'organismo.
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NELL’OMBRA. Tutto questo fu fatto ma quando ormai era troppo
tardi, molti uomini avevano purtroppo respirato per ore le esalazioni tossiche
provenienti dai loro indumenti e non erano sopravvissuti. Nel marzo del 1944 la
commissione concluse che parte delle vittime erano morte a causa della
contaminazione da iprite. L’episodio del bombardamento del porto pugliese e
delle esalazioni del gas, comunque, è rimasto a lungo nell’ombra, perché gli
Usa decretarono tutti i documenti, rendendoli consultabili solo 15 anni dopo la
fine del conflitto, nel 1959. Nel 1971 un esperto
di storia militare, Glenn B. Infield, scrisse il primo saggio sull’argomento:
Disastro a Bari- soltanto negli anni ’80 il governo britannico riconobbe ufficialmente
che i militari erano stati colpiti dall’iprite, e ritoccò di conseguenza le
pensioni dei sopravvissuti ai bombardamenti di Bari.
Articolo in gran parte di Riccardo de Rosa pubblicato sul
numero 141 di Focus Storia. Altri testi e immagini da Wikipedia.