Battaglia di Lissa (1866)
La rivincita asburgica
Nel quadro della Terza guerra
d’Indipendenza, la flotta dell’impero austriaco inflisse alla neo costituita
Regia marina italiana una drammatica quanto rovinosa sconfitta nelle acque
dell’Adriatico.
La Re d'Italia affonda dopo essere stata speronata dalla Erzherzog Ferdinand Max, nave ammiraglia di Tegetthof
Nel groviglio del primo
scontro tra navi corazzate in acque europee, quel 20 luglio 1866 presso l’isola
di Lissa, in pieno Adriatico, si sentiva urlare in veneto: però non dalla parte
della flotta italiana, che era stata formata pochi anni prima dalla fusione delle
flotte degli Stati preunitari, bensì dalla parte austriaca. Gli effettivi della
marina asburgica di origine veneziana erano infatti centinaia. Proprio il
momento culminante della carneficina, quando la pirofregrata corazzata
austriaca Erzherzog Ferdinand Max speronò la Re d’Italia, fu scandito da un ordine in veneto
che il comandante supremo della flotta asburgica, Wilhelm von Tegetthoff,
impartì al suo timoniere, tale Vincenzo “Nane” Vianello nato sull’isolotto di
Pellestrina: “Dàghe dentro Nane, che i bùtemo a fondi”. Che un ammiraglio
austriaco imparasse il veneto per comunicare con i suoi uomini era cosa
naturale, dato che i sudditi di lingua germanica o ungherese cominciavano solo
allora a prender confidenza col mare. Pochi anni prima, Tegethoff aveva
scritto, riferendosi agli austriaci “doc”: “Noi
non abbiamo marinai, a meno non si voglia chiamare tali tutti coloro che
indossano il camisaccio azzurro”. Venezia all’epoca era ancora parte
dell’impero asburgico e se alla fine di quel conflitto, che la storiografia
risorgimentale battezzò “Terza Guerra d’Indipendenza”, passò all’Italia fu solo
perché a battere l’Austria ci pensò la Prussia del cancelliere Otto Von Bismarck,
alleata dei Savoia. A Vienna l’imperatore Francesco Giuseppe masticò amaro per
aver perso la guerra. Ma si consolò al pensiero che a Lissa l’impero si era
preso una bella rivincita sulla neonata Italia unita.
NOVITA’ E INCOGNITE. Entrambe le flotte, la Regia Marina italiana e la
austriaca Osterreichische Kriegsmarine, stavano attraversando in quegli anni
una fase di trasformazione, col passaggio dalla vela alla propulsione a vapore
e l’adozione della blindatura per gli scafi. Come tutti in Europa, anche
italiani e austriaci erano stati attenti osservatori del debutto operativo
delle primissime corazzate nella guerra di secessione americana, sfociato nel
1862 nell’epico duello della baia di Hampton Roads fra la Monitor nordista e la Virginia sudista. Proprio
agli Stati Uniti, per la precisione ai cantieri Webb di New York, la Regia Marina commissionò la
costruzione della Re d’Italia e della gemella Re di Portogallo. Erano unità che
miscelavano vecchio e nuovo, con lo scafo ancora in legno ma rivestito di una
fascia di lastre d’acciaio sulle fiancate. Potevano navigare anche a vela, con
attrezzatura da brigantino, ma la propulsione principale era ormai considerata
quella meccanica, con una macchina a 6 caldaie da 800 cavalli che azionava
un’elica. L’armamento era per la maggior parte costituito da cannoni a canna
rigata, ma sopravvivevano alcuni vecchi pezzi ad anima liscia. Quando la
pirofregata corazzata Re d’Italia arrivò in Italia (un nostro equipaggio
l’aveva presa in consegna direttamente dagli Stati Uniti per condurla in patria
con una crociera transatlantica fra l’8 e il 10 aprile 1864) venne giudicata
subito all’avanguardia. Celava però vari difetti, per esempio la cattiva
qualità del motore a vapore, tanto che la velocità massima originaria di 12
nodi, circa 22 kmh, si ridusse presto a soli 9 nodi effettivi.
Maggiori
speranze erano risposte nel cosiddetto ariete corazzato Affondatore, ordinato
ai cantieri inglesi di Millwall e completato in ritardo. Varato il 3 novembre
1865, entrò in servizio il 6 giugno 1866, appena un mese prima della battaglia.
Più blindato delle pirofregate, l’Affondatore aveva due avveniristiche torri
girevoli, ciascuna con un cannone Armstrong da 254 mm . Il concetto
dell’ariete corazzato portava alle estreme conseguenze il ritorno in auge
dell’antica tattica dello speronamento, dovuto all’affermarsi della propulsione
meccanica e della direzionabilità istantanea. Perciò la nave era stata dotata a
prua di un rostro fucinato lungo 2 metri , che serviva per sfondare gli scafi
nemici. Si rivelò, però, poco manovrabile, e lo stesso equipaggio non ebbe il
tempo di addestrarsi per farlo funzionare meglio. Anche gli austriaci, dal
canto loro, dovevano fronteggiare vari problemi tecnici. La Ferdinand Max avrebbe dovuto
essere armata con due cannoni tedeschi Krupp da 203 mm . A canna rigata, ma poiché allo scoppio del
conflitto, il 16 giugno 1866, la
Prussia aveva posto l’embargo questi non arrivarono mai così
Togetthoff ordinò che la nave operasse soprattutto in funzione dello
speronamento. Anche la blindature era incompleta e venne concentrata sul solo
settore anteriore. In generale, però, era la Regia Marina italiana la più
problematica: alle pecche tecniche si aggiungevano infatti fosche ombre sulla
coesione del corpo ufficiali, diviso da rancori e gelosie. Alla vigilia della
guerra, il comando della flotta venne affidato all’ammiraglio piemontese Carlo
Pellion di Persano, veterano sessantenne, nato a Vercelli l’11 marzo 1806,
suscitando la rivalità di vari colleghi, specie del sardo Giovan Battista
Albini e del napoletano Giovanni Vacca, che proveniva dalla disciolta flotta
del regno borbonico.
Le
fasi della battaglia.
Fase 1 – il taglio.
Verso le 10,45 del 20 luglio
1866 la squadra austriaca dell’ammiraglio Tegetthoff avanza di taglio
rispetto alla linea principale delle navi italiane, comandata dall’ammiraglio
Persano e dai suoi sottoposti Vacca e Riboty, mentre Albini, con le navi in
legno si tiene in disparte.
Fase 2 – la rottura.
Tegetthoff nota un crescente varco, fino a un chilometro e mezzo, fra
l’ultima nave di Vacca,
Fase 3 – la fine.
Verso le 12,10 è tutto finito. Gli austriaci si ritirano paghi
dell’affondamento della Re d’Italia e dello scompaginamento del gruppo di
Persano, mentre le restanti divisioni della flotta italiana, meno provate, o
nel caso della div. Albini, intatte, rinunciano all’inseguimento.
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PROBLEMI TRASCURATI. Allo scoppio del conflitto, l’ammiraglio Persano avvertì
che la flotta italiana, sorpresa in cruciale momento di trasformazione, era
ancora impreparata alla guerra. Secondo lui ci sarebbero voluti almeno tre mesi
in più di tempo per addestrare gli uomini a dovere, ma dovette subire la
pressione dei politici e così, riunita la flotta nel porto di Taranto il 16
giugno, salpò per Ancona il 21. il porto marchigiano doveva fungere da base
avanzata dirimpetto alle coste nemiche di Veneto, Istria e Dalmazia. Gli ordini
superiori intimavano perentoriamente: “Sbarazzare
l’Adriatico dalle navi da guerra nemiche, attaccandole dove si troveranno”. La
formazione italiana, forte di 11 corazzate, arrivò ad Ancona la sera del 25
giugno accusando avarie dovute alla novità dei mezzi, ma la sua presenza
riuscì, almeno in principio, a scoraggiare un’azione nemica. Il 27 giugno, infatti, spuntarono
all’orizzonte alberi e fumaioli della flotta austriaca di Tegetthoff, tuttavia
l’ammiraglio asburgico non sapeva che Persano fosse già arrivato ad Ancona e si
trovò spiazzato. Quando Persano ordinò alla flotta di uscire al largo e
affrontare il nemico, quest’ultimo preferì invertire la rotta e riparare a
Pola. Se in apparenza le navi italiane avevano messo in fuga il nemico,
in realtà la giovane Regia Marina unitaria era stata, in quell’occasione solo
fortunata. Come scrive lo storico Piero Pieri nella sua Storia militare del
Risorgimento: “La nostra flotta dovette
in verità entrare in guerra nel momento in cui la fusione degli elementi
genovesi e napoletani era ben lungi dall’essere compiuta. Non solo, ma in un
periodo in cui il materiale nautico traversava una crisi di radicali
trasformazioni, soprattutto in seguito all’esperienza della guerra di
secessione americana. Nell’insieme si doveva dunque lamentare una scarsa
fusione degli spiriti e delle volontà, un’incertezza nella dottrina di guerra e
per di più la scarsa fiducia nel comandante in capo”. Nonostante le
criticità fossero evidenti, il ministro della Marina Agostino Depretis intimò
più volte a Persano di agire per poter sbandierare politicamente una vittoria
navale sull’Austria che equilibrasse il trionfo prussiano, ottenuto nel
frattempo a Sadowa il 3 luglio. Alla fine Depretis impose a Persano investire
con la sua squadra la guarnigione nemica sull’isola di Lissa, oggi Vis, in
Croazia, e conquistarla dopo cannoneggiamenti dal mare. L’ammiraglio protestò: “L’armata non è pronta, non rispondo di
nulla”, ma dovette eseguire ugualmente gli ordini. La sua flotta assommava
a 26 navi, fra cui 12 corazzate, ed era divisa in tre squadre, la 1° ai comandi
dello stesso Persano, la 2° sotto Albini e la 3° alla guida di Vacca. Il
bombardamento di Lissa iniziò al mattino del 18 luglio, ma senza troppa
convinzione, tanto che Persano rimproverò Albini e Vacca per l’incostanza della
loro azione. Frattanto, giuntagli notizia che gli italiani avevano attaccato,
Tegetthoff salpò da Pola con la sua squadra di 27 navi, di cui 7 corazzate.
Le
navi in battaglia.
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AUSTRIA.
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ERZHERZOG FERDINANDO MAX
Tipo: pirofregata corazzata
Entrata in servizio: 1866
dislocamento a pieno carico:5130 tonnellate
velocità massima: 12 nodi
lunghezza:
larghezza:
Armamento: 16 cannoni da
corazzatura:
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DRACHE
Tipo: pirofregata corazzata
Entrata in servizio:1862
dislocamento a pieno carico:2750 tonnellate
velocità massima: 11 nodi
lunghezza:
larghezza:
Armamento: 10 cannoni da
corazzatura:100 mm (murata)
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KAISER MAX
Tipo: pirofregata corazzata
Entrata in servizio: 1863
dislocamento a pieno carico:3588 tonnellate
velocità massima: 12 nodi teorica,
effettiva 9 nodi
lunghezza:
larghezza:
Armamento: 4 cannoni da
corazzatura:120 mm (murata)
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ITALIA.
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RE D’ITALIA
Tipo: pirofregata corazzata
Entrata in servizio: 1865
dislocamento a pieno carico: 5791
tonnellate
velocità massima: 23 nodi teorica,
effettiva 9 nodi
lunghezza:
larghezza:
Armamento: 4 cannoni da
corazzatura:
La Re d'Italia si inclina sul fianco sinistro dopo essere stata speronata, mentre la Ferdinand Max sta retrocedendo
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PALESTRO
Tipo: cannoniera corazzata
Entrata in servizio: 1866
dislocamento a pieno carico: 2559
tonnellate
velocità massima: 8 nodi
lunghezza:
larghezza:
Armamento: 4 cannoni da
corazzatura:
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AFFONDATORE
Tipo: ariete corazzato
Entrata in servizio: 1866
dislocamento a pieno carico: 4540
tonnellate
velocità massima: 12 nodi
lunghezza:
larghezza:
Armamento: 2 cannoni da
corazzatura:12 mm (murata, torre, artiglierie);
L'Affondatore, verosimilmente nel giugno 1866, in partenza dall'Inghilterra per l'Italia. La nave fu l'unica della battaglia di Lissa con i cannoni montati in torri corazzate invece che lungo le fiancate.
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Tegetthoff,
il ragazzo prodigio.
Il giovanissimo ammiraglio austriaco
Wilhelm von Tegethoff aveva solo 38 anni e mezzo quando sgominò la flotta dei
Savoia in Adriatico. Era infatti nato il 23 dicembre
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FORMAZIONE SCOMPAGINATA. Le navi austriache vennero avvistate alle 7,30 del 20 luglio 1866 e Persano durò
fatica a radunare le sue imbarcazioni, sparpagliate attorno a Lissa per
bombardare la costa. Mentre la prima fila italiana era formata dalle navi
corazzate di Persano e Vacca, quelle in legno, affidate ad Albini, stavano in
secondo ordine, a oltre 7
chilometri di distanza. Le manovre italiane risultarono
poco coordinate anche per la diversa velocità delle varie navi. Pochi, inoltre,
si accorsero che Persano aveva trasbordato dalla Re d’Italia all’Affondatore,
lasciando la pirofregata al comando del capitano Emilio Faà di Bruno, 46enne
piemontese di Alessandria. La foschia ostacolava l’avvistamento delle insegne
di comando issate sull’Affondatore, mentre la formazione si scompaginava con
pericolosi varchi. Tegetthoff optò per una decisa puntata sul centro
avversario, avanzando con le sue unità corazzate disposte a cuneo. L’austriaco
aveva notato che la formazione di Vacca, imperniata sulla sua unità personale,
la corazzata Principe di Carignano era più veloce di quella di Perzsano,
zavorrata da unità più lente come la Palestro.
A un certo punto fra l’una e l’altra squadra si formò un
varco di oltre un chilometri. Tenendo una velocità sui 10 nodi, Tegetthoff
avanzò così rapido da rischiare che le navi italiane reagissero accostando e
attaccando le più arretrare navi in legno austriache, ma riuscì ugualmente a
condurre in porto l’azione concentrando le sue 7 corazzate sulle tre unità Re
d’Italia, Palestro e San Martino.
Lo scambio di cannonate iniziò intorno alle 10,45 e frale
prime vittime vi fu il comandante della pirofregata austriaca Drache, il
trentasettenne capitano Heinrich von Moll, la cui testa fu disintegrata da un
proiettile. Mentre le corazzate austriache, penetrando nel varco che si era
creato, scaricavano i loro cannoni sulle unità italiane che stavano ai lati,
Vacca sparava da distanza conltro le navi in legno austriache, mentre Albini
con i suoi navigli si teneva lontano dalla mischia e attendeva ordini.
Tegetthoff puntò con decisione sulla Re d’Italia, convito che vi fosse ancora
imbarcato il comandante supremo italiano; quest’ultimo, come detto prima, era
invece sull’Affondatore, a fianco della corazzata Re di Portogallo capitanata
dall’ammiraglio Augusto Riboty: insieme cercarono di attaccare la pirofregrata
in legno Kaiser il cui comandante, ammiraglio Anton von Petz, era però un uomo
di esperienza. Pur incassando una serie di devastanti cannonate, la Kaiser manovrò evitando lo
speronamento della nave di Riboty e, anzi, ne urtò le fiancate. Persano tentò a
sua volta di speronare la nvae di Petz ma non ci riuscì a causa dei difetti di
manovrabilità dell’Affondatore, oltre che per la limita visibilità dalla sua
plancia, che alterava il giudizio sulle distanze. La Kaiser , mezza incendiata e
disalberata, si ritirò dalla scena, mentre Persano cercava di segnalare ad
Albini di intervenire con le sue navi di legno:quest’ultimo, però geloso del
suo comandante, restò inattivo, sostenendo che non riusciva a vedere le
bandiere a causa dei fumi provocati dai cannoni e dalle caldaie.
COZZO FRAGOROSO. Frattanto la
Re d’Italia arrancava, letteralmente assediata da quattro
corazzate austriache che la bersagliava di proiettili. La corazzativa della
nava si ammaccava ma pareva ben resistere, finché un fatale colpo sparato dalla
Kaiser Max ne mandò in pezzi il timone. L’unità di Faà di Bruno poteva ora solo
avanzare con l’elica, ma non più dirigere. Il comandante ordinò macchina
indietro, ma nel contraccolpo la nave risultò praticamente immobilizzata: in
quel momento, verso le 11.27, venne speronata da
sinistra a tutto vapore dalla Ferdinand Max di Tegetthoff, lanciata a 12 nodi
di velocità e sbucata all’improvviso dalla spessa coltre di fumo che avvolgeva
il mare. Il rostro della nave austriaca, molto basso, colpì lo scafo della Re
d’Italia, nel punto esatto dove cessava la cintura corazzata. Lo spaventoso
colpo creò uno squarcio largo 15
metri da cui l’acqua dell’Adriatico iniziò a irrompere
copiosamente. In pochi minuti, forse tre, la nave si rovesciò e colò a picco
portando con è 391 membri dell’equipaggio, fra cui lo stesso Faà di Bruno: sui
558 effettivi totali, a salvarsi furono solo 167. Più in là, la cannoniera
corazzata Palestro, abilmente guidata dal trentottenne capitano livornese
Alfredo Cappellini, riusciva con agilità a evitare i tentativi di speronamento
da parte delle unità nemiche, ma una cannonata della Drache tentò appiccava a
bordo un vasto incendio. La
Drache tentò di inseguirla, ma fu bloccata dall’arrivo
dell’Affondatore.
La fotta austriaca si riunì, e lasciò lo scontro a partire
dalle 12,10, senza che Albini si fosse deciso a intervenire, nonostante le sue
forze fossero ancora intatte. Un paio d’ore dopo, alle 14,45, l’incendio sulla
Palestro, che non si riusciva a domare, raggiunse il deposito munizioni
facendola esplodere: la deflagrazione uccise tutti i 230 uomini
dell’equipaggio, compreso lo stesso Cappellini. La battaglia di Lissa si
concluse con l’affondamento per l’Italia, di due navi corazzate, la Re d’Italia e la Palestro , e la morte di
620 uomini, mentre gli austriaci lamentarono gravi danni unicamente per la Kaiser , comunque sfuggita
alla distruzione e la morte di soli 38 uomini. per l’ammiraglio Persano,
ingiustamente accusato di essere il maggior responsabile della disfatta, si
aprirono le porte della commissione d’inchiesta. Fu degradato, circostanza che
gli fece perdere la pensione e morì in povertà a Torino il 28 luglio 1883.
Articolo in gran parte di Mirko Molteni, pubblicato su LE
GRANDI BATTAGLIE NAVALI edizioni Sprea. Altri testi e foto da Wikipedia.
Particolarmente umiliante per l' Italia che nonostante le sconfitte di Custoza e Lissa, ottenne il Veneto per il tramite di Napoleone III. L' Austria, infatti, con un gesto d' orgoglio lo cedette alla Francia che a sua volta lo consegnò all' Italia in base ad un tacito accordo.
RispondiEliminaNapoleone III con pungente ironia verso gli Italiani:: "Ancora una sconfitta e mi chiederanno Parigi".
Due sconfitte che scatenarono una serie di polemiche politiche e giornalistiche che si prolungarono per anni.
Primo Mazzini che scriveva su "Il Dovere" : " È possibile che l' Italia accetti di essere additata in Europa come la sola nazione che non sappia combattere, la sola che non possa ricevere il suo se non per beneficio d' armi straniere e concessioni umilianti dell' usurpatore nemico?"
Anche perché quella guerra costò enormi sacrifici alla neo-nata nazione in termini di tasse e imposte. Decreti e leggi che accentuarono ancora di più i contrasti regionali che sembravano incolmabili. Ne seguirono scioperi e rivolte popolari che richiesero una politica di feroce repressione da Stato di polizia, soprattutto a Palermo.
Sarebbe stato più onorevole e meno dispendioso accettare subito l' armistizio, avremmo risparmiato la vita di 620 uomini. Ma niente, l' Italia baldanzosa e maldestra voleva la sua gloria che, non solo non ottenne, ma ne uscì anche umiliata e economicamente demolita!
n Italia gli unici che sapevano combattere erano i volontari: mentre Persano le prendeva dagli Austriaci, Garibaldi vinceva a Forte d'Ampola, a Monte Suello e a Bezzecca conquistando il Trentino e preparandosi ad avanzare sul Tirolo. Gli Austriaci temevano che potesse emulare Napoleone e arrivasse a Vienna (cosa che comunque dubito fosse sua intenzione). Fortunatamente per loro, la sconfitta dell'Esercito regolare indusse Vittorio Emanuele II ad ordinargli la ritirata, cui il Generale rispose con il celebre telegramma "Obbedisco
RispondiEliminaun grazie a Michele Chioda per il suo commento postato su Facebook
Hitler non era proprio di quest'avviso. Nel suo terzo libro scrisse che gli Italiani fecero dignitosamente la loro parte accollandosi il peso della pressione Austriaca.
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