lunedì 20 agosto 2018

morte di una dinastia - la fine dei Romanov

Morte di una dinastia.
L’ESECUZIONE DELLA FAMIGLIA IMPERIALE.

In una notte di luglio di cento anni fa l’impero dei Romanov in Russia giunse a una sanguinosa fine. Tenuti prigionieri per mesi dai bolscevichi, il deposto zar Nicola II, la moglie Alessandra e i cinque figli vennero brutalmente uccisi. Le loro morti hanno alimentato il mistero attorno al loro destino.

la famiglia Romanov

Nicola II Romanov, in russoНиколай Александрович Романов?Nikolaj Aleksandrovič Romanov (Carskoe Selo18 maggio 18686 maggio del calendario giuliano[2] – Ekaterinburg17 luglio 1918), è stato l'ultimo imperatore di Russia[3].
Il suo titolo ufficiale era «Per Grazia di Dio, Imperatore e Autocrate di tutte le Russie (in russoБожию Милостию, Император и Самодержец Всероссийский?B
ožiju Milostiju, Imperator i Samoderžec Vserossijskij), zar di Polonia, diMosca, di Kiev, di Vladimir, di Novgorod, di Kazan', di Astrachan' e della Siberiagranduca di Finlandia e di Lituania; erede di Norvegia; signore e sovrano di Iberia, dell'Armenia e del Turkestanduca dello Schleswig-Holstein, delloStormarn, di Dithmarschen e dell'Oldenburg».

Nicholas II by Boissonnas & Eggler c1909.jpg

La Rivoluzione russa scoppiò nel febbraio 1917. Un mese più tardi Nicola II, imperatore di tutte le Russie, abdicò al
trono, diventando semplicemente Nicola Romanov. Con la rivoluzione in patria e il catastrofico fallimento della Prima guerra mondiale all’estero, la dinastia dei Romanov, che nel 1913 aveva festeggiato tre secoli al potere, giunse a un rapida fine. Le forze bolsceviche tennero la famiglia prigione ria, spostandola di luogo in luogo, fino a una sanguinosa notte del luglio 1918 in cui furono tutti sterminati, vittime di un destino di cui si erano rifiutati di vedere le avvisaglie.
assalto al palazzo d'inverno


Cent’anni dalla tragedia.
MARZO 1917
Lo zar Nicola II abdica. I Romanov rimangono sotto custodia a Carskoe Selo, ma il governo di Kerensij teme che li attacchino elementi radicali.
AGOSTO 1917
La famiglia imperiale viene allontanata da Carskoe Selo e inviata, insieme a decine di cortigiani, alla località siberiana di Tobol’sk.
MAGGIO 1918
A fine mese tutti i Romanov si riuniscono nella Casa Ipat’ev di Ekaterinburg, dove il 30 aprile erano già arrivati Nicola Alessandra e Marija.
LUGLIO 1918
Nella notte tra il 17 e il 18 tutta la famiglia viene assassinata nel sotterraneo della Casa Ipat’ev. I loro corpi vengono sfigurati e sotterrati in segreto.
1979
In una fossa comune si rinvengono i resti dei Romanov. La scoperta  viene mantenuta segreta fino al crollo dell’Unione Sovietica.
2007
Un una seconda fossa vengono ritrovati i resti di Aleksej e Marija, gli unici due figli dello zar che non erano ancora stati rinvenuti.

CON LA TESTA NELLA SABBIA. Per Nicola, salito al trono nel 1894 dopo la morte del padre Alessandro III, abdicare fu probabilmente un sollievo. Descritto come un uomo limitato e privo di immaginazione, non era adatto, né per capacità né per temperamento, a governare in tempi tanto turbolenti. Indeciso cronico, quando doveva dare un ordine, rimandava fino all’ultimo istante, per poi ripetere semplicemente l’ultimo consiglio ricevuto. Tanto che, secondo una battuta che circolava a San Pietroburgo, le due persone più potenti di Russia erano lo zar e chiunque gli avesse parlato per ultimo. Nicola credeva fermamente nel suo diritto divino di regnare, convinzione condivisa dalla moglie Alessandra. L’Ochrana, la sua polizia segreta, un’organizzazione di violenti assassini, operava impunemente. Come leader, lo zar conobbe pochi successi. Dal 1904 al 1905 combatté e perse una guerra contro il Giappone, con un conseguente calo di prestigio sia in patria che all’estero. Nel 1905 una rivolta interna lo costrinse a istituire la duma, un corpo legislativo eletto del quale limitò l’autorità prima ancora che si tenesse la sezione iniziale, nel tentativo di restare aggrappato al potere. E quando nel 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale, Nicola guidò il suo popolo in un conflitto che avrebbe esaurito le risorse della nazione e sarebbe costato milioni di vite.
Ciononostante l’ultimo zar rimase cieco alla propria crescente impopolarità, convinto che il popolo lo amasse ugualmente. Il popolo, però, aveva opinioni diverse. La propaganda bolscevica l’aveva soprannominato Nicola il Sanguinario.


Il palazzo d’inverno a San Pietroburgo.

Nicola II e la famiglia non vivevano in quest’imponente palazzo della capitale russa, dimora degli zar dal XVIII secolo, bensì nel palazzo di Alessandro a Carskoe Selo, una trentina di chilometri di distanza. Lì Alessandra, di origine tedesca e non familiarizzata con la lingua russa, non sentiva il rifiuto che la corte manifestò nei suoi confronti fin dall’inizio. Inoltre, stare lì permise alla zarina di mantenere il segreto sull’emofolia dello zarevic, malattia che poteva impedirgli di diventare l’erede al trono.

LA FAMIGLIA IMPERIALE. Nicola era un uomo legato alla famiglia. Amava la moglie Alessandra e lei amava lui. In un’epoca in cui la regola generale era che i monarchi si sposassero per interessi dinastici più che per affetto, la loro era un’unione fortunata. Convolati a nozze nel 1894, i due ebbero l’una dopo l’altra quattro figlie: Ol’ga, Tat’jana, Marija e Anastasija. Aleksej, il tanto desiderato maschio nonché erede, nacque per ultimo, nel 1904. A detta di tutti i Romanov erano una famiglia felice e unita. Tedesca di nascita e nipote della regina britannica Vittoria, Alessandra aveva un carattere più forte e assertivo del marito. Il suo modo di fare introverso e distaccato le alienò le simpatie del popolo russo, che la vedeva come un’estranea. A differenza del marito, la zarina si rendeva conto della propria impopolarità, cosa che la rese ipersensibile, maniaca del controllo e paranoica. Sigmund Freud una volta osservò che una famiglia tende a organizzarsi attorno al suo membro più problematico. Per i Romanov era probabilmente Alessandra.. il suo carattere nervo le assicurava l’attenzione costante del marito e delle figlie. Tra la più grande e la più piccola delle granduchesse correvano quasi sei anni. Le maggiori, Ol’ga e Tat’Jana venivano affettuosamente chiamate la coppia grande, mentre le più giovani, Marija e AnastasiJa, erano la coppia piccola. Tutti quanti stravedevano per il figlio minore, Aleksej. L’erede al trono era nato emofiliaco, problema che aveva ereditato dal ramo materno, e la sua salute divenne il fulcro delle loro esistenze. Quasi ogni attività comportava il rischio di un colpo o un taglio che avrebbe potuto scatenare catastrofiche emorragie. Nelle settimane di convalescenza, Alessandra dormiva sul pavimento accanto al suo letto. Aleksej era gentile, un po’ birichino e viziato dalla madre e dalle sorelle. In un’epoca in cui i genitori della classe alta mantenevano con i figli rapporti distanti, la fragilità fisica di Aleksej lo legò molto ai suoi. Rese inoltre la famiglia vulnerabile. E quando si presentò qualcuno in grado di sfruttare tale vulnerabilità, loro caddero completamente nelle sue mani. Grigorij Raspuntin, nato nella Siberia occidentale, era un sedicente uomo di Dio, rinomato per il comportamento licenzioso, le abilità curative e la capacità di predire il futuro. Non è chiaro se fosse un imbonitore o ritenesse realmente di avere poteri soprannaturali. I Romanov credevano ciecamente in lui: Rasputin ebbe una grande influenza sulla famiglia, soprattutto su Alessandra. Quando Rasputin conobbe i Romanov, nel 1905, la zarina era disperata. Proprio quell’anno la rivoluzione aveva quasi rovesciato la monarchia. La nascita di Aleksej, l’anno prima, le aveva dato l’erede al trono nel quale lei sperava, ma l’emofilia del bambino, oltre a essere una tragedia personale, era anche una minaccia per la dinastia. La crisi politica e l’agonia materna permisero a Rasputin di insinuarsi in seno alla famiglia. Nel 1908 Aleksej soffrì di una forte emorragia, e il mistico riuscì ad alleviarne il dolore. Si narra che quest’ultimo avesse raccontato a Nicola e Alessandra che la salute del figlio sarebbe stata legata alla forza della dinastia. La sua abilità nel mantenere il bambino in salute gli avrebbe assicurato un posto a palazzo e il potere di influenzare lo zar. Girava voce che il comportamento depravato di Raspuntin fosse arrivato fino a sedurre la zarina. Per quanto quasi sicuramente non sia stato l’amante di Alessandra, alla corte dei Romanov egli ebbe relazioni con un numero incredibile di donne. E ignorando le richieste di allontanarlo, Nicola fece ancora più arrabbiare il popolo russo: il desiderio di rendere felici la moglie e il figlio gli impedì di rimuovere la minaccia che incombeva sul suo impero.
Nel settembre 1915, nel corso della Prima guerra mondiale, Nicola si recò al fronte per prendere personalmente il comando delle forze russe. La zarina rimase a occuparsi delle questioni interne, e l’influenza di Rasputin in patria misero il popolo russo contro lo zar e la sua famiglia. I tempi erano maturi per una rivoluzione.

La malattia dei re e i poteri del mistico.
Grigorij Efimovič Rasputin (Novych)in russoГриго́рий Ефи́мович Распу́тин (Но́вых)? (Pokrovskoe21 gennaio 1869– San Pietroburgo30 dicembre 19169 gennaio 1869 – 17 dicembre 1916 secondo il calendario giuliano[1]), è stato un misticorusso, consigliere privato dei Romanov e figura molto influente su Nicola II di Russia, in particolare dopo l'agosto 1915, quando lo zar prese il comando dell'esercito nella prima guerra mondiale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Grigorij_Efimovič_Rasputin
L’emofilia si tramandava nella famiglia della zarina Alessandra, che la eredità dalla nonna, la regina Vittoria del Regno Unito, passandola poi al figlio Aleksej. Questa malattia genetica compromette la capacità del sangue di coagulare, facendo sì che le ferite anche lievi possano causare problemi seri. Nel caso di Aleksej, pure un piccolo colpo poteva provocare la rotua di un vaso sanguigno, scatenando gravi emorragie. Particolarmente delicate erano le se articolazioni. Lo sviluppo, negli anni cinquanta, di un agente che aiutasse a controllare le emorragie arrivò troppo tardi per Aleksej, la cui sola speranza, così credeva sua madre, risiedeva nei poteri curativi di Rasputin.  

LA VITA IN PRIGIONIA. Per i bolscevichi i Romanov divennero pedine di scambio e insieme un grande grattacapo. La Russia doveva negoziare la propria uscita dalla Prima guerra mondiale ed evitare nel contempo un’invasione straniera. I nemici della nazione avrebbero tenuto gli occhi puntati su di loro, per vedere che cosa ne sarebbe stato degli ex governanti; ma, rimanendo in vita, i Romanov avrebbero rappresentato un simbolo per il movimento monarchico. Alcuni volevano che fossero mandati in esilio,altri che subissero un processo per quelli che la popolazione percepiva come crimini, e altri ancora che scomparissero per sempre. All’inizio la famiglia fu mandata nel palazzo di Carskoe Selo. Per problemi di sicurezza, fu poi trasferita a Tobol’sk, a est dei monti Urali. Lì i Romanov non venivano trattati male. Nicola sembrava quasi rinato: si godeva la vita rurale all’aria aperta e non sentiva certo la mancanza dello stress che essere zar gli procurava. Avevano mantenuto un seguito generoso, 39 servitori in tutto, e conservato molti beni personali, tra cui l’adorato album di fotografie di famiglia rilegato in pelle. In quei primi giorni di prigionia potevano ancora sognare un lieto fine. Avrebbero potuto raggiungere l’Inghilterra e vivere in esilio con il cugino britannico re Giorgio V. o, meglio ancora, magari gli avrebbero permesso di ritirarsi nella loro proprietà in Crimea, che aveva fatto da sfondo a molte estati felici. Non capivano che, poco a poco, tutte le vie di fuga si stavano chiudendo. Fino a che rimase solo la strada per Ekaterinburg. Quest’ultima era la città più radicalizzata della Russia, fortemente comunista e anti-zarista.”Andrei ovunque tranne che negli Urali” si dice abbia affermato Nicola mentre il treno si avvicinava alla sua destinazione finale. Lì la famiglia alloggiava in un grosso edificio conosciuto come Casa Ipat’ev dal nome dell’ex proprietario. Un’alta palizzata in legno era stata innalzata per tagliare fuori il mondo esterno, e i confinati avevano l’uso di un giardino per fare esercizio. L’uomo al comando, Aveev, era corrotto (la sua gente derubava liberamente i Romanov), ma non crudele. Le guardie erano persone comuni, reclutate dalle fabbriche dei dintorni, che con il passare del tempo entrarono in confidenza e fecero persino amicizia con i prigionieri. Non poteva durare. I bolscevichi rimpiazzarono Aveev con Jakov Jurovskj, l’uomo che avrebbe orchestrato lo sterminio. Jurovskij reclutò guardie più severe e disciplinate. Mantenne un rapporto distante ma professionale con Nicola e Alessandra, persino mentre ne pianificava la morte. A Nicola, che ancora una volta fraintese la situazione, sembrava addirittura gradevole.
Ritratto ufficiale della famiglia imperiale realizzato dalla Compagna Levitskij nel 1913. Da sinistra a destra, in piedi: la granduchessa Marija e la zarinaAleksandra Fëdorovna; seduti: la granduchessa Ol'ga, lo zar Nicola II, la granduchessa Anastasia, lo zarevicAleksej e la granduchessa Tat'jana.



Alla ricerca della tranquillità.
Nel luglio del 1917 a Pietrogrado scoppiò una rivolta operaia che il capo del governo Kerenski represse duramente. Questi era preoccupato della sicurezza della famiglia imperiale, che si trovava a Carskoe Selo: il capo del governo temeva che il palazzo di Alessandro potesse venir assaltato dalla folla infuriata. Il pericolo accrebbe tra luglio e agosto, tanto che si decise di inviarli a Tobol’sk, in Siberia, un luogo appartato dall’influenza della rivoluzione. Alcuni sostengono che, in realtà, Tobol’sk fosse solo una tappa e che Kerenskij volesse mettere in salvo la famiglia mandandola in Giappone attraverso la Manciuria.

Ekaterinburg – Mappa

                                                              dislocazione di Ekateinburg
GLI ULTIMI GIORNI. Gli ultimi civili a vedere i Romanov vivi furono quattro donne portate dalla città per pulire Casa Ipat’ev. Marija Starodumova, Evdokija Semenova, Varvara Driagina e una non identificata quarta domestica diedero alla famiglia un briciolo di respiro dalla noia del confino e un ultimo contatto con il mondo esterno. La testimonianza di queste donne ci ha fornito un ritratto più umano della famiglia ormai condannata. Nonostante il divieto di parlare ai Romanov, le domestiche ebbero comunque la possibilità di osservarli da vicino. All’inizio furono colpite dal contrasto dei racconti sull’arroganza della famiglia, diffusi dalla propaganda anti-zarista e le persone modeste che si trovavano davanti. Le granduchesse erano ragazze normali. Quanto al povero, fragile Aleksej, a Evdokija Semenova sembrò la personificazione della sofferenza. Come molti prima di lei, la donna fu in particolar modo colpita dai suoi occhi dolci, che trovò pieni di tristezza. I Romanov comunque furono felicissimi del diversivo. Le sorelle si precipitarono ad aiutare a sfregare i pavimenti, cogliendo l’opportunità per parlare con le domestiche a dispetto del regolamento. Semenova riuscì addirittura a dire qualche parola gentile ad Alessandra. Una delle scene che sia Semenova che Starodumova ricordarono con grande chiarezza fu quando Jurovskij si sedette accanto allo zarevic (figlio dello zar), informandosi sulla sua salute. Una scena resa sinistra, in retrospettiva, dal fatto che Jurovskij era perfettamente consapevole che a breve sarebbe stato il carnefice del bambino. I Romanov dovevano essere uccisi perché erano il simbolo supremo dell’autocrazia. Ironia della sorte era che a Ekaterinburg i bolscevichi li avevano spogliati di ogni tracci di aristocrazia. Per dirla con le parole di Evdokija Semenovoa: -“Non erano déi. Erano persone normali come noi. Semplici mortali”. La notte del 16 luglio fu inviato a Mosca un telegramma che informava Lenin della decisione di trucidare i prigionieri. All’una e trenta del mattino Jurovskij informò i Romanov che il conflitto tra le armate rossa e bianca stava minacciando la città e che, per la loro stessa sicurezza, dovevano essere trasferiti nel seminterrato.
 
Jakov Michajlovič Jurovskij, 1918

Una famiglia prigioniera.
L'ex-zar con il figlio Aleksej durante la prigionia aTobol'sk nel 1917
Dopo l’abdicazione di Nicola II nel marzo 1917, le condizioni della prigionia dei Romanov peggiorarono progressivamente. I primi mesi li passarono nel lusso nel palazzo di Alessandro a Carskoe Selo, vicino a San Pietroburgo. Invece l’estate furono mandati a Tobol’sk, in Siberia, dove la residenza era molto più rustica, ma potevano godere di una buona accoglienza da parte dei locali. Infine, dopo che i bolscevichi salirono al potere, nella primavera del 1918, la famiglia venne trasferita a Ekaterinburg, città conosciuta per il suo fervore anti-zarista. Lì gli vennero confiscate le macchine fotografiche, ragion per cui non ci sono arrivate immagini loro nella casa in cui sarebbero stati uccisi.

L’ULTIMA NOTTE. Non ci sono prove che i Romanov non abbiano reagito con docilità. Portando in braccio lo zarevic, Nicola guidò in cantina la propria famiglia e i quattro servitori rimasti con loro : il medico di famiglia Evgenih Botkin, la cameriera Anna Demidova, il cuoco Ivan Kharitonov e il domestico Aleksej Trupp. Riuniti tutti insieme in quel luogo angusto e spoglio, apparivano ancora ignari del proprio destino. Furono portate tre sedie per Alessandra, Nicola e Aleksej, mentre gli altri rimasero in piedi. Jurovskij si avvicinò con i carnefici dietro di lui sulla soglia e lesse ai prigionieri attoniti una dichiarazione preparata: “il praesidium del soviet regionale, adempiendo al dovere della rivoluzione, ha decretato che l’ex zar Nicola Romanov, colpevole di innumerevoli sanguinosi crimini contro il popolo, debba essere fucilato”. Quando Jurpvskij terminò la lettura, le guardie cominciarono a sparare. I racconti sono contrastanti, ma la maggioranza concorda nel dire che lo zar sia stato il bersaglio principale e che morì in seguito a diversi colpi di arma da fuoco. La zarina spirò per un proiettile sulla testa. mentre la stanza si riempiva del fumo degli spari, tutto la disciplina del plotone svanì. Le granduchesse sembravano non essere ferite dai proiettili, che erano rimbalzati sui loro corpi (si scoprì in seguito che, durante l’assalto iniziale, i gioielli tempestati di diamanti cuciti sui vesti avevano agito come un’armatura).
Uno dei carnefici, un ubriacone di nome Ermakov, perse il contro e cominciò a colpire i Romano con una baionetta. Dopo venti minuti di puro orrore, l’intera famiglia e il seguito, colpiti da proiettili, armi da taglio o a mani nude, erano tutti morti. Gli undici corpi furono trascinati fuori di casa e caricati su una camionetta. Gli studiosi ritengono che i corpi siano stati dapprima scaricati in una miniera poco profonda chiamata Ganina Jama, che i bolscevichi tentarono di far crollare con delle granate. Ma il pozzo rimase intatto, così i corpi furono portati via in tutta fretta. Lungo il tragitto la camionetta si impantanò nel fango e due corpi, che ora si crede essere quelli di Aleksj e Marija, furono gettati nella foresta. Gli altri nove furono cosparsi di acido, bruciati e sepolti in una fossa comune non molto lontano da lì.

La casa a destinazione speciale.
La casa Ipat’ev era circondata da una palizzata di legno così alta che da dentro non si riuscivano a vedere le chiome degli alberi. Alcuni giorni dopo l’arrivo della famiglia, i carcerieri tinteggiarono di bianco i vetri delle camere da letto. In quelle stanze nel mese di giugno compirono gli anni successivamente la zarina Alessandra (46), Tat’jana (21), Anastasija (17) e Marija (19). Il 14 luglio un sacerdote locale, padre Storozev, venne chiamato per celebrare la messa: fu una delle ultime persone a vedere la famiglia imperiale viva. Tre giorni dopo i Romanov e i loro quattro domestici vennero massacrati in una stanza di tre metri per quattro della “Casa a destinazione speciale”, come la chiamavano i carcerieri.
Successivamente la casa fu sede di un museo della rivoluzione e di uno anti –religioso fino a che, nel 1977, quando si avvicinava il sessantesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre, Boris El’cin, in quel momento capo del Partito comunista provinciale, diede ordine di demolirla per evitare che diventasse luogo di pellegrinaggio di elementi anti-rivoluzionari.
    
                                                       chiesa del sangue a Ekaterinburg


LA VERITA’ VIENE FUORI. In seguito al massacro, quando si affrontava l’argomento, i funzionari sovietici diventavano evasivi. Anche dopo aver annunciato la morte di Nicola, per un po’ sostennero che Alessandra e Aleksej fossero vivi in un luogo sicuro. I decessi sarebbero stati ufficialmente confermati solo nel 1926, e anche allora i bolscevichi rifiutarono di assumersi le responsabilità dell’esecuzione. Nel 1938 Joseph Stalin soppresse formalmente ogni discussione sul destino della famiglia, e nel 1977 fu demolita Casa Ipat’ev, decretata dal governo di nessun valore storico. Il silenzio forzato attorno al destino dei Romanov può aver represso la pubblica discussione ma alimentò un’infinità di curiosità. Nei decenni successivi spuntò un notevole numero di impostori, la maggior parte dei quali sosteneva di essere uno dei figli dello zar. Ogni volta che compariva un nuovo pretendente, la storia tornava a galla, impedendo che il mistero venisse definitivamente sepolto, come molti invece speravano. Nel 1979 una coppia di investigatori dilettanti scoprì il luogo di sepoltura principale vicino a Ekaterinburg, ma il ritrovamento fu tenuto segreto fino a dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Nel 1991, mentre in Russia si diffondeva una nuova rivoluzione, alcuni scienziato tornarono a Ekaterinburg per riscattare la storia. Esumarono i resti di nove persone, in seguito identificate come Nicola, Alessandra, Ol’ga, Tat’jana, Anastasija. Il rinvenimento delle loro ossa diede inizio a un processo che ha consenti di portare alla luce sia gli orrori della loro morte sia il loro posto nella storia. Nel 1998 i resti furono sepolti nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di San Pietroburgo, luogo tradizionale di sepoltura degli zar. Nel 2000 la Chiesa ortodossa russa canonizzò Nicola, Alessandra e i loro figli come martiri della passione. A Ganina Jama – il primo luogo in cui i bolscevichi tentarono di disfarsi i corpi – la Chiesa ortodossa russa costruì un monastero. Dove un tempo si ergeva Ipat’ev, nel 2003 fu consacrata la magnifica chiesa sul Sangue, divenuto da allora luogo di pellegrinaggio. Nel 2007, infine, furono trovati i resti di Aleksej e Marija, in seguito identificati grazie all’analisi del Dna. Qualcuno ha detto che le famiglie molto unite possono tagliarsi fuori dal mondo. Così è stato per i Romanov.il loro egocentrismo gli ha impedito di accorgersi del pericolo, ma il loro amore li ha rafforzati, rendendone il confino sopportabile. Il fatto che fino alla fine siano rimasti insieme è stata la più grande benedizione dei loro ultimi mesi.

 Ricostruzione forense del volto di Nicola
Anastasija e la storia di Anna Anderson.
Subito dopo la morte dei Romanov si sparse la voce che alcuni di loro fossero sopravvissuti all’esecuzione. Al centro delle più famigerate rivendicazioni del patrimonio di famiglia fu Anastasija. Nel 1920 una donna, tratta in salvo da un canale di Berlino e senza documenti di identità, raccontò alle autorità di essere Anastasija, narrando una dettagliata storia di come fosse scampata al massacro. In seguito si trasferì negli Stati Uniti, cove si faceva chiamare Anna Anderson. La donna continuò a sostenere di essere Anastasija fino alla morte nel 1984. gli ultimi corpi dei Romanov furono rinvenuti nel 2007, mettendo così fine a ogni dubbio che qualcuno potesse essere sopravvissuto. La storia di Anderson affascinò il pubblico e ispirò il film Anastasija (1956) con Ingrid Bergam.

Articolo in gran parte di Toby Saul collabora regolarmente a History e scriva di arte e storia su The times literary supplement, oltre che su altre pubblicazioni, pubblicato su Storica National Geographic del mese luglio 2018 – altri testi e immagini da Wikipedia
   


4 commenti:

  1. e se invece i romanov non furono uccisi a casa ipatiev ma portati via e uccisi nel luogo della sepoltura e a casa ipat ev uccisero solo i domestici, ? lo so che i se sono solo se..ma puo anche esserci una altra realtà che furono uccisi el luogo della sepoltura oppure anche nei loro letti..mentre dormivano..non capisco poi tutta questa sceneggiata messa su dai bolscevichi.. che per anni pubblicarono versioni diverse della morte..e' poi vero che tutti corpi trovati sono dei romanov?

    RispondiElimina
  2. Come per Versailles, le grandi regge tra cui il Palazzo d'Inverno di San Pietroburgo servivano ad ospitare la corte e tutti i nobili e le numerose persone che ne facevano parte compresi servitori e guardie, uno status simbol e un modo per tenerli tutti sotto controllo come in una gabbia d'oro. La lontananza dalla corte, le ingenti ricchezze di questi nobili nei propri possedimenti erano un vero e proprio pericolo sempre costante per il re o lo zar. Per questo, come aveva intuito il Re Sole, essi dovevano tornare a dipendere dal sovrano per quanto riguardava onori e privilegi, così da rimanergli fedeli il più possibile. Come il grande regista Rossellini fece dire allo stesso Luigi XIV in questo suo film culto:
    https://www.youtube.com/watch?v=yjbsELBURjI&t=30s

    RispondiElimina
  3. il primo a costruire una reggia di grandi dimensioni fu Re Sole allo scopo di obbligare i nobili a vivere sotto la sua ala e poterli controllare. Spesso le residenze erano enormi ma con appartamenti molto piccoli ( solo quelli del re e della regina erano grandi) e senza bagni. Grazie a Fabio Caruso

    RispondiElimina
  4. Non c'erano bagni anche perché a quel tempo non esistevano servizi igienici o tubature d'acqua corrente (l'esempio della civiltà romana, all'avanguardia in questo campo, era da molto stato dimenticato), quindi non c'era motivo di avere stanze da bagno. I vasi da notte erano sempre pronti nelle sedie di comodo o sotto il letto, celermente svuotati dalla servitù nel modo più discreto possibile, e quando in pochissime occasioni ci si voleva fare un bagno (il Re Sole in 64 anni di vita pare che si fece un bagno completo soltanto una volta) i servitori portavano vasche da bagno di zinco (le famose "scarpe" per via della caratteristica forma) nella camera da letto e le riempivano d'acqua a forza di braccia e secchi. grazie a Ivana Murgo

    RispondiElimina

I vichinghi, gli eroi delle sagre.

  I   vichinghi gli eroi delle saghe. I popoli nordici vantano un tripudio di saghe che narrano le avventure di eroi reali o di fantasia. ...