Gallieno, un perdente di
successo.
Nel III secolo d.C., tra
invasioni barbariche e crisi economica, un imperatore a lungo sottovalutato
salvò Roma dalla distruzione, ritardandone la caduta.
Busto in marmo raffigurante un giovane Gallieno.
Rilievo sasanide a Naqsh-e Rustam raffigurante Sapore I che tiene prigioniero Valeriano e riceve l'omaggio diFilippo l'Arabo, inginocchiato davanti al sovrano sasanide.
« [...] Sapore I chiese di incontrarsi con l'imperatore romano, per discutere ciò che fosse necessario. Valeriano, una volta accettata le risposta senza neppure riflettere, mentre si recava da Sapore in modo incauto insieme a pochi soldati, fu catturato in modo inaspettato dal nemico. Fatto prigioniero, morì tra i Persiani, causando grande disonore al nome romano presso i suoi successori. »
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(Zosimo, Storia nuova, I, 36.2.) |
Primavera del 260 d.C., città di Edessa (Turchia meridionale): l’imperatore romano Valeriano, in guerra contro i Sassanidi, che
minacciano le province orientali si
trova faccia a faccia con il nemico, il re Sapore I. Valeriano, in posizione di
svantaggio, spera di riuscire a strappare una tregua senza scendere in battaglia:
i Sassanidi accettano di organizzare un incontro per discutere la pace, ma solo
per attirarlo in una trappola e catturarlo. L’Impero romano è senza guida,
proprio nel momento in cui i suoi confini sono più minacciati. A quel punto le
redini deve prenderle il figlio Publio Licinio Gallieno, personaggio ambiguo e
mal considerato, che sette anni prima Valeriano aveva associato al trono,
tenendo per sé l’Oriente e affidando a lui l’Occidente. Odiato dai senatori e
dalla storiografia ufficiale, che lo dipinse come il nuovo Nerone, Gallieno è
stato rivalutato di recente dagli storici che gli hanno riconosciuto la
capacità di barcamenarsi in un periodo difficilissimo tra tribù barbare che
premevano e movimenti separatisti all’interno dello stesso impero. “Nonostante avesse uno stile di vita
bizzarro che era criticato dai tradizionalisti, fu in grado di mantenere
intatto il cuore dell’impero difendendolo dalle invasioni dei barbari e dei Persiani”, ha spiegato
John Jefferson Bray, uno dei principali biografi di questo personaggio.
Invasioni barbariche di Goti, Borani, Carpi, contemporanee a quelle dei Sasanidi di Sapore I, degli anni 252-256, durante il regno di Valeriano e Gallieno.
Invasioni in Occidente di Franchi, Alamanni,Marcomanni, Quadi, Iazigi e Roxolani degli anni 258-260.[
Publio Licinio Egnazio Gallieno (latino: Publius Licinius Egnatius Gallienus; 218 – Milano, 268) è stato unimperatore romano, dal 253 al 268, famoso per la sua riforma dell'esercito, nonché valente condottiero. Salì al potere insieme al padre Valeriano nel 253 e quando questi fu catturato dai Sasanidi (nel 260, dopo sette anni di regno[6]) rimase l'unico imperatore per altri otto anni[6], fino alla morte quando era cinquantenne.[6] Durante il suo regno ci furono due secessioni di territori dell'impero (l'Impero delle Gallie a occidente e il Regno di Palmira a oriente) e molti aspiranti imperatori.
BELLA VITA. Secondo
la Historia Augusta ,
una raccolta di biografie dell’età imperiale, era un calcolatore freddo e
determinato. Per dimostrarlo, si racconta in quelle pagine che questa sarebbe
stata la sua reazione alla notizia della cattura del padre: “Non appena ebbe appreso della cattura di
Valeriano, ripeté la frase pronunciata da un grandissimo filosofo in occasione
della perdita del figlio: ‘Sapevo che mi aveva generato un uomo mortale’”.
Perché tanta diffidenza nei suoi confronti? A Roma, erano soprattutto i
senatori a non avere grande stima nei suoi confronti a causa dello stile di
vita gaudente e un po’ sregolato. Sempre nella Historia augusta si legge: “Beveva sempre in coppe d’oro, disprezzando
il vetro, e affermando che nessun materiale era più comune. Cambiava sempre
qualità di vino e ne corso di uno stesso banchetto non beveva mai due volte la
stessa qualità. Le sue concubine sedevano spesso sui triclini. La seconda portata
disponeva di mimi e buffoni“. Si
tratta di testimonianze scritte dai suoi oppositori politici, ma probabilmente
un nocciolo di verità c’é.
NEMICO NUMERO UNO. La classe
senatoria, orma in declino da decenni vedeva in Gallieno un nemico da
screditare: il nuovo imperatore, infatti, era nettamente a favore della classe
sociale degli Equites (quella che oggi chiameremo classe media) fino a
diventare il loro beniamino. Contemporaneamente, Gallieno fece di tutto per
togliere il comando ai senatori: arrivò persino a proibire loro di assumere il
comando delle unità militari, affidando la funzione dirigenziale dell’esercito
all’emergente classe equestre. Senza mai rinunciare alle sue stravaganze.
“In primavera si faceva preparare giacigli di rose, costruiva castelli
di frutta, conservava l’uva per tre anni, in pieno inverno imbandiva dei
meloni. Insegnò il modo di conservare il mosto per tutto l’anno e offriva,
anche fuori stagione, fichi verdi e frutta appena colta dagli alberi. Faceva
sempre apparecchiare le tavole con tovaglie d’oro, facendosi preparare vasellame
ornato di gemme e d’oro”. Tutto questo mentre l’economia dell’impero andava
a rotoli a causa di epidemie di peste,, inflazione galoppante, commercio
asfittico e carenza di materie prime. Il problema principale era rappresentato
però dalle minacce esterne. Contro cui Gallieno dimostrò di saper fare il suo
mestiere,
Mappa dell'Impero romano nel 270, con l'Impero delle Gallie a Occidente e il Regno di Palmira a Oriente.
ITINERANTE. Nel
III secolo, regnare significava combattere. Bisognava lottare contro le
secessioni interne, ma soprattutto respingere orde di barbari. Per farlo,
servivano fiumi di denaro, ottenuti spremendo i sudditi fino all’ultima goccia.
Gallieno, nonostante il banditismo dilagante e l’instabilità sociale, non si
fece problemi a richiedere ulteriori sacrifici al popolo. E va detto, che quei
soldi li fece fruttare. Per gran parte del regno, Gallieno non ebbe una corte
fissa: si ritrovò a correre su e giù per il Reno e il Danubio alla testa di
imponenti eserciti. Un compito non facile , considerando la vastità
dell’impero: era come cercare di tappare un colabrodo: “Il sistema difensivo dell’Impero romano, a partire dal II secolo d.C.,
non era più in grado di sostenere una seriedi attacchi simultanei in vari punti
della frontiera”, ha spiegato Jefferson Bray. Nonostante ciò, Gallieno
seppe sconfiggere e contenere i peggiori nemici di Roma: Franchi, Alemanni e
Goti. Il suo segreto? Formò per la prima volta riserve strategiche, composte da
truppe molto mobili e bene equipaggiate, e aumentò il peso della cavalleria.
Partendo da basi strategiche come quella di Sirmium (in Serbia)o di Milano, i
cavalieri scelti da Gallieno erano in grado di affrontare gli attacchi molto
più rapidamente rispetto alle fanterie.
INGRATO TRADIMENTO. Dove non poteva
arrivare, ci mise una pezza mandando in vece i suoi uomini migliori. A difesa
dell’Oriente, puntò tutte le sue carte su Odenato, re arabo di Palmira, ed ebbe
ragione. La situazione in quel settore si era fatta critica dopo che il
prefetto dell’Egitto, Mussio Emiliano, si era proclamato imperatore bloccando i
rifornimenti di grano e affamando Roma. Forte del titolo di corrector totius
Orientis, Odenato riuscì a ripristinare l’autorità imperiale. In patria, di
Gallieno, più che ammettere la lungimiranza,, si riconosceva l’animo nobile “In verità Gallieno si segnalava, non lo si
può negare, tanto nell’oratoria, quanto nella poesia e in tutte le altri arte”,
puntualizza la solita Historia Augusta. Il peggio venne quando a rivoltarsi
contro di lui furono gli stessi generali. Uno di questi, Aureolo, si ribellò
per cerca di spodestarlo: tradito da quello che fino a pochi giorni prima era
stato un amico personale, l’imperatore fu assassinato dai suoi nel 268. In anni cruciali per
la storia di Roma, aveva difeso i territori imperiali da decine di invasioni. I
frutti dei suoi successi, screditati da una cattiva stampa, sarebbero poi stati
usati dai successivi imperatori Aureliano e Diocleziano: il primo avrebbe
riunificato l’impero ponendo fine alle secessioni, mentre il secondo avrebbe
riformato l’amministrazione romana. Insomma, tanta fatica fatta per
apparecchiare la tavola ad altri.
Articolo in gran parte di
Gabriele Esposisto pubblicato su Focus storia n. 141 altri testi e foto da
Wikipedia.
Ottimo articolo, complimenti.
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