SANGUE REALE.
Nel 1793, in Francia, l’esecuzione di Luigi XVI “battezzava” la
repubblica, calpestando però più di un principio.
l'arresto di Luigi XVI e del suo gruppo
Luigi XVI
Parigi, 21 gennaio 1793:
una folla di curiosi si riversa in Place de la Rivolution , oggi Place
del la Concorde ,
dove si staglia l’inquietante profilo di una ghigliottina. Si sta per consumare
l’estremo atto della Rivoluzione ch ha travolto la Francia qualche tempo
prima: sul patibolo è atteso Luigi XVI, ex sovrano appena uscito da un
estenuante processo. Ma come si arrivò a questo punto? Per scoprirlo, bisogna
tornare indietro, all’estate del 1791, quando il re francese iniziò a meritarsi
la fama di traditore.
COLTO SUL FATTO. Scoppiata nel luglio 1789, la Rivoluzione francese
aveva lasciato in vita l’istituto monarchico, prevedendo tuttavia la nascita di
una monarchia costituzionale al posto di quella assoluta, da affidare proprio a
Luigi XVI, già sul trono dal 1774 con la moglie Maria Antonietta. La Costituzione del 1791
disegnò una monarchia in cui il potere legislativo era in a un’assemblea.
Quest’ultima, un anno più tardi assunse peraltro anche il potere esecutivo e,
trasformata in Convenzione Nazionale, iniziò a redigere una nuova Costituzione
che prevedeva stavolta una repubblica. Un cambio di prospettiva netto ma
determinato da che cosa? Innanzitutto, da una goffa fuga da Parigi che il re
aveva tentato il 21 giugno 1791, allontanandosi con la famiglia dal palazzo
delle Tuileries, dove viveva sotto sorveglianza dopo aver abbandonato
Versailles, in direzione del villaggio di Montnédy, al confine con l’odierno
Belgio. “Gli obiettivi del re non sono
mai stati chiari, forse neanche a lui:
probabilmente intendeva organizzare da Montmédy un’azione controrivoluzionaria,
riservandosi però la possibilità di espatriare facilmente, magari per unirsi
agli eserciti austro-prussiani”, spiega Gian Paolo Romagnani, docente di
Storia moderna dell’Università di Verona. I veri intenti non fu necessario
scoprirli: a un giorno dalla fuga, la Guardia Nazionale
intercettò il sovrano a Varennes, poco distante dalla meta, lo arrestò e lo
rispedì a Parigi con il marchio dell’infamia. “La fuga a Varennes screditò
in modo decisivo Luigi agli occhi
dell’opinione pubblica, e proprio l’ombra del suo tradimento fece metere
all’ordine del giorno la caduta della monarchia”, riprende lo storico.
il processo a Luigi XVI
DA RE A CITTADINO. Dopo
l’episodio di Varennes, a scuotere i francesi fu l’entrata in guerra: il 20
aprile 1792, anticipando eventuali mosse dei regni
stranieri ostili alla rivoluzione, l’assemblea legislativa dichiarò aperte le
ostilità contro Francesco II d’Asburgo-Lorena, re d’Ungheria e Boemia e
prossimo imperatore del Sacro romano impero. A rispondere fu la prima
coalizione, alleanza tra stati: Gran Bretagna, Austria, Russia, Prussia e
Spagna su tutti, che avrebbe impegnato a lungo i francesi nelle cosiddette
guerre rivoluzionare. “Aumentò il timore
che Luigi e l’Austriaca Maria Antonietta tramassero con qualche leader
straniero: il 25 luglio ad accrescere i sospetti fu un proclama del duca di
Brunswick, capo dell’esercito austro-prussiano, che intimava ai parigini di non
fare danno ai reali”, prosegue l’esperto.
Il clima di paranoia sfociò il 10 agosto nell’attacco al
palazzo delle Tuileres, espugnato da una massa di rivoltosi. La monarchia era
al capolinea: Luigi e famiglia finirono nella torre del Tempio, prigione
fortificata da cui assistettero all’avvento della repubblica proclamata il 21
settembre 1792 dalla neonata Convenzione. In molti iniziarono a domandarsi che
cosa sarebbe accaduto al deposto monarca, tanto più dopo che a novembre, alle
Tuileries, fu scoperto un armadio segreto (detto Armoire de fer) contenente
vari documenti da cui emergeva come egli avesse firmato la Costituzione
dell’anno prima senza crederci, pensando già a una contromossa. I deputati della
Convenzione iniziarono quindi a dibattere sull’opportunità di processare l’ex
re, chiamato ora Cittadino Luigi Capeto, perché apparteneva alla dinastia del
Capetingi, discendenti di Ugo Capeto.
Jean Duplessis-Bertaux, La presa del palazzo delle Tuileries il 10 agosto 1792
PROCESSARE SI O NO? Favorevoli al processo erano i deputati moderati,
girondini in primis, mentre tra quelli radicali, i giacobini, abbondavano i
forcaioli. A partire da Robespierre, convinto che Luigi andasse
giustiziato subito. A fargli da
contraltare nel partito era Jean-Paul Marat “Egli,
come gli altri moderati, riteneva che il processo fosse indispensabile proprio
per certificare l’avvenuto trasferimento della sovranità al popolo”,
racconta lo storico. Alla fine, il processo si fece. A ben vedere, secondo la Costituzione in
vigore (garantiva l’inviolabilità del sovrano), il pur spodestato Luigi non sarebbe
potuto essere giudicato. Fu allora che subentrò un ragionamento inedito: se gli
uomini erano tutti uguale di fronte alla legge, la sovranità della nazione non
poteva consentire che qualcuno fosse al di sopra di essa. Le udienze potevano
cominciare: si iniziò nel 1792 nel palazzo delle
Tuileries, ora sede della Convenzione. I capi d’accusa, varie decine, si
potevano riassumere in due parole: altro tradimento.
GIA’ SCRITTO. Il processo fu a senso unico: gli accusatori affermarono
le colpe di Luigi, cospiratore contro la Rivoluzione e, in definitiva, contro la libertà
dei francesi, e ai suoi avvocati non fu concesso di difenderlo adeguatamente.
Il 14 gennaio 1793l iniziarono le votazioni finali.
La prima riguardava la colpevolezza, su cui non vi furono dubbi. Un secondo
voto stabilì se affidare il giudizio al popolo, ma la scelta fu bocciata.
Infine fu chiesto di scegliere se applicare la pena capitale. “Fu il voto più dibattuto, con i deputati
divisi tra chi, come i girondini, voleva colpire solo l’istituto
monarchico, immaginando per Luigi il
carcere o l’esilio, e chi vedeva in lui il simbolo vivente della monarchia, da
annientare per salvaguardare la Rivoluzione.
Prevalse la volontà di morte, ma di poco: 387 si contro 334
no”, rivela lo storico.
Nel complesso il processo fu politicizzato e formalmente
ingiusto, soprattutto perché il principio dell’innocenza, caro agli illuministi
non fu considerato. La smania di difendere la Rivoluzione aveva
d’altronde indotto Robespierre e soci, di cultura illuminista, a rivedere molte
loro posizioni. A partire da quelle sulla pena capitale, un tempo deplorata e
ora invocata.
PARADOSSALE. L’esecuzione di Luigi fu fissata il 21 gennaio e
Parigi si riempì di manifesti che invitavano al grande evento. Quella mattina
l’ex re, rinfrancato dall’aver potuto trascorrere il giorno precedente con la
famiglia, si vestì di bianco, uscì per l’ultima volta dalla torre del Tempio e
arrivò in carrozza al patibolo, sul quale salì accompagnato dal rullare dei
tamburi. Fu tutto veloce: il boia trascinò Luigi sulla ghigliottina, lui disse
che moriva da innocente e la lama piombò sulla sua testa, mostrata alla folla
che urlava Viva la
Repubblica. “Alcuni in
modo propiziatorio, raccolsero le gocce di sangue dell’ex re monarca, grondanti
dal patibolo, intendendo fazzoletti e vesti”, racconta lo storico. Dal
macabro epilogo della monarchia francese le potenze straniere trassero subito
la scusa per rafforzare la coalizione controrivoluzionaria, mentre sotto la
regia di Robespierre il Paese scivolava nel periodo del Terrore, durante il
quale la ghigliottina sarebbe caduto sul collo di migliaia di sospetti nemici
della Rivoluzione, incluso lo stesso Robespierre.
Fu
poi il momento di Napoleone Bonaparte, imperate dei francesi dal 1804, e infine
tra il 1814 e il 1815, della restaurazione della monarchia costituzionale,
affidata addirittura a un fratello del decapitato re. In pratica, un ritorno al
punto di partenza: fu questo l’esito paradossale della condanna a morte del
cittadino Luigi Capeto.
E dopo di lui, Maria Antonietta.
esecuzione di Maria Antonietta
https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Antonietta_d%27Asburgo-Lorena
Il 16 ottobre 1793, nove mesi dopo
l’esecuzione di Luigi XVI anche sua moglie Maria Antonietta d’Asburgo Lorena
morì sotto la ghigliottina. La condanna era stata emessa due giorni prima,
quando la trentottenne ex regina, visibilmente prova dalla prigionia, era
apparsa davanti al tribunale rivoluzionario, da poco istituito per giudicare
i nemici della Rivoluzione.
Colpevole di tutto. Nell’occasione, senza che nessuno
badasse alle sue repliche, fu additata come la responsabile di ogni male, una
serpe in seno giunta da Vienna che aveva intrecciato rapporti con le potenze
nemiche della Francia, Austria in primis, tramando contro la sicurezza della
nazione e dissanguandone le casse. Si trattava di alto tradimento e come per
Luigi la punizione fu il patibolo.
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Articolo in gran parte di Matteo Liberti pubblicato su
Focus Storia 140. altri testi e immagini da Wikipedia
Credo che Luigi XVI sia stato un sovrano assolutamente inadeguato a gestire la crisi del 1789. Attento a conservare i privilegi di Nobiltà e Alto Clero, influenzato anche dalla sua consorte, la Regina Maria Antonietta, l' Austriaca, da sempre invisa al popolo francese. Sordo e cieco di fronte a qualsiasi iniziativa dei suoi ministri che, invece, avrebbero potuto portare ad una ripresa dell' economia francese. Quanto meno avrebbero potuto sedare gli animi di un popolo ormai insofferente e oppresso da secoli di sperequazioni e abusi. È così che, a mio parere, Luigi XVI segnò il destino del suo regime Aggiungiamo poi la paura del popolo francese di fronte al pericolo di un ritorno al regime, alimentata dallo stesso sovrano con la sua corrispondenza segreta con i sovrani stranieri. Infine l' indignazione per la tentata fuga. Alla fine credo che la
RispondiEliminalama della ghigliottina per il sovrano e la sua consorte ne fu la logica conseguenza.